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inediti Online
"La vita come Mito e rappresentazione" di Paolo Ivan Tona inedito Online
- Romana
Canto settimo: L'imperatore - Canto ottavo:if - Canto nono: I tertiti - Canto decimo: Dell'arte - Canto undicesimo: Della Pietas - Canto dodicesimo:la lettera
- L'IMPERATORE
- E a questo saremmo giunti, che un lamento ci arrivasse agli orecchi, come uno strazio. Mai la pace aveva regnato ovunque, mai c'era stata tanta sicurezza e non solo si alzano voci, ma c'è chi è pronto a raccoglierle. L'Imperatore sa che qualsiasi meta raggiunta non basta, che nel benessere si riesce a rimpiangere un passato di miseria e che nel perfetto si sogna un futuro più radioso, in un orrendo connubio tra passato e futuro, come se il presente fosse un'entità inesistente e trascurabile e non s'avverta, ma questo è l'assurdo: si sogna l'unione e non si riesce ad essere che nella divisione e c'è chi dà tono a ciò e per ciò parteggia. Bene, lo ascolterà anche l'imperatore, che s'affacci sulla scena, anche a questo siamo pronti. " No, non parlare così, Divo Cesare, un qualcosa mi turba, un'antica leggenda che sentii bambina e che le tue parole fanno riaffiorare; la raccontò la nutrice: " Vedi, diceva allora, era il mondo popolato dagli Dei, cresciuta che fu la malvagità degli uomini, essi si ritirarono nell'olimpo, demandando a divinità naturali il compito di rimanere tra gli uomini e riferire . Riferito che ebbero queste della crescente malvagità degli uomini, essi le ritennero presso sé e barrarono le porte dell'olimpo. Qui vivono dimentichi dell'esistenza e non apportando più lenimento ad alcun dolore; più in basso gli uomini, dimentichi della divinità, traggono profitto dal dolore di altri uomini. Un giorno questi si ritrarranno nell'olimpo" E' una strana leggenda Divo Cesare, come temo che queste parole si riferiscano a noi come vorrei non ricordare, ma un'angoscia mi assale ""Dunque la moglie di Cesare teme ? Dunque bastano i fantasmi infantili ad annullare la forza di Cesare? No, Claudia, non così sono le cose, ma non voglio turbarti, manderò via questo corifeo, voglio che nulla turbi la mia casa. Non lo taciterò, tuttavia, io lo ascolterò, è il mio compito, io saprò intervenire, non è forse questo Cesare : prevedere e agire. Non trascuriamo nessuna voce, neppure la più insignificante; spesso cose che si presentavano di poco conto si sono rivelate sconvolgenti. Che sia cacciato lontano, ma non gli si chiuda la bocca, valuterò bene ciò che dice:
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- CANTO OTTAVO
- IF
- Questa sera ricordo Fabrizio
- Drogato di Firenze. Ospedale Careggi
- Girone dei dannati. Acromegalici
- Cushinghiani, Cefalagici e Drogati
- E nel corridoio (e il dolore
- mi squassava la faccia) " perché
- ancora vita ?" disse e io a lui
- "perché questa è la vita"
- Così lo penso e lo immagino bellissimo
- metà mio, metà della dolcissima madre
- in realtà solo di se stesso.
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- CANTO NONO
- I TERTITI
- Deserto e rocce e sole che ci arde
- e noi che andiamo incontro allo sterminio
- per volontà di saggi, noi che fummo
- fedeli a noi e liberi di essere
- Non la sorte per noi, bensì un umano
- disegno per le terrene cose
- ci stringe il fiato e ora ci dà morte.
- troppe lotte, è il decreto, troppe stirpi
- si battono aspramente, è tempo questo di
- Impero Universale
- si fondano le razze e le culture
- né lingue né costumi né abitudini
- diversi in mezzo agli uomini
- Babele è morta, non si può tollerare
- un genoma diverso.
- A lungo resistemmo, a lungo impavidi
- ci trovarono le armi e le blandizie
- sterile il seme e ingravide le donne
- non cedemmo giammai, nessuno chinò il capo
- di fronte alle sevizie e infine eserciti
- contro di noi, gli ultimi eserciti
- per stroncare i diversi
- E' questo il giorno è questo il primo sole
- dei nuovi Dei; a noi solo la morte
- ne ricordo ci sarà che cancellata
- è già la storia e nessuno ha memoria.
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- CANTO DECIMO
- DELL'ARTE
- Nobile Clito, figlia del dio bello
- di te dirò di quando tu nascesti
- dal ventre della terra e la più chiara
- tra le ninfe fosti e dissolvevi
- col tuo canto vibrante ogni pensiero
- che oscurasse la vita e bevevi
- le lacrime degli uomini e col sangue
- libavi degli uccisi e l'infinito
- Oceano ti bagnava il corpo
- età forte era quella età di vita
- a braccio della morte, età di forti
- vergine il mondo e ad ogni cosa il nome
- E tu crescesti e solo del più alto
- frutto dell'albero ti nutristi e l'acqua
- ti dissetò di limpida fontana
- e tu bella splendevi ed ai mortali
- gioia donavi più sottile e fine
- poi nulla reputasti fosse degno
- delle cose del mondo alla tua forma
- e solo di te stessa ti nutristi
- sin che ti dissolvesti: Nobile Clito
- nulla resta di te, il nulla è a noi
- ora che più non sei e il silenzio
- grava pesante sopra il nostro lutto.
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- CANTO UNDICESIMO
- DELLA PIETAS
- " Morte, morte che ghermisci e togli
- a noi ogni cosa e ci doni il nulla
- tu improvvisa, tu agra, tu sottile:
- giace Polibio sotto la tua coltre
- a me lo rubasti a me che nulla
- è rimasto se non che queste lacrime
- che sul tumulo verso e pazza spero
- che a me ritorni che tu lo riconduca
- a me dal buio che lo attanaglia.
- Ritornerò -disse- ritorneranno i baci
- sul tuo candido collo, ancora amore
- ci sarà per noi :
- O Polibio, Polibio, come si è infranto
- ogni tuo sogno e io che muta parlo
- a te muto e già dispero e ardo
- che dalla tomba esca la tua voce
- e mi consoli e mi riposi accanto
- Così parlò Ermione e poi che l'avversa
- stagione prese il mondo in sé si chiuse
- e con dolcezza attese
- che primavera giungesse e coi tepori
- del vento placasse il suo dolore
- E altri pianti saranno per Ermione.
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- CANTO DODICESIMO
- LA LETTERA
- Cos'è mai questo tuo atteggiamento ? Quale nesso vuoi che abbiano queste cose con noi? Il dare voce a così insignificanti vicende, il raccogliere lamenti, non è questo il compito che a te tocca
- So bene che queste cose esistono, ma è nel nome di un disegno infinito che avvengono le cose, e di questo disegno noi siamo i costruttori e gli artefici; ma tu irridi la nostra forza, ci presenti come un popolo di prevaricatori. Se abbiamo eliminato molte facilonerie ciò non significa che non siamo tolleranti, e il dettare delle regole necessariamente limitanti, è proprio ciò che ci ha permesso di affermarci; ma tu narri di eventi che nulla hanno da spartire con noi e con questi tenti di scalfirci: non così si governa e non scrivendo così si rende un servizio alla storia.
- Ed è per questo che la mia preghiera è che ti ravveda e non ti tocchi altra sorte oltre quella di essere compatito e tollerato, ma tu non recedi, più ti si richiama più insisti nel tuo dettato, quasi t'avesse colto una missione da cui non sai o non vuoi liberarti.
- Scrivi il tuo inno per Roma e tutte le tue colpe ti saranno perdonate.
- L'Imperatore è buono e saggio; Ave atque vale
- Petronio
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Inserito il 25 gennaio 2000