Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Rino Passigato
Ha pubblicato il libro La voce del fiume
Rino Passigato, La voce del fiume, Collana I salici (narrativa)
15x21 - pp. 72 - L. 16.000 - Euro 8,26-
ISBN 8883561104

 

Prefazione
 
In questa raccolta di Rino Passigato che comprende dieci brevi racconti emergono emozioni fuggevoli evocate con soavi visioni di luoghi amati, personaggi caratterizzati nella loro umanità e quant'altro fa parte di un mondo ancora onesto e genui-no che riporta inevitabilmente a storie della provincia italiana. Le storie racchiuse in una forma convincente ed immediata sono narrate con un accurato e sapiente lavoro di cesello dove parte dominante rimane sempre la storia narrata sospesa tra passato, presente e futuro: come se si assistesse ad un incanto che rende l'atmosfera rarefatta e dilata le emozioni oltre ogni limite spazio temporale. Esempi emblematici di questa narrazione sono alcuni racconti ma forse "La voce del fiume" è quello che rende meglio il risultato di questa tensione: la speranza per una buona annata del raccolto dell'uva che andrà delusa, il dolore per la perdita del figlio Battista avvenuta molti anni prima, l'imprevedibile piena del fiume che rompe gli argini ed inonda la casa di fango distruggendo ogni cosa, la rabbia impotente nel momento della disgrazia davanti alla forza della natura.
Ma anche in ogni altro racconto vi è una continua affermazione della memoria a gli avvenimenti, le sensazioni, gli stati d'animo dei protagonisti, il loro vissuto quotidiano sono in sintonia con il sottofondo poetico che permea ogni pensiero che viene espresso: si può riprendere a questo proposito la citazione di Lamartine "Tutto nasce, tutto passa, tutto arriva al termine ignoto della sua sorte: l'onda piangente dell'oceano, la foglia fuggitiva al vento, l'aurora della sera, e l'uomo alla morte".
Questo eterno parallelo fra la vita e la morte alimenta alcuni dei racconti e crea sempre un sottile filo che unisce ogni evento al suo destino.
Rino Passigato, dopo avere dimostrato di essere un autore sensibile con diverse raccolte di poesia questa volta ci offre una serie di racconti di forte coinvolgimento emotivo dimostrando che la centralità della sua tematica non è una scelta casuale ma il frutto di vibranti suggestioni interiori che sono espresse con grande capacità e nitidezza formale. L'aspetto fortemente positivo è l'eliminazione di ogni fronzolo inutile e di ogni orpello letterario per ottenere con sapienza una essenzialità di scrittura che coinvolge il lettore.
Non cade mai nel tranello della prolissità o della ripetizione ma con sguardi precisi riesce ad arricchire le storie raccontate di umanità anche quando gli eventi sono tristi e dolorosi. Come un fiume che durante il suo incedere leviga ogni contorno, ogni oggetto così anche la vita molte volte racchiude in sé aspettative, desideri ed attese che una volta esaudite rendono il tutto più dolce, soave, in una parola sopportabile.
L'Autore è un uomo che raccoglie esperienze, sentimenti che sono dipinti sui volti, che esorta ad avere il coraggio di vivere, che suscita una rivisitazione di un mondo vicino ma in alcuni casi diverso per mentalità, luoghi e soprattutto per il modo di vita.
Con una efficacia non comune e una ancor più innata dote della sintesi rappresenta in poche parole gli stati d'animo di ogni protagonista, in poche descrizioni i luoghi, gli ambienti naturali come il fiume: acqua cristallina impetuosa che diventa lago di fango durante la piena che tutto travolge ma poi sempre ritorna, come presagio di nuove speranze "una voce allegra di leggeri sciacquettii, fertile di nuove promesse, l'unica ancora viva in quelle aie deserte".
La lettura di questi racconti scorre sempre piacevole e merita attenzione soprattutto perché l'intento dell'Autore non è quello di riportare fatti di cronaca o storie fantasiose inverosimili ma profonde ricognizioni con epilogo doloroso o felice nell'animo umano che deve contrastare le difficoltà esistenziali che ogni giorno si profilano all'orizzonte.
Per capire, per conoscere, per amare con un gusto della semplicità propria dell'uomo comune che si guadagna ogni giorno il "privilegio di vivere".
L'Autore disegna nella sequenza di questi brevi racconti le vicende umane: la piena del fiume, la morte, l'essere cieco ed altre ancora che leggerete per affidare un messaggio senza tempo che faccia riflettere chiunque.
 

Massimo Barile

 
 
La voce del Fiume
 
 
"Avremo una buona annata". Disse l'uomo sfregandosi le mani, che teneva vicine alla fiamma del caminetto.
"Ogni anno le stesse previsioni piene di ottimismo. Poi arriva l'imprevisto (la grandine, la cocciniglia o chissà quale altro malanno) e metà del raccolto dell'uva va marcio, il grano fa la muffa perché non è maturato bene..."
L'uomo si girò verso la moglie, che stava sferruzzando, mosse due brevi passi, si alzò il cappello per grattarsi la pelata e continuò:
"Quest'anno avremo un raccolto eccezionale. Proprio stamane guardavo il fiume, la corrente limpida, impetuosa, carica di girini. Quando avvengono questi fenomeni, quasi sicuramente l'annata è prodiga di raccolto. Con tutte queste piogge la terra si sta caricando di fertili umori..."
La donna, silenziosa, continuò a sferruzzare. Era magra, bassa di statura, il volto ed il corpo folti di piccole grinze, i capelli grigi. Mostrava tutti i suoi cinquant'anni.
"Cosa ne faremo di tanta abbondanza? Ci fosse almeno il nostro Battista! Da quando il buon Dio se l'è portato via, non so proprio per chi lavoriamo". Disse in tono dimesso la donna.
L'uomo le venne a fianco per ascoltare da vicino i ticchettii dei ferri e cauto rispose:
"Se non avessimo la terra, la stalla allegra degli zoccolii di Roma, dei muggiti della Nera, i nostri crucci perché non piove o perché gela troppo, mi sapresti dire che altro potremmo avere da questa esistenza? Due vecchi che borbottano, litigano e tristi attendono la morte".
Un muggito lungo e forte attraversò la cucina dove i due s'intrattenevano. La donna mandò un profondo sospiro, appoggiò il lavoro sulle ginocchia ed in tono lamentevole continuò:
"A pesca da solo doveva andare! Con quel battello fragile e leggero, che mal reggeva alle ondate violente!".
"Il fiume... L'acqua cristallina, corrente... La nostra vita". Era solito ripetere. Venticinque anni! Se al mondo c'è giustizia! Era ancora buio quel mattino, s'è preso su il sacchetto con le focacce, i tramezzini. "Non serviva tanta roba. Bastava una mela ed una focaccia; tanto più che non ho intenzione di restare lontano per molto. Vedrai le tinche, i lucci che mangeremo stasera!" disse, la porta si chiuse alle sue spalle e non tornò più. Più... più...
La donna parlava e ruotava di qua e di là la testa, l'espressione assente, inebetita, le lacrime che grondavano abbondanti. La schiena appoggiata al tavolo, l'uomo taceva, via via che le parole uscivano dalla bocca della moglie si chiudeva in un guscio di tristezza e di rabbia impotente. Erano passati cinque anni dalla disgrazia; ma l'immagine giovane, vivace, semplice ed onesta di Battista era sempre in agguato per traviare nei due ogni voglia di vivere, ogni sprone a fare.
Avevano riposto in lui ogni speranza, raggranellato sacrificio su sacrificio, fatto le cose in modo che un giorno ne potesse essere felice. "Quando sarai grande, diverrai padrone della fattoria, di tutta la terra. È fertile. Se non piove c'è il fiume". Maledetto fiume!
L'uomo si mosse, aprì l'uscio. Si udiva in lontananza lo sciacquio della corrente canterino, vivace. Un sapore di fresco gli ravvivò la gola. Il muggito di Roma s'era fatto più insistente.
"Ho paura che partorisca stasera". Esclamò l'uomo e ristette con la maniglia della porta tra le mani.
"A valutare dai versi pare che le bestie siano tutte un po' agitate. Forse hanno sete, forse non hanno più foraggio. A proposito le hai munte?"
"Tre secchi da venti litri pieni fino all'orlo, già pronti per quando passerà il camion. È una primavera piovosa. Ha fatto una settimana di temporali ed il cielo è ancora coperto, nero di nuvoloni bassi, gonfi d'acqua. In compenso la notte non gela. Ricordi l'anno scorso? Che brinate in Aprile! Tutti i boccioli si bruciavano". Biascicò l'uomo e si avviò alla volta della stalla.
Due file di bestie, le mammelle grosse, abbondanti, che strattonavano la corda e mugolavano. L'uomo raccolse la forca, tornò più e più volte con del fieno, fino a che tutte le greppie furono riempite. Gli animali si diedero a ruminare tranquilli. Si avvicinò a Roma, la pancia grossa grossa, le tette strabocchevoli, accarezzò il manto bianco e nero. "Ancora una settimana ed avremo il vitellino. Gli ho già preparato il posto". Disse rivolto alla bestia e si allontanò per aggiungere della paglia ad un sito vuoto.
Sostò nel tepore della stalla ad osservare le sue vacche.
Le conosceva una per una. La Rossa pigra, ma generosa di latte, la Romagnola, la più anziana e più nervosa di tutte. Una volta fu portata alla monta, come si accorse del toro, si diede a correre e correre. Fu legata; ma con scalciate e scrolloni impedì al maschio di fecondarla.
"Se non fosse per voi - pensava l'uomo - che mi aiutate nelle fatiche della terra, mi tenete compagnia nelle lunghe sere d'inverno, sarebbe ben grigia la mia vita. Virginia ormai ha la sua età e piange sempre per Battista. Ne avesse concepito un altro! 'Ho passato i quaranta. Forse sarà per quello che non resto in stato interessante'. Si è sempre scusata. E così siamo rimasti soli con tutto questo ben di Dio: ventiquattro ettari, fertili, di prima qualità, la casa, la stalla. Avessimo almeno un nipote vicino! Tarcisio se n'è andato a Milano a trovare fortuna e poco dopo mia sorella l'ha seguito. Bruno è sempre lontano. Viaggia i mari: si è arruolato nella marina".
L'uomo tornò all'aria aperta. Ricominciava a piovere. Il brontolio ringhioso del fiume irrompeva schietto e audace nel crepuscolo della sera. Alle spalle e davanti a lui si apriva a perdita d'occhio la campagna nei suoi appezzamenti fruscianti di teneri virgulti di frumento, nei suoi pianori coltivati e bietole ed a prati erbosi interrotti da filari lunghi di viti. Ad un chilometro circa la penombra sfuocata dalla casa più vicina. Virginia e Adolfo vivevano soli, in quell'angolo di terra, frequentato da voli d'uccelli, schiamazzi d'animali, raffiche veloci ed impietose di vento, scintillii di lampi, sfrascare di siepi.
Non conoscevano altro mondo che quel piccolo brano di terra, altra gente che i coloni delle fattorie limitrofe. La città l'avevano visitata poche volte. In quel labirinto di folla e di palazzi si sentivano intrusi, maleaccolti. L'aria soffocata tra cataste di mattoni e gridii d'auto li metteva a disagio. Le comitive rumorose nelle gallerie eleganti di vetrine, i piagnucolii dei freni, le urla degli altoparlanti alle stazioni, un'accozzaglia ineducata, aggressiva, apportatrice di attacchi nevrotici. Una o due volte al mese si recavano al centro del villaggio per le compere.
Prima che fosse mancato loro quel figlio, nella casa era tutto un pullulare di chiacchiere e scrosci di risa. Lei parlava, parlava, lui lavorava. Piantava alberi di pesco, di melo. Faceva conto che il figlio potesse diventare un grossista di frutta. Che colpo! Erano seduti al tavolo, tristi, silenziosi, quando si videro portare a casa il corpo cereo, freddo, di marmo, la pancia gonfia. Fu disteso sul letto e loro ancora increduli gli si facevano d'attorno. "Se non fossi andato". Mugugnavano singhiozzando. E se lo videro chiudere nella cassa e portare al cimitero.
Da allora Virginia passava ore ed ore in silenzio a rammendare, a cucinare, a far le pulizie e pensava, pensava a Battista, a quando piccino piccino lo stringeva tra le braccia, a quando gli insegnava i primi passi. Le pareva impossibile che fosse successo! La sera si faceva sulla porta nella speranza che i passi rapidi e pesanti del figlio tornassero come un tempo a bucare la profondità del silenzio.
Adolfo rassegnato aspettava la primavera per la semina, l'estate per il raccolto e raggranellava ancora e diceva alla moglie:
"Con i risparmi acquisto la terra dei Tulli. Tre ettari. Ci semino tutte patate".
"Per chi lavori poi? Siamo solo noi due. Non fai che brigare da mane a sera. Le mani degli altri costano, le macchine non lavorano per niente. Se vendessimo tutto e ci ritirassimo in un appartamento nel centro del paese?"
"Per morire di noia - ribatteva Adolfo. - Mi vedi, le scarpe lucide, la cravatta a puntino, passeggiare per ore ed ore per vincere l'ozio? Delle mezze giornate seduti l'uno di fronte all'altra per scambiarci qualche rara espressione di rammarico: "Se fossimo rimasti nella nostra casa! Quanti fiori e che verdura in questa stagione! Le uova fresche, il latte! Qua è tutto prezioso più dell'oro". Di sicuro le nostre rendite non ci basterebbero per vivere".
La donna piangeva e continuava a dire:
"In questo luogo sperduto, lontano dal mondo finiremo col fare il filo alla malinconia. A proposito quando vengono ad arare per le patate?"
"Non appena il terreno sarà asciutto. Continua a piovere giorno e notte".
Affacciato alla finestra, Adolfo distraeva lo sguardo sugli scrosci ininterrotti di pioggia. Ascoltava i ruggiti del fiume, strabocchevole di acqua scura, limacciosa, che nell'impeto della sua corsa aveva sradicato il salice, l'ippocastano, piante secolari. Era nervoso per non poter lavorare, preoccupato per quel diluviare intenso, continuo. Tutte le pianticelle di frumento, di soia tanto rigogliose sarebbero marcite.
Erano due settimane che pioveva. Era un giorno che non mungeva le bestie, né le governava. La sera prima, infagottato in un pastrano impermeabile, era venuto uno dei suoi coloni ad avvertirlo: "Noi ce ne andiamo. Abbiamo paura del fiume". Maledetto fiume! S'era portato via Battista ed ora dava dei nuovi grattacapi.
"Noi restiamo. - Aveva risposto Adolfo. - Non ho memoria che ci sia stata una piena tanto abbondante da rompere gli argini".
La corrente gialla di argille, zeppa di tronchi e legni galleggianti mugghiava indifferente e paurosa. Adolfo guardava l'aia divenuta ormai un piccolo lago, le galline ammassate le une sulle altre nella parte alta del pollaio.
Due giorni che non si sentiva più il canto del gallo.
"Un vero castigo di Dio!" Si udiva dalla bocca di Virginia, mentre si alzava per venire vicino al marito.
"Questo tempo porta malinconia e pigrizia. Senti il fiume! Come urla! Sembra impazzito. Sei andato a vedere? I nostri vicini sono fuggiti".
"Ieri c'è stato Ruggero per dirci che loro se non andavano. E dove vuoi scappare? Se abbandoniamo la casa, corriamo il rischio di trovarla vuota al ritorno. Con tutta la gente che ha fame!"
"Possiamo prendere con noi l'oro, l'argento, le cose personali..." Insisteva Virginia, gli occhi rivolti verso il cielo buio, tutto uguale, pregno d'acqua.
"E le bestie? Chi dà loro il fieno? Chi le governa? Non possiamo lasciare tutto. Ancora qualche giorno e passerà. Vedrai".
Dei tonfi, dei muggiti di paura arrivavano dalla stalla.
Alcune bestie fuggivano con la corda al collo spezzata.
Adolfo si mosse, indossò il pastrano impermeabile, il cappello e corse fuori. L'acqua morbida, melmosa era ormai salita fino al primo gradino e cresceva a vista d'occhio.
Impaurito, il volto infuocato, l'uomo si rifugiò di nuovo nella cucina.
"Ritiriamoci al piano superiore. Il fiume sta straripando. Presto... Prendi il pane, i piatti, la carne..." Disse ed intanto si precipitò sul frigo, sulla credenza.
"Sta calmo. Prima che arrivi in casa. Siamo alti più di un metro rispetto al cortile". Proruppe Virginia, mentre guardava la piana grigia e lucida d'acqua che saliva, le faraone che volavano alte, le galline che tentavano di fuggire; sbattevano le ali, galleggiavano per alcuni minuti e venivano inghiottite dalla piena. Dentro la stalla era un putiferio di colpi di corna, di zoccoli, di tonfi, di rumori paurosi e cupi, di muggiti alti, insistenti, lamentosi.
Di botto Virginia si mosse: "Mamma mia, come si alza! Pare pantano liquido". Esclamò e corse alla credenza, riempì le braccia del marito e le sue e traslocarono all'ultimo piano, nello stanzone sopra le camere, dove era immagazzinato a mucchi il mais. I vetri delle finestre quasi tutti rotti, una luce fioca che illuminava la larga penombra del locale.
"Adolfo, servono due sedie, il pagliericcio..." I due scendevano e risalivano le scale, ansando, sbuffando, sospirando, il cuore in ansia, il fiato alla gola. Avanti, indietro, nel giro di un'ora si sistemarono alla bell'e meglio.
"Che freddo umido, Adolfo!"
"Non ti fa paura tutta quell'acqua? È alta fino al primo piano. La casa è solida, è vero; ma chissà come andrà a finire. È un inferno". Disse l'uomo e si affacciò alla finestra, gli occhi su quel mare denso di terra, dove galleggiavano sedie, mobili e cose d'ogni tipo. Sopra una tavola un gatto morto, gonfio, il pelo irto, appiccicoso.
Adolfo si ritrasse sconvolto da un caparbio, ineducato senso di raccapriccio. Si guardò attorno. Si sentiva smarrito. Virginia, seduta sul pagliericcio con un piatto d'affettato, tossiva e tossiva, una tosse profonda, maligna; ad ogni eccesso diventava rossa, paonazza.
"Adolfo, vieni. Il pranzo è pronto".
"Non ho fame". Rispose l'uomo ed intanto girava lo sguardo vuoto, assente sulle travature gonfie di polvere e ragnatele, sul pavimento di tavole grigie. Sull'architrave un nido di rondine, da cui faceva capolino la testa della madre. Tra tutto quello squallore una nota lieta: dalle uova covate sarebbero nati gli implumi. Adolfo tornò in sé. Virginia tossiva e piangeva.
"Era meglio che ce ne fossimo andati anche noi. Alla fin fine le bestie, la campagna... una desolazione d'acqua e nulla d'altro".
 
"Passerà". Ribatteva Adolfo, fingendo un tono rilassato; ma in cuor suo non finiva più di crucciarsi per non averle dato retta, quando ancora erano in tempo.
"Ed il freddo che patiremo quassù! Mi sento l'acqua nelle ossa. Ho un dolore acuto alla spalla, che mi toglie il fiato".
"Passerà". Ripeté l'uomo e lesto si rannicchiò sotto le coperte.
"Tanto non si sa come ammazzare il tempo, quassù!" Disse Virginia e si accovacciò accanto, stringendosi a lui e battendo i denti.
"Sei calda come un fornello".
"Ho sonno..."
"Cosa ti senti?"
La donna non rispose, aveva gli occhi chiusi, il respiro accelerato. Di tanto in tanto il suo corpo si aggricciava come se fosse attraversato da un brivido di caldo o di freddo. Adolfo rimase muto, gli occhi fermi sul nido. La rondine si alzò, sbatté le ali per girare attorno al salone, cercò una finestra aperta e volò via libera.
L'uomo cercò di affidarsi a qualche santo, recitò un'Ave Maria ed altre preghiere, fino a che fu vinto dal sonno.
 
Il giorno dopo le squadre di soccorso li trovarono nel letto, stretti l'uno all'altra. Adolfo a quando a quando apriva gli occhi, scuoteva la moglie sussurrando: "Virginia, Virginia".
"Coraggio! Siamo arrivati in tempo". Esclamò il primo pompiere entrato dalla finestra. L'uomo si mise a sedere, guardò incredulo i soccorritori e disse: "Meno male. Stavolta devo proprio affermare che qualche santo in paradiso ha pregato per noi".
Si alzò in piedi, seguì uno dei soccorritori, che aiutandolo con una mano lo fece calare per la scaletta di corda che scendeva diritta su di un motoscafo. Virginia, priva di sensi fu portata a spalle.
"All'ospedale". Ordinò il più anziano, un uomo calvo, robusto, che a giudicare dal portamento doveva essere il capo.
Adolfo aveva gli occhi allungati sull'acqua, un mare melmoso che si perdeva a vista d'occhio. Teneva la mano destra stretta in quella della moglie per incuterle coraggio; ma quel corpo abbandonato sul fondo dell'imbarcazione non dava segno di vita.
Avrebbe voluto scuoterla, chiamarla, chiederle cosa si sentisse; ma si faceva riguardo di quei tre omoni indossanti dei grossi giacconi anfibi. E per giunta non si sentiva molto bene. Un malessere diffuso a tutte le ossa, poca voglia di muoversi, di parlare. Era seduto sul fondo dell'imbarcazione, ai piedi di uno dei soccorritori. Non pioveva più, il cielo era d'un grigio omogeneo e malinconico. Pensò al nido, alla rondine. "Almeno lei può volare, andarsene e tornare quando vuole al suo nido". Disse tra sé e sé. Poi si fece serio, l'espressione tremante di paura. Gli tornavano le immagini delle ultime ore, spaventose, raccapriccianti. Le bestie con la corda al collo spezzata, che tentavano di fuggire ad affogavano in quel diluvio d'acqua. Si consolò ché non soffrivano più.
"Povere bestie! Ora sono morte".
Piegò la testa vicino a quella di Virginia. La poveretta respirava a fatica, ansimava, sudava, non lo riconosceva.
Si alzò, lasciò andare gli occhi lucidi, pregni di lacrime sull'orizzonte grigio che si abbassava sulla vastità melmosa e scura dell'acqua.
Uno dei tre uomini allungò le mani nell'acqua e le ritrasse trattenendo un oggetto verde, di plastica. Lo sciacquò più volte per poi mostrarlo ai colleghi. Era un orinale.
"Che te ne fai?" Chiese il bassotto, un uomo goffo, tarchiato, due orecchie che si alzavano a ventola su un viso dalle sembianze di coniglio. L'uomo continuò a girare e rigirare tra le mani quell'oggetto e disse:
"Chissà da dove arriva! Sono cose che si usavano vent'anni fa".
Il bassotto allungò la bocca da un'orecchia all'altra e si mise a sghignazzare. "A me fa schifo. - Biascicò in modo scomposto - Chissà cosa ci hanno fatto là dentro!"
L'uomo nascose l'orinale dentro un tascone di tela.
"Lo terrò per ricordo dell'alluvione". E tacque; il vapore s'era fermato.
A qualche decina di metri sulla terra asciutta, una strada, dove erano parcheggiati dei camion. In uno di questi furono sistemati Virginia ed il marito. Il veicolo partì subito alla volta dell'ospedale.
 
Adolfo, con addosso un pigiama azzurro, passeggiava in su ed in giù per la stanza. Piano piano, attento di non far rumore socchiudeva la porta per spiare se arrivasse qualcuno. Girava lo sguardo sulla finestra, alta, a vetri opachi: aveva voglia di aprirla per diluire quell'odore stantio e nauseante d'ospedale; ma temeva che l'aria fresca potesse nuocere alla sua Virginia, immobile sul letto accanto al suo, il viso imperlato di gocce fredde.
Non parlava, non rispondeva ai richiami, respirava a fatica.
Si udirono dei passi avvicinarsi alla porta, in un salto Adolfo fu nel suo letto. Entrarono quattro uomini in camice bianco; l'ultimo, l'andatura più dimessa, la beretta ammaccata di sghimbescio fino alle orecchie, era un infermiere. Il più anziano, i capelli grigi e radi, il viso grassoccio, l'espressione da bonaccione, si fece sollevare la paziente, l'auscultò, numerò i battiti del polso. S'informò della temperatura. Scrollò la testa.
"Speriamo" bisbigliò con un filo di voce, come se fosse timoroso di svegliarla. Si girò sul letto accanto, guardò il paziente, gli sentì il polso.
"Questo non ha proprio nulla. Perché è ricoverato?"
"È uno degli alluvionati. Il marito della signora". Rispose l'infermiere e con la mano indicò il letto di Virginia. La compagnia uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Che male aveva Virginia? Tutto quel viavai di medici, quel visitarla, ascoltarla, parlare in modo dimesso e frammentario. "Speriamo". Aveva farfugliato il più anziano, stringendo le labbra per trattenere la voce. Allora Virginia è grave. Rimuginava il pover'uomo. Si alzò, si fece con l'orecchio vicino alla bocca della paziente. Un respiro aspro, accelerato, di piccola capacità usciva ora lieve ora rumoroso da quelle labbra. Le passò una mano sulla fronte. Era calda, attraversata da brevi rigagnoli di sudore gelati. Tornò nel suo letto con una gran voglia di piangere.
Nel frattempo tornò l'infermiere con un flacone tra le mani, bucò il braccio della poveretta, si diede da fare per sistemare il contenitore, fino a che ne gocciò lento, regolare il liquido nella vena.
"Questo perché non può mangiare. - Disse l'uomo e, giratosi verso il marito aggiunge: - Certo che l'avete scampata bella!"
"Scampata bella". Dunque erano salvi; anche Virginia sarebbe tornata in salute.
"Da quanti giorni aspettavate?"
"Un giorno o due". Rispose Adolfo.
"Con tutto quel freddo e senza mettere nulla nello stomaco! È ben robusto lei ad essere ancora intatto".
Seguì qualche istante di silenzio, si sentiva l'ànsito frequente di Virginia, il fruscio della mano di Adolfo, che sistemava il guanciale e con voce timorosa chiedeva:
"Che male ha mia moglie?"
"Broncopolmonite bilaterale".
A quella risposta l'uomo si fece dapprima serio serio; poi un pallore profondo invase le sue guance. Anche sua mamma e suo nonno erano morti, vittime di quel male. Se n'erano andati in tre o quattro giorni senza avere il tempo di dire "mi sento male".
Dopo alcuni istanti l'infermiere intervenne:
"Con le cure del giorno d'oggi se la caverà. Due milioni di unità di batociclina ed infusioni poli vitaminiche ventiquattro ore su ventiquattro".
Adolfo tornò ad essere solo. Avvicinò una sedia al capezzale di Virginia, le prese una mano, le tenne stretta stretta per ore ed ore, osservando di tanto in tanto se gli occhi della poveretta si aprissero, ascoltando se il respiro fosse meno aspro. Non pensava a nulla, attendeva sonnecchiando e sperando.
Erano tre giorni che durava l'agonia di Virginia, l'uomo era disteso sul suo letto, intento a seguire sul soffitto dei ciondoli di sole fuggiti ai rami mossi dal vento, sostavano, si muovevano, si moltiplicavano, quando udì la voce della moglie. Tutto orecchi si mise a sedere.
"Battista, Battista, non andare. Oggi il fiume è brutto. Resta a casa; ti ho stirato i calzoni, la camicia azzurra per domenica. Sarà qua Rosetta. È una brava ragazza". Il discorso s'interruppe.
Adolfo corse in fretta al capezzale della moglie, la strattonò per un braccio, la tirò per una mano.
"Virginia, Virginia, sono Adolfo. Non mi riconosci?"
Il mattino dopo, di buon'ora, arrivò l'infermiere ad aprire gli scuri. Un raggio di luce vivo, sereno entrò dal riquadro della finestra, balzò luminoso sul volto di Virginia, che aprì gli occhi, tentò di mettersi seduta e ricadde ancora supina.
"Stia tranquilla. Non si muova. - Raccomandò l'infermiere e rivolto al marito disse: - È molto debole e delira giorno e notte. Non l'ha sentita?"
"L'acqua, quanta acqua. È il fiume pieno di fango, arrivato a trovarci in casa. La stalla, le bestie... Tutto è perduto". Queste parole pronunciò chiare l'ammalata, gli occhi frastornati dal fascio di luce; ma vivi ed aperti.
Si girò dalla parte del marito, seduto sul letto con la scodella tra le mani.
"Dove siamo?" Gli chiese. Adolfo le saltò a fianco. Gli occhi rossi, sorridenti disse:
"Finalmente. - E pareva un altro uomo. - Vuoi del brodo, del latte? Infermiere, - questi s'era ritirato in un angolo - porti del caffelatte, dei biscotti. A Virginia piacciono tanto". Parlava e, saltellando, si spostava attorno al letto della moglie. La guardava per sincerarsi che fosse vero, le chiedeva:
"Mi riconosci, è vero?"
"Adolfo, non mi hai ancora raccontato cosa è successo.
Sono molto debole".
"Infermiere, uno zabaione, del caffè, deve tirarsi su".
Continuava a dire Adolfo e si era fatto davanti all'uomo, che impassibile rispose:
"Senza l'ordine dei medici non posso darle nulla. Abbiate pazienza..." E se ne andò.
 
"Non vedo l'ora di arrivare. - Borbottava Adolfo, seduto accanto alla moglie nell'ambulanza e continuò : - Perché questa carretta non corre più veloce? Sobbalza ad ogni buca. Manchiamo da casa da oltre un mese. Chissà!" Tacque, il viso gli si fece oscuro, stava ripensando ai giorni della catastrofe. Il grande lago giallognolo, imponente, senza fine. I tonfi, gli schianti, Virginia rantolante, senza vita, i medici vestiti di bianco, con i loro paroloni incomprensibili. Dei veri maghi però, l'avevano resuscitata.
Piano piano al vedere la moglie vicina ed in salute gli tornava l'umore, l'animo si ricaricava di speranza. Forse col bel tempo il grano sarebbe rigermogliato, il vigneto sarebbe tornato a fiorire di tralci rigogliosi e forse nella stalla avrebbero trovato qualche bestia viva. La donna lo guardava pensosa, ascoltava il ronzare del motore; di tanto in tanto interrompeva il silenzio con qualche sorriso.
L'ambulanza frenò, dai vetri opachi filtrava qualche pallido bagliore di sole. Fuori era un silenzio di tomba.
"In fin dei conti possiamo chiamarci fortunati. Potevo morire senza accorgermi". Disse in tono garbato la donna.
La porta si aprì. Un infermiere aiutò i due a scendere.
"Siamo arrivati"; disse, e subito l'ambulanza ripartì.
I due muti, immobili sul posto dove erano stati scaricati, gettavano occhiate tutto attorno. Una spianata grigia di fango secco si allungava a perdita d'occhio. Adolfo con la moglie per mano si precipitò verso i campi coltivati a frumento. Un solo colore grigio. Creta, non virgulti di grano, né fili d'erba. Andò al vigneto: un arrotamento scombinato, scapestrato, confuso di pali e viti; alcune erano state sradicate. La stalla vuota, pantanosa, la greppia chiazzata di muffa.
"Possibile! E Roma, la Rossa? Più niente". Esclamò a mala pena. I due si guardarono imbarazzati di dolore. Più nulla. Tutto s'era portato via il fiume.
Una voce li distolse. Venivano avanti i Greppi con i figli, Fausto Molcesi con la moglie.
"Anche a noi è successo. Anche a noi... È già da un po' che siamo tornati. Abbiamo risistemato il vigneto, seminato il mais. Vi aiuteremo. Non temete. Oggi siete nostri ospiti, domani riprenderemo a lavorare".
Il gruppo s'incamminò verso la casa dei Greppi.
"Oggi spaghetti col pesto e uova al funghetto. È vero, Maria? A proposito le vacche e tutte le altre bestie sono state sotterrate. Dicono che il governo ci invierà dei capi di bestiame gratis".
Virginia ed Adolfo ascoltavano, seguivano i vicini, restando qualche passo più indietro. Da lontano arrivava il clamore del fiume. Una voce allegra di leggeri sciacquettii, fertile di nuove promesse, l'unica ancora viva in quelle aie deserte.
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10° classificato p.m. al concorso Il Club degli Autori 1999-2000
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agg. 12 febbraio 2001