Rivista Club degli autori n° 171-172-173-174
Luglio 2007
 
Collaboratori
Gli uomini come Umberto hanno un cuore di vent'anni
 

Ho conosciuto Umberto alcuni anni fa e la prima cosa che mi viene in mente è ripensare, ora che sta girovagando con la sua moto nell'alto dei cieli, a quel suo modo di fare, tutto personale, a quella sua visione della vita, alla figura di uomo che aveva nella sua originalità estrema tutta l'essenza della sua personalità.
A dire la verità non ho avuto modo di parlare a lungo nè spesso con lui, ma ho sempre pensato che forse non ce n'era bisogno: alcuni dicono che bastano due occhiate veloci per capirsi, altri affermano che non basta una vita, ad altri ancora non interessa affatto conoscere chi hanno davanti agli occhi. La vita è così.
Le mie parole sono un inno alla vita, ad andare avanti seguendo la giusta direzione, a combattere senza mai voltarsi: senza nostalgie per il passato, senza false illusioni per il futuro, senza credersi imperatori solo perchè ci si è messi in testa una corona di vile metallo ma guardarsi allo specchio e vedere che si è solo un essere umano, fragile e consapevole della propria finitudine, proprio come avrebbe fatto Umberto.
Chi siamo veramente se spogliati dei nostri titoli, dei nostri trofei, degli accessori che ci portiamo dietro?
Solo carne e sangue, sudore del vivere, solo una lontana immagine d'un sovrano ma piuttosto un misero pulviscolo cosmico che aspetta il lenzuolo funebre del pensiero.
Nella vita di ognuno, così nell'Olimpo come nella più modesta casa, c'è sempre un giorno in cui la luce del sole si riflette negli altri giorni per quanto oscuri siano, c'è il momento del pianto in cui le lacrime del ricordo addolciscono l'alba del domani, c'è la forza vitale delle parole che echeggiano nella notte più fonda, c'è la pietà.
Gli uomini come Umberto hanno un cuore di vent'anni, si tengono il cappello in testa come se un fendente potesse portarglielo via, e vogliono solo combattere.
La vita conosce momenti amari, quando tutto sembra perduto, quando non si crede più neanche a se stessi, quando ci si perde nelle mille inutili parole. Nessuno può sentire il peso delle dolorose scelte, delle sconfitte così come delle vittorie, perchè il segreto del vincere è spesso racchiuso nel fondo del proprio patire.
Adesso Umberto ha toccato l'ultima isola, e io parlo per tutti, come a fare strada nella nebbia di questa pianura, come a solcare le onde del mare in tempesta... solo per rendere omaggio ad un Uomo. Che tu possa riposare dolcemente.
 

Massimo Barile


Un uomo dalle molte vite, molte passioni e molte contraddizioni

Stai preparando i coccodrilli? urlò Umberto dal suo ufficio, un giorno di parecchi anni fa. Al mio silenzio stranito rispose brevemente, con le secche e chiare parole che usava quando si trattava di istruire le giovani leve: «I pezzi commemorativi di personaggi noti che non sono ancora morti, ma per ragioni anagrafiche o di salute lo saranno in tempi brevi.
I giornalisti li preparano prima, così sono già pronti all'occorrenza». Buffo, pensai allora, e anche un po' cinico. Ma il mestiere è mestiere, e quello del giornalista, che Umberto conosceva bene, è così: prima di tutto, stare sulla notizia. Arrivare in tempo, anzi no, arrivare primi, sempre. Per questo Umberto aveva sempre fretta, lavorava a ore impossibili, elaborava in una notte progetti grandiosi, e la mattina dopo si stupiva che gli altri non ne fossero ancora al corrente e non li stessero già mettendo in pratica.
Il coccodrillo di Umberto non l'ho mai preparato. La sua morte mi ha preso alla sprovvista, benché non fosse più giovane e da anni soffrisse di svariati acciacchi, dai quali però si riprendeva ogni volta con sorprendente vitalità.
Parlare di Umberto al passato mi viene ancora molto difficile. Da parecchio tempo non lo vedevo, ma me lo immaginavo sempre lì, dietro la sua scrivania, con gli occhi fissi al monitor, una sigaretta tra le dita e un'altra che ardeva, dimenticata, nel posacenere. Pronto a incazzarsi: proprio così. Umberto non si limitava ad arrabbiarsi, e chi ha lavorato con lui lo sa bene. Lui si incazzava in maniera spettacolare, e ho sempre pensato che la cosa gli desse grande soddisfazione: perché si vedeva che amava il gesto collerico e immediato, il suono della sua voce che rimbombava per le stanze, con tutte le erre che rotolavano via, e gli piaceva pensare che tutti tacessero terrorizzati.
In realtà, dopo le prime due sfuriate nessuno si terrorizzava più. Non perché non avesse autorità - ce l'aveva, eccome. Ma perché tutti capivano che quello era il suo teatro, e che nessun altro poteva essere il protagonista. Poi la bufera passava, all'improvviso come era arrivata, e lui ricominciava a lavorare, fumare, telefonare, cucinare cose rigorosamente poco sane ma assai saporite. Ricordo una volta, Umberto aspettava due nipoti, le figlie di Adriana, a cena. Aveva scritto e impaginato con cura un elaborato menu, su cui campeggiava la scritta "Ristorante chez Nonnino". Mi era sembrata una cosa meravigliosamente tenera, e avevo pensato che avrei voluto anch'io avere un nonno così.
Umberto ha avuto molte vite, molte passioni e molte contraddizioni. L'anarchia, il giornalismo, la fotografia, la musica, il motociclismo, le piante, l'editoria. E le sue figlie, naturalmente: Adriana e Antonella - la Copponicchia. Era bello vederli tutti e tre insieme: tanto diversi eppure tanto simili, legati da mille complicità silenziose ma tangibili.
Al suo funerale c'era la bandiera rossa e nera degli anarchici, c'erano le moto da strada, guidate dagli amici con i giubbotti di pelle e gli stivali a punta, c'erano signore eleganti e signori in giacca e cravatta.
C'erano le figlie, pallide ma sempre belle, e i nipoti, tutti insieme. A ben guardare, un gruppo stranamente assortito. Si sono dette molte cose su Umberto: che era generoso, che amava la poesia, che era sempre pronto ad aiutare e ad ascoltare gli altri. Mentre ascoltavo, però, io continuavo a pensare a un altro Umberto, quello che ho conosciuto e a cui ho voluto bene: un uomo libero dalle catene delle convenzioni sociali, incurante dei giudizi altrui e sempre curioso di conoscere, di sapere, di scoprire.
A Dante, Umberto sarebbe piaciuto. Probabilmente l'avrebbe collocato all'Inferno, ma con grande dignità: come Ulisse, e come Farinata degli Uberti.
Ora, Umberto, la tua patria è davvero il mondo intero, e la tua legge è per sempre un'infinita libertà.
Addio.
 

Olivia Trioschi

 

L'uomo Umberto, la sua natura dominata dal pensiero
 

È sempre stato il pensiero a dominare nella natura di Umberto Montefameglio, un pensiero come forma del suo essere da elargire con parsimonia a quanti, avvicinandolo, potevano dimostrare di saperlo ascoltare.
La prima volta che lo conobbi, presentata da una comune amica, lo incontrai nella sede di Cernusco sul Naviglio, circondato da libri, giornali, riviste, immerso in un mare di carta con ai piedi il suo cane che non lo lasciava mai. In quella confusione, lui aveva la capacità di un comandante di vascello che si trovi in mare a combattere la sua battaglia. Era il mare della carta stampata!
Non ci vollero che pochi minuti per iniziare un'amicizia che divenne subito collaborazione attiva. Eravamo nel 1992 quando iniziai a scrivere per Umberto e contemporaneamente a percepire il suo pensiero come espressione di un carattere libero e aperto, attento ai bisogni nel darsi senza condizione alcuna alle esigenze culturali che gli venivano palesate in una evoluzione dello spirito che per me erano una esperienza nuova.
Il mondo della carta stampata di cui anch'io avevo fatto esperienza scrivendo sui quotidiani, ci accomunava e questo rendeva positivo il nostro pensiero. I suoi consigli erano ben accetti e a volte era lui stesso a chiederne. L'esperienza vissuta nei vari Concorsi che la sua Rivista andava proponendo si allargava a macchia d'olio. Credo che la formula studiata da Umberto, sempre rispettoso degli altri, vivendo fino in fondo il suo senso della libertà di pensiero ci abbia dato l'opportunità di creare una solidarietà poetica che si traduce in sostanza originaria disincantata e vera che ci fa acquisire il senso dell'essere viventi, liberi, realizzatori nel mondo.
Ricordo con tenerezza, quando visitai per la prima volta l'attuale sede di Melegnano. Con quanto orgoglio mi fece salire a visitare il "Terrazzo dei poeti".
I suoi sogni: incontrare i poeti ed organizzare letture di poesia in mezzo al verde tra il profumo dei fiori che coltivava personalmente!
Aveva un animo sensibile, si emozionava ai Concorsi quando vedeva tutta la gente che giungeva da ogni parte d'Italia per ricevere il suo diploma. Avrebbe voluto abbracciarli tutti. Quando eravamo seduti uno accanto all'altra, negli ultimi anni aveva problemi di udito, lui voleva che lo seguissi per non fargli perdere l'attenzione del suo pubblico. Anche se non stava bene voleva essere presente. L'ultima volta, pochi giorni prima della sua dipartita, fui sola a dare il benvenuto ai partecipanti leggendo una sua lettera, ma non pensavo che sarebbe stata l'ultima volta che avremo ascoltato il suo pensiero.
Ci ha lasciato con nelle orecchie il rombo delle moto che lui amava e che non hanno voluto mancare all'ultimo incontro, ma nell'anima avremo sempre il ricordo del suo sorriso e nella mente il suo motto: «La mia patria è il mondo intero, la mia legge è la libertà».
 

Maria Organtini

 

Lettera a Umberto: Quelle rose che continuerai a raccogliere

Caro Umberto,
da meno una settimana si è conclusa la manifestazione delle premiazioni dei concorsi letterari, alle quali tu non hai presenziato al contrario degli anni passati. E quando è stata annunciata la tua assenza, ho capito che dovevi stare proprio male, conoscendo il tuo impegno e la tua gioia che ti hanno visto sempre presente. Oggi ho appreso che non ce l'hai fatta. Cosa dire ad un amico come te che ha sempre avuto un atteggiamento canzonatorio sul senso della vita: questa volta mi hai fregato. Sarei venuto a trovarti, come al solito, per fare quattro chiacchiere e prendere un caffè insieme e poi fare una visita al tuo bel giardino pensile. Hai amato la natura in tutte le sue manifestazioni. Il tuo grande terrazzo, che hai voluto dedicare ai poeti, è diventato un giardino con molti fiori e tante erbe aromatiche. Perfino qualche vite ha attecchito bene e la vista dell'uva ti riportava ai vigneti del tuo Piemonte. Ogni anno sul finire dell'inverno mi arrivava la tua telefonata, in verità da me attesa, chiedendomi quando avremmo potato le rose e le viti e, con l'aria di chi sa perfettamente cosa fare ma vuole far sentire importante l'amico al quale chiede consiglio, mi chiedevi quale concimazione sarebbe stato opportuno somministrare. La tua non era una semplice mania, ma tutto doveva servire per rendere bello il terrazzo che avrebbe avuto tanti visitatori durante l'esposizione delle "Poesie in cornice". Le rose rifioriranno per omaggiare te e la poesia.
La tua schiettezza a volte era disarmante, ma chi ti ha conosciuto sa bene che non amavi tergiversare e che essendo un uomo d'azione, ti piacevano i fatti, più che le parole. Da giornalista navigato quale eri, hai trasferito il concetto del diritto di cronaca applicandolo ai poeti e scrittori sconosciuti, che così è diventato diritto di vedere pubblicati i propri scritti al minor costo possibile ed in maniera perfetta. Perché nessuno dei grandi editori si sarebbe mai sognato di pubblicare degli emeriti sconosciuti. Con grande onestà ti sei prodigato sempre, ed in maniera disinteressata, ad informare tutti gli autori sui possibili tranelli tesi da un'editoria speculativa capace di promettere mare e monti, per poi rivelarsi menzogniera.
Sei sempre stato un convinto anticonformista, ma le tue convinzioni politiche e religiose non le hai mai fatto pesare agli amici, delle cui idee sei sempre stato rispettoso perché prima delle filosofie hai posto l'uomo con la sua dignità. Sei stato uno sportivo tenace, ma anche un artista e più di una volta ti sei lamentato di non riuscire più a prendere lezioni e ad esercitarti con la chitarra, "classica" mi facevi notare. La promessa reciproca fu sempre la stessa: «bisogna che un giorno ci mettiamo di buzzo buono e facciamo qualche pezzo con due chitarre»; ma io ti facevo notare che la mia chitarra non era di marca ed era tipo jazz. Tu che dedicando non solo i giorni, ma anche buona parte delle tue notti, al tuo lavoro di editore, sei stato capace di mettere su una rivista che onora prima di tutto il significato di sodalizio e poi quello di editore.
La tua dipartita mi ha insegnato che bisogna "cogliere l'attimo", e non solo in senso edonistico, perché la vita è fatta di attimi e l'agire bene'è il potente mezzo di cui dispone l'uomo per continuare a vivere anche dopo la morte. E tu, senza dubbio, continuerai a vivere con noi.
 
Ciao Umberto, ci mancherai molto.
 

Benedetto Di Pietro

Torna all'inizio  
 
 

IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |
© COPYRIGHT 2007 RIPRODUZIONE VIETATA
È concessa ai navigatori Internet la stampa di una copia ad uso personale

Realizzato dail server dell'associazione no-profit "Il Club degli autori" che ospita riviste virtuali di cultura e arte

ottimizzato per Netscape