A Edoardo Ginieniewicz, rabbino, al quale devo se
               ho potuto approfondire lo studio della lingua
               ebraica.
               
                
               
                
               
               Runa guardava verso la costa che si avvicinava.
               Ancora una volta era riuscita a realizzarsi, a
               concretizzare un suo sogno. Questa era, forse,
               l'ultima volta. Lì aveva deciso di vivere il
               tempo che le restava della sua vita. Quanto? Forse
               vent'anni, forse meno. Non aveva importanza. A volte
               le sembrava di essere già morta. E non esisteva
               il dolore. Era la pace, il non essere. Tutto le
               sembrava indifferente e, nonostante tutto, era uno
               stato d'animo che non poteva né voleva
               accettare. Voleva fare, disfare, lavorare, muoversi o,
               nel peggiore dei casi come capitava di solito,
               agitarsi senza mai concludere qualcosa di
               positivo.
               
               Era una donna insoddisfatta, però
               obbiettiva. Si vedeva così com'era: per lo meno
               così credeva. Era piena di dubbi: cosa era
               giusto e cosa sbagliato? Forse avrebbe trovato le
               risposte ad alcune delle domande che da sempre si era
               fatta, senza il necessario coraggio di andare in
               profondità. Le sembrava di essere tornata
               indietro. Sebbene non fosse ebrea, si sentiva
               però parte di quella terra. E non sapeva
               neanche bene perché. Improvvisamente aveva
               desiderato andare a vivere in Israele. Naturalmente si
               rendeva conto che all'inizio avrebbe incontrato delle
               difficoltà. Senza dubbio non sarebbe stato
               facile. Sapeva però che era disposta a tutto.
               Sarebbe stata, come sempre nella sua vita, paziente,
               comprensiva ed umile. Soprattutto ferma e tenace.
               "Fino allo spasimo", reminiscenze del drammaturgo
               Luigi Pirandello, che tanta influenza aveva avuto
               nella formazione del suo carattere. Avrebbe lasciato
               avvicinare le persone fino ad assimilarle e vissuto
               con loro. Fino a quando, un giorno, avrebbe finito per
               essere parte di quel mondo che l'affascinava. malgrado
               le naturali differenze. La nave si avvicinava sempre
               più. Era arrivata. Grazie a Dio: Baruch Hashem
               - Shalom Israel.
               
               Faceva freddo nella stanza che condivideva con
               altre donne. Dalla finestra, da lontano, s'intuiva il
               mare. Era pronta per andare al refettorio dove doveva
               preparare la colazione per gli adulti del kibbutz.
               Avrebbe visto David, come tutte le mattine. Alla sua
               età le sembrava un sentimento ridicolo quello
               che sentiva verso David, un uomo forse dieci anni
               più giovane di lei. Però era un
               sentimento buono ma forse non era esattamente
               l'aggettivo più appropriato per definire
               ciò che provava, anche perché lei non
               credeva ad una divisione ben definita tra il bene e il
               male, cioè tra sentimenti buoni e sentimenti
               cattivi, ma piuttosto reazioni diverse secondo le
               occasioni o le circostanze.
               
               David aveva i capelli completamente bianchi e gli
               occhi azzurri. Era nato in Russia: parlava russo,
               yiddish, ebreo ed inglese. Era un uomo colto ed aveva
               deciso di vivere in un kibbutz piuttosto che in una
               città, perché sentiva di poter essere di
               maggiore aiuto al suo paese lavorando in una
               comunità agricola. Si occupava di tutto: era
               capace di fare qualsiasi cosa secondo le
               necessità. Per Runa era un uomo
               straordinario.
               
               A lei sembrava di avere vissuto moltissimo e che
               tutto era ormai esaurito o concluso nella sua vita.
               Altre volta l'assaliva invece un'ansia di vivere che
               la lasciava stordita. Che cosa le succedeva? Era
               l'età o forse il suo carattere che non le
               permetteva di stabilizzarsi e trovare quel giusto
               equilibrio che aveva sempre cercato senza mai
               incontrarlo. Era una mattina come tutte le altre:
               sveglia alle cinque e dopo una toilette affrettata, di
               corsa in cucina. Quella mattina sulla porta del
               refettorio l'aspettava David. "Shalom, Runa, Voker Tov
               (Buon giorno)". Runa si fermò d'improvviso ed
               immediatamente la assalirono mille domande silenziose:
               "Che fa qui? Che vorrà? Forse vuole
               rimproverami per qualcosa che ho fatto male ... o
               peggio, forse vuole che me ne vada..."
               
               Riuscì a mormorare alcune parole: "Voker
               tov, David, ma shalomkha? (come stai?). Che fa qui a
               quest'ora? Qualcosa non va...?".
               
               "No, va tutto bene, solo che devo recarmi ad Haifa
               per il rifornimento dei viveri e vorrei una tazza di
               caffè prima di partire".
               
               Era questo e niente di più: la cosa comica,
               quella terribile cosa rara che l'assaliva ogni volta
               che lo vedeva, era lì di nuovo...
               Sentimentalmente non era maturata se, nonostante la
               sua età, arrossiva ancora, timida e goffa come
               una giovinetta. Entrarono in cucina e Runa mise subito
               l'acqua a bollire per preparare il caffè. Un
               caffè particolare per David. Lui si era seduto
               alla grande tavola che occupava un lato del salone e
               la guardava. Poi disse:
               
               "Perché è venuta a vivere qui con
               noi, Runa? No, la prego, non mi risponda subito. Ci
               pensi bene prima di rispondermi perché lei mi
               sembra una donna impulsiva o istintiva... se mi
               permette di parlarle così. Desidero
               comprenderla, capire ciò che l'ha spinta fino
               qui, in questo nostro mondo di sopravvissuti. Noi
               dovemmo tornare. Non ci restò altro che tornare
               alle origini, dato che il resto del mondo ci respinse
               e sentimmo che solo in questa terra benedetta che fu
               dei nostri padri, avremmo potuto sentirci sicuri. E'
               per questa sicurezza che lottiamo e siamo disposti a
               continuare a lottare. Però non capisco quali
               siano i suoi motivi, i suoi desideri, i suoi
               pensieri... Lei parla poco e ascolta molto, ciò
               è saggio da parte sua però non serve a
               chi desidera imparare a conoscerla".
               
               Runa ascoltava e non riusciva a capire ciò
               che spingeva David a parlarle così. Si
               distrasse per un momento e così le successe
               ciò che generalmente succede nei films comici:
               rovesciò l'acqua fuori dalla tazza. Era
               sorpresa, senza possibilità di pensare. David
               bevve il suo caffè e poi uscì in tutta
               fretta. Quando sarebbe tornato avrebbero parlato di
               nuovo. Comunque David aveva ragione: era stata sempre
               una donna impulsiva. Lo era stata per tutta la sua
               vita. Ciò nonostante, sapeva anche che se
               avesse riflettuto un po', se avesse considerato il
               perché e il come di tante cose che aveva
               vissuto, avrebbe senza dubbio trovato una ragione
               profonda alla base di tutto. Aveva vissuto una vita
               piena di sensazioni materializzate, di cose ben fatte
               e altre decisamente fatte male. Non si era fermata un
               solo momento per domandarsi perché faccio
               questo, perché voglio quello. Era stata puro
               istinto, come un piccolo animale.
               
               Malgrado tutto intuiva che dietro le sensazioni
               provate, che avevano determinato la strada della sua
               vita, aveva sempre una ragione che motivava il suo
               comportamento: la sua ansia di vivere e di scoprire la
               vita pienamente in tutti i suoi svariati aspetti.
               Forse era stata troppo intelligente o forse il
               contrario. Aveva avuto troppa fiducia o aveva chiuso
               gli occhi e si era lasciata trascinare dall'istinto
               piuttosto che dal buon senso comune, supponendo che
               lei ne fosse provvista. Il risultato era stato
               disastroso, quasi sempre biasimevole, dal punto di
               vista dei benpensanti. Però lei non aveva
               pentimenti. Forse solo per ciò che non aveva
               avuto il coraggio di sperimentare, perché la
               vita deve essere vissuta pienamente sempre rispettando
               gli altri. Il male, se lo aveva fatto, lo aveva fatto
               soltanto a se stessa. Così la pensava in cuor
               suo Runa.
               
               Si fece una doccia, mise l'unico vestito femminile
               che possedeva e si pettinò. Non si
               truccò perché non l'aveva mai fatto e
               perché era dell'idea, forse sbagliata, che il
               trucco mette ancora più in risalto l'età
               di una donna quando non si è più
               giovani. Quante volte se lo era ripetuto, guardandosi
               nello specchio e osservando l'intensità dello
               sguardo, perché si era accorta che anche gli
               occhi invecchiano. Si osservava senza pietà,
               con una freddezza quasi disumana, come se stesse
               osservando un insetto al microscopio. Tutte le
               esperienze che si affastellano dentro, premono, pesano
               fino a quando spengono lo sguardo. Forse non era
               ancora una donna da disprezzare. Qualcosa
               effettivamente rimaneva giovane nonostante
               l'età e le esperienze che la vita le aveva
               offerto sopra un vassoio d'argento. Tutte esperienze
               che aveva vissuto conscia della bellezza della vita e
               di tutte le sue manifestazioni. Aveva vissuto una
               esistenza piena perché il suo spirito
               d'indipendenza glielo aveva permesso. Mai aveva
               prostituito né il suo corpo né il suo
               spirito. Tutta la sua vita era costellata da
               sentimenti reali e sinceri che aveva messo in tutte le
               sue azioni. Poteva il suo stato d'animo scusarla per
               gli eccessi ai quali si era abbandonata? Non lo
               sapeva, né la interessava.
               
               Perché la necessità sempre latente di
               sezionare sentimenti, esperienze, emozioni come
               fossero pezzi di un orologio? O si sbagliava?
               
               Di nuovo e di nuovo, i dubbi di sempre... Per Dio,
               era stanca, era stufa...
               
               "Come è andata? Quali notizie porta da
               laggiù?".
               
               "Bene, ho potuto fare quasi tutto ciò che
               avevo progettato e questo è già molto.
               Le notizie sono sempre le stesse. Niente di nuovo,
               fatta eccezione per una proposta di andare ad
               insegnare matematica in un istituto in
               città".
               
               A Runa sembrò che qualcosa le bruciasse
               dentro. Improvvisamente e dolorosamente. "Allora ci
               lascerà... se ne andrà..." disse
               incerta. Non riusciva a pensare.
               
               "Certo che no. Penso di essere più
               necessario qui che non insegnare matematica ad Haifa.
               O forse lei non è d'accordo? Forse pensa che il
               kibbutz potrebbe fare a meno dei miei servizi? So
               naturalmente che nessuno è indispensabile e che
               tutti possono essere rimpiazzati. Però, la
               prego, parli, dica pure ciò che pensa.
               Capisco... capirò...
               
               È libera d'esprimere una sua opinione e non
               abbia paura di offendermi..."
               
               "Chiaro che no... naturalmente no. Ciò che
               volevo dire è... penso che... per un momento ho
               avuto paura che lei stesse per abbandonarci, che lei
               avesse deciso di lasciarci per tentare... bene, lei mi
               capisce...". Balbettava, non riusciva a formulare
               parole adeguate che avevano un senso. Idee e pensieri
               sembravano sopraffarla.
               
               "Capisco, onestamente credo che qualsiasi persona,
               non importa il valore intrinseco che possegga o la sua
               importanza in un dato momento o in una determinata
               situazione, può essere rimpiazzata. Ci sono
               persone che crescono ed hanno successo nella vita
               anche se non hanno mai avuto una famiglia ed altre
               invece che sarebbero fallite fragorosamente nella
               più squallida mediocrità, se non
               avessero avuto al loro fianco una madre affettuosa. E
               difficile credo, generalizzare".
               
               Runa gli fece eco:
               
               "Sì, sono d'accordo con lei, non si deve
               generalizzare. Anch'io cerco sempre di non farlo,
               perché mi sembra che così facendo si
               finisce per eliminare la possibilità di
               giudicare. Le ripeto che mi dispiacerebbe moltissimo
               se lei se ne andasse, se lei ci lasciasse...". Lo
               aveva detto. Aveva pronunciato quelle benedette
               parole. Le erano uscite dalla bocca prima che lei si
               rendesse conto di ciò che potevano significare.
               O forse no... David la guardò meravigliato:
               
               "Le dispiacerebbe veramente se me ne andassi?"
               
               "Sì, sentirei la sua mancanza... credo che
               lei è una persona buona e la considero un
               amico".
               
               Runa riuscì a pronunciare queste parole con
               voce chiara e senza nessuna titubanza. Improvvisamente
               l'aveva pervasa una grande calma. David guardandola le
               chiese:
               
               "Perché dice questo? Lei sembra essere
               chiusa ermeticamente in sé stessa, come se non
               avesse più interesse per la vita. Pensavo che
               lei era venuta a vivere, anzi a rifugiarsi qui
               perché ci considerava un po' come dei morti in
               vita e come tali non l'avremmo disturbata con inutili
               domande. L'ho osservata muoversi tra di noi, sempre
               sorridente, ma con un vuoto triste dietro quel sorriso
               dolce e tenero. Perché è venuta? Cosa
               l'ha spinta così lontana dal mondo al quale
               deve essere abituata? Per dimenticarsi forse di un
               uomo o di qualche altra persona. Un dolore che non ha
               saputo superare? La prego, parli, mi spieghi: mi aiuti
               a capirla..."
               
               Runa lo ascoltava e si chiedeva:
               
               "Perché mi parla così? Cosa lo spinge
               a farmi queste domande? Cosa lo spinge a voler sapere
               queste cose? Quale
               
               interesse?".
               
               Runa, come aveva sempre fatto nella sua vita,
               lasciava che la sua immaginazione corresse
               sfrenatamente e immaginava le cose più
               impensabili, domandandosi mille perché. Forse
               era stato incaricato dal governo di spiarla, per
               assicurarsi che lei non fosse una spia o
               un'avventuriera.
               
               Non sapeva cosa dire: era più confusa che
               mai. Però parlò. Le parole le uscirono
               senza controllo:
               
               "Non so, mi creda se le dico che non lo so. Lei ha
               indovinato che sono una donna impulsiva, istintiva
               come un animale. Qualcosa mi ha spinto qui. Ho sempre
               simpatizzato con il suo popolo, però non creda
               che per il fatto che amo la sua gente, io odi gli
               arabi. Anche se una ragione l'avrei, certamente
               valida, però la considererei un motivo
               meschino, che mi farebbe sentire un essere mediocre.
               Ho amato un arabo. L'ho amato completamente contro
               qualsiasi opinione comune e moralità borghese,
               e quando dico borghese non lo dico con disprezzo,
               bensì con rispetto. Solo che non ho potuto mai
               accettare la moralità "piccolo borghese" della
               mia famiglia. Mi sono ribellata contro e ho voluto
               vivere la mia vita secondo le mie necessità
               interiori, senza nessun interesse per il domani.
               Vivendo il presente. Era un uomo di bell'aspetto,
               però apparentemente non altrettanto bello
               dentro. Mi accettò per un po' di tempo, poi
               quando seppe che aspettavo un figlio suo, mi
               lasciò. Il bambino nacque morto. Lo incontrai
               di nuovo nel mio cammino e da quel momento persi
               qualsiasi rispetto verso me stessa. Avrei dovuto
               odiarlo per avermi lasciato sola quando più ne
               avevo bisogno, per avermi accettato di nuovo e
               abbandonarmi ancora una volta. Fu, in breve, una
               relazione senza senso che mi distrusse gradualmente
               fino a quando, toccato il classico fondo ed esaurito
               tutte le mie risorse, riuscii a tagliare questa
               apparente relazione che col tempo si era trasformata
               in uno squallido soliloquio. Non mi rimase che fuggire
               lontano quando la disperazione aveva oltrepassato i
               limiti della ragione o della ragionevolezza.
               
               Da quel momento ho vagabondato per il mondo fino a
               quando mi sono resa conto che la mia vita stava
               passando, anzi era quasi conclusa, e non avevo fatto
               niente di utile per nessuno. Non ho paura della morte
               e preferirei andarle incontro piuttosto che aspettarla
               seduta, lasciando che i giorni si ammucchino come
               immondizia intorno a me, invasa dall'inerzia, lottando
               solo contro i problemi personali della sopravvivenza
               individuale, concentrandomi egoisticamente nel mio
               povero tempo. Sapevo che il mondo e la società
               procedevano in questo modo. Però io non potevo
               accettarlo. Ero sola al mondo e potevo fare di me
               ciò che ritenevo migliore. Improvvisamente
               pensai ad Israele ed alla lotta secolare per affermare
               il suo diritto all'esistenza. Decisi allora che avrei
               dedicato i miei ultimi anni alla sua causa. Con
               questo, non creda, David, che sia convinta che tutti
               gli ebrei siano angeli e gli arabi siano dei diavoli,
               così come non penso che tutti i nordamericani
               siano buoni ed i russi i cattivi. Odio tutti i
               cattivi, i malvagi ed i perversi con il loro piacere
               di fare il male o per l'infinita avidità di
               potere ed egoismo che li divora a tutti. Perfino
               quelli della mia terra d'origine, nessuno escluso. La
               natura è popolata da esseri imperfetti, che
               sono capaci degli atti più sublimi ma anche
               delle cose più ignominiose e di bassezze
               incredibili, a volte, anche in nome di ideali
               inesistenti o mal interpretati. Quante volte
               dissimuliamo il nostro egoismo e il nostro vuoto
               morale dietro idee apparentemente nobili ed umanitarie
               solo per nascondere desideri violenti e sordidi.
               
               In ogni modo tra la causa degli arabi, giusta dal
               loro punto di vista, e quella del popolo israelita,
               ugualmente giusta io ho optato per Israele. Mi ha
               sempre affascinato la sua storia e non finiscono mai
               d'inorridirmi tutte le persecuzioni e le orribili
               vessazioni e fustigazioni di carattere morale e fisico
               alle quali fu sommesso il popolo ebreo. Tutto
               ciò a causa della cattiveria, dell'ignoranza e
               della gelosia di altri popoli. L'ignoranza è
               stata determinante perché la maggioranza delle
               persone s'immagina il tipico ebreo come il classico
               usuraio avido di denaro e niente di più. E in
               pochi si sono domandati il perché?
               Perché usuraio? E in pochi si sono presi il
               disturbo di ricercare la risposta giusta e
               storicamente provata: perché agli ebrei era
               proibita qualsiasi altra attività e furono
               obbligati a vivere nei ghetti quasi sempre per ragioni
               religiose inaccettabili da un libero pensatore,
               rispettoso della credenza altrui e ancor più
               per le maledette ragioni economiche. Io li ammiro per
               la loro intelligenza, per gli uomini di cultura e di
               scienza che hanno dato al mondo e per non essersi
               disgregati né moralmente né mentalmente
               nonostante siano stati dispersi in tutto il mondo.
               Naturalmente sono ben conscia che ci sono anche gli
               ebrei indegni, come in qualsiasi altro paese, come in
               tutto il nostro mondo. Ma io sto parlando molto e tu
               mi lasci parlare. Inoltre io parlo solo di me ed
               esprimo le mie idee facendo delle riflessioni a voce
               alta, mentre preferirei sapere di te".
               
               David fumava la pipa e sembrava assorto, come se
               non avesse ascoltato. Invece aveva ascoltato
               attentamente ogni parola che Runa aveva pronunciato.
               Era perplesso. Stavano seduti in una insenatura
               formata dall'arena al margine del kibbutz. Aveva la
               forma di un sedile naturale, protetto da un grande
               albero. David le passò un braccio intorno alle
               spalle e la strinse a sé.
               
               "Non conoscevo il tuo mondo, né lo
               immaginavo. Un mondo d'idee, sensazioni, pensieri e
               passioni che non supponevo. Mi sembra di cominciare a
               capire perché sei venuta a condividere la
               nostra vita di tutti i giorni. Con noi. Però fa
               freddo. Andiamo a dormire. Domani avrai il tuo lavoro
               in cucina ed hai bisogno di riposare".
               
               "Sì, disse Runa, anche tu devi essere stanco
               per il viaggio".
               
               S'alzarono e rimasero per alcuni istanti uno
               davanti all'altro guardandosi in faccia.
               
               "Shalom, David leila tov (Buona notte). A
               domani.
               
               "A domani, Runa".
               
               David si chinò verso di lei e le dette un
               tenero bacio sulle labbra. Poi si allontanò
               rapidamente. Runa rimase nell'oscurità. Non
               pensava. Non poteva. Improvvisamente si toccò
               le labbra e sentì come se qualcosa le bruciasse
               dentro. Per Dio, che cosa le succedeva?
               
               La mattina successiva Runa si svegliò dopo
               un sonno pesante come non le era mai successo prima.
               Si girò nel letto. Le sembrava di sognare
               qualcosa di particolarmente bello e per questo non
               voleva svegliarsi del tutto forse nel tentativo di
               continuare a sognare. Poi aprì gli occhi e
               ricordò la notte prima con David ed il bacio.
               Come sempre nella sua vita, nonostante la sua
               età matura, continuava a non capire: tutta la
               sua esperienza non l'aiutava a capire. Perché
               l'interesse di David e perché quel bacio
               amichevole o forse no. Era confusa. Lo era sempre
               stata ed il disastro della sua vita dipendeva da
               questa eterna confusione, al suo non capire in tempo
               le situazioni o il non saperle apprezzare in tutta la
               loro estensione, il loro valore e significato al
               momento giusto che a volte è irripetibile.
               Anche se non provava nessun pentimento, le sembrava di
               aver sbagliato a non aver dato maggiore importanza
               alle persone e agli avvenimenti che avrebbero potuto
               migliorare la sua esistenza. Se solo avesse capito il
               vero significato di tante cose che le erano successe
               nel momento che occorreva. Era toppo tardi per
               cominciare adesso. Desiderava solamente trovare una
               risposta anche se fosse stata l'ultima. David con i
               suoi occhi azzurri e le sue mani delicate, che sapeva
               ascoltare e che forse le voleva bene.
               
               Come a una sorella, forse. Improvvisamente si
               sentì vecchia... anziana. Aveva forse solo
               pochi anni ancora per poter vivere una relazione
               amorosa? O forse era meglio cercare di evitare di
               esporsi al ridicolo? Questi pensieri le facevano male
               perché benché sapesse che era giusto
               considerare le cose da questo punto di vista
               ciononostante non voleva farlo: si rendeva conto che
               stava trasformando i suoi sentimenti in qualcosa di
               meschino e mediocre. Però voleva vivere ancora
               alcune ore, alcuni giorni, vivere senza pensare al
               domani, anche se doveva ammettere che ciò che
               la preoccupava era il presente, un presente che la
               faceva sentire scomoda. Avrebbe avuto il coraggio di
               andare fino in fondo?
               
               Aveva conosciuto altri amori. Però, come
               sempre le succedeva, quando s'innamorava era sempre
               come fosse la prima volta. Tornava a nascere, come
               l'araba fenice. Tornava ad essere intatta fisicamente
               e sentimentalmente. Ma quando cercava di rivivere una
               delle sue relazioni, le sembrava di leggere nuovamente
               un libro già letto e poi dimenticato. Qualcosa
               di separato da lei. Di tutti quei contatti, delle
               molte parole dette, delle situazioni vissute, non le
               era restato niente. La Runa del passato era una
               estranea, sempre una estranea, ogni volta di nuovo...
               per la Runa di oggi.
               
               Aveva amato molto e l'avevano amata, aveva provato
               l'abbandono, l'inganno ma anche la tenerezza e la
               passione. Aveva creduto che mai si sarebbe potuta
               innamorare di nuovo ma si era sbagliata. Perché
               desiderava David con tutta se stessa, come fosse
               ancora una donna giovane: soltanto la paura del
               ridicolo la tormentava, la paura di non essere
               più desiderabile.
               
               Era passato tanto tempo da quando si era
               abbandonata tra le braccia di un uomo che non sapeva o
               non credeva che i suoi sentimenti potessero
               materializzarsi. La stessa routine, le stesse carezze,
               gli slanci, i movimenti di sempre. Aveva paura di non
               sapere amare più né di lasciarsi amare,
               illudendo così David. Soprattutto di rovinare
               una amicizia che poteva riempirle la vita di momenti
               felici e di allegri pensieri. Forse la sua era
               semplicemente vigliaccheria. E naturalmente aveva
               paura di distruggere un'illusione: l'ultima. Aveva
               sempre seguito il suo istinto e aveva sbagliato una
               volta dopo l'altra. Ora che non aveva più
               niente da perdere le venivano addosso improvvisamente
               gli scrupoli, i timori ed i dubbi. Com'è strana
               la psiche di una donna! Si esaminava, si faceva
               domande, si lambiccava il cervello e, anche se non
               riusciva a comprendersi, si meravigliava ugualmente
               nel rendersi conto dei contrasti e delle contorsioni
               dei suoi sentimenti, il torbido dei suoi pensieri ed
               il tumulto dei suoi desideri. Si affacciava su se
               stessa come ad una finestra che dava in una stanza
               oscura. E non aveva altra apertura.
               
               Runa era stata sempre incapace di formulare un
               giudizio concreto e determinato. E non perché
               non volesse esporsi bensì per la sua eccessiva
               comprensione dei diritti degli uni e degli altri. Non
               poteva non vedere che la verità ha molte facce
               (oh, il buon Pirandello!) e che non c'è nessuno
               sotto il sole che abbia il monopolio della
               verità o la ragione assoluta. Per esempio se si
               considerano le ragioni che spingono gli ebrei e gli
               arabi a lottare tra loro per una necessità di
               sopravvivenza fisica possiamo dire che hanno ragione
               entrambi. E allora, si domandava Runa, cosa si
               può fare per risolvere il problema,
               perché si mettano d'accordo? Non ignorava
               naturalmente che sotto le forti passioni esistevano
               forti interessi economici e che forse era più
               facile per un povero arabo essere amico di un ebreo
               povero che di un arabo ricco. O forse, no? Forse era
               una maniera superficiale di vedere o di esaminare i
               fatti. A Runa sarebbe piaciuto parlare, discutere di
               tutti questi dubbi che l'assillavano con David, sicura
               che lui avrebbe saputo aiutarla a mettere un po'
               d'ordine nell'enorme confusione che aveva dentro di
               sé. Aveva bisogno di David, della sua
               intelligenza, del suo sano equilibrio, della sua
               guida. Era stata sempre autosufficiente, però
               ora le sembrava, per la prima volta, che la vita
               dovrebbe essere vissuta in due. Per condividere
               successi ed insuccessi con amicizia e in allegria,
               aiutandosi reciprocamente con coraggio e comprensione.
               Aveva bisogno di David come amico, anche se doveva
               confessare che lo desiderava anche come uomo.
               
               Sara e Esther erano madre e figlia. Esther era nata
               in Israele mentre la madre proveniva dalla Polonia.
               Erano entrambe alte e dai lineamenti forti. Sara aveva
               provato l'orrore del campo di concentramento. Sua
               figlia no. Esther aveva poco più di venticinque
               anni e non era sposata. Suo padre era morto quando lei
               era ancora molto piccola e non lo ricordava. Runa
               voleva bene ad entrambe anche se avevano un carattere
               molto diverso. Divideva con loro la stanza. Sara era
               silenziosa e parlava poco ma era una donna colta e
               Runa l'ascoltava sempre con piacere le poche volte che
               si lasciava andare e allora chiacchieravano. Aveva
               sofferto moltissimo e non solo fisicamente. Nondimeno
               era sopravvissuta a quel periodo inumano trascorso nel
               lager, dove aveva perso tutta la sua famiglia. Lei era
               riuscita a sopravvivere forse perché la sua
               giovane età l'aveva aiutata a non soccombere
               alle privazioni ed alle torture fisiche e mentali alle
               quali venivano sistematicamente sottoposti. Non aveva
               dimenticato. Come avrebbe potuto? Solo si era resa
               conto che se voleva continuare a vivere avrebbe avuto
               bisogno di tutta la sua forza e del suo coraggio. Per
               questo aveva deciso di non pensare, non ricordare, non
               parlare mai di quel periodo della sua vita. Anche se
               aveva immagazzinato tutto nella sua mente. Sua figlia
               Esther era cresciuta nel clima non proprio tranquillo
               d'Israele, però non aveva conosciuto né
               sua madre le aveva mai parlato delle sofferenze subite
               in Europa. Nonostante ciò Esther era piena
               d'odio e di risentimento verso il mondo che aveva
               permesso tanta barbarie senza fare nulla per
               impedirle. Runa capiva i loro diversi atteggiamenti e
               le amava entrambe proprio per le loro distinte maniere
               di reagire davanti allo stesso problema. Capiva che si
               poteva avere sofferto indicibili pene ed ugualmente
               cercare di continuare a vivere nonostante i terribili
               ricordi che si potevano soffocare ma certamente non
               cancellare per sempre. Senza perdonare e senza odiare.
               Allo stesso tempo capiva bene come ci si potesse
               ribellare davanti alla indifferenza degli uomini. Runa
               non sapeva come avrebbe reagito se si fosse trovata in
               quella situazione. Forse si sarebbe comportata come
               Sara anche se nel suo cuore avrebbe provato la stessa
               ribellione e l'identica amarezza che tormentava
               Esther.
               
               "Domani vado ad Haifa. Vuoi venire con me? Credo
               che ti farebbe bene distrarti un po', vedere persone
               diverse, il panorama delle case, le macchine e i
               suoni. Insomma qualcosa di diverso dal solito deserto
               e delle solite facce conosciute di tutti i
               giorni..."
               
               "Non so... mi piacerebbe venire però non per
               vedere cose nuove o facce sconosciute perché
               sono felice qui e non ho bisogno di nessuna
               novità, però piuttosto per avere
               l'opportunità di chiacchierare un po' con te
               durante il viaggio visto che sei sempre molto occupato
               e quasi mai abbiamo la possibilità di parlare a
               lungo... come piacerebbe a me".
               
               "D'accordo. Allora domani mattina si parte presto.
               Appuntamento nella cucina per la rituale tazzina di
               caffè. Ora però me ne vado: la
               contabilità m'aspetta! Buona notte, Runa. A
               domani. Shalom!".
               
               Runa lo vide allontanarsi ma non si mosse. La notte
               era tranquilla. La luna sembrava essere molto vicina
               in un cielo limpido come l'acqua di fonte. Le piaceva
               quell'angolo di terra separato dal resto del kibbutz,
               dove si poteva pensare e godere di un po' di
               solitudine. Cosa rara per chi viveva in
               comunità e passava tutti i giorni, gomito a
               gomito, a fare il proprio lavoro.
               
               Era tardi ma Runa non aveva paura. Gli arabi non la
               spaventavano. A volte cercava di ricordarsi di lui,
               però col passare degli anni, le risultava
               sempre più difficile, come se il tempo pietoso
               avesse voluto non solo cancellarlo dal suo cuore ma
               quasi estirparlo. Le costava perfino ricordare i suoi
               lineamenti. Era un uomo bello e doveva esserlo ancora.
               Era chiaro che non era sicura di averlo compreso del
               tutto e pertanto preferiva non giudicarlo. Inoltre
               come poteva emettere un giudizio imparziale con tutto
               il male che le aveva fatto? O forse la colpa delle sue
               sofferenze dipendevano più da lei che da lui?
               Per averlo amato troppo fino a stancarlo. Aveva
               desiderato morire ma adesso era felice di essere
               ancora viva. Si sentiva giovane e piena di voglia di
               fare perfino di amare nuovamente. E se la morte
               l'avesse voluta, preferiva comunque essere sotterrata
               nel deserto avvolta in un lenzuolo e messa
               direttamente in un buco scavato nell'arena. Doveva
               pensare e riflettere un po' di più riguardo
               quest'ultima esperienza per non essere presa di
               sorpresa e spaventata. Le veniva in mente una poesia
               di Cardarelli: Morte non mi ghermire, ma d'amica
               prendimi...
               
               "Runa, è lì?". Era Esther.
               Nell'oscurità nonostante ci fosse la luna, Runa
               non riusciva a vederle la faccia perché Esther
               era rimasta in piedi dietro ad un albero frondoso.
               Nondimeno avvertì che qualcosa
               l'affliggeva.
               
               "Che succede, Esther?" le domandò
               dolcemente.
               
               Esther non rispose subito. Stava riflettendo.
               Finalmente disse: "Non mi capisco. O forse non voglio
               capirmi. Non so cosa mi sta succedendo. Non sono
               più una bambina e sono stata sempre una donna
               forte. Mai ho pensato a cose di questo genere...
               
               come dire, frivole, superficiali. Il fatto è
               che ho considerato sempre come stupide molte cose che
               generalmente sono normali per la maggior parte della
               gente. Forse sono differente dagli altri perché
               ho vissuto praticamente sempre da sola. Con mia madre
               non ho mai avuto un dialogo aperto e non ho mai avuto
               amici con i quali scambiare idee e opinioni..."
               
               Era amaro il tono della voce di Esther e Runa si
               rese conto che la ferita andava molto più in
               profondità di ciò sembrava.
               
               "Che ti succede, Esther, ripeté Runa, parla,
               sfogati, forse la mia esperienza ti può aiutare
               anche se anch'io ho una grande confusione, idee strane
               con ombre e gradazioni di sfumature
               
               che mi lasciano interdetta... e l'età non
               significa niente. A volte avere una maggiore
               conoscenza aumenta ancora più la confusione
               e..." Esther la interruppe:
               
               "Lei non è stata mai innamorata? Voglio
               dire, veramente, sul serio...?".
               
               Runa non rispose subito. Le sembrò di
               intuire qualcosa che la spaventò, qualcosa che
               le procurò un gran dolore. Era il suo sesto
               senso, quel senso per il quale riusciva a capire le
               cose, le meno evidenti, alla prima allusione.
               
               "Amore, amore... sarà possibile che gli
               uomini abbiano tutti sempre il desiderio d'incastrare
               e sezionare ogni cosa, ogni fatto o sentimento.
               L'amore, per esempio, ha mille volti e nondimeno molto
               semplice. Io mi sono innamorata più di una
               volta, ho conosciuto l'amore di diversi uomini ed ogni
               volta pareva essere la prima volta, forse
               perché non era vero amore (dopo tutto,
               cos'è l'amore vero?) o non era lo stesso tipo
               d'amore o lo stesso modo d'amare. A volte fu
               tenerezza, altre volte ammirazione, altre volte ancora
               invece semplice attrazione fisica, però lo
               chiamai sempre amore. Ora Esther, non mi dirai che non
               ti sei mai innamorata o per lo meno non hai pensato di
               essere innamorata? Non so, per esempio, del tuo
               professore o del ragazzo della casa accanto?".
               
               "No, mi creda, Runa, che non ho mai incontrato
               qualcuno che significasse qualcosa per me, che mi
               entusiasmasse o semplicemente m'interessasse. Ho
               studiato, lavorato, letto... e niente di
               più".
               
               "E adesso senti improvvisamente che c'è
               qualcosa di nuovo e sconosciuto che occupa il tuo
               cuore e la tua mente? Sei innamorata, non è
               così?" disse Runa a bassa voce.
               
               Seguì il silenzio, poi Runa
               continuò.
               
               "È questo che ti molesta, perché?
               Qualsiasi cosa sia, questo sentimento dovrebbe farti
               sentire felice. Chiamalo amore e non farti troppe
               domande. L'amore in qualsiasi forma si presenti
               è una esperienza necessaria, ineluttabile,
               unica e insostituibile nella vita di ogni essere
               umano".
               
               "E non mi domanda chi è?"
               
               "Credo di indovinarlo. È David, non è
               vero? È l'unico che potrebbe averti ispirato un
               tale sentimento, poiché gli altri o sono
               sposati o sono troppo giovani. Sai, Esther, credo che
               se fossi stata più giovane, anch'io mi sarei
               innamorata di David".
               
               "Vuol dire che non lo è e che non c'è
               niente tra di voi?" domandò con voce ansiosa
               Esther.
               
               Runa si alzò e guardò verso il
               deserto illuminato dalla luna, poi disse a voce
               bassa:
               
               "David mi ha invitato ad andare con lui ad Haifa
               domani. Ho accettato".
               
               Esther non la guardò in faccia. Si
               alzò e disse con voce fredda:
               
               "Sono stanca. Me ne vado a letto. Buona notte" e si
               allontanò rapidamente.
               
               Runa rimase immobile e guardò la sua figura
               alta che spariva nella notte. Improvvisamente si
               sentì vecchia e sola. Ed ebbe paura. Si era
               illusa di poter amare ancora una volta e di poter
               essere amata ma come aveva potuto illudersi tanto?
               Esther avrebbe potuto essere sua figlia: si
               sentì patetica e ridicola. Si sedette
               nuovamente sul sedile di pietra. Si appoggiò
               contro l'albero e si mise a piangere.
               
               Haifa era distante un paio d'ore di viaggio. Runa
               stava seduta al fianco di David, in silenzio. David
               guidava assorto.
               
               "Mi era sembrato di capire che desideravi fare
               questo viaggio per avere l'opportunità di
               parlare un po' con me, però ho l'impressione
               che non hai voglia né di parlare né di
               guardarmi" disse David improvvisamente.
               
               Runa cercò di trovare le parole adeguate per
               spiegargli ciò che la tormentava però
               rimase silenziosa. Ma dopo un po' disse:
               
               "Non so cosa mi succede, mi sono svegliata stanca:
               deve essere l'età".
               
               David la guardò di tralice:
               
               "A me non sembra che tu sei vecchia e quello che
               uno sente dentro dovrebbe riflettersi sull'aspetto
               esteriore".
               
               "Tu lo credi? Io invece credo che per ognuno di noi
               il tempo passa quando ci si rende conto di avere
               perduto il gusto per le cose..."
               
               "Vuoi dirmi che ti senti così vecchia che
               non provi più interesse per niente e
               nessuno...diamine!
               
               Non ti credo: deve essere successo qualcosa per
               farti parlare in questo modo... via, raccontami...
               dimmi tutto!".
               
               "È solo che non posso fare a meno di pensare
               come tutto è inutile. È un pensiero che
               ho avuto fin da quando cominciai a guardami attorno e
               mi resi conto come tutto passa rapidamente, troppo
               rapidamente... e non è che io sia una
               pessimista. Al contrario. Questa potrebbe sembrarti
               una contraddizione, però devi credermi che,
               sebbene sia convinta della inconsistenza della vita e
               di come tutto si dimentica e precipita nel niente
               assoluto, nondimeno ho vissuto sempre accettando con
               filosofia gli eventi della vita e per questa ragione
               sono convinta che non vale mai la pena di prendersela
               troppo. E questo mi trasforma in una ottimista. Tu mi
               capisci, non è vero?"
               
               "Forse. Ciò che non capisco è
               perché allora sei venuta a vivere proprio qui
               con tutti i paesi di questo mondo che avresti potuto
               scegliere come residenza. Noi siamo gente che ha
               conosciuto tutte le pene e le disillusioni possibili e
               nonostante tutto non abbiamo mai perso la fede
               né la speranza e lottiamo non solo per l'oggi
               ma anche per il domani e il dopo domani. Tu invece
               parli come qualcuno che vive alla giornata e non spera
               più in qualcosa che possa dare un significato o
               una ragione alla vita".
               
               "Può essere, dopo tutto non sono ebrea. Non
               ho sofferto duramente come voi, ho vissuto una vita
               piena e non ho mai avuto fame anche se ho avuto
               anch'io i miei momenti di tristezza e di dolore come
               quando per la disperazione volevo morire. Ho dovuto
               lavorare per sopravvivere, questo sì,
               però non devo niente a nessuno. A nessun uomo.
               Ecco soprattutto questo: a nessun uomo. Ho sempre dato
               e mai per ricevere qualcosa in cambio. Ho amato molto.
               Ho avuto il cuore pieno d'emozioni. E ora penso che
               sia quasi l'ora che riponga nel cassetto i miei
               sentimenti e che metta un po' d'ordine nella mia
               mente. Quanti anni hai, David? Sicuramente molti meno
               di me. Te lo dico così, senza tristezza".
               
               David continuò guidando in silenzio. Poi
               fermò la macchina.
               
               Quella notte, anche se era molto stanca, Runa non
               riusciva a dormire. Si rigirava nel letto cercando di
               non svegliare Esther. Esther! Runa pensava con una
               dose di amarezza che proprio quando aveva incontrato
               un nuovo interesse, il suo stato di felicità
               doveva causare dell'infelicità o una
               disillusione da parte di un'altra persona. Per Dio,
               perché la vita non poteva essere più
               semplice! Non poteva, per una volta nella sua vita,
               godere un sentimento con allegria, con quello stato di
               pace che dovrebbe procurare una relazione naturale tra
               un uomo e una donna?
               
               C'era stato sempre un impedimento nella sua vita e,
               quando non lo aveva incontrato all'inizio, era sorto a
               metà cammino o lo aveva creato lei stessa con
               la sua fantasia smisurata fino a farlo materializzare
               come per una magia.
               
               Si era sempre innamorata dell'uomo sbagliato: o era
               troppo ricco o era innamorato di un'altra donna o era
               troppo giovane. C'erano stati altri uomini che
               l'avevano amata ai quali non aveva potuto
               corrispondere lo stesso amore. Come sempre tutto passa
               nella vita: A ama B che ama C. David era anche lui
               l'uomo sbagliato e non solo perché era
               più giovane di lei (che poteva anche non aver
               importanza) ma quanto per il fatto che lei era una
               donna stanca che non poteva offrire più niente
               a nessuno.
               
               O poteva? Si esaminava con crudeltà
               guardandosi dentro e fuori con occhi spietati ma con
               obiettività. Era difficile e la stancava
               scivolare dentro di sé. Pensava che tutti
               dovrebbero sottoporsi ogni tanto ad un check up, per
               cercare di risolvere i problemi. Magari prima che
               diventino cronici o che marciscano. E noi con loro.
               Quante amarezze ci risparmieremmo e quanti errori
               eviteremmo!
               
               Ma se tutto è "MAKTUB" (cioè
               scritto), come dicono gli arabi, allora perché
               tutti questi sforzi, tutte le lotte?
               
               Tutti questi pensieri agitavano Runa ma finalmente
               si addormentò e si acquietarono le voci
               bizzarre e i crudeli figli della nebbia.
               
               Il mattino successivo Runa si svegliò che
               Esther era già uscita. Era il suo turno per
               accudire alle vacche. Runa non aveva voglia di alzarsi
               ma come sempre, il senso del dovere o forse
               l'abitudine, la fecero alzare e fare ciò che
               faceva tutti i giorni: cinque minuti di ginnastica
               rapida e una ancor più rapida toilette e poi al
               lavoro.
               
               "Buon giorno, Samuele, Simone, buon giorno, ciao
               Ruth..." Runa salutava tutti per nome, mano a mano che
               i membri del kibbutz entravano nel refettorio. Li
               conosceva tutti e sentiva per ciascuno di loro un vero
               sentimento d'affetto e di ammirazione. Tutti
               lavoravano a turno e ciascuno di loro terminava
               ciò che l'altro iniziava, senza nessuna
               differenza di trattamento.
               
               Soldi non ne ricevevano dato che tutto andava nel
               fondo comune per le spese generali. Era un mondo che
               pochi conoscevano e quei pochi erano per Runa degli
               esseri privilegiati: gli eletti. Era una vita semplice
               e attiva, una vita di duro lavoro. Solo il sabato
               (shabbat shalom) si riunivano insieme. Chi sonava uno
               strumento, chi dipingeva o scriveva. C'era qualcuno
               nel kibbutz che, anche se era colto, aveva preferito
               vivere lì rinunciando in qualche caso ad una
               carriera brillante in una città o all'estero
               soltanto per rimanere in quell'angolo di terra
               israelita, per creare il paese. Per costruire il
               presente ed il futuro per le generazioni a venire. Un
               presente difficile e duro con uno sguardo al futuro.
               Altri avevano trovato un rifugio e nella vita
               comunitaria una soluzione ai problemi che li avevano
               afflitti, altri ancora erano arrivati direttamente dai
               campi di concentramento: malati nel corpo, nel cuore e
               nello spirito. Fino alla pazzia. I pensieri di Runa si
               interruppero quando entrò David nel refettorio.
               Vestiva un paio di blue jeans e un pullover dal collo
               alto stile dolcevita. Aveva il ciuffo di capelli neri
               insieme al resto dei capelli bianchi sopra la fronte
               alta, il volto delicato e gli occhi azzurri. Runa
               doveva ammettere che David era un bell'uomo. In
               verità le erano sempre piaciuti uomini
               dall'aspetto piacevole o che avessero un'aria
               interessante, un qualcosa che la facesse pensare ad un
               mondo straordinario ed eccitante. Ma quasi sempre la
               splendida facciata esteriore nascondeva soltanto
               piccole stanze strette ed oscure, senz'aria, senza
               orizzonte, senza uscite. Improvvisamente Runa divenne
               triste. Doveva ammettere che era innamorata di David e
               ciò che era peggio ne era gelosa. Ridicolamente
               gelosa e furiosa con se stessa. Aveva perduto la sua
               tranquillità alla quale pensava di avere
               diritto data la sua età. Era sempre stata
               dell'opinione che quando s'invecchia si perde il
               piacere delle cose piccanti ed eccitanti mentre si
               acquista la possibilità di vedere le cose della
               vita in un modo rilassato, senza la sofferenza acuta
               ed insopportabile che l'amore di solito genera. Si
               sentì defraudata, non voleva soffrire e si
               rendeva conto che se avesse proseguito la sua
               relazione con David avrebbe finito per soffrire anche
               se David non le avesse dato nessun motivo.
               
               Avrebbe sofferto, si sarebbe distrutta pensando che
               David avrebbe potuto incontrare un'altra donna,
               naturalmente più giovane di lei, che si sarebbe
               comunque stancato di lei o che la sua fantasia le
               avrebbe creato drammi inspiegabili. Si sentì
               intrappolata. Voleva fuggire ma poi alzò la
               testa e sorrise a David.
               
               S'incontrarono dopo cena nello stesso posto del
               loro primo incontro. Era una notte limpida e serena.
               David si sedette sotto l'albero e le aprì le
               braccia. Runa dimenticò allora tutti i suoi
               problemi, i suoi dubbi e le sue paure.
               
               Era tranquilla nelle braccia di David che fumava la
               sua pipa.
               
               "Sai, David, pensavo a qualcosa che ho letto molto
               tempo fa o forse che qualcuno deve avermi detto, non
               ricordo bene. Che tutte le donne, naturalmente non
               tutte o forse solo le donne della mia generazione,
               dopo aver fatto l'amore, sentono la necessità
               di parlare, di giustificarsi, di conoscere la ragione
               del perché o del come... Penso che questo
               dipende dall'educazione ricevuta in famiglia, quando
               il sesso era un tabù e tutte le donne che hanno
               avuto il coraggio di fare ciò che le era
               proibito, porteranno sempre dentro quel senso di colpa
               che le rovina il piacere... Io porto dentro di me due
               donne: una che approva incondizionatamente che un uomo
               e una donna si amino quando sentono veramente la
               necessità di farlo; l'altra con tutta
               l'eredità di una educazione che m'impartirono i
               miei genitori e della quale non potrei mai disfarmi
               del tutto.
               
               Dov'è la verità? Cos'è il
               positivo e dove comincia il negativo? Credimi, David,
               a volte mi sembra d'impazzire. A volte mi domando
               perché tante lacrime, dolore, gelosia, tanto
               odio e furore, nel nome dell'amore, un sentimento che
               dovrebbe regalare la pace e rilassare i sensi.
               C'è qualcosa che mi sfugge e quanto più
               cerco di capire, più mi perdo nel labirinto
               delle intuizioni oscurate da dubbi dai quali non
               riesco a liberarmi. Ciò che più
               m'inquieta è che quando s'invecchia e si
               comincia a vedere le cose con maggiore chiarezza,
               è proprio quando l'esperienza comincia o
               termina il suo lavoro di demolizione di tutte le
               illusioni della gioventù. La gloriosa certezza
               della gioventù quando non si hanno dubbi e
               tutto sembra cristallizzato in una verità
               superiore ed indistruttibile. Forse penserai che sto
               delirando, però credimi che tutte queste parole
               che mi escono dalla mente filtrate dal cuore, sono
               serene, senza rabbia né dolore. Lo dico
               perché mi sembra vero, immutabile nel tempo e
               nello spazio e reiterato per ogni generazione.
               Penserai che sono pazza a parlare così dopo le
               ore felici che ho passato con te. Però è
               come se qualcosa mi spinga le parole da dentro, dal
               profondo, come se fossi un computer programmato.
               Ciò che sento è la necessità di
               materializzare tutto questo con te, che sei una parte
               di me che mi aiuta a capire e a districare la rete di
               sensazioni che m'incalzano e s'intrecciano... mio
               malgrado..."
               
               David batté la pipa sopra la pietra, poi
               stringendo un po' più forte le spalle di Runa
               disse:
               
               "Hai ragione quando dici che la vita deve essere
               presa con serenità e obiettività,
               però ti sbagli quando pensi che solo la
               gioventù spera e crede in un futuro migliore
               perché ha più tempo a sua disposizione.
               Consideriamo il tuo caso. Tu sei venuta a vivere con
               noi perché desideravi aiutarci con la tua
               presenza. Dovrai ammettere che non tutte le tue idee
               sono negative e castranti e, se non pensi al tuo
               futuro, pensa almeno al futuro della gente di questo
               kibbutz. A me sembra che ti fai troppe domande e che,
               nonostante il tuo desiderio di vivere il presente e la
               tua incapacità apparente di affrontare i
               problemi della vita, continui a domandarti
               continuamente il perché di ogni cosa, come
               fossi una giovinetta che si affaccia al mondo..."
               
               Runa si girò e lo baciò. Poi
               disse:
               
               "Mi piace parlare con te e anche se me ne vado con
               gli stessi dubbi per lo meno mi sono sfogata, cercando
               di esternare ciò che mi opprime dentro".
               
               "È tardi e non dovremmo rimanere fuori fino
               a quest'ora della notte. Uno di questi giorni
               riceveremo la visita di persone con intenzioni non del
               tutto amichevoli..."
               
               "Se ti succedesse qualcosa, David, credo che ne
               morirei..."
               
               "Non sarei né il primo né l'ultimo a
               morire qui.. ciò che mi preoccupa piuttosto
               è ciò che potrebbe accadere a te..."
               disse David e, prima che Runa avesse potuto
               rispondere, la prese tra le sue braccia e la
               baciò.
               
               Passarono alcune settimane. Il tempo passava come
               sempre distruggendo e costruendo. Distruggendo i fatti
               di oggi e costruendo i ricordi per il domani. Runa
               lavorava duramente e cercava di occupare la sua mente
               per non pensare. A volte le sembrava che niente avesse
               importanza, altre volte invece trovava valori ed
               interessi in qualsiasi cosa. Vedeva David tutti i
               giorni e con Esther manteneva una relazione
               superficiale però tranquilla.
               
               Era riuscita a trovare una stanza molto più
               piccola, vicina alla cucina, dove poteva rifugiarsi
               quando l'assaliva la malinconia. Stava invecchiando...
               e che aveva fatto della sua vita?
               
               Era una fallita? Forse sì, forse no. Tutto
               dipendeva da come uno considera gli avvenimenti. Come
               essere umano aveva vissuto più di molti altri:
               aveva lavorato, viaggiato,
               
               amato, conosciuto molta gente, fatto molte
               esperienze, lottato con se stessa e con l'ambiente che
               la circondava per potere conoscere e soprattutto per
               comprendere.
               
               Per lo meno aveva tentato di trovare alcune
               risposte. Forse come figlia non era stata delle
               migliori perché la sua maniera di concepire la
               vita non aveva mai potuto coincidere con i principi
               dei suoi vecchi. Come amica aveva dato con piacere
               tutto ciò che poteva dare, fino a quando aveva
               deciso che doveva allontanarsi dagli amici
               perché improvvisamente le erano cadute addosso
               una spossatezza ed una stanchezza che la avevano
               indotta ad isolarsi, a fuggire, a nascondersi.
               
               Aveva vissuto varie fasi: c'era stato sempre un
               prima e un dopo. Però ogni volta era stata
               sincera e convinta.
               
               Mano a mano che apprendeva cose nuove e le
               confrontava con le cose passate, aveva cambiato
               coerentemente la sua maniera di vedere e di vivere la
               vita. Non poteva dimenticare ciò che le aveva
               detto "l'altro" e cioè che lui non avrebbe mai
               cambiato opinione. Come se non esisteva una evoluzione
               del pensiero. Con la sua affermazione credeva di
               essere un uomo di carattere.
               
               Tutte le sue decisioni erano definitive. Adesso
               Runa si domandava come aveva potuto amarlo.
               
               Ma la donna che lo aveva amato non esisteva
               più: era la donna del passato, sparita insieme
               alle altre donne che avevano compiuto la loro
               evoluzione. Ma qualcosa doveva pur restare. Forse si
               trasforma ma una traccia delle esperienze vissute deve
               rimanere dentro di noi con i sentimenti verso le
               persone amate o solo conosciute, verso la gente con
               cui abbiamo avuto relazioni amichevoli o condiviso
               momenti difficili, con persone che abbiamo ammirato o
               anche odiato... Tutto ebbe inizio quando Dan, un
               radioamatore, ricevette una comunicazione da N. Stava
               parlando con un vecchio amico quando improvvisamente
               questi cominciò a gridare che nel porto, vicino
               alla casa dove abitava, c'era qualcosa che non andava:
               le sembrava di ascoltare un rumore di barche a motore.
               Venne la conferma: erano arabi e apparentemente molti.
               Poi il silenzio, la comunicazione fu interrotta.
               Subito il kibbutz fu posto in stato di allarme. Se
               fossero arrivati da loro ed era abbastanza facile dato
               che il kibbutz distava dal mare solo settanta
               chilometri, i pochi componenti per la maggior parte
               anziani, donne e bambini, non avrebbero avuto la
               minima possibilità di salvarsi. David doveva
               andare il più rapidamente possibile a chiedere
               aiuto ad un altro kibbutz più grande e ben
               armato. Doveva inoltre approfittare del viaggio per
               portare in salvo i bambini e Ruth che stava aspettando
               un figlio ed era già all'ottavo mese di
               gravidanza.
               
               David bussò alla porta di Runa. Le
               spiegò brevemente ciò che stava
               accadendo e le chiese di andare con lui: Runa non era
               dei loro e David non voleva che lei si trovasse
               invischiata in una lotta che poteva risultare
               pericolosa ed incerta. L'avrebbe portata in salvo per
               ritornare poi rapidamente al kibbutz con i rinforzi.
               Runa lo lasciò parlare ascoltandolo
               attentamente.
               
               "Credi davvero che siamo tutti in pericolo?"
               
               "Sì, lo credo. Hanno cominciato nuovamente
               con gli attacchi ai kibbutz della frontiera e non
               voglio pensare ciò che potrebbero fare se
               riescono ad arrivare fino qui".
               
               "Penso che avremo bisogno di qualsiasi persona
               valida che sappia usare un fucile o un'arma. Bene, io
               ho fatto un corso prima di venire qui e anche se non
               sono una tiratrice di qualità, me la cavo
               abbastanza bene. Non ho la minima intenzione di
               scappare davanti al pericolo. Uccidere qualcuno mi
               ripugna ma se si tratta di difendere coloro che
               considero fratelli, lo farò..."
               
               "Però pensa che cosa significherebbe cadere
               nelle loro mani, in particolare per una donna..."
               
               "Una anziana".
               
               "Non dire stupidaggini... scusami se ti parlo
               così, però devi capire che non ti
               rispetterebbero neanche se avessi l'età di tua
               nonna. E sarebbe anche peggio se gli dicessi che non
               sei ebrea. Sì, sarebbe forse anche peggio. Vai,
               sbrigati, non c'è tempo da perdere. Dobbiamo
               arrivare in breve tempo all'altro kibbutz e
               avrò bisogno di almeno un'altra ora per riunire
               i rinforzi e tornare".
               
               Runa che lo aveva ascoltato in silenzio gli mise
               una mano intorno al collo e disse:
               
               "David, è inutile. So molto bene chi dovremo
               affrontare e non sono spaventata, o forse sì,
               però non ho paura. Sembra un paradosso. Tu mi
               capisci, non è vero? Qualsiasi cosa debba
               accadermi, preferisco che mi succeda qui. Ho sempre
               odiato l'idea d'invecchiare aspettando la morte giorno
               dopo giorno, seduta sull'uscio di casa. Preferisco, se
               è necessario, che mi trovi pronta ad andarmene
               con lei: tutto sarà più facile. Se
               è il mio destino che debba morire lottando in
               difesa della tua gente, così sia. Però
               sbrigati, vai e torna presto. Io ti aspetterò.
               Abbi cura di te...". Lo abbracciò forte,
               sentì il suo volto pieno di lacrime e
               provò una grande oppressione al cuore. Poi lo
               allontanò da lei e lo spinse fuori dalla
               stanza.
               
               Era immobile, con il fucile pronto per sparare.
               Sola e accovacciata dietro la piccola insenatura,
               nello stesso posto dove era solita incontrarsi con
               David. Era stato solo pochi giorni prima e già
               sembravano anni. Era appena fuori dal kibbutz ed in
               una posizione buona per la difesa. Se invece di essere
               sola ci fossero state almeno dieci persone...
               
               Era uscita senza avvisare nessuno perché
               voleva affrontare quella prova da sola. Inoltre, se
               David non fosse tornato in tempo, avevano tutti poche
               probabilità di salvarsi. Preferiva dare agli
               altri qualche possibilità in più.
               Perché lo faceva? Una volta ancora seguiva il
               suo istinto.
               
               Sapeva che per lei non c'era ritorno e si domandava
               perché alla sua età si trovasse
               lì con un fucile pronta a sparare contro uomini
               che non conosceva e che in altre circostanze avrebbero
               potuto anche essere suoi amici. Proprio lei che
               rispettava persino la vita degli insetti, lei che
               evitava di schiacciare anche una formica. Avrebbe
               avuto il coraggio di premere il grilletto? Era
               innamorata di David e, per la prima volta nella sua
               vita agitata, non si era innamorata prima bensì
               dopo avere scelto di vivere lì. Questo fatto
               era per lei molto importante: perché, per
               quanto ricordasse, era stato sempre l'amore a
               determinare tutte le sue azioni. Aveva sempre permesso
               che nel nome dell'amore, qualcuno avesse deciso il suo
               destino. E quasi sempre tutto era finito in un
               fallimento. Per mancanza di sentimenti veramente
               profondi o forse troppo deboli o poco stabili. Questa
               volta non era stato l'amore verso un altro essere,
               bensì verso tutto un paese.
               
               Sì, era decisamente meglio morire per
               un'idea che contemplava degli ideali, piuttosto che
               lasciare ad un uomo solo la possibilità di
               distruggerla fino a cancellare il rispetto verso se
               stessa. E pensava Runa... pensava. Come sempre non era
               sola perché i suoi pensieri l'accompagnavano.
               Forse i suoi ultimi pensieri.
               
               Quanto tempo era passato? Le sembrava di essere
               come incollata alla terra. Era tutta sudata, come se
               avesse corso per chissà quanto tempo e
               già non sentiva quasi più la mano che
               reggeva il fucile. Cosa pensa una persona che
               può morire in qualsiasi momento? Non aveva
               paura. Nondimeno le sembrava impossibile che fosse lei
               quella donna che stava lì, pronta a sparare,
               lottare, uccidere. L'idea orribile di dover uccidere
               per difendersi la oppresse di nuovo, come se una mano
               le stringesse il cuore senza pietà. Sapeva che
               mai come in quel momento aveva bisogno di tutta la sua
               forza di concentrazione. I suoi pensieri tornavano
               insistentemente su ciò che per tutta la vita
               l'aveva tormentata: il perché di tante cose,
               del suo vivere senza una logica ma solo con il puro
               istinto. E non perché non si fosse domandata la
               ragione intrinseca dei problemi che l'assillavano di
               continuo ma come mai le era risultato difficile, anzi
               quasi impossibile, trovare risposte soddisfacenti. I
               dubbi, gli eterni dubbi che l'avevano accompagnata per
               tutta la vita e che non le avevano permesso mai di
               vedere chiaramente, di comprendere ed accettare i
               fatti importanti che avevano costellato il cammino
               della sua esistenza. Aveva letto molto, studiato a
               sufficienza perché conosceva molte cose ma
               sentiva dentro di sé uno stato di gran
               confusione, o per lo meno così le sembrava.
               Aveva viaggiato ogni volta che aveva potuto anche se
               non aveva visto tutti i posti che le sarebbe piaciuto
               visitare, aveva conosciuto gente di varie latitudini e
               aveva finito per simpatizzare con i problemi di
               tutti.
               
               Fino a quando si era sradicata completamente e non
               solo dal suo paese d'origine, con il suo giustificare
               tutti, perché pensava che se si risale
               all'origine di qualsiasi effetto si incontra sempre un
               motivo, una causa valida per tutti, a secondo delle
               situazioni e del punto di vista. Cosicché
               disillusa ed incredula spettatrice irriverente del
               caos del pianeta si comportava come se provenisse da
               un altro pianeta, non necessariamente migliore o
               più evoluto, ma sicuramente più
               armonioso nelle relazioni tra i suoi abitanti e gli
               altri esseri viventi. Runa era stufa di tutto il
               blaterare degli uomini che gridavano come pazzi,
               rinfacciandosi colpe e rivendicazioni, offrendo uno
               spettacolo riprovevole e aberrante. Molte volte aveva
               provato un intenso desiderio di isolarsi, di andare a
               vivere in un'isola deserta, ben lontano dalla costa.
               Se solo avesse potuto farlo. Era però sicura
               che non esistevano più isole con questa
               caratteristica perché doveva esserci molta
               gente con il suo identico desiderio. Era un pensiero
               che la riempiva di vergogna perché si rendeva
               conto che era diventata terribilmente asociale.
               
               Però il sentimento era lì e non
               poteva ignorarlo. Sebbene a volte la sua mente volesse
               ibernarsi, il suo corpo abituato alle lusinghe del
               mondo attuale, resisteva. E nel kibbutz era rinata la
               sua speranza, aveva incontrato nuovamente un po' di
               fiducia verso gli uomini, la fiducia che aveva perduto
               da tempo. In contatto con gente che credeva in
               ciò che faceva, che aveva sofferto duramente ed
               aveva perduto tutto all'infuori del grande amore verso
               il proprio paese. Nonostante la pesante eredità
               del passato, era tornata per lottare con rinnovata
               energia e amore verso quell'angolo di terra. Runa
               pensava che se fosse stata più giovane le
               sarebbe piaciuto avere una figlia con David e
               l'avrebbe chiamata Sabra, Sabrina. Quel pensiero la
               scosse nel profondo e le provocò una risata
               secca, forte ed isterica.
               
               Qualcuno si avvicinava. Si voltò. Era Esther
               con un fucile. Esther non disse niente. Le si mise
               vicino di lato. E aspettarono insieme, in silenzio.
               Improvvisamente un rumore. Arrivavano: Runa
               puntò il fucile. Esther fece lo stesso. Era la
               fine... forse il principio.