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- Mezzodì
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- Scarpe confluiscono da qua da
là
- nell'assolata piazza,
- si intrecciano, afone, si avvolgono,
- quali di un'Idra dissennate spire,
- non si ricercano, non si scorgono,
- scarpe prive di occhi per leggere nei cuori.
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- Ma, nello stesso istante,
nell'angolo,
- lesto raccoglie i suoi versi il
poeta
- e già l'orecchio tende
- alle attutite note di romanza.
- Ed al viaggio riappresta il suo alato
calzare.
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- Brera
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- La luce rotola fresca, fra i chiari fiori,
- nel tempo che, fra i nostri affanni
sospeso,
- precede il dolce, velato, sonno del
Sole;
- svaniti sono i tremori, i tuoni, le
angosce.
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- I tavolini nei viottoli ricercano
- il significato smarrito del mondo e
poi
- volgono il guardo a una trasognata
bellezza,
- da incastonare eterna su pallida
tela.
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- Fresca, e chiara, la luce ancor
rotola
- sui ciottoli, e poi si ferma, e mi
avvolge,
- impalpabile, indefinibile colgo
- sul ciglio l'insostenibile
felicità.
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- Novecento
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- Pensoso percorro le perimetrali
- calli di un fuggente terso
sentimento,
- un pedone da ferma mano sospinto
- sul limitar ignoto della
scacchiera.
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- E lì, il piede or smarrito
abdicante
- nel procelloso vuoto del
rimembrare,
- indietro mi volgo, implorante e
incerto,
- e gran menzognera temo la promessa.
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- Tu nera Regina ammaliante a mezz'aria
- altro non pari se non gran mesto addio
- ai giorni del mio lieto animo
compagni,
- ai romanticanti passi nella notte.
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- Nebbioso Novecento, adultera prole
- del vagheggiante mare dello
spirito,
- orfano mi lasci ora alle colonne
- mitiche, in faccia a Scilla nudo e
inerme.
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- Notturno
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- Mille e mille volte tornai a
perdermi
- nel vasto mare della poesia
diffusa,
- sotto la suadente cupola gremita,
- sordo al vociare garrulo del mondo.
- Caduco l'autunno e brumoso riempiva
- di fragile malinconia il viver mio.
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- E lì, nel sogno ovattato di un
notturno
- creava l'inconscia memoria un
acquerello
- morbido, confuso, languidamente
- rimirante da quel vetro annebbiato
- l'oppiaceo risaccare del vecchio
mare,
- fra i bianchi alberi della
rimembranza.
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- Eos
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- Una piccola ombra, impalpabile.
- Così si rende al suolo la foglia del
cortile.
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- Cigola lenta la carriola, le spente
- foglie traghettando al di là del
muro.
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- Poi giunse la notte
- di cobalto,
- poi giunse la notte
- e sorrise.
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- E nell'ora di Ecate
- il vento notturno, diafana Selene,
- spazzò lontano con impetuoso
vigore
- le nostre bieche meschinità,
- il decadente male,
- il tetro grigiore che paralizza
insensibili.
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- Eos dita rosate mi ritrovò supino
- nel sacro quadrato a rimirar dei ed
eroi.
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- San Zulian
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- Solo restava un uomo, nero
- lunarmente sospeso fra le calli.
- Sospeso restava, solo,
- fra le nere ali del tabarro.
- Mirava assorto, illuminato
- dalla diafanica luce dell'astro,
- da sdrucciolo pontile un punto,
- sdrucito, nella laguna.
- Sopra lui tremava flebile
- una ruggente fiammella,
- una poesia.
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- Pare lo starnuto umido della laguna
- il lento sciabordar della gondola.
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- E pallido il mattino
ritrovò,
- fra le dita rosate di Eos
- sulla guancia della laguna,
- solo un nero mantello,
- adagiato,
- come Eros sul bianco
- volto di Psiche estasiato,
- ove i piedi affrettati mai
- scostano la polvere.
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- I Numi
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- Fresca e luminosa è la
notte,
- e un filo di vento la vivifica.
- Falangi di occhi come cerchi di
luce
- i Numi dell'uomo mi osservano.
- Cosa aspettate, dunque,
- un cenno, un sacrificio?
- Fatua è la via dell'uomo
- senza il verbo delle radici,
- dei Numi. E il cacciator Orione
- traversa il cielo con ampi passi.
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- Fruscia fra i frutteti spogli
- fremente un vento, e falciforme
- fende l'astro dei poeti il buio.
- Un cono d'epifanico chiarore.
- Si disegna vivida, lucida
- al pensiero,
- struggente i precordia
- la Poesia.
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- La sabbia
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- Scivola la sabbia lenta fra le dita
scarne,
- impalpabile, inappelabile,
- scivola la sabbia e si deposita,
- sulle pareti esangui
- di questa nostra malinconia,
- si deposita, laconica,
- e invecchia,
- sorda al proprio greve
- decadimento.
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- Poi un refolo vortica, e solleva, e
smuove,
- e la sabbia breve sui fogli smunti
- carezza un tocco i lievi versicoli.
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- Sant'Ambrogio
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- La basilica del Santo sommersa
- dalla grigiosità della
pioggia,
- come i miei pensieri offuscati
- dalla nebulosità del mondo.
- Gemono le pietre,
- gemono le ossa
- nell'umidità stridente.
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- Fra i visi afoni acromi
- di quest'era sordida.
- Sotto le artrotiche unghie
- ricurve, avvinghiate
- a una vile materialità.
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- La pioggia annega sul cupo ciglio
- dei marciapiedi il dolce sogno.
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- "Dove ti neghi ora alla mia cerca,
- solare Arcadia?
- Dove ti celi, delicata Psiche?
- Così profonde e di sale
cosparse
- dunque le ferite infertevi
- dalla bieca acidità del
Tempo?"
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- Un tocco, soffocato, di campana
- suggella grave la tombale risposta.
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- Gli Eroi
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- Morirono i più bei nobili eroi
lontani
- Dalle lor mogli, sole, nella plana di
Ilio.
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- Svanì con glorioso cozzo quell' aurea
stirpe
- E il mondo, fu sterile di barbari
preda.
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- S'aggira chino fra sassi ed arbusti il
Poeta
- E li smuove, in doloroso mesto
rispetto.
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- Ricerca nella funesta plana ormai
spenta
- Un gesto, un pensiero di quel tempo
disperso.
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- Il cimitero dei
poeti
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- Mi ridesto, morto, sulla faccia della
Luna,
- e d'intorno solo pace e
tranquillità.
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- Ed accanto scorgo i cari visi dei poeti
- estinti a Lerici e Missolungi.
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- E lietamente, con pallida
- amante lunare giaccio,
- finalmente, lievemente.
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- Una nave lontana dispersa silente:
- la Terra meschina perversa crudele.
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- L'eclisse
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- Risalì un brivido,
- lungo la linea della schiena.
- Il vibrante palcoscenico
- spense le luci.
- La nave veleggiante
- per l'angoscioso mare
- restò, sospesa,
- un infinito momento,
- nell'eclisse del raziocinio.
- Secoli di razionalismo
- tarpante i luminosi sensi
- dell'uomo, e l'istinto,
- svanirono, un solo momento.
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- Bolle di
sapone
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- Forse siamo solamente
- fragili, inconsapevoli
- bolle di sapone,
- iridescenti,
- fluttuanti in un sogno.
- Forse domani all'alba
- ci solleverà il vento,
- e stolti ci crederemo
- dei, e invincibili.
- Ed alla fine,
- su una spina di rovo,
- come misera rondine
- ci estinguerà.
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- L'albatro
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- E questo vasto spazio a me d'intorno
- a me pare calmo ed immenso mare
- con le sue isole, lagune, porti,
- tenui acquerelli piano sovrapposti
- di differenti campate d'azzurro,
- dal tenue, al dolce, e calmo al
buio.
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- Ancora il miro da questo ponte,
- da questo solido punto il
vagheggio.
- E ancor rendo la volontà
cosciente
- al volo, e il bianco albatro or
sono.
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