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Autori contemporanei
inediti Online
 
 
"La vita come Mito
e rappresentazione"
di
Paolo Ivan Tona
 
inedito Online
Romana
Canto settimo: L'imperatore - Canto ottavo:if - Canto nono: I tertiti - Canto decimo: Dell'arte - Canto undicesimo: Della Pietas - Canto dodicesimo:la lettera
 
Per leggere dal canto primo al canto sesto "Romana"
Per leggere dal canto tredicesimo al canto diciassettesimo "Romana"
Per leggere dal canto diciottesimo al canto ventunesimo "Romana"
 

CANTO SETTIMO

L'IMPERATORE
 
 
 
 
E a questo saremmo giunti, che un lamento ci arrivasse agli orecchi, come uno strazio. Mai la pace aveva regnato ovunque, mai c'era stata tanta sicurezza e non solo si alzano voci, ma c'è chi è pronto a raccoglierle. L'Imperatore sa che qualsiasi meta raggiunta non basta, che nel benessere si riesce a rimpiangere un passato di miseria e che nel perfetto si sogna un futuro più radioso, in un orrendo connubio tra passato e futuro, come se il presente fosse un'entità inesistente e trascurabile e non s'avverta, ma questo è l'assurdo: si sogna l'unione e non si riesce ad essere che nella divisione e c'è chi dà tono a ciò e per ciò parteggia. Bene, lo ascolterà anche l'imperatore, che s'affacci sulla scena, anche a questo siamo pronti. " No, non parlare così, Divo Cesare, un qualcosa mi turba, un'antica leggenda che sentii bambina e che le tue parole fanno riaffiorare; la raccontò la nutrice: " Vedi, diceva allora, era il mondo popolato dagli Dei, cresciuta che fu la malvagità degli uomini, essi si ritirarono nell'olimpo, demandando a divinità naturali il compito di rimanere tra gli uomini e riferire . Riferito che ebbero queste della crescente malvagità degli uomini, essi le ritennero presso sé e barrarono le porte dell'olimpo. Qui vivono dimentichi dell'esistenza e non apportando più lenimento ad alcun dolore; più in basso gli uomini, dimentichi della divinità, traggono profitto dal dolore di altri uomini. Un giorno questi si ritrarranno nell'olimpo" E' una strana leggenda Divo Cesare, come temo che queste parole si riferiscano a noi come vorrei non ricordare, ma un'angoscia mi assale ""Dunque la moglie di Cesare teme ? Dunque bastano i fantasmi infantili ad annullare la forza di Cesare? No, Claudia, non così sono le cose, ma non voglio turbarti, manderò via questo corifeo, voglio che nulla turbi la mia casa. Non lo taciterò, tuttavia, io lo ascolterò, è il mio compito, io saprò intervenire, non è forse questo Cesare : prevedere e agire. Non trascuriamo nessuna voce, neppure la più insignificante; spesso cose che si presentavano di poco conto si sono rivelate sconvolgenti. Che sia cacciato lontano, ma non gli si chiuda la bocca, valuterò bene ciò che dice:
 
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CANTO OTTAVO
IF
 
Questa sera ricordo Fabrizio
Drogato di Firenze. Ospedale Careggi
Girone dei dannati. Acromegalici
Cushinghiani, Cefalagici e Drogati
E nel corridoio (e il dolore
mi squassava la faccia) " perché
ancora vita ?" disse e io a lui
"perché questa è la vita"
Così lo penso e lo immagino bellissimo
metà mio, metà della dolcissima madre
in realtà solo di se stesso.
 
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CANTO NONO
I TERTITI
 
 
Deserto e rocce e sole che ci arde
e noi che andiamo incontro allo sterminio
per volontà di saggi, noi che fummo
fedeli a noi e liberi di essere
Non la sorte per noi, bensì un umano
disegno per le terrene cose
ci stringe il fiato e ora ci dà morte.
troppe lotte, è il decreto, troppe stirpi
si battono aspramente, è tempo questo di
Impero Universale
si fondano le razze e le culture
né lingue né costumi né abitudini
diversi in mezzo agli uomini
Babele è morta, non si può tollerare
un genoma diverso.
A lungo resistemmo, a lungo impavidi
ci trovarono le armi e le blandizie
sterile il seme e ingravide le donne
non cedemmo giammai, nessuno chinò il capo
di fronte alle sevizie e infine eserciti
contro di noi, gli ultimi eserciti
per stroncare i diversi
E' questo il giorno è questo il primo sole
dei nuovi Dei; a noi solo la morte
ne ricordo ci sarà che cancellata
è già la storia e nessuno ha memoria.
 
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CANTO DECIMO
DELL'ARTE
 
Nobile Clito, figlia del dio bello
di te dirò di quando tu nascesti
dal ventre della terra e la più chiara
tra le ninfe fosti e dissolvevi
col tuo canto vibrante ogni pensiero
che oscurasse la vita e bevevi
le lacrime degli uomini e col sangue
libavi degli uccisi e l'infinito
Oceano ti bagnava il corpo
età forte era quella età di vita
a braccio della morte, età di forti
vergine il mondo e ad ogni cosa il nome
E tu crescesti e solo del più alto
frutto dell'albero ti nutristi e l'acqua
ti dissetò di limpida fontana
e tu bella splendevi ed ai mortali
gioia donavi più sottile e fine
poi nulla reputasti fosse degno
delle cose del mondo alla tua forma
e solo di te stessa ti nutristi
sin che ti dissolvesti: Nobile Clito
nulla resta di te, il nulla è a noi
ora che più non sei e il silenzio
grava pesante sopra il nostro lutto.
 
 
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CANTO UNDICESIMO
DELLA PIETAS
 
" Morte, morte che ghermisci e togli
a noi ogni cosa e ci doni il nulla
tu improvvisa, tu agra, tu sottile:
giace Polibio sotto la tua coltre
a me lo rubasti a me che nulla
è rimasto se non che queste lacrime
che sul tumulo verso e pazza spero
che a me ritorni che tu lo riconduca
a me dal buio che lo attanaglia.
Ritornerò -disse- ritorneranno i baci
sul tuo candido collo, ancora amore
ci sarà per noi :
O Polibio, Polibio, come si è infranto
ogni tuo sogno e io che muta parlo
a te muto e già dispero e ardo
che dalla tomba esca la tua voce
e mi consoli e mi riposi accanto
 
Così parlò Ermione e poi che l'avversa
stagione prese il mondo in sé si chiuse
e con dolcezza attese
che primavera giungesse e coi tepori
del vento placasse il suo dolore
 
E altri pianti saranno per Ermione.
 
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CANTO DODICESIMO
LA LETTERA
 
Cos'è mai questo tuo atteggiamento ? Quale nesso vuoi che abbiano queste cose con noi? Il dare voce a così insignificanti vicende, il raccogliere lamenti, non è questo il compito che a te tocca
So bene che queste cose esistono, ma è nel nome di un disegno infinito che avvengono le cose, e di questo disegno noi siamo i costruttori e gli artefici; ma tu irridi la nostra forza, ci presenti come un popolo di prevaricatori. Se abbiamo eliminato molte facilonerie ciò non significa che non siamo tolleranti, e il dettare delle regole necessariamente limitanti, è proprio ciò che ci ha permesso di affermarci; ma tu narri di eventi che nulla hanno da spartire con noi e con questi tenti di scalfirci: non così si governa e non scrivendo così si rende un servizio alla storia.
Ed è per questo che la mia preghiera è che ti ravveda e non ti tocchi altra sorte oltre quella di essere compatito e tollerato, ma tu non recedi, più ti si richiama più insisti nel tuo dettato, quasi t'avesse colto una missione da cui non sai o non vuoi liberarti.
Scrivi il tuo inno per Roma e tutte le tue colpe ti saranno perdonate.
L'Imperatore è buono e saggio; Ave atque vale
Petronio
 
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Inserito il 25 gennaio 2000