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Autori contemporanei
inediti Online
 
 
"La vita come Mito
e rappresentazione"
 di
Paolo Ivan Tona
Romana
Ouverture- Canto Primo I greci - Canto secondo:I buoi - Canto terzo: Il viaggio - Canto quarto: Niso - Canto quinto: Il tempo - Canto sesto: gli usi persici
 
Per leggere dal canto settimo al canto dodicesimo "Romana"
Per leggere dal canto tredicesimo al canto diciassettesimo "Romana"
Per leggere dal canto diciottesimo al canto ventunesimo "Romana"
 
OUVERTURE
 
 
Reggere l'Impero, come fare
se i cittadini sono tutti anarchici?
tu prova, tu soppesa la bilancia.
 
 
CANTO PRIMO
I GRECI
 
 
 
Che in inglorioso modo sia finita
la vita
era destino che così volgesse
la messe
da più sicure mani fu raccolta
accolta
in granai fidi e sicuri
La troppa libertà ci ha rovinati
ci ha ridotti schiavi la saggezza
tra la nostra coinè e quel dialetto
estremamente barbaro ha deciso
qualcosa che era a ciò del tutto estraneo
 
 
Qui il pensiero si afferma con la spada
nuovi armamenti dovevano inventare
i nostri governanti più che fare
disquisizioni egregie sulle cose
 
 
Nella cosa è il destino della cosa
e gli accidenti volgono alla cosa
perché non sia sottratta al suo destino
Li tengono nei circhi e fanno scherno
della cadenza sinuosa e ampliativa
ripetitiva è la triste strofa
ma questo lo ignorano al momento
sgomento sarà il volto e l'atroce
voce ripeterà queste cadenze
demenza coglie prima o dopo e dura
si fa la lotta per la sopravvivenza
 
 
Beato chi sta al centro delle cose
chi delle cose coglie l'avvenenza
e può dire che tutto è la parola
nelle armi può dire sta l'essenza
 
 
Orrendo, orrendo, mostruoso e orrendo
a mezzo della disputa trovarsi
fuga non si trova che allo scampo
porti e strappi via dai maramaldi
La vanità li rode e li consuma
li brucia come fiamma l'ambizione;
l'asino noi si diventa e ci si gioca
di sopra la partita, la contesa
acre si fa per riempire il fosso
varia l'argilla sotto mano esperte
 
 
Ma i castelli di sabbia frange il mare
scava l'acqua che gocciola la pietra
la vanità che suona la sua cetra
arrestare non può il fatale andare
 
 
Qui non si esce che per funerali
le ali
qui non battono da tempo
il vento
non filtra oltre la porta
è morta
la parola nella strozza
Malaugurato chi non corse al tempo
chi non colse al momento l'occasione
chi si isolò senza essere isolato
seguendo un sogno e ne restò stregato
 
 
Ma mortale è la vita e finché dura
sesso e potere son sovrastruttura
alienano i conviti e la bellezza
la salute del corpo dà l'ebbrezza
 
 
Libera nos Domine ab afflictione
dalla scienza che diventa opinione
dall'opinione libera nos Domine;
dalla necessità che non fa scienza
di fragile materia costruito
distrutto è il corpo! Fa che non sia
disperazione, Madre, la preghiera
l'indecisione caccia che il tormento
più ci allontana e più ci inaridisce
 
 
Togli Signore dal mondo l'opinione
toglici dalla dura costrizione
più dolce è la preghiera se serena
la voce si alza di certezza piena.
 
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CANTO SECONDO
I BUOI
 
Siamo esiliati in patria;
peggior sorte di questa raramente
qualcuno ha avuto; buoi al macello
peggior sorte non hanno, stare in attesa
al giugulo e rinviati
al giorno appresso e poi al giorno ancora
Tutto si può su noi, nessuna Legge
preserva la nostra carne, in catalessi
l'anima è posta, unica fuga era questa
per lei, rimasto è il corpo
al gioco dei ragazzi rivessato
Legheranno l'uretere, rigonfierà l'urina
la nostra carne, ci stordirà il fetore dello sterco
nella stalla, in attesa dell'evento
Mai giungerà!
Leggi non sono per stranieri in patria,
divino limite non c'è, non c'è l'umano
ritegno per la carne
voce non s'alza che preservi il lutto,
brivido si fa il muggito, di piacere
li inebria il nostro sangue quando fiotta,
poi ci spingono fuori con la sferza
legge non c'è che imponga loro il Fato,
ben sicuri essi sono, non s'alzerà per noi
nessuna spada vindice, nessuna sferza
percuoterà le loro carni per vendetta;
parenti e amici hanno rinnegato ogni cosa di noi
che ben ci accada ciò che ci accade
e ci si addica il lutto
Ed è esilio per noi la nostra casa
la terra che ci nutrì copre il suo volto
se condotti al macello supplichiamo
che s'apra e inghiotta noi e la genia
dei vessatori pavidi dei prezzolati imbelli.
Non crediamo alla Morte! troppe volte
la lama si è retratta, troppe volte
appesi per i piedi abbiamo atteso
la strozza aprirsi!
Altro Fato non c'è per noi che questo
non c'è uscita per noi dal labirinto!
 
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CANTO TERZO
IL VIAGGIO
 
 
 
Oltre le case, il mare. Il vasto Oceano ci prenderà; è questa l'ora di prendere il largo. Dal nostro Tempo fummo estranei, dal nostro come da qualsiasi altro. Via via le passioni scemano, gli ideali svaniscono e ci troviamo a inseguire un qualcosa che noi stessi non sappiamo e annaspichiamo in ricordi che vorremmo ci facessero vibrare e invece non suscitano alcuna emozione; forse un sogno, forse un errore della mente in quest'ora scandita mentre senza slancio ci appressiamo ad un viaggio in un Impero che non riusciamo più a comprendere. Stancamente saliamo sul vascello e tutto è in ordine e sul tavolo il foglio e la penna ci attendono, quasi a invitarci a narrare cose strabilianti e invece noi sappiamo che nulla potrà interessarci e se anche ci giungesse qualche voce, noi non la sapremmo comprendere. Le cose si susseguono, a volte sembrano stagnare ,a volte incalzano, in questo noi non siamo che disattenti spettatori di uno spettacolo tanto desiderato e che ora più non interessa .
L'Impero, la Repubblica, la Legge, tutto ci lascia indifferenti e tuttavia non possiamo rinunciare al viaggio anche se non ha meta e nessuno ci attende se per procellosi mari e per alterne vicende noi giungeremo. Di certo avremmo voluto un altro cuore, avremmo voluto non essere così stancamente oziosi sino a rinunciare a credere in noi stessi, nella nostra volontà alla nostra ricerca. Partimmo ben più coraggiosi e ora ci sembra che una patina di ridicolo copra tutte le nostre cose, nostre e di altri. Non c'è parola scritta che ti salvi, non c'è eco che riverberi una frase, cenere quello che fu lasciato, evanescente quello che cerchiamo. Eppure andiamo, come se la stanca stagione non volesse altro da noi che percorrerla senza che essa ci dia qualcosa di sé, chissà se spinti da improvvisi bisogni non riusciremo a trovare quel nome per cui partimmo e che tutto racchiude. Proiettati da una notte senza sogni in questa luce ci avviamo verso un'altra notte: riempire il giorno, è l'ordine dei padri e proprio noi non vorremmo eseguirlo.
 
 
CANTO QUARTO
NISO
 
E sarà questa notte di Agosto
e sarà questa notte ma è paura
ritrovare un amico perduto
--e qui è il passo dell'infinito,
a questo punto avevamo lasciato Dio.
E sarà questa notte d'Agosto
in un'angoscia sul libero arbitrio
a metterti paura raccontare
cose che non dividi con nessuno
---da quanto tempo non dividi con alcuno
le tue angosce? e chi ti ascolta
le saprà ascoltare? Non credere alle donne
queste angosce non hanno nessun corpo
e non vogliono corpi a consolarle.
Ma è una strana paura che ti toglie
il fiato a cominciare del discorso.
Sino a che punto i nostri passi sono
dettati da noi stessi, a quale punto
s'inserisce quel quid che non concede
che il passo possa essere diverso
come diverse vie che ci conducono
ad una sola orma, che ci aspetta;
ma esiste questa orma o siamo noi
che dopo averla calcata annaspichiamo
in un tetro dejà vù che non concede
altra uscita che non sia accettazione?
ma è mai possibile questo o sono solo
le poche varianti di un destino
che non è mai esistito?
Forse la Morte? Non credo!
Penso che morirei in questo istante
pur di sapere. E se poi non c'è nulla?
Non saprei! Sarebbe atroce! Non potresti
saper di non sapere! So che c'è sempre
un numero più alto, il numero è infinito
un astratto che indica un concreto
e se i concreti finiscono tu puoi continuare
ancora a numerare, crearti un infinito
inesistente.
Perché spezzi il discorso, perché non dici
che non è l'infinito che t'angoscia
perché dai colpe al Fato e non ammetti
che i tuoi mali hanno un recapito a te noto
 
 
Dove sei stato? Perché sei andato, Niso?
troppo silenzio intorno a me , tu non andare;
scaccia i fantasmi con la tua realtà
 
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CANTO QUINTO
IL TEMPO
 
Tempo del tempo e tutto era nel tempo
realtà che più non sono, ordine nuovo
tempi antichi svaniti , civiltà morte
e tu che chiedi cosa mai fosse
al principio del tempo, quale ordine
vegliasse sulle cose: io vegliardo
gravido d'anni, stanco di memorie
in quest'eremo vivo e contemplo
le infinite fanìe e la solida
certezza dell'essenza: era in Principio il tempo
ed era all'uomo
legge fisica amica che poteva
compenetrarsi l'uno all'altro e tutto
egli provava dell'umana ventura
ché di infiniti uno era il corpo
una la mente una la ragione
e tutto egli provava ma atroce
dono era questo ché il dolore
entrava nella carne e frastornava
ogni pensiero o palpito
a ciò gli dei limite posero alla consustanza
e legge imposero nuova che i corpi
incompenetrabili fossero tra loro
Questa è la prima storia, accanto a questa
altre ne avvennero che sconvolsero il mondo
Ma ora parla, dimmi chi ti spinse
a queste rocce solitarie ed aspre
tra cammini di sangue e di terrore
sei tu un uomo eppure non somigli
ad alcun uomo, non vuoi verità salde
Tu vuoi il Tempo , ma sei solo nel Tempo.
In principio era il tempo ed era il tempo
divinità crudele che inghiottiva
i propri figli e quello che creava
contro il tempo si mossero gli dei
aspra la lotta in bilico le sorti
infine il tempo trionfò ma volle
che procreando agli uomini concesso
fosse di credere di aver tratto vanto
Questo ora sai che nessuno ricorda
quel che tu sai ora non è che cenere
fu spenta la memoria; al quotidiano
s'affannano i viventi
quei pochi che partirono, perirono
chi rimase, sta calcando la scena.
 
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CANTO SESTO
GLI USI PERSICI
 
Lasciate che nidifichino gli uccelli
lasciate loro un buco nelle case
loro che Dio non hanno ma per loro
il grano cresce e l'erba si matura
vent'anni ,vent'anni andati via
e briciole di veleno rabberciate
per un ultimo orgasmo addominale
e poi nulla e poi ancora orgasmi
e braccia martoriate e sputi su noi
Se veramente fossimo
come l'erba del campo e ci soffiasse
il vento sopra e allora più non fossimo
sottilmente svanito ogni pensiero
sottilmente rubata la vita
vedo i suoni che diventano colori
vedo me stesso fronteggiarmi e sono
il nulla che stravolge ogni mia idea
Ecco, il braccio è vostro, a voi l'ingiuria
il progetto riesce, senza rischio
portate la stoccata.
 
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Inserito il 25 gennaio 2000