LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti

 

  Poesie tratte dal libro

Alchimie per una donna  

 
di
Adriana Scarpa
 
editrice Montedit,2000, Collana Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi),
pp. 80, L. 16.000 - Euro 8,26 ISBN ISBN 88-8356-070-1
 
La prima è stata Lucy
 
Lo scavare fosse profonde,
il setacciare sabbie minute,
ha messo un punto fermo
alla ricerca:
fu Lucy la prima umana
sulla terra.
 
Se poi vogliamo credere
che Adamo venne prima di Eva
sarà atto di fede
sottomissione
al dire di una scrittura
che fu vergata
prima del Vangelo.
 
Ma io
non ho saputo mai
di un uomo, uno qualunque,
un popolano o un re
che avesse
una costola in meno.
 
 
Milioni di donne
 
Milioni di donne
dipanano la vita nel chiuso
di pareti stinte. Il pianto del bambino
di notte
le unisce all'uomo di fianco
e divide
per la sacralità del suo sonno.
Poi viene il tempo
di fare la riga ai capelli
e riannodare le trecce sciolte,
viene il tempo
di soffiare nasi
e lavare ginocchia sbucciate.
Milioni di donne - così -
ad aspettare partenze e distacchi:
ed è sempre l'alba - ai risvegli
il volto è sempre bianco di stanchezza.
Ancora
milioni di donne non sanno
i respiri di betulla
- soltanto la fatica dei giorni -
non sanno i desideri e le braccia
ma solo gli affanni
e i ventri svuotati
che crescono silenzi
nei corpi sconfitti.
 
 
 
Alchimie per una donna
 
Io volerò attraverso la bocca della candela, indenne falena
(Sylvia Plath)
 
Contratte a cogliere i suoni le abbiamo lasciate
a fare e disfare su rozzi telai brandelli di vita.
Senza volto né nome
avevano cuori d'argento da appendere alle volte
di grotte scavate in anfratti
da seminare nell'alveo di fiumi asciutti come vertebre
di mastodonti in rilievo.
Furono mysterion rinchiuso tra rozze pareti, negli occhi l'arsura,
in rigidezza di membra tenevano serrate frenesie di palpiti, un fuoco che ardeva.
 
Le abbiamo incontrate nei tempi di radici e tesori nascosti
nei raggi argentati di ruote che incidevano dentro la terra i drammi, gli eventi
e graffiavano a unghiate di fuoco le carni.
 
A spaccarle, come pigne,
come frutto di cocco,
ne uscivano nettare e latte
dolcezze impensate
sotto scorza di pelle-smeriglio,
sotto grinze di ataviche pene.
Da spaccati di secoli si spande il loro lamento
che è stato fragore di vene, rito, sentenza, un codice arcano
miniato su arabeschi di vento, filigrana di Aracne in precario equilibrio.
Avevano ritmi di lune e stagioni scandite da fasi di sangue,
da ventri ingravidati e dovizia di seni.
 
Spaccarono i corpi su durezza di zolle, sotto il cercine, come bestie da soma,
e il riscatto
era solo un arbusto d'argento cui bruciare incensi e pietà.
Scolpite su profili di roccia
hanno avuto radici straziate, un urlo di lava saliva le visceri
da squarci il magma fluiva su sciare di morte.
Furon letto di foglie caduche, sottobosco, l'umore di terra
e rugiada nell'alba
ma anche aroma di fiori e fragranza.
Furon pane e il sapore dell'uva e la bocca che prega e lamenta
furon grappolo e spiaggia e coltello, piaghe aperte
e tradite beltà.
 
 
Le chiamarono madri, amanti, sorelle circuendo il sentire del cuore
e strapparono loro le vesti e strapparono loro le carni
anche l'anima stava inchiodata
alle quattro pareti del cielo.
Furono mani in preghiera ed occhi di veglia, ginocchia piegate
e braccia in forma di cuna a proteggere i loro tesori.
Le portarono in giro pel mondo ricamate sopra vessilli
ma avevano mani piagate e labbra di luna spaccata,
cancellato dal vento l'amore.
 
Parole e condanna. Silenzi e condanna.
Nei polsi l'irromper di vene e bruciava la fronte
e l'affanno frantumava i lembi del cuore.
 
Sin dai giorni di Eva era stato:
sul paliotto dipinte madonne
ma le ossa spezzate
l'ansia ruga sul volto.
Furon grida taglienti
a salire da tetti di canne
sangue bruno a macchiare
le gore e bufere
e tormenti e ferite realtà.
 
Sempre esposte alla folgore, al rito, alla luce radente di luna
han portato sopra le spalle, loro sì, il peso del mondo
loro, i piedi di tutte le genti, loro, i corpi sudati a cercarle
a squassarne le viscere, rapinarne ogni fiato.
Sono state il bottino di guerra da portare in catene sul carro
loro, schiave, le lingue tagliate,
incapaci di prendere il volo
ripiegarono le ali sul petto a proteggere vulnerabile il cuore.
 
Sono state sospiri e sussurri. Loro fiaccole accese di notte
loro fari a risplender nel buio
e le grida dei sogni ed il vento che si è fatto carezza.
A pensarle tappezzano i muri, sono luce che splende sui vetri
si dilatano a chioma di albero, sono foglie che cantano ed il fiore
sul fragile stelo e la forza dell'erba che sconfigge stagioni
e ritorna.
 
 
Le ho incontrate nel verde dell'alga
con smeraldi negli occhi, con minuscole attinie in punta di dita.
Palpitanti.
Lo ho ascoltate in notti di luna scioglier canti d'amore dolcissimi
eran l'ombra tra i tronchi degli alberi, il lucore di stella
e la voce più forte, più alta, carezzevole al lobo,
la vincente a trafiggere il cuore.
Eran mani: han posato carezze che lasciarono impronte di fuoco
e la pelle era ruvida, dura
ma struggente il gesto d'amore.
 
Io le ho amate ed in esse l'essenza di me donna
che nel mio tempo breve conservo memoria di quell'essere state
vene aperte, riso lieve di mandorlo, un miscuglio di insonnia e fatica,
aggrappate al bisogno di esistere
e quell'ansia di dare e donarsi
col sorriso a celare la pena.
 
Anche il tempo si stanca
solo il cuore resiste
con le rughe fiorite
ed i gambi spinosi di rosa,
braccia aperte in segno d'accolta
e gli occhi radiosi, la notte,
della luce di lune inventate.
 
S'è impigliata alla chioma dell'albero come sciarpa
la nenia del canto - e resiste
di fanciulle che furono
l'alone di luce, una nota sperduta.
Le ho incontrate scolpite nel marmo, dipinte ad affresco su volte ammuffite
processione di vergini
su musaici di sole.
Han lasciato un messaggio di vita,
furon madri dai fianchi larghi modellati in impasto di creta
e alchimie sono state e il segreto per estrarre dal vile metallo
lo splendore abbagliante dell'oro.
Han segnato l'aria di sguardi
e le senti ancora vagare le pupille-carezza sul corpo
e dan brividi dolci alle carni.
 
Son presenze nell'aria quando gonfian le nebbie
e le braccia stan lì e le mani e le labbra di quelle che furono forme
che riconosco
per questo mio essere la loro propaggine ultima
il cuore rosso-memoria delle loro storie di vita.
Solitaria coltivo giorni e cantilenando racconto
di antichi profili, di ombre che ormai hanno scordato
la legge di gravità
e tra i grandi alberi vanno fluttuando di sera.
Sono una di loro. Lentamente
le fibre del mio corpo si sfanno, come piuma rosata
sfrùscio segreta e domani qualcuno leggerà anche la mia storia
sul pentagramma del tempo immutabile.
Anche le assenze hanno respiro.
Incorruttibile il fiato.
 
 
Voce, voce di taciuti sorrisi. E ancora giorni verranno e notti nell'arcatura del cielo.
 
 
 
 
Ipotesi di donna
 
 
mi sento leggera come un ramo
che resta solo col suo peso
dopo un volo di passeri
 
La costola di Adamo
 
Pulita, liscia, perfetta
come arco a festa
sono, sei,
donna della costola di Adamo.
Quando l'archeologo del DIECIMILA
mi, ti, troverà
riconoscerà in te, in me,
la parte più vicina
quella che amorevolmente
proteggeva il cuore.
 
E siamo anche adesso
tu ed io le cerniere preziose
che recintano lo spazio della casa,
il rifugio sicuro con tepore di nido,
le pareti con levità di piuma.
 
Noi siamo sempre, donna,
TU ed IO,
le piccole radici, salde,
indistruttibili, le bocche sotterranee
che resistono, una coppa
di ombre e di nettare
golosità futura d'archeologi
che codificheranno
con numeri, con scritte neo-latine,
le sagome sbiancate delle ossa.
 
 
 
Rita delle bambole
(a Rita S.)
 
Parlando ognuna di noi
ha aperto carrellate di pietre bianche
sul greto e i canti dell'aurora.
Ci si racconta
l'odore della pioggia
e l'anima ha una sua voce
ch'è fatta
di braccia di sole e di memorie.
Io ti chiamo
"Rita delle bambole"
per la pelle fresca
del tuo volto, per il seno d'adolescente,
per le storie
dell'infanzia lontana. Tu avevi la ricchezza
di bambole cucite
con ritagli di pezza
da una nonna paziente
e volti sempre diversi
disegnati e freschi di lisciva
e ancora ridipinti
sopra la tela bianca. Così
è la vita, un inseguirsi
di sensazioni fresche
e di tristezze, ma ricorda, Rita,
che tornano ogni giorno
le albe bianche
odorose di mare
e il nostro ricordare
è una nenia dolcissima.
Noi due
riconosciamo ancora
la luce del nocciolo
e sappiamo cogliere
la purezza del croco
prima che spacchi
lo strato sottile
della neve.
 
 
 
 
Canto di allodola felice
 
Se apro porte e finestre
ed esco da me,
se muovo le ali della mia libertà
e la gioia
fa lievitare il peso del corpo,
guardate
là, in alto, dove lo sguardo
si perde nella luce,
quell'incredibile aquilone
che conosce i venti.
Lassù
è salita l'allodola felice:
quella che canta
i giardini d'inverno,
quella che accarezza
i capelli del grano
e possiede
il segreto del tempo.
Verde radioso
sulle mie foglie, sulle mani
che vuotano e colmano
oceani, tesori che cantano
preziosi. Mi farò
batacchio di campana
e chiarina d'argento
per conquistare voce rampicante,
porterò addosso
memorie di stagioni,
cavalli ed occhi di felicità.
Per leggere la prefazione del libro " Alchimie per una donna "

Per leggere l'opera 3 classificata nel concorso Poeti dell'Adda 2000

Per leggere l'opera 8° classificato al concorso Premio di Poesia La Montagna Vallespluga

Per leggere l'opera 8° classificata al concorso Poeti dell'Adda 1999  

 
Per leggere l'opera 5° classificata al concorso Città di Melegnano 1998 sez. poesia
Per leggere l'opera classificata 2a nel concorso Jacques Prèevert 1999
 
Per leggere la prefazione del libro " Il tempo della memoria"
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Per leggere alcune poesie tratte dal libro " Acqua salsa e tarabuso"
 
 
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