Inediti On line
 
Farfalle
di

 Daniela Manzini Kuschnig

PARTE III (Giada)

Capitolo 11

Il colore dell'oriente lontano e misterioso, il profumo dell'incenso e la fragranza delle foglie di palma erano stati racchiusi nel suo nome come in una conchiglia che l'oceano porta di riva in riva. Ma erano passati secoli. Pallida e smorta in viso, occhi verdi infossati in occhiaie torbide di dolore, era solo un ventre rigonfio.
Si teneva alla porta con una mano piccola e chiazzata di rosso, con addosso una vestaglia macchiata, i piedi ingrossati ballavano in due pianelle di cencio scolorito. I capelli scendevano in cordelle ai lati della faccia, un ciuffo trattenuto sulla sommità del capo da due forcine nere incrociate. Dovevano essere stati un'eternità quei sei mesi per Giada. Mi guardava assente e, come in trance disse: " Non c'é. "
Chissà chi pensava cercassi, la vecchia, forse.
" Sono venuto per te, per portarti via. "
" Perché? " Mi colpì quel chiedere non dove, ma perché.
" Mara ti ha cercato, prima di partire... "
" Ti manda lei? "
" Sì."
" E lei, lei dov'è? " Si era come rianimata e sporgeva il collo in fuori scrutando nel buio a cercar di vedere un'altra figura.
" Non è qui. Non è potuta venire. " Che fosse morta, non lo sapeva.
" Mi aiuti tu? "
" Certo che ti aiuto. "
" Ma... non credo che mi lasci partire così. Vuole i soldi, sai. Per avermi tenuta qui. "
Qui era una stanza fradicia d'umidità, sporca e fredda, con due o tre suppellettili indecenti.
" Io sto male; "
" Ti farò curare. "
" Deve nascere il mese prossiomo.."
" Nascerà. "
" Ma adesso s'é spostato e poggia qui e mi fa male e non riesco a camminare... "
" Andiamo via. "
" Come ti chiami? " Glielo dissi.
" Aldo. Io sono Giada... , ma lo sai, che stupida! "
" Andiamo. "
" È tuo quel cane? "
" Lui è Felix. "
" Io non so... se si arrabbia, poi è peggio. "
Di che parlava? Del cane? No, della vecchia.
" Non si arrabbia. "
" Hai i soldi da darle? "
" Sì, li ho. " mentii, mi venne facile.
" Allora va bene. Sarà contenta. "
" Vieni? "
" Dovrei vestirmi, ma i miei vestiti li ha presi lei e poi tanto non ci entrerei... " Aveva le lacrime agli occhi.
L'avvolsi nel mantellaccio, le infilai un braccio intorno alle spalle e la spinsi fuori da quel letamaio, reggendola. Accostai la porta, chiudendola alle nostre spalle.
" Bene, bene... vediamo di parlare un po', signor mio. " Aspettava nell'ombra del cortile ingombro e puzzolente.
" Non credrai di partire così, senza un saluto a chi s'é preso cura di te, vero? " Si fece avanti, vecchia e tonda e sorridente.
" Non c'é niente da dire. Ce ne andiamo. Niente soldi. Si dovrà far bastare un grazie. " Secco e senza cerimonie. Ci si parò davanti.
" Troppo facile, signor mio. Se è così che la metti, contadino, lei resta qui. "
" Lo crede davvero? Dico, crede davvero di potermi impedire di andarcene? "
" Da sola, no, certo... ma, vedi, non sono sola. "
Due figure, sagome nel buio, mi erano ai lati e Giada mi premeva sul petto, Felix sulla gamba. Mi guardai intorno nel budello cercando un angolo dove metterla al riparo. Si facevano vicini, troppo vicini.
" Calma, stai calma. le mormorai. Si strinse ancor di più, legandomi i movimenti. Avrei dovuto allonatanarla di forza.
" Lascia perdere. " disse uno dei due rivolgendosi alla vecchia.
" Lasciar perdere? Perché? Cosa ti salta in mente? O paga lui adesso, o paga lei quando s'é sgravata ! "
" Lascia perdere, ti dico. " Voce strascicata " Lo conosco. Eravamo insieme, in montagna. Ehi, ne è passato di tempo! Credevo fossi morto. " Silenzio nel cortile.
" Tu non ti ricordi di me, eravamo in tanti, ma io di te sì. E così non sei morto. "
" No. "
" Ti ho visto cadere... "
" Mi hanno ferito... "
" Chiaro. E adesso vuoi la ragazza. Non mi interessa il perché. Ma, per quel che mi riguarda, te ne puoi andare tranquillo. In nome del passato. E tu smettila di berciare, se no mi dimentico che sei solo una vecchia ruffiana, buona solo per i cani da farcisi i denti! "
Mi fece un cenno con il capo,gli risposi con un cenno e lasciai il cortile.
Tenevo in piedi Giada quasi di forza, perché continuava ad afflosciarsi come un sacco vuoto, ma dopo due passi, mi resi conto che non ce la faceva a camminare. Piegata in due, si premeva una mano sulla schiena, in basso e gemeva. Fu così che la presi in braccio e mi incamminai con lei e Felix attaccato alla gamba verso il centro della città. Volevo andarmene e subito, prendere un treno e tornare a casa dove l'Ernesta avrebbe saputo cosa fare. Un po'portandola di peso, un po'sostenendola, fermandomi a farla riposare sempre più frequentemente, attraversai la città nella notte fresca e già profumata. Se ero stanco, non ci facevo caso: ero partito da solo, tornavo con una donna, un bambino e un cane. Così è fatta la vita. Quando credi che ogni cosa sia giunta ad un punto fermo, che nulla d'altro possa sorprenderti, ecco, qualcosa si muove, fa cenno, grida, e l'avventura riprende. O il miracolo, chissà.
Alla stazione presi il primo treno in partenza per la mia terra, riuscii a farvi salire anche Felix, non ricordo che storia raccontai al controllore, ma tanto quello aveva solo una gran paura che Giada partorisse o morisse sul suo treno. Rifeci il viaggio verso casa, cercando di renderlo il meno tremendo possibile alla donna disfatta che era con me. Ma comunque mi parve lunghissimo, interminabile, solo molto tempo dopo compresi che lo era stato davvero, interminabile, dico, come lo sono i percorsi infiniti che riconducono i cuori ai loro luoghi d'origine.
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Si è classificata 1° al concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. narrativa.
Si è classificata 6a p.m. nel concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. poesia.
Si è classificata 8° nel concorso Il Club dei poeti 1997, sez. poesia.
 
Si è classificata 1° al concorso Città di Orzinuovi 1998, sez. narrativa.
 
 
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"A passeggio fra le nuvole"
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Inserito il 4 maggio 1998