È uscito il n° 127-128
Marzo-Aprile 2003
dell'edizione cartacea de Il Club degli autori
è stata spedita ai soci del Club degli autori il giorno 7 maggio 2003
 
In vendita nelle seguenti librerie
 
 
Individuo e società nei "Nuovi dolori del Giovane W." di Ulrich Plenzdorf
Ulrich Plenzdorf, l'autore dei Nuovi dolori del giovane W., è nato nel 1934 a Berlino, dove ha trascorso durante la guerra gli anni dell'infanzia. Figlio di un operaio, dopo aver studiato filosofia a Lipsia si è dedicato alla cinematografia ed alla drammaturgia portando a termine gli studi all'istituto superiore di filmologia.
Dal 1963 lavora come sceneggiatore del DEFA-Studio per il cinema e la televisione.
Ha scritto, dice, I nuovi dolori del giovane W., "per il cassetto", e solo quando un congresso del partito nella allora Repubblica Democratica tedesca ha autorizzato "su una salda base socialista", anche "esperimenti", ha potuto pubblicare nel 1972 l'opera, prima nella rivista Sinn und Form poi (con qualche correzione) in volume.
La prima edizione era stata scritta nel 1968-1969 per incarico del DEFA come sceneggiatura per un film che non è stato mai realizzato.
Il modello originario consta di 154 pagine scritte a macchina; per la stampa sono stati aggiunti il titolo e la numerazione delle scene, quanto al resto il testo è rimasto invariato.
L'opera è stata poi rappresentata nel 1973, come pièce teatrale, sui palcoscenici della Germania orientale ed occidentale.
Nello stesso anno gli è stato conferito il premio Heinrich Mann dall'accademia d'arte della RDT e nel 1978 quello austriaco Ingeborg-Bachmann.
Ulrich Plenzdorf è uno dei più grandi scrittori e sceneggiatori della Germania dell'est ed è ancora attivo anche dopo la riunificazione, infatti ha continuato a pubblicare ed a scrivere copioni per films, contrariamente a molti colleghi come Christa Wolf oppure Volker Braun che dopo la "Wende" (svolta) non hanno scritto o pubblicato quasi più nulla.
Tra le più importanti opere di Plenzdorf ricordiamo: Karla (1964), Der alte Mann, das Pferd,die Strasse (1974), Die Legende von Paul und Paula (1974), Der König und sein Narr (1975), Legende vom Glück ohne Ende (1979), Insel der Schwäne (1983), der Fall der Ö (1990), Ein Tag, länger als das Leben. Zeit der Wölfe (1991), Abgehauen (1997).
 
Il romanzo I nuovi dolori deve essenzialmente il suo successo, come è stato più volte ricordato dalla critica, all'originalità dell'idea che ne sta alla base e del linguaggio attraverso il quale questo si realizza.
Il giovane W. Di Plenzdorf è Edgar Wibeau, un apprendista diciassettenne della Germania orientale.
La madre, separata dal marito, è direttrice di un'azienda , una donna emancipata, che ci tiene a dimostrare come si possa allevare benissimo un figlio anche senza il padre; e difatti Edgar è un ragazzo modello: media del 9,9, intelligente, colto, disciplinato, un "primo della classe" insomma.
Improvvisamente un giorno, stanco di questa parte, lascia cadere una lastra di ferro sul piede dell'istruttore e fugge di casa portando con sé solo i suoi quadri (astratti), un giaccone di Juta ed i diletti jeans.
Arriva a Berlino, dove per qualche mese si nutre di latte e di vera musica e si innamora della ragazza di un altro.
Nel capanno dove si rifugia, ascoltando gli irrinunciabili nastri di jazz, gli viene l'idea: puntualizza, registrandola, la sua storia d'amore e le sue disavventure di lavoro con brani tratti dal "vecchio" Werther, che ha letto per caso nella latrina del suo rifugio e di cui ignora l'autore, ma di cui utilizza le prime pagine come carta igienica.
Ma il linguaggio lirico di Goethe, ovviamente "non quadra" con il gergo della generazione di Edgar.
Nessuno lo comprende: né l'amico Willi (che corrisponde al Wilhelm di Goethe), cui egli invia i brani registrati, né Charlie (la sua ragazza, equivalente della dolce Lotte del Werther), né il fidanzato della stessa, Dieter (l'Alberto goethiano).
Quando i suoi compagni di lavoro tentano di mettere a punto un certo apparecchio &endash; per l'esattezza uno spruzzatore di vernice &endash;, il novello Werther decide polemicamente di batterli da solo inventando un apparecchio nuovo: ma maneggiando la corrente elettrica muore fulminato da una scarica da 380 volts.
Dell'opera di Plenzdorf il critico Raddatz ha detto: «È la dimostrazione di un metodo di scrittura sovrano, di un modo convincente di padroneggiare il materiale. Il fatto di trarre dalle registrazioni del maniaco della tecnica le lettere del giovane Werther, che al contempo racchiudono e respingono la realtà sociale, non è soltanto abilità, bensì consegue da una profonda conoscenza e rende perfetto l'esito narrativo. La morte di questo giovane Werther sembra annunciare la nascita di un nuovo grande talento, e forse addirittura l'inizio di una nuova letteratura».
La storia, assolutamente ovvia in un contesto "occidentale" assume invece un sapore scandalistico se confrontata con la produzione letteraria dell'allora Repubblica Democratica, di cui costituisce indubbiamente una svolta: al tono fondamentalmente apologetico, tuttalpiù bonariamente critico della letteratura precedente, Plendorf contrappone, con la figura di Edgar, la rivolta di un individuo che rifiuta di inserirsi in una pianificazione burocratica, ossia nella RDT così com'era, ed in questo rifiuto soccombe.
Il lavoro, pubblicato come racconto nel 1972, poi rappresentato, come già sopra accennato, con strepitoso successo, anche come riduzione scenica, a Berlino ed a Halle durante tutta la stagione teatrale 1973, ha suscitato parecchie discussioni: la rivista giovanile Forum ha dedicato un'inchiesta alle ragioni del successo, le riviste Sinn und Form e Neue deutsche Literatur hanno riservato per diversi numeri una rubrica al "caso Plenzdorf", raccogliendo &endash; oltre ai contributi della critica ufficiale &endash; anche gli interventi del pubblico meno qualificato.
Ed il testo, rapidamente esaurito nelle librerie, perennemente a prestito nelle biblioteche, si è trasformato così, cogliendo di sorpresa lo stesso autore, in uno strumento di confronto con le istituzioni sociali della Germania comunista.
Il fatto è che Plenzdorf rappresenta problemi sociali finora inespressi, problemi che gravitano attorno al nodo centrale dell'educazione della gioventù in un paese socialista.
La Repubblica Democratica tedesca disponeva di una struttura scolastica invidiabile: dal nido all'università, dalla culla alla professione; la gioventù della Germania comunista aveva davanti a sé un "sentiero spianato" che essa percorreva con gioia, anche se non troppo senza difficoltà, fino alla meta.
Edgar no: un pezzo dopo l'altro egli smonta l'apparato sociale della DDR e rifiuta d'integrarsi, ed è proprio questo che suscita l'adesione incondizionata della platea, l'entusiasmo del pubblico giovane. Il conflitto con la società diviene inevitabile, poiché questa non è sempre disposta a lasciare all'uomo il suo proprio orgoglio ed a concedergli i suoi diritti personali.
Infatti la protesta di Edgar si rivolge anche contro la tutela della madre e dell'istruttore dell'azienda.
Questi sono solo motivi superficiali; la vera causa della sua inquietudine sono in realtà le pretese impostegli dalla società ed alle quali contrappone le sue proprie esigenze di realizzazione personale.
Tale diritto si attua con "l'evasione" di Edgar dalla società, la quale in fondo ritiene normale e perciò priva di effetti politici la protesta di un giovane contro il mondo degli adulti: l'ordine costituito non viene assolutamente messo in questione in questo romanzo ed anzi si ritiene che la critica un pò goliardica di un giovane disadattato non possa che giovare al sistema.
Edgar assurge quindi a rappresentante (Stellvertreter) &endash; piuttosto che ad emarginato (Aussenseiter) come vorrebbe qualche critico occidentale &endash; di un'inquietudine che, mai dichiarata fino in fondo, si intuiva tuttavia nella lirica degli anni precedenti.
I contrasti di Edgar col mondo "organizzato" risalgono all'infanzia: egli è un mancino "autentico" e la madre, autoritaria e conformista, fa di tutto per correggerlo finché il figlio non incomincia a balbettare e a farsela nel letto.
E' il primo tentativo di violenza. Poi c'è la questione del cognome: Edgar Wibeau è di origine ugonotta, il suo cognome rifiuta quindi la grafia e la pronuncia tedesca (Wiebau) per mantenere l'originaria pronuncia francese.
Tutte le volte che qualcuno lo chiama erroneamente Wiebau, Edgar vede rosso e si sente calpestato. Insomma, è il problema delle minoranze &endash; tanto che a Berlino Edgar si metterà alla ricerca del museo degli ugonotti &endash; ridotto ai suoi termini più elementari: il contrasto tra individuo e gruppo.
Ed in questo contrasto, per un apprendista diciassettenne di un paese comunista, la scelta &endash; per quanto riguarda il vestiario &endash; è obbligata: «mi faceva venire il vomito» dice ad un certo punto il protagonista «che uno fosse per forza un libertino o un depravato perché portava i capelli lunghi, non aveva la piega ai calzoni, non si alzava alle cinque del mattino e non si insaponava subito con l'acqua fredda della pompa».
Ecco quindi, al posto del solito raggiante giovanotto in divisa della FDJ (freie deutsche Jugend) che entusiasma i compagni col suo ottimismo e la sua gioia di vivere, un giovane capellone, uno spostato, con addosso il giubbotto di juta cucito col filo di rame ed i jeans («uno se la può immaginare la vita senza i jeans… voglio dire, i jeans sono una mentalità, non sono pantaloni»), ai quali Edgar dedica un song e quattro pagine di dettagliata descrizione.
L'ammirazione esagerata per tutto ciò che è occidentale, la contrapposizione tra i jeans e gli "stracci" sintetici dei negozi della RDT, tra il jazz e la musica di un qualche, come dice il protagonista, "Händelsohn-Bacholdy"&endash; si noti la storpiatura del nome &endash; hanno destato il plauso unanime dei giovani che si sono finalmente riconosciuti nel personaggio di Plenzdorf, e lo scandalo tra i custodi più rigorosi di uno dei punti del programma politico-culturale della SED, del partito unico di quel paese: la condanna dell'influenza occidentale sulla cultura socialista.
In realtà qualche timida ammissione circa il prestigio delle mode culturali di marca occidentale c'era già stata, anche se corredata da rassicuranti dichiarazioni di fedeltà al binomio Marx- Beethoven.
Ma Plenzdorf è andato ben più in là nell'ammettere la totale dipendenza della mitologia giovanile dall'occidente, anche perché nel frattempo si è affermata l'idea che la società socialista, in quanto derivata dal capitalismo, accanto al quale convive, sia necessariamente sottoposta agli influssi occidentali.
Il problema che Plenzdorf affronta va oltre la politicizzazione degli indumenti, della musica e del linguaggio &endash; jeans jazz e dollari &endash; che ha scatenato l'adesione dei giovani: è il conflitto tra individuo e società che lo interessa, che tende a soffocare il singolo, costringendolo in quel "gerader Weg" (sentiero diritto) per lui oculatamente disegnato, da cui egli tenterà tragicamente di uscire.
Da una parte il ragazzo intelligente e dotato, che non legge per principio libri raccomandati, &endash; ma se mai Salinger &endash; che al mestiere come si deve preferisce il clown (simbolo della non integrazione, rimanda inevitabilmente a Böll), i giovani Holden, i Robinson Crusoe, che dalla RDT salva solo gli adolescenti ed i pensionati e che giunge ad affermare: «addirittura qualche volta ho pensato che uno non dovrebbe superare i diciassette o i diciott'anni. Dopo cominciano col mestiere e con una qualche facoltà o con l'esercito, e poi non ci si può più parlarci con nessuno… torna ad essere forte la cosa quando uno è pensionato e poi porta i jeans con la pancia e le bretelle. Questo si che è forte di nuovo».
Dall'altra parte una società che fornisce libri raccomandati per definizione, che organizza l'individuo attraverso la scuola, il dopo scuola, le associazioni giovanili, i gruppi di lavoro per la elaborazione collettiva di idee individuali, lo sport, le vacanze, i programmi culturali ed una televisione di fronte alla quale tutti, nel solito modo di esprimersi del protagonista, "dopo le otto di sera siedono a cuccia".
E a tutto questo Edgar cerca di sfuggire: "si fionda", come egli dice, nel capanno della Gartenkolonie (piccoli appezzamenti di terreno agricolo che lo stato affittava a basso prezzo per l'ortocoltura familiare), denominata "Paradies II", in una periferia berlinese incalzata dai bulldozer.
Di qui parte il ripensamento su quanto Edgar si è lasciato alle spalle, sollecitato anche dalla lettura, del tutto casuale, del Werther di Goethe, che Edgar trova, come si è detto, nella latrina del "Paradies II".
La contrapposizione tra individuo e società si articola quindi attraverso il confronto con un'opera che, due secoli prima, proponeva un problema analogo, e coinvolge di conseguenza il rapporto della Germania dell'est con la "Deutsche Klassik".
Questa, per così dire, "doppia angolazione", è ulteriormente arricchita dal montaggio dell'opera: alla secchezza del protocollo ufficiale &endash; la scena si apre con i necrologi dedicati ad Edgar &endash; seguono le interviste del padre agli amici ed ai colleghi del figlio e i lunghi monologhi di Edgar che, dall'aldilà, completa, commenta e racconta la sua storia, dalla fuga a Berlino fino alla morte.
Il rapporto tra individuo e società guadagna notevolmente in complessità attraverso la particolare forma del testo, proprio perché Edgar parlando dall'aldilà ha l'occasione di sfruttare le sue proprie esperienze passate e di riesaminare il suo comportamento di quando era in vita, cogliendo perciò questa opportunità per farsi un'autocritica.
Ed in questo contesto egli ricostruisce il suo rapporto con la società ed, implicitamente con il Werther.
Bisogna subito dire che la critica che Edgar fa alla società della RDT è di due tipi: la prima riguarda la gestione di certe istituzioni, ma non l'istituzione in sé; la seconda invece riguarda la struttura stessa della società.
Edgar ha diciassette anni, ha quindi finito la scuola dell'obbligo ed è al primo anno d'apprendistato professionale: la sua esperienza e la sua critica riguardano infatti il mondo della scuola.
Così Edgar dà una versione piuttosto pungente di certe pretese scolastiche, si veda per esempio la scena del dibattito col regista: «un giorno nella scuola professionale ci ficcarono a vedere un film che ci aveva fatto il testo lui. Successivamente: conversazione con gli autori, ma mica conversavano tutti quelli che ci volevano parlare, solo i migliori, gli scolari &endash; modello per distinzione (...) Stavamo là seduti nella sala dei professori e raccontavamo di come avevamo trovato il film straordinario e quante cose ne potevamo imparare. Prima lo dissero tutti i professori e gli istruttori presenti, quello che avevamo da impararci, poi lo dicemmo noi, che ci avevamo imparato».
L'educazione a non pensare insomma.
D'altra parte l'accettazione passiva, il pigro rifiuto della novità, caratterizza gli stessi insegnanti: «qualsiasi insegnante» dice ancora giustamente il nostro personaggio, «è felice se sente un testo che conosce già, dal libro. Io non gli potevo mica dare torto. Non c'era bisogno di controllare se tutto era come si deve, come succede quando uno lo dice con le sue parole. E tutti erano contenti».
Queste sono in fondo critiche marginali. Ma Plenzdorf va oltre: egli descrive un fenomeno di rigetto da parte dell'individuo nei confronti del collettivo che assume talvolta il tono di un'elegia alla privacy ormai scomparsa nel mondo socialista. Il tema è ripreso nell'intervista di una lettrice sulla rivista Sinn und Form.
Secondo Gerda Kohlmey il dramma della gioventù è quello di essere, fin dalla prima infanzia, affidati d'ufficio a delle istituzioni, che magari perfette, tendono alla fine a sostituirsi all'individuo stesso, a negargli in qualche modo l'autonomia di cui ha diritto.
Ma Edgar non rivendica solo un semplice diritto di raccoglimento: in lui c'è un diritto sviscerale, oltre che di autocritica, della pubblica discussione in cui individua un valido strumento di oppressione: «piuttosto mi mangiavo le palle, dice Edgar, che sblaterare roba come: lo riconosco… per l'avvenire io… così imparo… e via dicendo. Avevo qualcosa contro l'autocritica io, voglio dire: contro quella in pubblico. In qualche modo è degradante. Non lo so se voi altri mi capite. Io trovo che all'uomo il suo orgoglio bisogna lasciarglielo. E lo stesso è con quella faccenda del tuo ideale. Appena che uno scoreggia ecco che vengono e vogliono sapere se ci hai un ideale, oppure ti ci fanno fare tre temi alla settimana. Magari può darsi che io ne ho uno di ideale, ma non ci metto mica in piazza».
E la parabola che Edgar racconta, del ragazzo modello che di notte non può fare a meno di rovesciare le panchine dei giardini pubblici e di spaccare i vetri delle finestre, è forse l'indice più inquietante del disagio che regnava tra la gioventù &endash; o di almeno di una parte &endash; della RDT, di un anticonformismo irriducibile che rifiuta a priori quel "Gefühl der Masse" (sentimento della massa), in cui i classici della pedagogia marxista intravedevano il presupposto della "felicità collettiva".
«Il mio ideale supremo è Edgar Wibeau» dichiara il nostro eroe, e questo atteggiamento lo conduce sempre più lontano da una qualsiasi possibilità d'integrarsi e sempre più disposto a riconoscersi in quel Werther sdrucito che gli casca dalle mani.
Ma attraverso questa identificazione Plenzdorf si allineava anche paradossalmente con la cultura ufficiale della Repubblica Democratica Tedesca che ha sempre additato quale compito basilare la realizzazione della saldatura tra il presente e gli ideali umanistici della cultura classica tedesca.
Il parallelismo Werther-Edgar costituisce di per sé un omaggio alla " Deutsche Klassik", ma non si esaurisce lì, perché Plenzdorf opera in senso inverso rispetto alla usuale "Bearbeitung" (rielaborazione) di un testo classico: egli non rielabora un'opera per mettere in luce la realtà odierna, ma si serve del testo goethiano &endash; così com'è &endash; per farne uno strumento di conoscenza, una sorta di occhiale che Edgar usa per capire la realtà e per ritrovare se stesso. L'operazione è condotta con una certa disinvoltura: Edgar trova il Werther nella latrina, usa le prime pagine come carta igienica, il che fa si che egli non venga mai a sapere chi è l'autore, altrimenti, essendo Goethe un "raccomandato", certo Edgar non si sarebbe mai messo a leggerlo.
C'è da dire che anche in seguito nessuno riconosce Goethe, malgrado Edgar continui a "sparare" citazioni e lasci in eredità i nastri-lettera con i passi del Werther incisi.
E sì che, a sentire Hermann Kant (altro autore della ex-RDT), Goethe è la lettura numero uno della Germania comunista.
Ma resta da stabilire quale Goethe: certo più Faust che Werther, anche se Charlie, la maestra dell'asilo-nido di cui Edgar s'innamora definisce le citazioni «una roba talmente caotica… probabilmente presa dalla Bibbia».
E lo stesso Edgar, dopo due pagine, butta il testo, anzi come lo chiama, "il merlo", nell'angolo.
Ma poi col Werther incomincia a giocarci, ne incide dei passi su nastri che manda all'amico Willi, sfodera citazioni che disorientano sia Charlie che il fidanzato &endash; un ottuso militare di carriera &endash; si accorge che «sto Werther s'era spremuto delle cose utili veramente», lo sguaina come "un'arma appuntita".
Plenzdorf ha costellato il giovane Edgar con una serie d'analogie col Werther goethiano: l'interesse per i bambini e per il disegno, il sentirsi entrambi dei "verkannte Genies" ossia dei " geni misconosciuti", la simmetria dei personaggi: l'amico e destinatario delle lettere (Wilhelm e Willi), l'amata e la relativa silhouette (Charlotte e Charlie), il di lei fidanzato e poi marito (Albert e Dieter).
Il lavoro di Plenzdorf sarebbe stato significativo ed avrebbe destato probabilmente altrettanto scalpore anche senza l'analogia con il Werther di Goethe.
La novità sta nel linguaggio di Edgar, nei suoi giudizi sulla madre, sulla scuola, su se stesso; ma certo l'avere introdotto un'ottica diversa arricchisce il lavoro e ne moltiplica le interpretazioni, perché se da una parte il testo citato da Edgar assume una funzione di estraneamento, che contribuisce a mettere a fuoco, al di là delle singole scene, una più vasta condizione umana - ossia l'individuo costretto a " cacciare la cervice sotto il giogo"- dall'altra ne scaturisce un affascinante confronto proprio con la Goethe-Zeit. In questo confronto l'analogia più discussa è certamente la tragicità del finale; ed infatti sul significato della morte di Edgar si è scritto parecchio.
Ora se si vuole stare al testo, da una parte c'è un suicidio, dall'altra un infortunio: diventa quindi inaccettabile la tesi sostenuta da un recensore, secondo il quale non si tratterebbe di una disgrazia bensì della " valida fine di un tentativo di abbandono della società socialista", perché se anche dall'aldilà - Edgar critica il suo egocentrismo, ed in esso individua la causa del suo fallimento.
Ma questo fa parte dei suoi "giudizi postumi", solo allora si rende infatti conto che il suo atteggiamento in vita l'aveva isolato dalla società: «questo fu forse il mio più grande errore: in vita mia non le ho mai sapute prendere. Non potevo mandare giù niente di niente: Fesso che ero, volevo sempre essere io quello che vince».
Ma anche dopo queste osservazioni di autoanalisi che ci dimostrano lo scaturire di un processo palese di sviluppo, anche se tardivo, gli stessi rappresentanti della società si sottopongono parimenti ad un'autocritica dopo la morte di Edgar: «chiaro, si comportava in modo buffo. Senz'altro, ma questo proprio avrebbe dovuto metterci in guardia… invece lo cacciai via» e più avanti: «ma non dovevamo lasciarlo pasticciare da solo credo».
Nella discussione della Germania dell'est I nuovi dolori vennero intesi perciò come "movente" per riconsiderare la responsabilità della società nei confronti del singolo, in particolare per quanto riguarda la gioventù.
Ma c'era spazio, ci chiediamo, nella ex- Repubblica democratica per questo tipo di ribellione?
A conti fatti Plenzdorf sembra sostenere di no, ma il successo del lavoro e l'ampia discussione che esso ha provocato sembrano dargli torto.
Lo stato di disagio tra gli intellettuali era già stato rivelato durante il V congresso della SED, che l'apparizione di preoccupanti fenomeni di diseducazione ideologica nelle sfere dell'arte e della letteratura erano da imputarsi agli effetti deleteri della propaganda capitalistica. Si accusò la più giovane generazione degli intellettuali di non avere ancora capito, nella giusta misura, il valore di concetti quali "lotta di classe" e "realtà socialista" perché influenzata da suggestioni borghesi tedesco- occidentali.
L'atmosfera creatasi può essere meglio intesa alla luce dei dibattiti ideologici svoltisi nell'aprile 1959 in occasione della prima conferenza di Bitterfeld, che determinò un'importante svolta nella storia letteraria della Repubblica d'oltr'Elba.
Il Bitterfelder Weg &endash; la "linea", "l'indirizzo" di Bitterfeld &endash; venne formulato in quell'anno come una sorta di programma letterario ufficiale, e può essere considerato come la risposta ad un malessere politico di quei tempi e come il risultato del nuovo corso della politica culturale del regime, che si protrasse fino alla verifica della II conferenza organizzata nella stessa città nell'aprile del 1964.
Il Bitterfelder Weg, come il Proletkult degli anni Venti, aveva proclamato l'alleanza tra "intellighenzia" e masse popolari, chiamate a "conquistare le vette della cultura".
A questa prima conferenza di Bitterfeld nell'aprile 1959 presero parte sia scrittori professionisti che lavoratori che scrivevano (schreibende Arbeiter), da cui emerse lo orientamento di questa conferenza: l'annullamento della divisione tra "arte e vita" deve avvenire attraverso una penetrazione più efficace della letteratura nel processo di produzione.
È necessario quindi che lo scrittore partecipi maggiormente ai processi sociali e produttivi: l'invito allora rivolto dal partito a scrittori ed artisti fu di andare nelle fabbriche e negli altri posti di lavoro per conoscere la vita degli operai e per prendere parte, anche materialmente, all'opera di costruzione del socialismo.
Gli operai invece dovevano interessarsi alla vita letteraria, una richiesta che sfociò poi nella Bewegung schreibender Arbeiter &endash; nel movimento dei lavoratori che scrivono.
La letteratura venne intesa perciò come parte integrante dell'evoluzione sociale collettiva, nel momento in cui contribuisce, attraverso la sua influenza sulla coscienza delle masse, a fornire loro esperienze della società contemporanea e ad aumentare con ciò le loro conoscenze di questa.
Gli ampi presupposti che la linea programmata dal Bitterfelder Weg offriva alla letteratura tedesca, facevano sperare notevoli risultati che però non vennero conseguiti; il suo valore si ritrova più nella formulazione delle posizioni teoriche che nelle influenze durature sullo sviluppo letterario.
Nella seconda conferenza di Bitterfeld nell'aprile 1964 vennero indicati agli autori nuovi punti chiave: il loro compito doveva essere non tanto descrivere la produzione dalla prospettiva dei lavoratori, ma &endash; come il partito aveva già proposto nella prima conferenza &endash; partecipare attivamente alla vita dei contadini ed operai.
Nel suo sviluppo il Bitterfelder Weg venne in seguito abbandonato perché prese il sopravvento la formula spesso usata della "ampiezza e molteplicità del concetto di socialismo" e con tali sfumature non veniva notificato un cambio totale di corso, ma si aveva una nuova evoluzione nell'ambito della politica culturale.
La fine definitiva del Bitterfelder Weg venne annunciata propriamente nel VII Congresso degli scrittori nel 1973.
La discussione sui Nuovi dolori non si concluse con questo congresso, anche se dopo il 1973 il dibattito politico-culturale sull'opera non venne più ravvivato.
La polemica si spostò dal campo politico a quello letterario: nel 1974 e 1975 apparvero nella Repubblica democratica tre opere in prosa, che devono essere intese come dirette reazioni ai Nuovi dolori e &endash; in modo quasi curioso &endash; riprendono le differenti possibilità di interpretazione del testo e sono Der Sohn (il figlio) di W. Joho, Die Reise nach Jaroslaw (il viaggio a Jaroslaw) di R. Schneider e Die unvollendete Geschichte (la storia incompiuta) di V. Braun.
Il problema fondamentale del rapporto tra individuo e società viene ripreso da Plenzdorf anche negli altri suoi lavori successivi e svolto in diverse variazioni.

Elena Guidi

Docente di Lingua e Letteratura Tedesca
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