Inediti On line
 
Farfalle
di

 Daniela Manzini Kuschnig

PARTE II (Mara)

Capitolo 9

 
I mitragliatori li falciarono, tutti, uomini, donne, bambini. Caddero come bambole di pezza, in un unico mucchio.
Non c'era stato tempo per lui di far altro che vedere. Addossato al pendio, fra l'erba alta e fragrante aveva teso le mani avanti a sé, aveva gridato: " Qui, sono qui, ne rispondo io! "
Le scariche dei proiettili avevano coperto il suo grido. S'era buttato giù verso il paese, verso il muro insanguinato del casale, a corna basse, caricando. Ma due braccia spuntate dal nulla l'avevano afferrato alle gambe, tirato giù, a terra, con forza e s'era trovato addosso il Lungo.
" Taci, per la miseria! Non serve, non serve a niente, son morti, è finita."
La Volpe non l'aveva neanche riconosciuto. Si divincolò, lo colpì, si rimise in piedi e il Lungo di nuovo gli fu addosso.
" Basta, basta, ti dico! Non puoi, non te lo possiamo permettere che ti vada a far prendere: la sanno far parlare la gente, quelli! Anche te saprebbero far parlare! Sta'fermo! Lo capisci che non si poteva far niente? L'avevi detto anche tu! E c'avevi ragione, niente si può fare contro bestie così, niente... "
Ma la Volpe gli era sgusciato di mano e l'aveva preso alla gola:
" Bestie? Anche noi si è bestie! Che l'abbiamo permesso, questo... questo spreco di vita! Maledetto idiota, non capisci? Li senti, come gridano? "
" Chi grida? "
" Loro, laggiù... hanno paura e non hanno fatto niente di male. Gridano e chiamano... "
" Non grida nessuno... Cosa dici? Èfinita! Vieni via! "
" No, chiamano, come fai a non sentire! E lasciami andare! " Si divincolò, quasi liberandosi dalla stretta dell'altro. Rapido il Lungo lo riafferrò. Aveva capito che qualcosa s'era inceppato nella testa della Volpe, che vedeva e sentiva quello che non c'era.
" Andiamo, disse, andiamo adesso. Stai calmo, vieni con me. Siamo amici, lo sai, da tanto. Ne abbiamo passate di tutte. Passerà anche questa. "
La Volpe si turava gli orecchi e scuoteva il capo in un dondolio assurdo, lo sguardo stravolto, gli occhi stretti tanto da sembrare fessure.
" Dio, è partito. " mormorò il Lungo e si chinò a raccogliere il fucile dell'altro, poi lo prese per un braccio, e piano, di cespuglio in cespuglio, lo ricondusse nel bosco e poi su per il fianco della montagna, fino ai prati e alle rocce, oltre il crinale. Lo condusse per tre giorni, parlandogli e raccontandogli di questo e di quello, dei raccolti e del tempo, delle donne e degli amici, senza che mai neppure una volta, la Volpe desse a vedere di sentire una parola. Ma il Lungo continuò a parlare lo stesso, fino a non saper trovare più parole, ed allora canticchiò piano e fischiettò in sordina per tener vivo quel che ancora restava della mente della Volpe.
 
Non gli era partita la mente, ma l'anima, quella sì. Come se si fosse schiantata contro un autocarro, come se si fosse sfracellata al suolo, precipitando da un aereo in volo.
Se ne stava la sua anima appollaiata su ogni ramo di castagno, rincantucciata sotto ogni ramo di felce e sentiva le voci che chiedevano: " Perché? " E poteva rispondere solo: " Non lo so. Èstata colpa mia. Ma non volevo. "
Sentiva il Lungo respirare al suo fianco e ciarlare di cose insensate e una volta disse: " Non siamo noi i responsabili. " più a se stesso che a lui. Pazzo, era pazzo se lo credeva. Certo che loro, anche loro, erano responsabili. In ultimo, erano loro che volevano.
Avrebbe potuto dire: " Andiamo, consegnamoci. " Invece no.
Non importava quel che gli avrebbero risposto, d'andare al diavolo, magari: importava che non l'aveva detto. L'aveva pensato e pensare non basta.
 
Il Lungo continuò a camminare e la Volpe con lui. Salirono fino al crinale, ridescesero verso valle, presero un sentiero a mezzo monte e lo seguirono fino allo spartiacque. Non incontrarono anima viva, né amici né nemici, alla Volpe parve che fossero loro due gli unici sopravvissuti ad un cataclisma. Non una voce, anche il Lungo alla fine aveva smesso di parlare, non un movimento a parte il trapestio dei loro piedi.
In cima, dove l'aria è fredda e la pioggia ghiacciata anche in estate, c'era il gruppo del Negro. Vi giunsero la sera del terzo giorno, il Lungo fischiò quel lungo penetrante, modulato fischio che era il loro segnale e subito furono loro intorno, come sbucati dal niente.
" Ormai si pensava il peggio. " disse uno.
" Èandata. " rispose il Lungo
" A posto? " la voce, quella di prima o forse un'altra, chiese.
" Vedremo... "
" Che cosa? Vi hanno seguito? "
" No, sono certo di no. "
" Che cos'ha? "
" Non lo so, credo che gli sia saltata una rotella... "
" Si riprenderà. "
" Certo. Spero. Comunque l'ho fermato. "
" In tempo? "
" In tempo."
" Per gli altri? "
" Niente. Son morti."
" Maledetti! Va bene. Riposatevi. S'ha da star quieti per un po'. "
Le voci si confondevano nella testa della Volpe ed intanto la sua ombra aveva incominciato il lavoro lungo e paziente di tagliare filo a filo la cucitura che la teneva ancorata al corpo, ed lui le andava dietro.
La Volpe continuò a lavorare sulla sua ombra nei lunghi giorni seguenti, solo un susseguirsi di luce e tramonti e tenebra. Aveva smesso di portare le mani alle orecchie, perché tanto le voci le aveva dentro e continuava a sentirle, orecchie turate o no. Non parlava, perché non aveva niente da dire, teso com'era ad ascoltare. E una rabbia torbida intanto lo afferrava e lo stringeva in un abbraccio che aveva il sapore e l'odore della follia.
I compagni gli erano accanto, gli parlavano, ma egli non li vedeva e non li sentiva, li aveva esclusi dalla mente, stava cercando di capire.
" Dio, ma chi vuoi che pensasse che avrebbero fatto davvero una cosa così? " gli disse uno una volta.
" Io. " gli rispose. E io io io continuò a girargli in testa per giorni, quell'unico monosillabo: come una condanna.
" Ne ha fatto una tragedia personale. "
" Si sente responsabile"
" Èla guerra, ci si crepa, che ci si sia dentro o meno." Riflessioni di uomini forti.
" Finirà prima o poi. Allora la pagheranno, gliela faremo pagare, a costo di andarli a stanare uno alla volta! "
" Datti pace. " gli disse semplicemente il Lungo.
Lui se la sarebbe anche data pace e avrebbe atteso il momento di farli pentire di tutto i maledetti, se non fosse stato per le voci che non tacevano mai. Erano come scoppi improvvisi di fuochi artificiali che sprizzavano in alto, urtavano le ossa del cranio e ricadevano giù come coriandoli multicolori, voci azzurre e rosse e verdi e nere che parlavano, gridavano, s'accavallavano, si sovrastavano le une alle altre e mai mai si zittivano.
Sapeva di stare impazzendo.
Non gli importava, se solo nella follia avesse trovato un po'di pace. Ecco, gli ci sarebbe voluta una bella follia tranquilla, da demente sorridente. Pensava che solo nella follia avrebbe potuto perdonarsi e trovar requie, che poi era la stessa cosa.
 
Le ossa sono sbriciolate, si son fatte farina, la carne è caduta da tempo, chissà quando, ne ho perso la memoria. Solo questa farina rimane, pulita, fresca, quasi profumata. Di verde. Qual'é l'odore del verde? Non dei fili d'erba o dei prati, ma del verde. Èun colore, ma ha il suo profumo, quello del volo della rondine, della goccia mentre cade, dell'abbaiar di un cane
Non ce la faceva a pensare ad altro, anche se a volte ci provava, ma un attimo dopo, come tratta da un elastico, la mente era di nuovo là e vedeva buche scavate nella terra d'estate, tante da non riuscire a contarle.
 
Quell'ultimo giorno, all'alba, il campo fu tolto, le coperte arrotolate, le tende smontate, gli uomini imbracciarono le armi: si partiva per una nuova spedizione, erano arrivate notizie, si doveva far da copertura a qualcuno, contro i nemici di sempre. In quel momento più che mai gli animi che non potevano dimenticare, ribollivano di forza, quasi euforici mentre serpeggiava intorno l'odore dell' " Adesso la pagano ".
La Volpe era pronta, anche lui. Il Negro e gli altri lo guardarono prepararsi con cura, meticolosamente, un cavaliere che indossa l'armatura, e scossero il capo.
" Dovrebbe restare."
" Da solo? Qui? "
" E ce lo portiamo dietro? "
" Ce lo portiamo dietro. " sentenziò il Negro e nessuno fece più alcuna obiezione.
Più tardi, quando si incominciò a sparare, alla Volpe sembrò che la testa gli scoppiasse, meglio, che gli saltasse via dal collo, tutta in un colpo. Imbracciò il fucile e fece fuoco anche se sentiva che non aveva senso, mai l'aveva avuto, quell'affannarsi ad ammazzarsi. Ma voleva punirsi e riscattarsi, cancellandosi.
Alle spalle scoppiò il finimondo, arrivavano anche da dietro. Appiattiti fra i tronchi li sentiva raspare la terra con gli stivali di cuoio e sentiva i tonfi dei loro corpi quando si gettavano al suolo. Il Lungo cadde, spalancando le braccia come se avesse voluto prendere il mondo tutto in un ultimo frenetico abbraccio. Si era appena voltato quando ne intravvide uno mezzo nascosto fra i cespugli di basse felci, a pochi metri, che prendeva la mira, puntando l'arma alla sua destra. A destra c'era Tullio. Si alzò di scatto e urlò. Sentì un bruciore senza fine e un colpo di mazza alla testa e finalmente fu tutto buio.
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Si è classificata 1° al concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. narrativa.
Si è classificata 6a p.m. nel concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. poesia.
Si è classificata 8° nel concorso Il Club dei poeti 1997, sez. poesia.
 
Si è classificata 1° al concorso Città di Orzinuovi 1998, sez. narrativa.
 
 
Daniela Manzini Kuschnig vi offre la lettura
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"A passeggio fra le nuvole"
"Le cose"
 
 
 
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Inserito il 4 maggio 1998