Inediti On line
 
Farfalle
di
 Daniela Manzini Kuschnig
PARTE III (Giada)
Capitolo 10
Quanto sanno le farfalle
del fiorire
delle pietre
 
da Poesie di Karl Lubomirski Parte 3: Il Sacro
 
Mi tastai la cicatrice in alto sulla fronte, quello che avevo sempre avuta, quella che bruciava e tirava la pelle giorno e notte.
Stava sorgendo il sole, rivolsi un lungo sguardo all'ovale pallido del volto di Mara, le sorrisi, mi avvicinai alla piccola finestra, scostai la tenda quel tanto che bastava e guardai fuori i prati e i campi a perdita d'occhio e pioppi alti pronti a rivestirsi dell'argento di foglie lucenti.
Il sangue scorreva veloce, lo sentivo pulsare nei polsi, alle tempie e sapevo, sapevo che non era finita, non ancora. Andai alla porta della camera e l'aprii. Seduta su una sedia di legno, dal sedile impagliato, stava l'Ernesta, proprio a fianco del battente, sullo stretto pianerottolo, il rosario fra le dita. Doveva esserci stata tutta la notte.
" Ho mandato ad avvertire il prete. " disse
" Me ne vado. " le risposi
" Quando torna? "
" Non lo so. "
" Ma torna, vero? "
" Torno, Ernesta, torno. "
" C'é da pensare a tante cose... alla terra, alle bestie... Dove vuole che sia sepolta? "
La fissai dritto negli occhi marroni infossati, quasi persi in un mare di rughe.
" Èmia moglie, no? Vicino a mia madre. " le risposi.
" Giusto. " Ed ero già fuori di casa, con il mantellaccio sul braccio, perché era ancora fresco così di buon'ora e la sacca con le mie cose in mano, diretto alla stazione della città. Avrei compiuto in senso inverso il viaggio che avevo fatto con Mara, l'inverno prima. Glielo dovevo, a Mara. E a me. Se è vero che occorre dare un senso alla vita, per poterla vivere, io quel viaggio lo dovevo fare.
In tre giorni ritornai là da dove solo cinque mesi prima ero partito e solo una volta che fui arrivato mi resi conto che non avevo fatto attenzione né ai passeggeri che pure s'erano avvicendati nel sedile accanto al mio, né al paesaggio che scorreva fuori dal finestrino: avevo guardato senza vedere, avevo udito senza comprendere, niente m'aveva toccato, nessuno m'aveva distolto dai miei pensieri. Lo strano era che non mi ero preparato alcun piano, nemmeno un programma, avevo solo un'idea fissa: quello che volevo fare, perché Mara aveva voluto farlo, perché adesso anch'io volevo farlo. Avevo, in una parola, solo uno scopo da raggiungere. Come non sapevo. Ma avevo il modo di provare a Mara che non l'avrei scordata, mai, la mia farfalla dalle ali trasparenti, delicata e insieme forte, posata come un fiore fra l'erba del campo.
Eravamo partiti d'inverno, tornavo di primavera e lì la primavera era già tiepida e gli alberi avevano già messo le foglie e i fiori sbocciavano più colorati che al paese al nord. Il mantellaccio mi sarebbe servito di notte, perché mi sarei sdraiato all'aperto, lo ripiegai più stretto che potei e lo cacciai a forza nella sacca.
M'incamminai fra la gente e i tram sferraglianti e le biciclette malandate, passai attraverso alcuni mercatini dove si poteva comprare di tutto, perché pareva che tutti cercassero di vendere di tutto, mobili, soprammobili, argenti, vestiti. Le bancarelle più affollate erano quelle dove si vendeva da mangiare, frutta e verdura e formaggio e pesce... raggiunsi la casa- cantina e la trovai occupata da una famiglia con tre bambini piccoli: me l'ero aspettato, ma avevo voluto ripassarvi ugualmente, sentivo che era giusto. Come il primo giorno, mi fermai nel campo fra le costruzioni dove i bambini giocavano e strillavano e mi sedetti a terra con la sacca fra i piedi ad aspettare la notte.
Quando fece buio io mi alzai, raccolsi la sacca e m'incamminai. Raggiunsi le strade perse nella luce sfumata dei lampioni: erano in poche in attesa. Vedendomi sperarono in un cliente, dapprima, ma esperte com'erano, subito capirono che no, se ero in cerca, stavo cercando altro. Però due di loro furono gentili lo stesso e mi parlarono.
L'inverno era stato brutto, freddo, umido e malattie, per non parlare dei soldi che non c'erano, dei prezzi alti, si mangiava cicoria e patate, patate e cicoria, e alcune erano morte, altre avevano scelto di lavorare al chiuso, riparate dalla pioggia e dal vento, al caldo e ben nutrite e curate come la legge imponeva, fra le braccia materne di una delle tante signore. Anche loro ci sarebbero andate volentieri, ma cercavano ragazze un po'giovani e bellocce, sulla strada rimanevano gli scarti. Roba per manovali, da pochi soldi. A guardar bene ci sarebbero stati un due o tre posti anche per loro, ma la situazione non sarebbe cambiata di molto, i bordelli o erano buoni per i signori o erano degli schifi. E allora tanto valeva star per strada, anche se loro finivano in luoghi sempre più lontani e peggio frequentati... , in fin dei conti a ognuno i suoi rischi.
" Ho conosciuto una del giro, era giovane e bella. Giada. Si chiamava Giada. " dissi
Il nome cadde nell'ombra della notte come un petalo su un prato: senza rumore.
" Chi sei? " chiese la bruna, sciupata, i capelli tinti malamente.
" Cerco Giada."
" L'ho capito."
" Noi non parliamo di lei. " intervenne la compagna dal viso stanco troppo truccato, troppa cipria, troppa matita, troppa vita.
" Perché? "
" E non diciamo neppure il perché. " Era cocciuta e prevenuta.
" Continuerò a cercarla. "
" Non farlo, è un consiglio. Gratis. "
" Lo devo fare. "
" Io lo sapevo d'averti già visto... Tu sei quello... Stavi con Mara. " fece la bruna.
" Sì"
" Dimmi di Mara"
" Èmorta."
" Un'altra. Era buona." commentò
" Amen." disse l'altra.
" Mara voleva sapere di Giada. Erano amiche."
" Lo sapeva che era scomparsa e poi... poi c'è stata quella faccenda... sì, c'è scappato il morto e nessuno sa chi sia stato... "
" Chiunque può essere stato, non è che avesse tanti amici, Raul... " il viso stanco era contratto, le rughe risaltavano scolpite sotto la cipria
" Zitta! Meno se ne parla, di Raul, meglio è. " La bruna aveva una voce dura, asciutta, come se non avesse più saliva.
" Ormai è all'inferno... "
" State zitte, stupide! Ne abbiamo avuto abbastanza di lui e della polizia, io ne ho avuto abbastanza, almeno. " Una terza s'era avvicinata, più anziana delle altre due, quasi grottesca nel tentativo di mascherare l'avanzare degli anni con un trucco pesante, da farla sembrare mummificata: eppure era splendida nello sforzo di conservare almeno l'apparenza, per di più fittizia, di una giovinezza finita chissà quano tempo prima.
" Anche lui cercava Giada... " Fece la bruna, come parlando a se stessa.
" Ma non l'ha trovata... " Constatò la seconda.
" Come fai a dirlo? " La mummia aveva una voce gracchiante.
" Ècosì, no? "
" Sì, non l'ha trovata, buon per lei... " La vecchia sapeva.
" Dov'é Giada? "
" Lo sai che è incinta? "
" E se non la trovo presto, finisce che partorisce... "
" Che cosa vuoi da lei? Dico, ammesso che la trovi. "
" Aiutarla voglio, mi capite? Mara l'avrebbe aiutata. "
" Ma sì, tanto peggio di così non può andare. "
" Siamo d'accordo? "
" Diglielo, dai! se può aiutarla davvero... almeno una che trovi un po'di pace! " la bruna incitò la vecchia dal viso che pareva un mascherone di quelli che si vedono alle fiere.
" Va bene. Per quel che può valere... Giada s'é voluta tenere il bambino ad ogni costo ed è scappata da Raul, poi Raul è morto e almeno da quella parte non ha più avuto da temere, ma s'é trovata senza soldi e di lavoro non se ne parla neanche, a parte quello solito, e lei diventa grossa e ha paura per il bambino e noi l'abbiamo anche aiutata come s'é potuto, ma è messa male, proprio male... "
" Dove? "
" No, non dir niente! Non lo sai chi è. Magari ... " Aveva paura e ci ripensava, quella dal viso incipriato.
" Magari cosa? Lo capite che voglio solo aiutarla? "
" No, Non lo capisco. Io non riesco proprio a capire perché. E ho paura di quello che non capisco. Tu, questo, ce la fai a capirlo? " Insisteva.
" Può darsi... ma sì, sì. Lo capisco. Facciamo così. Dite a Giada di me, ditele quello che vi ho raccontato, ditele che son tornato per lei e per... il bambino. Che mi manda Mara. Vediamo se lei riesce a capirlo. "
" Adesso però te ne vai. Alla svelta, anche. Lasciaci pensare. "
" Va bene. Ma ditelo a Giada. Diteglielo. "
Le lasciai e mi allontanai nel buio, infagottato nel mantellaccio, perché nel buio faceva quasi freddo e s'era alzato un vento pungente che passava attraverso gli abiti e faceva rabbrividire. Camminai in direzione del fiume e mi appoggiai alla spalla del ponte, guardando in giù l'acqua nera che s'ingorgava veloce increspata in cento e cento onde scure e turbinanti: c'era stato chi s'era gettato da quel ponte e s'era annegato, e, sapevo, altri ci sarebbero stati che avrebbero cercato sollievo alla solitudine, alla miseria, al fallimento, buttandosi giù, annullandosi... No, semplicemente ammazzandosi. Che c'era di semplice nella morte? Il fatto che era definitiva, forse. Ma non era più semplice del vivere, meno varia, questo sì. La pensavo come uno stato che, una volta raggiunto, si manteneva uguale e costante, senza sorprese, mentre la vita offriva la possibilità di un cambiamento ad ogni istante, dietro l'angolo s'annidava la speranza che qualcosa potesse mutare in meglio, un progredire dunque, un migliorare... e poi c'era la disperazione dell'uniforme procedere di lunghi giorni monotoni e squallidi, quelli che ogni speranza affossano.
Sentivo il bisogno di un lungo respiro pieno di quiete. Distolsi lo sguardo dall'acqua e guardai in su: nuvole veloci velavano e scoprivano stelle lontane e insieme vicine, mondi che solo la notte rivelava. Mondi in attesa. Di che? Di chi? Non di noi, non adesso. Sporchi di violenza, viziati da lunghi silenzi arrochiti.
La notte si dileguò languida nell'alba ed io ero rigido, perché non avevo cambiato posizione e il sangue e i muscoli erano come bloccati. Dovevo muovermi, ma anche aspettare che qualcuno capisse e venisse a cercarmi. Per questo però dovevo lasciarmi trovare.
Mi allontanai così dal ponte e percorsi le strade che si schiarivano alla luce del giorno, mentre le persiane incominciavano ad aprirsi, come governate da mani invisibili e gli ambulanti incominciavano a sistemare i banchetti; un altro giorno da vivere apriva le braccia al mondo e sorridendo sornione invitava alla fatica di sempre, alla delusione, al tradimento, all'ingiustizia, perché le creature hanno grande cuore e spalle larghe per reggere tutto questo. Si dicono fronteggiandosi: " Èla vita. " E tirano innanzi. A volte i giovani si ribellano, ma questo è un altro discorso.
Ritornai nella strada dove la notte avevo chiesto di Giada, più per istinto che altro. Non avevo certezze. Mi sistemai con le spalle appoggiate al muro screpolato di una casa malridotta, il sole mi feriva gli occhi, ed io non distoglievo lo sguardo, facesse pure. Avevo una sensazione strana, comedi non esser solo ad aspettare: intorno passavano persone, ma nessuno si curava di me, anche se due o tre mi lanciarono uno sguardo appena curioso, chi sei?, ma senza convinzione. Una leggera pressione alla gamba destra mi fece volgere gli occhi in giù e vidi, accanto a me, anzi incollato a me, un cane sporco, no, sudicio e magro, risultato di non so che miscuglio di razze. Era, questo si capiva, giovane, undici mesi, un anno, non di più. Mi guardava, muso all'insù, occhi attenti. Quando i nostri occhi si incontrarono, scodinzolò, semplicemente scodinzolò.
" Ciao, amico " dissi e aggiunsi " Sei solo? "
Scodinzolò freneticamente: certo che era solo e non gli piaceva. Era tanto chiaro. Aprii la sacca e gli diedi un pezzo di pane, lo divorò. In questo modo io ebbi un cane mio, in seguito lo avrei chiamato Felix, perché era un cane felice, affettuoso e ciarliero, proprio quello che io avrei voluto essere, e fiducioso anche.Fui contento di non esser più solo.
Poco distante c'era un negozietto d'alimentari. Quando vi entrai mi colpì la scarsezza delle merci offerte, le mensole di legno mezzo vuote, gli articoli da poco prezzo, l'aspetto trascurato di quello che pensai fosse il proprietario e tutta un'atmosfera di squallore che pareva intridere il quartiere e scivolare attraverso la pelle fino dentro il sangue delle persone.
" Buon giorno. Posso aiutarla? " la voce gentile e piana mi fece girare verso l'angolo a sinistra della porta d'ingresso dove, su una sedia impagliata stava una vecchia che non avevo visto entrando. Piccola e grassoccia, ma con un colorito giallognolo, i capelli bianchi raccolti in una crocchia alta sul capo, mi si rivolgeva sorridendo, le mancavano i denti davanti, poi appoggiò le mani deformate dall'artitre o semplicemente dall'età, sul banco e facendo leva, si tirò in piedi. Era piccola di statura e , tonda com'era, sembrava un gnocchetto di patate.
" Mi dica, signore.." Guardai verso l'uomo in mezzo al negozio, spazzava per terra usando una ramazza di saggina, pareva, di controvoglia.
" Dica a me, signore. Lo lasci perdere... lui ha il suo lavoro da fare... "
" D'accordo. " Mi guardai in giro cercando, infastidito da tutto quel signore troppe volte ripetuto, indispettito dal sentirmi infastidito, in ultimo cercava d'esser gentile e , perché no, d'ingraziarsi un cliente, quando sentii un guaito; mi girai in tempo per vedere l'uomo menare un gran colpo con il manico della scopa a Felix che aveva fatto capolino all'entrata del negozio, prendendolo proprio in mezzo alla schiena. Il cane non fuggì, ma s'appiattì di lato, tremando, così sozzo, così magro, lui che mi era venuto dietro, povera bestia e aveva solo fame e chiedeva poco. L'uomo alzò di nuovo la scopa, e fece per menare un altro colpo e Felix guaì ancor prima che il colpo gli arrivasse.
Ero arrabbiato. In due passi fui davanti all'uomo, gli tolsi con delicatezza la scopa dalle mani, appoggia il manico sulla gamba destra e feci forza, spezzandolo. Non fu un gran sforzo. " Il cane è mio. " dissi calmo, come se fosse bastato a spiegare il gesto.
" Lo scusi, signore. Non gli piacciono gli animali e poi in negozio, per igiene, sa... " La vecchia tonda era sempre in piedi, appoggiata al banco. Presi due scatolette e un pezzo di pane.
" Ho un po'di buon vino. Dalla campagna... arrivato da poco. "
" No, grazie, basta questo. "
" Èsicuro? Proprio sicuro? "
Era troppo insistente, mi affrettai a cercar il denaro per andarmene.
" Sì, sono a posto così. "
" Credevo che cercasse qualcosa... qualcuno... avrò capito male."
Smisi di cercare il denaro. Sapevo che l'uomo alle mie spalle era immobile. Era un uomo robusto, non più giovane, ma ancora forte. Trassi un respiro e dissi: " Cerco qualcuno, sì, ma non credevo che l'avrei trovato qui. "
" Perché no? Siamo tutti una famiglia e ci diciamo di questo e di quello... "
" Allora? Che cosa può dirmi? "
" Dipende solo da quello che il signore può darmi. "
" Già. Èchiaro. Siete una famiglia e vi aiutate, non è vero? "
" Certo. Oh, certo, io non voglio sfruttare una cosa tanto, come posso dire? , tanto penosa... ma vede, ho da pensare anche a me che son vecchia e stanca e malata e gli affari vanno male e poi, io ho avuto delle spese... "
" Dov'é? "
" Se ci mettiamo d'accordo... "
" Non ci mettiamo d'accordo finché non la vedo. "
" Non credo sia possibile. "
" Io credo di sì. "
Presi le mie cose, pagai, uscii.
Attraversai la strada e mi sedetti su un gradino di mattoni di fronte al negozietto. Dalla sacca tolsi un apriscatole di metallo e aprii una scatoletta, il pranzo per Felix. Il cano odorò, leccò e ci si buttò dentro anima e corpo, poi, quando nemmeno l'odore rimase, mi guardò e sorrise. Perché le bestie sanno sorridere. Èun dato di fatto. Tesi una mano e l'accarezzai, pelo ispido e folto, sul dorso: Felix si accucciò al mio fianco. " Aspettiamo. " gli dissi. " Va bene. " mi rispose, stiracchiandosi e aggiustando il muso nell'incavo della mia anca. Socchiuse gli occhi e fece una specie di leggero gorgoglio. " Va bene. Bene. Adesso. " lo rassicurai.
Attendemmo. Tenevo la mente sgombra da pensieri, ricordi, speranze. Volevo essere pronto e preciso , reattivo. Che cosa accadeva nel negozio? Che cosa nella testa di quella gente? Niente o tutto. Mi potevano vedere chiaramente se solo guardavano fuori: io ero lì. Avrebbero dovuto far la loro mossa. Speravo che si muovessero in fretta. Perché Giada non aveva tempo da perdere. Ed io non avevo denaro, non certo quanto volevano. Provavo l'impulso di alzarmi, andare da loro, buttare quelle loro carabattole per aria, prendere a calci l'uomo e dar alla vecchia qualcosa su cui riflettere fino all'ultimo dei suoi giorni. Qualcosa che sapesse di paura e di crepuscoli grigi e di notti nere: ma no, ne avevo abbastanza di grigio e di nero, ceneri sperse nell'aria appestata di un dopoguerra che incominciavo appena a vedere. Era tempo di ricostruire, non di distruggere, pensavo.
L'idea di una ricostruzione che fosse intima, personale, coerentemente connessa alla presa di coscienza del passato, e poi, solo poi, fosse materiale, attiva, concreta, mi faceva sentire meglio, un altro -me- avrebbe potuto nascere... , ma avevo bisogno di Giada, per ricostruire me stesso.
Il tempo passava e già imbruniva e, nello scurirsi del cielo si accendevano piano piano le prime stelle; Felix si stiracchiò, aprì la bocca in un grande sbadiglio che mise in mostra due fila di denti candidi, forti, appuntiti. Con uno snap richiuse le mascelle e mi sorrise, agitando la coda festoso: " Si mangia? " chiedeva il suo sguardo.
Aprii l'altra scatoletta e gliela offrii con l'aggiunta di un po'di pane. Quando l'ebbe vuotata, mi alzai, andai alla fontanella all'angolo , la riempii d'acqua e gliela porsi, poi bevvi anch'io chinato a raccogliere l'acqua in bocca e a sciacquarmi la faccia.
" Non girarti a guardarmi, d'accordo? " la voce veniva dalla mia sinistra, era bassa, un po'roca e molto molto stanca. Comunque era un uomo a parlare. Feci cenno di sì.
" Se vuoi davvero far qualcosa per lei, è meglio che ti muova. Lei non ha molto tempo ancora... Insomma non sta bene... e poi... "
" Poi che cosa? "
" Lo vedrai da te. "
" Dove? "
" Dietro il negozio la vecchia ha una stanza. Ci si entra dal retro. Vacci e portatela via. Non so che cosa posso fare per aiutarla, io non me ne posso andare, invischiato sono e lo sarò sempre, ma se ce fai, dille che non è mai stata del tutto sola, in questi mesi... e che Dio ti maledica se le farai del male! Che Dio ti maledica! "Ci fu rumore di passi frettolosi e la voce scomparve con essi.
"Che Dio mi maledica, se non riesco a portarla via. " mormorai.
Mi rialzai e mi guardai verso il negozio: l'uomo lo stava chiudendo: una volta si girò per un istante verso di me e, come s'accorse che lo stavo fissando, si voltò di scatto. Sapevo che era stato lui a parlarmi, perché non volesse che qualcuno se ne accorgesse, quello no, non lo sapevo, ma era un altro motivo di inquietudine.
Nello squallore s'agitava ancora squallore.Era nell'aria. Era tangibile. Scricchiolava sotto la suola degli stivali, Felix lo annusava ogni volta che respirava, l'odore di rancido della crudeltà. Amatevi l'un l'altro... mia madre lo diceva, citando, ma mia madre era una pia donna che credeva che gli uomini fossero buoni, tutti: magari rubavano un po', magari facevano qualche stoltezza, da giovani soprattutto, ma erano, dico erano, buoni. Nel profondo della loro animaccia nera come la pece.
Quando il buio fu completo e come un mantello avvolse le case e piovve sulla strada che poche luci illuminavano fiocamente, a passo lento mi mossi verso un cortiletto dietro il negozio. Stretto e lungo, ingombro di casse e cassette, emanava puzzo di immondizia vecchia lasciata a imputridire. Era di terra battuta, polverosa sotto lo stivale: Felix annusò in giro, starnutì e mi si appiccicò alla gamba. Un lato, quello da cui ero entrato, era aperto sulla strada, due erano cinti da quello che mi parve una specie di rete metallica, il quarto era formato dal retro della casa e lì, come aveva detto l'uomo, c'era una porta, chiusa, di legno. Nessuna finestra, ma, da sotto la porta filtrava un po'di luce.
Mi accostai e Felix con me. Ascoltammo alla porta: non un rumore, niente di niente. Dovevo entrare. Potevo bussare. Ovvio. Se qualcuno c'era all'interno, avrebbe risposto, magari chiesto: " Chi è? " Era un punto di partenza. Alzai la mano chiusa a pugno, e feci per battere le nocche contro l'unico battente che pareva di un legno scrostato verde scuro, quando la voce mi arrivò vicinissima:
" E allora, cosa vogliamo fare? La signora, vogliamo fare! Sdraiata, servita, solo per via di un pancione! Eh, sì, carina, me ne dovrai di riconoscenza, quando ti sarai sgravata! No, no, non ne voglio di storie, qui c'è il tuo mangiare, e, bada bene, mangia che la roba costa e a me finora non me n'é venuto niente di quello che ho fatto... Niente storie! ... "La voce si allontanò pungente e stridula, sentivo passi strascicati all'interno e uno sbatacchiare qua e là di oggetti, poi fu ancora vicina, proprio dietro la porta, come se la vecchia, era lei, parlasse appoggiata al battente. Lei dentro a parlare ed io fuori ad ascoltare e fra di noi solo un pezzo di legno infradiciato dalle piogge di troppi inverni.
" Èvenuto un tanghero, oggi. Bella roba! Contadino dalla testa ai piedi. Quello che ti cerca, quello mandato da Mara, come dicono le ragazze. Ma non ne ha voluto sapere di sganciare neanche un soldo. E dire che non ti ha neanche vista! Se ti vedesse ridotta come sei, scapperebbe come il vento, invece è stato tutto il santo giorno seduto davanti al negozio... Chi è? Di'su, lo sai? No? Faresti meglio a saperlo, magari gli potresti rifilare il bambino... Èinutile che mi guardi... Cosa ti credi, che mantenga anche lui? Che gli stia dietro magari, mentre la mamma va a lavorare? Povera cretinotta, dovevi pensarci prima! "
All'interno si udì lo sbattere di una porta, forte. La vecchia doveva essersene andata, ci doveva essere un modo per passare direttamente dal negozio alla stanza. Silenzio.Mi venne in mente Raul. Accarezzai la testa calda di Felix, alzai di nuovo la mano e bussai.
 
" No, davvero, non so dov'è andato. Non so quando ritorna. Però l'ha detto che torna. E pensate che sia un'indecenza che non l'abbia accompagnata al cimitero. perché? Pensate che non l'amasse bastanza. Che se ne fregasse? Non potete fare uno sforzo, bifolchi che siete, bravi a scodellar prediche, e pensare che lui ce l'abbia un altro modo, di accompagnarla, un altra maniera di pregare? No? Sono affari vostri, dite. Allora. Lui sa quello che fa. Lui l'amava. Lei lo amava. Sì, è diverso. Lo so. Allora? Vi ha fatto del male? Davvero? Vi ha picchiati? Ècome se lo avesse fatto? Vedo: ha sputato su una regola che a lui non sta bene. Allora? Ma lo capite che è forse proprio perché l'amava in quel modo - che non è il vostro modo -, che si è tolto da qua. Come se avesse lasciato qualcosa in sospeso. Anzi come se tutti e due avessero lasciato qualcosa in sospeso, un conto da pagare, che ne so io? E dunque, voi, statevene zitti e fatevi gli affari vostri. Ci sono tanti modi di voler bene. Voi ne conoscete uno e dev'esser buono per tutti. Non è così che funziona. Beh, io adesso me ne torno a casa. La terra se l'è presa. Lei lo sa dove è andato. Erano d'accordo. Loro non si sono persi di vista. Si guardano dentro ancora e si ritrovano. No, no, cari miei, non è che voglia trovar delle scuse. Non ne hanno bisogno."
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Si è classificata 1° al concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. narrativa.
Si è classificata 6a p.m. nel concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. poesia.
Si è classificata 8° nel concorso Il Club dei poeti 1997, sez. poesia.
 
Si è classificata 1° al concorso Città di Orzinuovi 1998, sez. narrativa.
 
 
Daniela Manzini Kuschnig vi offre la lettura
di due racconti:
"A passeggio fra le nuvole"
"Le cose"
 
 
Per leggere il romanzo inedito "Farfalle"
 
Per leggere la prefazione del libro con "Incontri"
Per leggere alcune pagine tratte dal libro libro con "Incontri"
 
Per leggere la prefazione del libro con "Con ali raccolte"
Per leggere alcune poesie tratte dal libro libro con "Con ali raccolte"
 
 
Collabora inoltre al Club presentando alcuni "Grandi poeti del '900" :
Caproni Giorgio
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agg. 16 maggio 2000