Scrittori italiani contemporanei
Rino Passigato
Ha pubblicato il libro

Rino Passigato, Il ritorno, editrice Montedit, 1999,

pp. 48, Lit. 10.000, ISBN 88-86957-80-7

Prefazione
 
A nemmeno un anno di distanza dalle poesie de "La grande illusione", ritroviamo Rino Passigato con questa nuova raccolta il cui titolo, come avveniva per quella precedente, introduce contenuti, e, a ben guardare, anche stile della silloge. Contenuti o, per meglio dire, contenuto: le liriche di Passigato sono infatti concentrate intorno a nucleo ben individuabile, quello per l'appunto del "Ritorno" alle proprie origini, alle proprie radici, alla propria terra. Finalmente. E par di sentire il respiro di gioia, tanto più intensa quanto più è stato forzato l'antico distacco. Par di sentirlo mescolato alle voci della campagna, ai mille ricordi che improvvisamente ritornano - di fronte a uno scorcio, un'improvvisa brezza, una voce sottile - tutto rappreso e concentrato nel subitaneo defluire della memoria, ormai non più prigioniera della città e dei tempi della fabbrica. Perché solo quando si ritorna a essere completamente liberi, solo allora è possibile affacciarsi dalla finestra della propria coscienza e contemplare il variegato paesaggio dei giorni passati, senza il timore che rimpianto e nostalgia tolgano la forza di affrontare tutto quel che resta. Questa condizione privilegiata coincide spesso con la vecchiaia o con l'approssimarsi di essa (la terza età, come la chiama l'ipocrita vocabolario che si sforza di cambiare i nomi, con l'idea di non offendere nessuno, e finisce con l'appiattire e il mortificare le realtà che quelle parole dovrebbero rappresentare). Vecchiaia. Generosa età del riposo, della tenerezza, della riflessione. E non è un'immagine stereotipata, questa. Basta guardarli, questi sessantenni (ricordate? per secoli, e fino a non molto tempo fa, era considerata un'età venerandissima, pochi ci arrivavano) del Duemila, che coniugano con saggezza il proprio tempo distribuendosi tra nipoti, amici, hobby e passioni.
E c'è un'altra cosa, fondamentale, legata alla vecchiaia. Le radici. L'uomo non è nulla senza radici. Il nostro paese, specie nel secondo dopoguerra, è stato percorso infinite volte da gente in viaggio: una valigia, dietro un paese piccolo, povero, magari semidistrutto dai bombardamenti, e davanti la città che accoglieva (ingoiava?) uomini e valigie. Quella generazione di mezzo che ha trasportato affetti e famiglie da un capo all'altro d'Italia, e che ora si appresta a invecchiare, è l'unico legame che ci resta (a noi figli) con quel passato di cui non siamo che l'ultimo lembo. Ascoltiamo, dunque, le loro parole. Ci porteranno lontano, fin nel cuore di noi stessi.
Ci è sembrato che questa digressione iniziale fosse un buon modo per entrare in sintonia, prima ancora che con i versi, con le intenzioni dell'autore e la sua voglia di comunicare, innanzi tutto, infinito amore per le proprie radici. E ciò ha senz'altro un sapore nostalgico e intimista, di esperienza del tutto individuale; ma al contempo va nella direzione sopra accennata e diventa stimolo affinché la memoria del passato non vada a finire in discarica insieme ai rifiuti metropolitani; ma, al contrario, perché venga conservata insieme alle cose più preziose. Con la consapevolezza che ritrovare le radici può, tuttavia, anche essere doloroso. La poesia di Passigato non si svolge infatti in un mitico passato che il tempo non corrode, ma è al contrario profondamente inserita nel presente, e ne conta le cicatrici una per una. Le quattro case vecchie del suo paese sono sparite. A loro posto "ville e palazzi nuovi di zecca, / fabbriche e fabbrichette / seminate un po' dovunque / le strade attraversate da un pandemonio di veicoli. E poi non ci sono più i crocchi di vecchi, / seduti sulle sedie davanti all'uscio / con la pipa nera di fumo in bocca, / che avevano sempre tante cose da raccontarsi / e sulla strada polverosa i bimbi che si rincorrevano / senza pericolo d'essere investiti". Ma c'è una cosa che non è cambiata. È un nastro di velluto lucente che scorre tra ieri e oggi, e scorrerà per sempre: è il Sile, il fiume che in questi versi diventa il filo conduttore della memoria. "Solo il Sile è rimasto tale e quale, - scrive il poeta - divertente ospitale e curioso, / con qualche piccola imbarcazione a remi / che vi passeggia sopra". E più avanti: "il fiume di sera ha una voce diversa, / che buca vivace il silenzio. Una voce che porta con sé i sussurri delle erbe, / le corse dei pesci, / i racconti delle sirene..." Il fiume, dunque, è carico di memorie, ma solo per chi sa ascoltarne la voce. E vi sa ritrovare anche i racconti, le fantasie e i giochi di un tempo. Così si introduce un altro elemento che spesso fa capolino nei versi di Passigato: la fanciullezza che ritorna, proprio ora, quando è anagraficamente più lontana. Eppure non è un'eresia, anche se a molti cultori del giovanilismo potrà sembrare tale. Quando mai, se non da bimbi e da vecchi, si ha tutto il tempo a disposizione?
"Voglio agguantare fino alla fine" - esclama Passigato - "code di arcobaleni,/ promontori di nuvole, / virgole di gioia..." Per donarli alla moglie, ai figli e ai nipoti. E un po' anche ai lettori, che leggendo questi versi scritti in fil di prosa si troveranno immersi in una natura fresca e viva, descritta con penna felice, e guidati con mano sicura attraverso il viaggio della memoria che prima o poi ci attende tutti.
 
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Agg. 26 gennaio 2001