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"La vita come Mito e rappresentazione" di Paolo Ivan Tona
- Romana
Ouverture- Canto Primo I greci - Canto secondo:I buoi - Canto terzo: Il viaggio - Canto quarto: Niso - Canto quinto: Il tempo - Canto sesto: gli usi persici
- Reggere l'Impero, come fare
- se i cittadini sono tutti anarchici?
- tu prova, tu soppesa la bilancia.
- CANTO PRIMO
- I GRECI
- Che in inglorioso modo sia finita
- la vita
- era destino che così volgesse
- la messe
- da più sicure mani fu raccolta
- accolta
- in granai fidi e sicuri
- La troppa libertà ci ha rovinati
- ci ha ridotti schiavi la saggezza
- tra la nostra coinè e quel dialetto
- estremamente barbaro ha deciso
- qualcosa che era a ciò del tutto estraneo
- Qui il pensiero si afferma con la spada
- nuovi armamenti dovevano inventare
- i nostri governanti più che fare
- disquisizioni egregie sulle cose
- Nella cosa è il destino della cosa
- e gli accidenti volgono alla cosa
- perché non sia sottratta al suo destino
- Li tengono nei circhi e fanno scherno
- della cadenza sinuosa e ampliativa
- ripetitiva è la triste strofa
- ma questo lo ignorano al momento
- sgomento sarà il volto e l'atroce
- voce ripeterà queste cadenze
- demenza coglie prima o dopo e dura
- si fa la lotta per la sopravvivenza
- Beato chi sta al centro delle cose
- chi delle cose coglie l'avvenenza
- e può dire che tutto è la parola
- nelle armi può dire sta l'essenza
- Orrendo, orrendo, mostruoso e orrendo
- a mezzo della disputa trovarsi
- fuga non si trova che allo scampo
- porti e strappi via dai maramaldi
- La vanità li rode e li consuma
- li brucia come fiamma l'ambizione;
- l'asino noi si diventa e ci si gioca
- di sopra la partita, la contesa
- acre si fa per riempire il fosso
- varia l'argilla sotto mano esperte
- Ma i castelli di sabbia frange il mare
- scava l'acqua che gocciola la pietra
- la vanità che suona la sua cetra
- arrestare non può il fatale andare
- Qui non si esce che per funerali
- le ali
- qui non battono da tempo
- il vento
- non filtra oltre la porta
- è morta
- la parola nella strozza
- Malaugurato chi non corse al tempo
- chi non colse al momento l'occasione
- chi si isolò senza essere isolato
- seguendo un sogno e ne restò stregato
- Ma mortale è la vita e finché dura
- sesso e potere son sovrastruttura
- alienano i conviti e la bellezza
- la salute del corpo dà l'ebbrezza
- Libera nos Domine ab afflictione
- dalla scienza che diventa opinione
- dall'opinione libera nos Domine;
- dalla necessità che non fa scienza
- di fragile materia costruito
- distrutto è il corpo! Fa che non sia
- disperazione, Madre, la preghiera
- l'indecisione caccia che il tormento
- più ci allontana e più ci inaridisce
- Togli Signore dal mondo l'opinione
- toglici dalla dura costrizione
- più dolce è la preghiera se serena
- la voce si alza di certezza piena.
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- CANTO SECONDO
- I BUOI
- Siamo esiliati in patria;
- peggior sorte di questa raramente
- qualcuno ha avuto; buoi al macello
- peggior sorte non hanno, stare in attesa
- al giugulo e rinviati
- al giorno appresso e poi al giorno ancora
- Tutto si può su noi, nessuna Legge
- preserva la nostra carne, in catalessi
- l'anima è posta, unica fuga era questa
- per lei, rimasto è il corpo
- al gioco dei ragazzi rivessato
- Legheranno l'uretere, rigonfierà l'urina
- la nostra carne, ci stordirà il fetore dello sterco
- nella stalla, in attesa dell'evento
- Mai giungerà!
- Leggi non sono per stranieri in patria,
- divino limite non c'è, non c'è l'umano
- ritegno per la carne
- voce non s'alza che preservi il lutto,
- brivido si fa il muggito, di piacere
- li inebria il nostro sangue quando fiotta,
- poi ci spingono fuori con la sferza
- legge non c'è che imponga loro il Fato,
- ben sicuri essi sono, non s'alzerà per noi
- nessuna spada vindice, nessuna sferza
- percuoterà le loro carni per vendetta;
- parenti e amici hanno rinnegato ogni cosa di noi
- che ben ci accada ciò che ci accade
- e ci si addica il lutto
- Ed è esilio per noi la nostra casa
- la terra che ci nutrì copre il suo volto
- se condotti al macello supplichiamo
- che s'apra e inghiotta noi e la genia
- dei vessatori pavidi dei prezzolati imbelli.
- Non crediamo alla Morte! troppe volte
- la lama si è retratta, troppe volte
- appesi per i piedi abbiamo atteso
- la strozza aprirsi!
- Altro Fato non c'è per noi che questo
- non c'è uscita per noi dal labirinto!
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- CANTO TERZO
- IL VIAGGIO
- Oltre le case, il mare. Il vasto Oceano ci prenderà; è questa l'ora di prendere il largo. Dal nostro Tempo fummo estranei, dal nostro come da qualsiasi altro. Via via le passioni scemano, gli ideali svaniscono e ci troviamo a inseguire un qualcosa che noi stessi non sappiamo e annaspichiamo in ricordi che vorremmo ci facessero vibrare e invece non suscitano alcuna emozione; forse un sogno, forse un errore della mente in quest'ora scandita mentre senza slancio ci appressiamo ad un viaggio in un Impero che non riusciamo più a comprendere. Stancamente saliamo sul vascello e tutto è in ordine e sul tavolo il foglio e la penna ci attendono, quasi a invitarci a narrare cose strabilianti e invece noi sappiamo che nulla potrà interessarci e se anche ci giungesse qualche voce, noi non la sapremmo comprendere. Le cose si susseguono, a volte sembrano stagnare ,a volte incalzano, in questo noi non siamo che disattenti spettatori di uno spettacolo tanto desiderato e che ora più non interessa .
- L'Impero, la Repubblica, la Legge, tutto ci lascia indifferenti e tuttavia non possiamo rinunciare al viaggio anche se non ha meta e nessuno ci attende se per procellosi mari e per alterne vicende noi giungeremo. Di certo avremmo voluto un altro cuore, avremmo voluto non essere così stancamente oziosi sino a rinunciare a credere in noi stessi, nella nostra volontà alla nostra ricerca. Partimmo ben più coraggiosi e ora ci sembra che una patina di ridicolo copra tutte le nostre cose, nostre e di altri. Non c'è parola scritta che ti salvi, non c'è eco che riverberi una frase, cenere quello che fu lasciato, evanescente quello che cerchiamo. Eppure andiamo, come se la stanca stagione non volesse altro da noi che percorrerla senza che essa ci dia qualcosa di sé, chissà se spinti da improvvisi bisogni non riusciremo a trovare quel nome per cui partimmo e che tutto racchiude. Proiettati da una notte senza sogni in questa luce ci avviamo verso un'altra notte: riempire il giorno, è l'ordine dei padri e proprio noi non vorremmo eseguirlo.
- CANTO QUARTO
- NISO
- E sarà questa notte di Agosto
- e sarà questa notte ma è paura
- ritrovare un amico perduto
- --e qui è il passo dell'infinito,
- a questo punto avevamo lasciato Dio.
- E sarà questa notte d'Agosto
- in un'angoscia sul libero arbitrio
- a metterti paura raccontare
- cose che non dividi con nessuno
- ---da quanto tempo non dividi con alcuno
- le tue angosce? e chi ti ascolta
- le saprà ascoltare? Non credere alle donne
- queste angosce non hanno nessun corpo
- e non vogliono corpi a consolarle.
- Ma è una strana paura che ti toglie
- il fiato a cominciare del discorso.
- Sino a che punto i nostri passi sono
- dettati da noi stessi, a quale punto
- s'inserisce quel quid che non concede
- che il passo possa essere diverso
- come diverse vie che ci conducono
- ad una sola orma, che ci aspetta;
- ma esiste questa orma o siamo noi
- che dopo averla calcata annaspichiamo
- in un tetro dejà vù che non concede
- altra uscita che non sia accettazione?
- ma è mai possibile questo o sono solo
- le poche varianti di un destino
- che non è mai esistito?
- Forse la Morte? Non credo!
- Penso che morirei in questo istante
- pur di sapere. E se poi non c'è nulla?
- Non saprei! Sarebbe atroce! Non potresti
- saper di non sapere! So che c'è sempre
- un numero più alto, il numero è infinito
- un astratto che indica un concreto
- e se i concreti finiscono tu puoi continuare
- ancora a numerare, crearti un infinito
- inesistente.
- Perché spezzi il discorso, perché non dici
- che non è l'infinito che t'angoscia
- perché dai colpe al Fato e non ammetti
- che i tuoi mali hanno un recapito a te noto
- Dove sei stato? Perché sei andato, Niso?
- troppo silenzio intorno a me , tu non andare;
- scaccia i fantasmi con la tua realtà
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- CANTO QUINTO
- IL TEMPO
- Tempo del tempo e tutto era nel tempo
- realtà che più non sono, ordine nuovo
- tempi antichi svaniti , civiltà morte
- e tu che chiedi cosa mai fosse
- al principio del tempo, quale ordine
- vegliasse sulle cose: io vegliardo
- gravido d'anni, stanco di memorie
- in quest'eremo vivo e contemplo
- le infinite fanìe e la solida
- certezza dell'essenza: era in Principio il tempo
- ed era all'uomo
- legge fisica amica che poteva
- compenetrarsi l'uno all'altro e tutto
- egli provava dell'umana ventura
- ché di infiniti uno era il corpo
- una la mente una la ragione
- e tutto egli provava ma atroce
- dono era questo ché il dolore
- entrava nella carne e frastornava
- ogni pensiero o palpito
- a ciò gli dei limite posero alla consustanza
- e legge imposero nuova che i corpi
- incompenetrabili fossero tra loro
- Questa è la prima storia, accanto a questa
- altre ne avvennero che sconvolsero il mondo
- Ma ora parla, dimmi chi ti spinse
- a queste rocce solitarie ed aspre
- tra cammini di sangue e di terrore
- sei tu un uomo eppure non somigli
- ad alcun uomo, non vuoi verità salde
- Tu vuoi il Tempo , ma sei solo nel Tempo.
- In principio era il tempo ed era il tempo
- divinità crudele che inghiottiva
- i propri figli e quello che creava
- contro il tempo si mossero gli dei
- aspra la lotta in bilico le sorti
- infine il tempo trionfò ma volle
- che procreando agli uomini concesso
- fosse di credere di aver tratto vanto
- Questo ora sai che nessuno ricorda
- quel che tu sai ora non è che cenere
- fu spenta la memoria; al quotidiano
- s'affannano i viventi
- quei pochi che partirono, perirono
- chi rimase, sta calcando la scena.
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- CANTO SESTO
- GLI USI PERSICI
- Lasciate che nidifichino gli uccelli
- lasciate loro un buco nelle case
- loro che Dio non hanno ma per loro
- il grano cresce e l'erba si matura
- vent'anni ,vent'anni andati via
- e briciole di veleno rabberciate
- per un ultimo orgasmo addominale
- e poi nulla e poi ancora orgasmi
- e braccia martoriate e sputi su noi
- Se veramente fossimo
- come l'erba del campo e ci soffiasse
- il vento sopra e allora più non fossimo
- sottilmente svanito ogni pensiero
- sottilmente rubata la vita
- vedo i suoni che diventano colori
- vedo me stesso fronteggiarmi e sono
- il nulla che stravolge ogni mia idea
- Ecco, il braccio è vostro, a voi l'ingiuria
- il progetto riesce, senza rischio
- portate la stoccata.
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Inserito il 25 gennaio 2000