Scrittori italiani contemporanei
Rino Passigato
Ha pubblicato il libro

Rino Passigato, La grande illusione, editrice Montedit, 1998,

pp. 64, Lit. 12.000, ISBN 88-86957-39-4

Prefazione
 
Questa nuova raccolta di Rino Passigato - poeta e scrittore veneto alla sua terza pubblicazione in versi - riunisce una sessantina di poesie composte tra il 1990 e il 1993 sotto il titolo La grande "illusione", titolo già ampiamente anticipatore dei contenuti del volume. Le poesie di Passigato, infatti, presentano carattere fortemente unitario e interna coerenza determinate da un'ispirazione nata quasi sempre dalla presa d'atto - talvolta amara, talvolta rassegnata, talvolta anche stupita - dell'illusione in cui tutti ci muoviamo: la vita. O meglio, il trascorrere della vita. Giunto all'età matura, Passigato riflette su quel tic tac del tempo che ha travolto i giorni e gli anni; con pazienza cerca di ricucire i fili del passato per trovare un senso alla fretta, a quell'ansia di vivere che ci fa bere d'un sorso il presente per vedere cosa nasconde il fondo del bicchiere; e ci fa rimanere lì, attoniti, a contemplare un vetro bianco. Dunque, niente? La vita è solo una grande illusione?
Certo, ci dice il poeta. Ma che meravigliosa illusione, se si asseconda il suo gioco. E c'è poi un'idea, un conforto, una speranza che può accogliere nel suo seno chiunque si senta come un naufrago nell'oceano. Non a caso la raccolta si apre con la poesia "Allora Ti cerco", dichiarazione di poetica, di vita e di fede: "Allora Ti cerco … / nella grazia di un bocciolo che si apre, / nel campo che ha partorito bionde messi, / nei segreti che nasconde il grembo d'una donna gravida. / Vi scopro la mano del Tuo amore. / E tornano ad accendersi / di gemme d'oro le guance del cielo, / né più mi suona vuoto lo scalpiccio dei miei passi, / né sa di pochezza / il fatidico tic tac del tempo". In questi versi c'è già molto di quello che incontreremo leggendo più avanti: l'amore per la natura colta nelle sue multiformi meraviglie, anche le più umili, il disagio dell'uomo che sente la sabbia del tempo franargli sotto i piedi, il coraggio di dichiarare la propria resa incondizionata a Colui che sa ogni cosa: anche il perché noi dobbiamo restare all'oscuro di tutto. Anche se quest'ultimo aspetto, per la verità, non viene più ripreso in modo così diretto e scoperto. Lo si intuisce, però, quasi ad ogni passaggio. Ovunque si coglie l'occhio del poeta intento a rimirare la natura, facendone un balsamo del cuore, lì si respira la medesima aria di stupefatto amore per Chi quelle meraviglie ha creato. E c'è da dire che proprio tra questi versi si possono trovare alcune tra le cose migliori della raccolta: la partecipazione di Passigato alle bellezze naturali non è mai episodica (naturalmente, poiché nasce da una precisa filosofia di vita) né superficiale o retorica. Si avverte sempre una genuina ed estasiata ammirazione per la vita del mondo, quella vita che gli uomini troppo spesso dimenticano credendosi protagonisti assoluti (ed essendo invece solo comparse: è questo un altro chiaro messaggio dell'autore, apertamente affermato nelle poesie in cui compare il simbolo dell'atomo, cioè dell'uomo come pulviscolo dell'universo); come se il poeta entrasse in empatia con tutto ciò che lo circonda, respirando e bevendo profumi, colori e atmosfere. Si veda ad esempio "L'Adriatico di gennaio: … è ancora più bello: / i fragili brividi di Bora / che gli grinzano la schiena, / il profumo di sale che insaporisce la spiaggia, / il manto trasparente di foschia / che gli cade sulle spalle…; oppure Di sera: Vagiti di nuova vita escono dalla campagna, / che si veste d'attesa / per accogliere i teneri bagliori della luna; / rischiareranno lo stupore dell'erba fresca di verde, / il bianco garbo delle magnolie / incolumi alle insidie delle fabbriche vicine; o, ancora, Il fascino della luce: Raccolgo il filo d'oro / che irrompe dalla fessura / e giocoso dopo il temporale girella / tra le orbite malinconiche della mia anima. / Battiamo le mani alla magica destrezza della luce, / che cesella di brillii d'oro le gocce di pioggia…"
Si capisce allora come non possano mancare accenti dolorosi nel momento in cui l'occhio, distolto a malincuore dalla natura intatta, si volge a quella offesa e mutilata dall'uomo: "Uno stralcio malinconico di cielo grigio zinco, / un languido fruscio di foglie morte, / qualche chiazza verde smarrita nel ciarpame secco del prato". Con questi toni lividi si apre "Il mondo della fabbrica", poesia-pilota della serie scagliata dal poeta contro la società industriale e consumista, quella società che ha esaltato l'uomo al punto da farlo cadere nel peccato di Lucifero. E come in una bolgia infernale, infatti, vediamo gli "Uomini robot" evocati da Passigato muoversi come fantasmi doloranti in mezzo a catene di montaggio, automobili e grattacieli, ormai dimentichi di se stessi. A questi uomini che fanno "ogni giorno un passo avanti / senza attendere chi cade è dedicata La grande illusione", poesia con cui l'autore, nel sentirsi uomo tra gli uomini in quanto ignaro delle leggi che regolano la vita e il tempo, afferma comunque la sua diversità: la diversità di chi è ancora capace di gioire "perché il sole di marzo ha portato le rondini / perché lui ha perso il primo dentino / e lei ha imparato a dire "pronto" al telefono".
Anche i bimbi fanno spesso capolino tra i versi di Passigato, né poteva essere altrimenti dal momento che essi rappresentano la naturalezza del ciclo vitale che si rinnova, l'eterna primavera del mondo. I bimbi molto amati, come quelli ricordati più volte con l'affetto e la commozione che solo i nonni sanno provare; ma anche i bimbi negati, quei piccoli angeli dalle ali implumi che piangono per la vita che è stata tolta appena data ("Piccolo angelo"). Nessuna condanna etica, almeno manifesta, in questa poesia: solo la sofferta narrazione, in forma di fiaba, dello sgomento di quei piccoli che non potranno mai "seminare istanti di felicità sul volto della madre". Saranno solo stelle che brillano in cielo. Condanna manifesta, invece, è quella delle poesie ispirate alla drammatica guerra in Iugoslavia. In Perché tanto odio, ad esempio, i versi centrali sono invasi dallo sguardo del bimbo che vede solo armi e sangue, e non sa inventare altri giochi che quello della guerra, perché solo quella conosce.
L'andamento prosastico dei versi (alcuni dei quali molto lunghi) non fa che accentuare la complessiva atmosfera di poesia raccontata, magari al lume di candela, propria di chi ne ha abbastanza di urlatori di professione o di gente che ha sempre una risposta per tutto. E questa è una qualità che ci fa apprezzare ancora di più un poeta come Passigato i cui toni dimessi e piani lasciano trasparire ancor meglio la lezione di autentico amore per la vita che non può nascere se non dall'accettazione dei suoi misteri dolorosi.
 
Bianca Cerulli

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Agg 26 gennaio 2001