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Autori contemporanei
inediti Online
 
 
"La vita come Mito
e rappresentazione"
 di
Paolo Ivan Tona
 

Alessandrina

Canto sesto: TA PROTIPA ( I MODELLI ) - Canto settimo:O DEI BEGLI OCCHI - Canto ottavo: EURIPE O DELL'ELEGIA CICLICA - Canto nono: O DEL CORPO PURO E DELLA MENTE - Canto decimo: O DELL'ESSENZA - Canto undicesimo: EPINICIO PER SIMONETTA - Canto dodicesimo: L'ALTRO, LO STESSO
 
Per leggere dal canto primo al canto quinto "Alessandrina"
Per leggere dal canto tredicesimo al canto diciassettesimo "Alessandrina"
Per leggere dal canto diciottesimo al canto ventiduesimo "Alessandrina"
 
Romana
Niuiorkese
CANTO SESTO
TA PROTIPA ( I MODELLI )
 
 
Così parlò e veloce, gettossi nella mischia il prode Achille, né lo atterrì di Pelìde il duro destino, né la non colta età, ché questo è il fiore di giovinezza: non avvedersi degli sforzi mal posti ; e molto combatté e molte, perdite addusse alle inimiche schiere, ché l'alta gloria spuntava, e non si avvide, oh lui tapino, oh lui nefandamente nato , che poi che morte decretava al puro al malinconico sconfitto la volontà di Era, nulla copriva più il sibilo di Paride. Di questo non si avvide e noi Greci, noi che lo avemmo eroe lo rimpiangiamo, e male pose la sua bellezza e male di tutto interpretò il segno, e già su di lui come avvoltoio, l'alto d'Omero carme ,aleggia, poi che di ciò si nutre il ricordo nei tempi.
Nel vuoto Ade il Piè-veloce impreca, nulla che lo abbagliò, ora è presente, né Oceanine lo cullano né dondolio di onde, ma di terra e sassi, nera notte lo avvolge. E piange il Divo Achille e pensa, a ciò che non conobbe alla tenera, età delle canizie, e già vecchio, tra i convitati sedere al convito, e dire allora della giovinezza, tra dolci motti i peana, alti elevati nell'insanguinata, piana di Troia, e dell'ira la notte e dell'inganno. Così pensa il divo Achille e né Teti scende a rincuorarlo, né furore di pugna lo avvince, ma certezza lo domina di un inganno ai danni di gioventù perpetrato, poiché tutto trascende il vivere, e nulla conta la gloria, nulla la ricchezza o la potenza, ma solo inganni ai giovani cuori sono, inganni a chi non fu educato.
Ciò lo ingannò e noi Greci, seguaci di molte scuole qui riuniti, in omaggio di morte, commiseriamo, la sua breve esistenza, e tutto ci sprofonda, s'eleva, su di noi il corrotto, pianto triste su di noi, amaro pianto, poi che nessuno poté dire ho vissuto, nessuno di noi e di nessuna Scuola, accogliere in totalità l'eterno sonno.
 
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CANTO SETTIMO
 

O DEI BEGLI OCCHI

 
 
 
Oppure ubriacarci e lasciare che tutto ci travolga, aggregarci anche noi al carrozzone, proprio nel mezzo, disperderci anche noi nel gregge; e anche una vita lunga a noi non servirebbe ma sarebbe, continuare l'agonia: " sei bella, e tu sola potresti sollevarmi, sotto la pioggia ti cercai e non curai , se il volto mio fosse disfatto, mi bastava guardarti e poi per ore, recitare poemi alla stanza vuota; e nulla contava il volto disfatto e nulla che la mente mia, nulla potesse pensare, senza contaminarlo.
Nessuna bellezza è in me, i miei pori sono covi di germi, io stesso ho obbrobrio della mia carne; non ho simboli, non ho altari su cui offrirti sacrifici, e non nutro illusioni su di te e non voglio che tu mi ami.
Sono solo. Si sono infilati i loro sudari e sono usciti frettolosi. Tarquinio ama girare di notte, dice di provare la sensazione dell'ultimo uomo; quando gli dissi di non recitare più, un guizzo di luce gli arrivò negli occhi stanchi, poi mi porse la sua opera, parole degnissime, dice lui, di vita eterna:
Mi si addice il nome che mi dai
lo sparviero solitario
ma non ghermisco altri che me stesso
che ne sai di me
del mio camminare di notte
strisciando lungo i muri come un serpente
e della paura
della paura che ha la mia ombra di me stesso
della paura
che non posso incutere agli altri
anche i fantasmi spariscono
quando io arrivo
ed è inutile che allarghi il mantello nero
e di me ridono le luci della strada
che ne sai di una larva d'uomo
che cerca solo l'autodistruzione
e la Morte gli cammina a fianco
e non lo uccide
perché è la sua amante.
Non ridere più del mio vestito
si addice il nero a noi
portatori di morte
 
Avergli detto che poesia non era né arte, lo ridusse già meno di quel che fosse, e fu la goccia.
Da allora non scrive più; dice che l'arte è un impoverimento della sua essenza, anzi mi accusa, dice che sono ipocrita, che noi dovremmo lentamente morire; dice che l'uomo, che noi, dovremmo dissolverci, e nulla deve rimanere della nostra eredità. Generalmente la sera stiamo in casa, si gioca a scacchi, qualunque cosa succeda e come non avvenisse, la stessa voglia
di cambiare ormai è scemata. Solo Lobo tentò dapprima una sortita, ora anche lui si raccoglie sulla sedia, ha gli occhi violetti e stanchi, ormai; la morte di Grace è stata un brutto colpo per noi, noi stessi siamo come seppelliti in questa casa. A volte andiamo a passeggiare, la notte, che nessuno ci veda e ci additi.
Tutte queste cose ed altre sono quelle che dissolvono la nostra vita.
Ti chiederai allora perché tu, tu che subito le facesti tappeto di ogni tua gentilezza, lei non ti guardò nemmeno , né ti accarezzò col lieve sguardo, mentre lui, l'amico tuo dai begli occhi, viso senza alcuna dolcezza, nulla di eccezionale che in lui fosse, lui fu l'adorato, a lui fu offerto l'incenso.
E' questo che mi sfugge o mio Fedro e questo che in ogni momento occupa la mia mente, il nome di quella Divinità che ci presiede, perché in questo veramente c'è qualcosa di divino.
Orbene, quand'anche io riuscissi a comprendere questa divinità, quand'anche la mente mia mi discoprisse il modo di essere io questa divinità, io, o mio Fedro, nulla farei perché le cose attuali fossero modificate, né io stesso desidero essere questa divinità. Quella contraddizione che è in noi , di anelare le alte vette e di rimpiangere la pianura, nasce dal desiderio e la paura, di gustare l'inespresso. In realtà, quello che tu credi un cammino irto di asperità reali, ha tra le sue giogaie, ostacoli invisibili.
La specchiera da lungo tempo ricoperta aveva perduto ogni desiderio. Stava là inerte, e la stessa stanza l'aveva ormai abbandonata.
Era come se tutto ormai non avesse forma, e il vociare intorno svanito di colpo , tu mi eri vicina, poggiavi la testa sulle mie spalle, ti staccavi, tornavi ad abbracciarmi.
Mi sono svegliato con le braccia che mi stringevano il petto, mi sembrava ancora d'avere in bocca i tuoi capelli, guardavo fisso l'invetriata e l'assurdo mescolìo di nero e bianco; si aprì di colpo e tu mi giungesti vicina come una vittoria alata, e le tue lebbra sulle mie, immobile, quasi a darmi il tuo respiro, e la tua carne cadeva, e tu restavi legata a me; poi risorgevi, riaprivi gli occhi, più bella, e nuovamente, le tue palme sulle palme delle mie mani, in croce, respiravi dentro me, poi la mia carne cadeva e tu legata a me non potevi sfuggirmi. Tornai carne, sentivo il frastuono del sangue, t'abbracciavo, e la luce bianca, sempre più bianca; la tua carne fuggiva e la mia; le mie ossa pressate sulle tue.
Mi hanno fatto una bara di noce, su un vecchio carretto mi hanno portato lontano, si raccontavano la mia storia, mi rivolto qui dentro , e inutilmente cerco, la posizione migliore per dormire; mi sento vuoto come il cielo di novembre, non mi ha dato gioia , oggi, il sole.
 
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CANTO OTTAVO

 
EURIPE O DELL'ELEGIA CICLICA
 
 
 
 
Or dunque quale rifiuto spiegami che io possa opporre a tutto questo, pur rimanendo nel limite, invalicabile, a noi e a chiunque. E Morte dunque per conoscere, o la ridicola Morte nel limite anch' essa , di un senza senso e di passi labirintici che ci conducono e noi ad essi diamo la causa e solo ad essi. O in noi stessi ripiegati e nulla fuori di noi. Spiegami dunque questo labirinto dove ritrovo i miei rifiuti ché io non ho ali per volare e costruirle, sarebbe cosa vana, ché poi più in alto anelerei, per ricadere.
Perché noi siamo unici a crearci tali cose, e nulla di vivente oltre noi se le ammannisce, o le surroga al quotidiano vivere, alla copula, al pasto. Nostre, cose nostre, e solo nostre, cui noi diamo princìpi che noi stessi irridiamo, che pure diamo continuando a irridere, ridicoli nella forma, eppure unici, e pur vari tra loro e ben distinti.
O Morte e solo Morte dunque, per questo labirinto, o dubbi ancora su altri labirinti oltre la morte o nulla che essa e dunque limite. Limite infine. Ma questo ci distingue e nulla che questo spiegami che al Nuvolaio io dia una risposta, che non conosca repliche, un sofisma compiuto di cui non esista il contrappunto.
E lì, seduto sulla pietra di Atena, al terzo viandante disse tali cose; che fosse uno, finalmente uno, non guerriero poeta, non efebo cantore, ma uno; e il viandante, sedutosi d'appresso, non con lividi non con vestiti stinti, ma aitante invece e ben vestito, né occhio spento né acceso ma sereno, così rispose: " Or dunque quale rifiuto spiegami che io possa opporre a tutto questo pur rimanendo nel limite, invalicabile, a noi e a chiunque.
E Morte dunque per conoscere, o la ridicola morte nel limite anch'essa di un senza senso e di passi labirintici che ci conducono e noi ad essi diamo la colpa e solo ad essi: O in noi stessi ripiegati e nulla fuori di noi. Spiegami dunque questo labirinto dove ritrovo i miei rifiuti ché io non ho ali per volare e costruirle sarebbe cosa vana, ché poi più in alto anelerei per ricadere.
Perché noi siamo unici a crearci tali cose, e nulla di vivente oltre noi se le ammannisce, o le surroga al quotidiano vivere alla copula al pasto. Nostre, cose nostre e solo nostre, cui noi diamo princìpi che noi stessi irridiamo, che pure diamo continuando a irridere, ridicoli nella forma eppure unici, e pur vari tra loro e ben distinti. O Morte e solo Morte dunque, per questo labirinto, o dubbi ancora su altri labirinti oltre la morte o nulla ch'essa e dunque limite. Limite
infine.
Ma questo ci distingue e nulla che questo spiegami che al Nuvolaio io dia una risposta che non conosca repliche, un sofisma compiuto di cui non esista il contrappunto.
E lì seduto sulla pietra d'Atena, il terzo viandante disse tali cose, e lì rimase.
L'elegia si ripeteva e non poteva, porre rimedio.
 
 
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CANTO NONO
 
O DEL CORPO PURO E DELLA MENTE
 
 
 
"Voglio affidare tutto alla mente, voglio che tutto sia sceverato e di ogni cosa giunga a coglierne l'essenza "; l'altro lo guardava sospeso tra riverenza e riso; li avevano portati a quegli scalini passi rubati a chissà quale tempo, mentre parlava e s'accorgeva di non badare più a ciò che dicesse, il suo unico scopo era capire quali immagini destasse la parola, cercava il volto e glielo nascondeva, il gioco della lampada sospinta dal vento. " Ecco, io voglio di ogni cosa giungere alla conoscenza del molteplice, viverne le congiunzioni, andare al di là di congiunzioni e dissonanze" ; finalmente era riuscito a cogliere il volto , e per lui altro non si offriva che commiserazione.
Si fermò di colpo, voleva che il silenzio pesasse." Ciò che tu dici è grande, ed è molto importante che tu sia giunto anche solo a formulare tali cose" Parole di occasione certo, che ciò che lui pensava era questo; ora la sua strategia sarebbe stato costringere l'altro alla sua esaltazione; continuò: e non ho forza, ho paura e se sbaglio e se anche riuscissi, e se è tutto sbagliato ciò che penso".
Stava barando e non sapeva se stesse ingannando più se stesso che l'altro, ma l'altro aveva ceduto, le sue idee, le sue follie, sarebbero state accolte, l'altro era nelle sue mani, poteva condurlo; "qual'è l'Essenza di tutto ? Se io riuscissi a cogliere anche una sola Essenza, se io riuscissi a fermarmi. E avrei dovuto capirlo prima, quando tutto sembrava un gioco". L'altro era attento, badava alle sue parole. A Lucio sembrò necessario passare ad una esposizione logica, che non lo astraesse, che non fosse fredda , era questo il prezzo che doveva pagare a chi inspiegabilmente per caso lo aveva seguito. Oltretutto era un bene per lui, significava definire quei moti istintivi che lo guidavano, e di cui aveva la certezza, come di sogni.
Ripensò a quanto aveva fatto, a tutti i perché, a tutte le domande cui non aveva avuto la forza di rispondere e cominciò: " Tutto deve essere Razionalità e Razionalità significa posseduto; il Magico, ciò che esula dalla conoscenza mentale, non esiste; ogni esistenza implica in sè la conoscenza; nella determinatezza della vita è impossibile giungere alla esperienza totale, non resta che considerare questa conoscenza effettuata e viverne le estreme conseguenze; ecco, noi abbiamo vissuto tutto, abbiamo analizzato tutto, e tutto abbiamo sintetizzato; eppure qualcosa sfugge, qualcosa di cui abbiamo la certezza, ma non riusciamo a capire; è la Forma celata che ci spinge. Se tutto è Razionale, l'unica conoscenza è Razionale e il Razionale prescinde dalla carne, che gli è sottomessa: il corpo puro e la mente che agisce, scevera i suoi più intimi recessi; il suo compito è creare, partire da se stessa e ripetersi. Il corpo non esiste, non esiste lo spirito, tramite essi è impossibile giungere alla conoscenza . Se il Pensiero è ciò che noi viviamo, l'Arte che nasce è nuova, il suo compito è eliminare le Antitesi, non vive più della vita che a tutti è data, misconosce quali siano le sofferenze: essa è la Vita che si erge sulla misera Esistenza
Lucio cominciava ad avere paura, ché solo ora si rendeva conto in quale isolamento si fosse costretto. Inteso come era a raccogliere gli echi delle sensazioni, la vita lo aveva superato, ché l'errore fatale era stato dimenticare gli altri. Un relitto. E certo l'immagine rinvigoriva il suo senso se vi si cullava e la difendeva. Sentì di colpo come una lama penetrargli il cervello " Ciò che è pensato, potrebbe essere dispensato, e se io affermo la morte, con altre parole posso non affermarla e dirla vita".
Si coprì gli occhi con le mani. Ad ogni modo, se capire tutto, è perdonare tutto e lui aveva raggiunto quella conoscenza che si nutriva di sé stessa e sé stessa sminuiva o amplificava, considerando l'estrema sensibilità che gli apparteneva e che aveva rubato, nulla poteva distoglierlo, e ciò che aveva ripudiato, lo aveva relegato nell'inesistente
 
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CANTO DECIMO
O DELL'ESSENZA
 
 
Prigione Alessandrina mura lisce
dentro cui noi vivemmo e che ci parvero
essere il tutto e noi essere tutto
 
 
giochi d'ombra svariati in cui sentimmo
le voci dei fantasmi trasognanti
mura che noi stessi costruimmo
 
 
Distruggerle è impossibile segnati
ormai noi siamo dalle nostre rovine
 
 
Se tu ci invidi se ci aneli sappi
 
che il tempo ci sconobbe e anelammo
la voce, il segno della tua esistenza
 
 
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CANTO UNDICESIMO
EPINICIO PER SIMONETTA
 
E iniziammo così a mezzanotte, coricati nel letto, sturare una bottiglia e bestemmiare e nulla ci fermerà affermeremo la nostra volontà contro il destino, noi, gli unici, che nessuno ci eguaglia, la nostra forza questa, e i vecchi sentimenti e questo, e nuovo. . . . . " E iniziammo così e poi ci disperdemmo, estenuati, la nostra forza andata ; dolce primavera si stendeva, e la visione uguale e sempre nuova, guardare l'ombra sul muro, e " pazzo" ti dicevano , e forse eri, tra di loro, il più saggio.
L'Estate, e per lui nulla contava, e lo videro aggirasi e gli volevano chiedere, e la parola cadde nel vuoto, e volevano chiedergli, e ancora la parola cadde nel vuoto; e piansero " come le foglie d'autunno..." e non riuscirono ad andare più in là, si distaccarono-- cosa faremo Maria, cosa faremo? - e alzarsi tardi il pomeriggio " rifiuto metafisico della vita" giustificarono, e nessuno credette, non li avrebbero creduti. E lei, quella del primo incontro dell'amore eterno, quella che dopo la fine dell'amore eterno a settembre, gli disse ( e si stava facendo buio e loro erano soli )
che lo aspettava che l'altro non contava, ai pubblici giardini, ed erano felici loro, e la baciava. Oh! E' lapalissiano che parole di donna sono nel vento e nell'acqua; oh non distruggere così la tua vita, ebbero fiducia in te e li disinganni. " Se tu ti alzassi presto la mattina, preparassi tu stesso il tuo caffè e uscissi e nella piazza la tua parola, la prima che udirebbero direbbero, E' ritornato chi noi credemmo morto, oracolo del dio la sua parola e prima giunge ai nostri orecchi e prima ci disvela, messaggero di gioia Lui e nostra vita" e tu vedi come è facile per te tornare a prima, e se volessi. . . . . . " Voglio che tutto sia sceverato, voglio che...." E lo lasciò anche lui, e solo, in vera solitudine rimasto......
" Ma a cantare davvero
e in pienezza di cuore
finalmente
tutto il resto scompare non rimane
che spazio, stelle e voce"
Così, trascorremmo tutto l'inverno, rincorrendo immagini di bellezza, e fu trovata, dolce Simonetta e andasti via; e fu difficile, senz'altro contribuiva , a rendere più dolorosa la partenza
la ridda di conoscenze quelli, che dopo averti ignorato ora accorrevano; ma dovevi partire , non potevi, ritardare ancora, addurre scuse, cui non avrebbero creduto e tu piangesti e io fui melodrammatico, farò follie ti dissi, mi ubriacherò.
E poi non feci nulla.
Edizione della seraaaaaaaaaaa
Grande poeta muore d'inediaaaaaaaaaaa
Edizione della seraaaaaaaaaaaa
" U trionfu " " "u Paliermu
CINEMA ASTORIA
POLVERE DI STELLE
con
ALBERTO SORDI e MONICA VITTI
 
questo? Bene, vediamo questo
 
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CANTO DODICESIMO
 
L'ALTRO, LO STESSO
 
 
 
E dunque ascoltami anche se non ho da addurre scuse a questo serraglio di gabellieri e pescatori. Non che diversi fossero i giorni o le notti e le contrade dove ci muovevamo. non che nulla fosse cambiato per le strade della Galilea. Se qualcuno era guarito era perché naturale che guarisse. E il resto ti è chiaro.
Io ero l'unico, in quella terra di Galilea, che lo avesse seguito senza abbagli; c'era ben poco che potesse abbagliarmi e troppe erano le notti e certa la risposta che, unico, mi ero dato. Eppure un insano bisogno mi spingeva, anche se io stesso lo pensavo stupido.
Per ciò, è giusto che io dica a te quelle parole che sono ormai la mia carne, e che io stesso provo dolore a strappare.
Giorni e notti per me erano identici, e identiche le stagioni e io stesso non provavo diversità ad essere nella sudicia terra di Giudea o immaginare quelle terre chiamate Gallia o d'Albione o più giù, sino all'Indo, come si sentiva dire da certi viaggiatori.
Ma è bene ch'io ti edùchi nel sofisma e non tergivisi più sulle parole, ché se poi anche questa notte passasse invano, non il Signore della Luce, ma quell'altro che è in me mi ammutirebbe. Tu dunque sappi che è l'esistenza a limitare l'esistenza e se tu chiami quest'oggetto sedia, tu lo identifichi e lo limiti nel nome, e nulla potrebbe essere che sé stesso, e nulla fuori di sé.
Eppure io, estrapolando tutto questo, avrei ammesso che era possibile a Lui e nel nome, il concetto e l'opposto dei nomi, visibili e invisibili e Lui quindi male e bene e cielo e terra e mare,
e tutte le antitesi, a noi insuperabili, in Lui non la sintesi, ma il superamento.
Ma Essere e Non Essere insieme, il Non Essere a noi impensabile, e l'Essere, in Lui, l'Ultima Antitesi, insuperabile.
Ti è chiaro questo, eppure, io, l'unico che lo avesse seguito non chiamato, lo ascoltavo senza porre domande, a Lui sempre dietro, cercando risposte che mi svelassero l'errore.
"Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli" Io stesso ero stordito; io avvertivo in Lui qualcosa di inumano, ma non parlavo, e lo osservavo, nei suoi passi misurati, nelle sue parole.
E lì, sulla montagna, io, uno dei dodici e l'unico, e quella folla, quella massa informe che va sempre dietro, come il cane al padrone, là, sulla montagna, la mente mia fu sconvolta. Non era umano, non gli scorreva dentro lo stesso sangue, il mio , quello di Giuda, che pure era diverso.
-----Ma io dico a voi che mi ascoltate, amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per i vostri calunniatori. A chi ti percuote la guancia, porgi l'altra guancia. A chi ti porta via il mantello, non impedire di toglierti anche la veste. Dà a chiunque ti chiede, a chi ti toglie del tuo non lo richiedere. Se voi amate solo quelli che vi amano, che merito ne avete, e se voi fate del bene solo a quelli che vi fanno del bene, che merito ne avete. Voi, invece, amate i vostri nemici e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è buono con gli ingrati e coi cattivi.
Non era umano, non c'era nulla di umano in Lui, e ormai dovevo chiedere, non potevo rispondere in me stesso. Aspettai che gli altri si allontanassero e gli chiesi: " chi sei?" Egli si voltò e cominciò a camminare lungo il pendio verso la folla. Lo rincorsi e gli chiesi: "chi sei?" ed Egli continuava ad avanzare verso la folla, lo afferrai con violenza per la tunica, che si strappò" chi sei'" gridai. Si voltò calmo, non guardandomi, ma rivolto al cielo: " IO SONO "; si voltò nuovamente e continuò ad avanzare verso la folla.
Rimasi stupito. Le mie cose, inesistenti, le mie notti, svanite, passato, futuro, cielo spazio tempo, Lui.
Le strade della Giudea, della Samaria, della Galilea si aprivano, le pietre dei viottoli erano soffici, e il sonno un'entità inesistente. " Io sono " e la sua dolce inumana parola--ne lui ne i suoi genitori hanno peccato ma è così perché si manifestino le opere di Dio-- e nella sua volontà la mia pace, la mia pace nella sua volontà-- ci sono infatti eunuchi nati così dal seno della madre, e vi sono eunuchi fatti dagli uomini, e ci sono quelli che si son fatti eunuchi da sé, in vista del regno dei Cieli; chi può comprendere, comprenda-- Io non comprendevo ma intuivo, il controumano che era in Lui.
Così lo amai, e la sua volontà la mia pace.
Le strade della Galilea ,della Samaria, della Giudea, la Palestina tutta si apriva, e le pietre dei viottoli erano cuscini ai miei piedi, e il sonno un'entità inesistente.
Giungemmo infine in città e Farisei e soldati romani gli si fecero contro e mostrata una moneta gli chiesero: "E' lecito o no pagare il tributo a Cesare? " ed Egli presa la moneta la rigirò e disse : "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" ; e gli undici, crassa ignoranza, cominciarono ad abbracciarsi esultanti. Io rimasi sconvolto. Dunque era falso, dunque esisteva un altro regno su cui non aveva potere, e che, anche se fosse stato, il tempo non era in lui,e l'"io sono" un'abile menzogna , dunque anche lui nelle Antitesi, e se benevolo lo avessi detto Eterno, lui essere e non essere, Essere e Non Essere nello stesso tempo, ciò che sconfessandomi, avevo concesso a Lui e a Dio suo Padre e Lui stesso, impossibile.
Era un imbonitore, era necessario che cessasse di ingannare. Lo chiamai in disparte, e non venne; mi avventati su di lui, facendo modo di esaltarlo, mentre si scherniva, e quando gli fui tra le braccia e la mia bocca vicina al suo orecchio, con le lacrime agli occhi, e lo stringevo forte, piangendo, forte per soffocarci, tra le lacrime, al suo orecchio, sussurrai :" tu menti, tu menti".
Ma egli mi strattonò e si diede al trionfo degli undici.
Quello che avvenne dopo, è scorie.
Tradimento è una parola che per pescatori vuol dire pesca magra e per gabellieri una tassa non pagata. Io gli avevo offerto la possibilità di sparire in buon ordine, ma ormai era troppo preso.
Il sicomoro non mi vide penzolare, e non ci furono rimorsi che mi azzannassero. Ora sto qui, e non ho voglia di cambiare ambiente. Ormai ho avuto l'assunzione della certezza, e mi basta questa candela e il tavolo e la sedia. Ma la mia certezza mi fa paura e io non l'accetto come vera.
Aspetto, ma so che non verrà nessuno, e l'idea si smorza, si acuisce. Noi non sappiamo pensare il Principio.
---Io grido a Te da luoghi troppo lontani; Signore, ascolta la mia voce-.
 
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Inserito il 25 gennaio 2000