HISTORIA DE LENA Y LIA
               
                
               
               Avrebbe dato qualsiasi cosa per dimenticare.
               Però ora era sola e non le rimanevano che i
               ricordi.
               
               L'aveva vista partire. In verità si era
               separata da lei già da molto tempo. Da quando
               aveva dovuto ammettere il suo fallimento come madre.
               Aveva desiderato tanto avere un figlio e ora si
               chiedeva obiettivamente e freddamente il
               perché. Perché una donna di più
               di trent'anni senta improvvisamente o forse, non tanto
               repentinamente, il desiderio di un figlio proprio.
               
               Forse per la paura d'invecchiare e la prospettiva
               della solitudine futura o forse l'ansia di progettare
               le proprie aspirazioni e i propri sogni non concretati
               in un altro essere che abbia alcune affinità
               con se stessa; paura di perdere il suo uomo mano a
               mano che il passo del tempo spegne un poco i primi
               entusiasmi; la necessità di realizzare sopra
               una base umana la esperienza della maternità o
               la responsabilità davanti all'alternativa
               dell'aborto.
               
               Lena non poteva dirlo. Semplicemente non lo sapeva.
               Era confusa come sempre lo era stata nella sua vita.
               Non riusciva a focalizzare le immagini del suo
               passato. Aveva bisogno di riposare, chiudere gli occhi
               e cercare di non pensare per alcuni giorni o anche
               solo alcune ore. Fino a quando avesse potuto esaminare
               i fatti o tornare a vivere avvenimenti della sua vita
               con serenità e mettere a fuoco le sue
               esperienze con la mente sgombra da qualsiasi
               pregiudizio o parzialità.
               
               Voleva solamente guardarsi dentro e portare in
               superficie il marcio che le si era affastellato dentro
               durante tanti anni. Avrebbe avuto il coraggio, la
               obbiettività, il disincanto, la
               crudeltà, il masochismo necessario, per capire
               il perché era riuscita ad avere una figlia a
               dispetto di tutti ed a perderla malgrado tutto l'amore
               che sentiva per lei?
               
               Era bella Lia. Bella, intelligente e molte altre
               cose ancora. Era bruna e aveva grandi occhi neri, una
               bella bocca e belle mani. Alta e delicata.
               
               Ora Lena è nella sua nuova casa che guarda
               al mare. Sola. Da qui non si muoverà
               più. Ha terminato di vagabondare come una
               zingara. La zingara che da sempre porta dentro se
               stessa. Qui aspetterà che sua figlia torni. Se
               torna.
               
               Era già passata una settimana da quando Lia
               aveva viaggiato negli Stati Uniti d'America dove aveva
               assistito ad alcune lezioni all'Università.
               Forse si sarebbe innamorata. O tante altre cose
               ancora. Lena pensa a sua figlia e cerca di
               visualizzarla. La vede eccitata nei suoi primi
               contatti con la scuola e con il nuovo ambiente.
               Sarebbe stata felice. Di questo era sicura. Non aveva
               il minimo dubbio. Lei l'avrebbe aspettata nella sua
               nuova casa in riva al mare.
               
                
               
               Era nata all'una di una mattina d'estate. Una
               estate romana. Il sole, lei e sua figlia. Così
               aveva voluto. Non l'aveva sentita nascere
               perché al momento opportuno l'avevano
               anestetizzata. Le sue ultime parole "Il bambino, vi
               prego...". Si era svegliata circa un'ora più
               tardi, o forse erano passati solo pochi minuti. Lei
               era lì, in una piccola culla al suo lato. Un
               folto ciuffo di capelli scuri sopra un piccolo volto.
               Non aveva una ruga: era perfetta. Quante fotografie le
               aveva fatto. Lena pensava con orgoglio che forse
               neanche i figli dello Scià di Persia erano
               stati fotografati così tanto come la sua Lia.
               La vedeva soltanto durante la notte quando tornava dal
               lavoro. E scopriva ogni volta qualcosa di nuovo che la
               commuoveva. In un primo momento la preoccupò
               una leggera peluria che notò intorno alle
               piccole orecchie, poi le sembrò che avesse le
               gambe troppo magre. Era una mamma esigente, non per
               lei, ma per Lia, poiché voleva che crescesse
               bella e sana per potere un giorno conquistare il suo
               posto in questo mondo. Perché la vita la
               trattasse bene come donna. Le rare volte che pregava,
               chiedeva sempre che Lia crescesse bella, godendo di
               buona salute e che avesse fortuna nella vita. Mai
               chiese che fosse molto intelligente: non era
               femminista. O forse sì, lo era senza saperlo,
               senza rendersi conto che tutto ciò che aveva
               fatto nella sua vita, portava l'etichetta del
               femminismo. Se lo era, dipendeva dal suo istinto, da
               un impulso che le veniva chissà da quale lato
               oscuro del suo subscosciente. Forse per una
               ribellione, che non aveva saputo né voluto
               controllare, ai troppi "NO" che aveva incontrato nella
               sua strada e contro i quali aveva dovuto lottare per
               sopravvivere o per raggiungere ciò che riteneva
               necessario per realizzarsi come essere umano.
               
               Alcuni di questi NO potevano forse essere validi,
               molti altri discutibili ed altri ancora decisamente
               inaccettabili.
               
               La sua visione del mondo e la selezione nei
               rapporti umani e sociali erano stati sempre
               condizionati da un profondo senso di libertà,
               intesa come un giusto equilibrio tra diritti e doveri,
               però secondo uno sviluppo armonico delle
               proprie idee e dei propri desideri: non come una
               imposizione illogica e vuota di qualsiasi contenuto
               umano e vitale.
               
               Parole, suoni, rumori, pensieri, sensazioni, vita,
               morte...
               
               Così passa la vita.
               
                
               
               Lia era nata in una calda notte di giugno. Un fatto
               banale. Una tra mille delle nascite di bebè.
               Però per Lena era stato il principio di
               un'altra tappa della sua vita, la più
               importante e la più compromettente. Mise fine a
               molti aspetti della sua esistenza, creò
               contrasti e lotte con se stessa e con gli altri,
               attriti che con il passar del tempo sfociarono in un
               fallimento completo. Nell'insuccesso totale di se
               stessa come madre. Sua figlia era una bambina
               sensibile ed intelligente, troppo per accontentarsi
               solo di un tentativo di madre.
               
               Però non poteva dare più di
               ciò che le dava. Aveva fatto e dato tutto
               ciò che era nelle sue capacità. Di
               più sarebbe stato impossibile. Ma ciò
               che aveva dato apparentemente non era stato
               sufficiente.
               
               Lena non capiva perché si parlava tanto di
               protezione della famiglia contro la disintegrazione
               che situazioni irregolari potevano provocare. Lei non
               era contro l'istituzione della famiglia. Però
               era maggior d'età, adulta e responsabile. La
               società dovrebbe considerare i casi come il
               suo. Essere più elastica. Una donna di
               più di trent'anni dovrebbe poter scegliere se
               continuare con la sua vita arida e solitaria o
               dedicarsi ad un figlio suo.
               
               A che serve allora la polemica contro l'aborto, se
               non si permette la libera scelta in una situazione
               dove manca uno dei genitori, ponendola al margine
               della legge? Questa realtà anche se incompleta
               risulterebbe sempre più positiva di una
               paternità carente e incapace di assumersi delle
               responsabilità portando a risultati negativi
               perché quasi sempre tale responsabilità
               è respinta dall'uomo e pertanto non effettiva
               né efficace per creare una famiglia vera su
               basi solide. In un mondo dove la donna studia, lavora
               ed è indipendente economicamente, non dovrebbe
               essere un tabù avere un figlio fuori dal
               matrimonio, senza per questo invalidare l'istituzione
               della famiglia concepita, secondo il concetto
               borghese, con piena responsabilità da chi lo
               desidera.
               
               Pensieri assurdi. Forse no. Se solo avesse potuto
               staccarsi dalla croce della sua vita di donna sola. A
               volte umiliata solo per avere amato la vita nel
               più grande rispetto di se stessa, secondo la
               legge della natura, senza un secondo fine e senza
               pensieri meschini o interessi personali.
               
               Lia aveva un anno e mezzo quando per la prima volta
               avevano viaggiato insieme nel paese del padre. Lena
               voleva che conoscesse la sua figlioletta. Nonostante
               fosse per lui, forse, un ricordo non del tutto
               gradevole, indubbiamente una responsabilità non
               accettata ma neanche condivisa e pertanto tutto
               ciò era di riflesso, l'immagine stessa della
               sua inconsistenza morale ed umana. Forse.
               
               Lei aveva voluto un figlio insieme a lui,
               somigliante a lui, anche suo. Ora non sapeva
               più se era stata innamorata veramente. Le
               sembrava di sì. Però l'amore, molte
               volte, l'aveva confusa. Però non importava.
               Già non aveva nessuna importanza. L'unica cosa
               che le premeva era sua figlia. Lui aveva chiesto di
               dare alla figlia il suo cognome, come se fosse stato
               importante, come se senza il nome di tanto padre non
               avrebbe potuto respirare, né vivere.
               Sciocchezze! Per tutto il resto comunque si sarebbe
               preoccupata lei. Come aveva sempre fatto. Non
               pretendeva e non voleva nient'altro da lui.
               
               Dopo tanti anni Lena si chiedeva quando le passioni
               dei primi momenti vissuti allora si erano spente e
               tutto era sprofondato.
               
               Perché non aveva voluto? Perché?
               Diffidenza, paura di doversi assumere
               responsabilità anche economiche o indifferenza
               meschina? Come può un essere umano dar vita ad
               una creatura e poi ignorarla come fosse il cucciolo di
               un animale? Per cattiveria, per mancanza di coscienza
               o solo per egoismo nel non voler avere
               responsabilità di nessun genere. Punto e
               basta!
               
               Perché, per Dio?
               
               Lena aveva accettato sua figlia Lia con tutto
               l'amore di cui era capace. L'aveva cresciuta senza
               nessun pentimento come una cosa naturale che
               rappresentava un atto d'amore. Forse si era messa
               contro la società. Forse. Però non
               l'aveva fatto apposta o per una sfida. Lena pensava
               che la società era ingiusta, che ci si doveva
               difendere più da uomini cosiddetti rispettati
               nonostante siano proprio loro ad essere i peggiori.
               Loro e non i figli.
               
               Tutto questo se la società ragionasse con la
               logica nel cuore e il senso di umanità nella
               testa.
               
               Lo aveva visto per caso. Nella grande città
               le agenzie di viaggio si trovavano tutte nella stessa
               zona centrale. Lia e lei camminavano lentamente
               guardando le vetrine nella strada principale, il
               centro nevralgico dell'attività commerciale,
               del rumore, della polvere e del sudore umano... quando
               all'improvviso lo vide. Era dritto dietro il banco di
               un'agenzia, parlava con un impiegato. I pantaloni
               erano sempre un poco più lunghi del necessario
               e si appoggiavano sopra un paio di scarpe appuntite.
               Lena aspettò che uscisse. Appena lui si
               allontanò, entrò decisa nell'agenzia e
               con l'aria di una turista un po' distratta,
               domandò all'impiegato se per caso non era il
               signor X, l'uomo che era appena uscito. Alla risposta
               affermativa, gli chiese allora dove poteva
               rintracciarlo dato che aveva un pacchetto da
               consegnargli da parte di un suo amico. Ora sapeva dove
               lavorava.
               
               Non voleva sorprenderlo. Per pudore o forse per
               Lia. Non sapeva come avrebbe reagito e non voleva
               causare a sua figlia un inutile trauma. Lo
               chiamò per telefono. Chiese di lui. Subito la
               voce conosciuta: "Hello..."
               
               "Hello..." mormorò Lena incapace di
               continuare.
               
               "Elizabeth ?..." doveva essere l'ultima della serie
               in quel periodo.
               
               "Mi dispiace disilluderti ma sono io...Lena...".
               Glielo disse cosi, semplicemente, senza un velo alcuno
               di malizia né di ironia. Poiché era
               incapace d'ironizzare o di dire qualcosa che
               nascondeva una seconda intenzione. All'altro capo del
               telefono ci fu un momento di silenzio, poi:
               
               "Ah, sei tu? Quando sei arrivata?"
               
               "Due giorni fa".
               
               "Bene, dimmi in quale albergo sei e passerò
               da te quando termino di lavorare".
               
               "Lia è con me...".
               
               "Bene, bene, poi parleremo...".
               
               A Lena sembrò impossibile avere avuto il
               coraggio di cercarlo e di parlargli. Era lei ora che
               si sentiva traumatizzata. Però, perché
               si chiedeva angustiata, perché doveva farlo,
               umiliarsi, vederlo di nuovo e dovere sperimentare
               ancora la sua diffidenza e la sua indifferenza?
               
               Aveva impresso nella sua mente la voce dei suoi e
               dei suoi amici:
               
               "Pensa a lei... devi farlo... cerca di
               convincerlo... per Lia, per Lia..."
               
               Quasi sembrava che Lia non potesse crescere bene
               altrimenti, senza il benedetto nome di tanto
               inesistente padre.
               
               L'aveva vestita con cura. Sapeva che lui l'avrebbe
               osservata, esaminata e giudicata.
               
               Lo vide arrivare attraverso il finestrone della
               hall dell'albergo.
               
               É passato molto tempo da allora. La vita di
               Lena è entrata nella sua tappa finale. Sua
               figlia è già grande e non ha più
               bisogno dei suoi genitori. Non più. A Lena
               piace pensare che Lia è cresciuta bene
               perché non ha avuto il padre al suo fianco. La
               mancanza che provò per l'assenza della figura
               paterna è servita come stimolo per progredire,
               per formarsi una vita che le ha dato tutte quelle
               soddisfazioni che suo padre non volle o non seppe
               darle. Forse è solo un modo di pensare, per
               consolarsi di ciò che lei non aveva saputo
               darle. Grazie al cielo, Lena ha raggiunto finalmente
               il periodo della vita nel quale non c'è
               più posto né nessun interesse per
               recriminazioni o pentimenti. E di che cosa? Di non
               avere potuto dare un padre a sua figlia e un uomo a se
               stessa? Erano tutte queste cose veramente necessarie
               per rendere felice un essere umano? Ora ne dubitava.
               Ora le dava quasi nausea, le ripugnava ricordare tutto
               ciò che aveva fatto perché Lia potesse
               avere suo padre vicino. Quella continua ricerca di un
               contatto per non mettere la parola fine ad una
               relazione senza vitalità, deprimente e
               squallida. Senza carne né sangue. Per paura che
               lui le dimenticasse o per lo meno che non sentisse il
               pungolo delle responsabilità.
               Perché?
               
               Questo si chiedeva Lena ora che tutto era
               terminato, concluso, finito. Ora che il tempo pietoso
               si era incaricato di chiudere per sempre quel capitolo
               della sua vita fatto di umiliazioni e di amarezze.
               Perché quella voglia di distruggersi,
               annullarsi, fino ad immolarsi? E soprattutto, valeva
               la pena patire tutta quella sofferenza? Doveva avere
               una risposta. Però, come poter essere
               obbiettiva, guardarsi dentro senza macerarsi per
               incontrare la verità, il vero significato della
               situazione che aveva vissuto? Doveva ancora una volta
               umiliarsi ed essere umile per toccare il fondo e
               affrontare la verità, nonostante non credeva
               all'esistenza di una sola verità, di una sola
               storia dello stesso fatto, ma piuttosto che qualsiasi
               avvenimento aveva vari aspetti, varie facce, tanti
               angoli oscuri, tante ombre e sfumature più o
               meno forti. E se aveva fatto tutto anche per lei, per
               se stessa? Non solo per la figlia ma anche
               perché lei non poteva vivere senza di lui?
               Nonostante tutte le sue dichiarazioni di
               libertà, di disprezzo e di orgoglio ad oltranza
               e mal fondato? Se, senza rendersi conto, avesse
               mascherato il suo desiderio verso di lui, fingendo e
               ingrandendo l'importanza che sua figlia avesse un
               padre? Forse. Potrebbe forse esserci qualcosa di vero
               in questa idea. A distanza di anni era ormai difficile
               dire dove cominciava una verità e terminava
               l'altra. Se una non era altro che il prolungamento di
               un'altra. O la verità era che aveva voluto
               unire le due cose. Perché sua figlia avesse
               potuto avere entrambi i suoi genitori vicino. Solo che
               non lo aveva confessato o ammesso mai. Peccato di
               superbia od orgoglio ridicolo però... che
               importava adesso? Perché tornare a rimescolare
               vecchi sentimenti anche se possono essere stati
               importanti? Ormai già da molto tempo tutto era
               terminato e lei non poteva tornare indietro per
               cambiare... E cambiare che cosa? Sapeva bene che se
               fosse nata di nuovo, avrebbe commesso gli stessi
               errori di tutta la sua vita, se errori si possono
               chiamare gli atti d'amore e di dedizione di un essere
               umano verso l'altro... e tutto vissuto
               intensamente.
               
               Lo aveva perduto, senza averlo mai avuto in
               verità, perché lui non era adatto per
               lei. Questa era la questione. Fine. E con il tempo
               aveva perduto anche sua figlia. Però aveva
               lottato tutta la vita per lei. Da lei aveva estratto
               la forza per continuare a vivere nei momenti difficili
               e nelle situazioni di depressione. In un mondo dove la
               concorrenza è, a volte, la negazione di
               qualsiasi valore umano e civile, Lia aveva
               rappresentato per lei l'ossigeno, l'energia, lo
               stimolo necessario per non arrendersi davanti alle
               difficoltà incontrate nel suo cammino di donna
               sola. Però non aveva saputo farsi amare come
               una figlia dovrebbe amare una madre. Forse era stata
               una madre debole, incapace di darle il buon esempio
               necessario affinché lei potesse trionfare nella
               vita. O non aveva saputo dimostrarle tutto il suo
               affetto.
               
               Quando si rese conto che non poteva insegnarle
               niente di utile per paura che le sue idee potessero
               fare di sua figlia un soggetto negativo e senza la
               forza morale necessaria per vivere in una
               società che porta con sé tutti i suoi
               tabù e pregiudizi, aveva preferito che Lia
               crescesse spiritualmente lontana da lei. Lia aveva
               ricevuto una buona educazione ed ora aveva
               l'opportunità di vivere e di studiare in un
               paese dove, nonostante alcuni difetti, quasi tutti
               hanno la stessa chance di progredire. Lena sperava che
               Lia potesse trovare l'equilibrio che, malgrado tutti i
               suoi sforzi, la mancanza di un padre le aveva impedito
               di sviluppare completamente.
               
               Improvvisamente squillò il telefono. Lena si
               svegliò dal suo stato di dormiveglia.
               
               Le sembrò di tornare da un lungo viaggio.
               Aveva sognato o aveva rivissuto il suo passato, aveva
               ripercorso le tappe salienti della sua esistenza? Il
               telefono continuava a suonare. Doveva essere Lia. Si
               affrettò a rispondere: era lei.
               
               "Ciao, mamma! Volevo essere sicura che tu fossi
               finalmente nella tua nuova casa. Sarai felice ora e
               spero niente più depressione, spero... Io sto
               bene, meglio che mai. Ho una stanza magnifica che
               divido con una ragazza della mia età, molto
               simpatica. Tutto e tutti sono divini. Cosa?
               Naturalmente ti scriverò e ti racconterò
               tutto dettagliatamente. Non ti preoccupare. Ciao e ti
               faccio gli auguri per la tua casa". Si udì un
               click e la voce si spense.
               
               Lena posò il ricevitore al suo posto con un
               gesto lento e tenero... poi si avvicinò alla
               finestra e guardò fuori. Faceva freddo ma il
               mare la riscaldò. La sola vista del mare, il
               suo profumo, la sua vicinanza, il suono della sua voce
               quasi umana...
               
               Era l'amore perduto e recuperato. Un amore senza
               età. Eterno. Non era sola. Fino alla
               fine.