È uscito il n° 137-138
Gennaio-Febbraio 2004
dell'edizione cartacea de Il Club degli autori
è stata spedita ai soci del Club degli autori il giorno 27 febbraio 2004
 
In vendita nelle seguenti librerie
 
 
Dissertazioni di Pietro Cirillo sulle "regole" della poesia
3) Il linguaggio
Se guardiamo indietro nel corso dei secoli, ci rendia-mo conto che nelle letterature di tutti i paesi si è sempre costituito, accanto al linguaggio ufficiale, un altro tipo di linguaggio di natura poetica al quale i cultori della poesia si sono, in genere, tenuti fedeli con notevole costanza. Esso, ancor più che qualsiasi altra forma espressiva, si è reso diverso dal linguaggio corrente quasi per porre in rilievo una sorta d'origine gentilizia, un diritto, non contestabile, ad espressioni esclusive, forbite ed eleganti.
Per quanto concerne la nostra poesia, va ricordato, per esempio, che intorno al 1200, per l'impulso dato alla cultura dalle iniziative comunali (vedi, tra l'altro, le tante università nate in quell'epoca), il livello d'istruzione, nelle varie regioni della penisola, ha ricevuto un incremento degno di nota e con esso, ovviamente, anche l'affinamento del linguaggio. Ciò nonostante, quello poetico rimase ancorato, e per tanto tempo ancora, ai moduli espressivi di natura arcaica. Si continuò, per esempio, a comporre poesie nelle quali tua fallanza significava tua colpa; procombere stava per cadere; repleto per pieno; unquanco per giammai; per curso e per rismi, invece di né in prosa né in versi; attumulato, per sepolto; barbano in luogo di zio, e così via mantenendo ferma un'imperturbabile costanza espressiva di natura arcaica e popolare.
Ci pare di potere affermare che fu necessario attendere l'avvento dello stilnovo per costatare la realtà di un momento poetico più ricco d'innovazioni e d'evoluzione e, quindi, una poesia con linguaggio nuovo. Un linguaggio che divenne poi un punto di riferimento per le successive elaborazioni di più alto valore, come quelle di Dante e Petrarca.
Fu grazie allo stilnovo che i poeti pensarono di rinnovare gli stereotipi della tradizione antica, trasformando i modelli espressivi anche sotto l'aspetto dell'organizzazione fonica. Il linguaggio divenne più pratico, coerente, indirizzato a rendere più spontaneo il tumulto dei sentimenti e il contrasto delle passioni. Tutto ciò occorse attraverso una selezione severa del lessico e un controllo stilistico più rigoroso.
Se tanta fu l'ascendenza della scuola stilnovistica nell'evoluzione del linguaggio poetico, altrettanto decisivo si rivelò poi, nel seguito del tempo, l'influsso esercitato dal romanticismo. Fu questo movimento culturale, sorto e diffusosi in Europa tra la fine del XVIII secolo e i primi decenni del XIX, a dare impulso ad una poesia moderna, sentimentale, pittoresca, in opposizione al classismo antico e al linguaggio ad esso connesso. Tra le peculiarità della poesia romantica vanno ricordate, in una con una dizione più facile, ora sentimentale, ora declamatoria, tematiche particolari quali il bisogno d'infinito e la necessità di trascendere la finitezza del mondo.
Nell'ambito della nostra poesia, va detto che critici d'ogni letteratura straniera riconobbero il volgersi dell'Italia verso le teorie del romanticismo europeo, mediante contributi di espressioni essenzialmente liriche, sentimentali e immaginative. Fu quindi il romanticismo che sospinse e convinse filologi e poeti ad usare vocaboli rispondenti al tessuto della lingua ufficiale, a tenere in gran conto coerenza (organicità dell'assunto dal punto di vista del significato) e coesione (connessione sintattica e semantica tra le varie parti dello scritto). E fu sempre il romanticismo che promosse l'abolizione delle parole arcaiche e introdusse nel linguaggio poetico quasi tutte le parole del vocabolario. Ebbe ad affermarsi, così, una poetica basata su un linguaggio più colto e moderno, più spettacolare e convincente. A puro titolo cronachistico, rammentiamo che il poeta francese Baudelaire definì il romanticismo «una benedizione celeste o diabolica cui dobbiamo eterne stimmate». Fu tuttavia breve il passo che divise il romanticismo dal decadentismo, termine, quest'ultimo, con cui è stato indicato un successivo periodo durante il quale si affermò un tipo di linguaggio accorato, incentrato su tematiche esistenzialistiche quali la nostalgia, la solitudine, l'introspezione, l'angoscia, il senso della morte.
Il poeta francese Verlaine, nel 1884, pubblicò un sonetto che era lo specchio dello stato di decadenza e smarrimento dei poeti del tempo. Il componimento aveva titolazione Languore e, in alcuni versi, così recitava:
Io sono l'impero alla fine della decadenza
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti
in uno stile d'oro dove il languore del sole danza...
A completamento del tema linguaggio poetico, ci pare opportuno spendere qualche considerazione sul travaglio interiore che ogni poeta è chiamato ad affrontare allor che deve individuare forma, contorni e sfumature linguistiche che più si adattano a ciò che intende esprimere. Vi è, in quel momento di creazione, una fase in cui s'isola e si ritrova in una situazione di rapimento sensoriale entro cui è ridotto al minimo ogni contrasto tra realtà poetica e realtà circostante. La concentrazione che lo domina e lo guida gli concede alla fine il dono di potersi servire del linguaggio più idoneo, e di una capacità espressiva che resta aperta a tutte le voci del cuore. I concetti e le verità da esporre sono visti attraverso la lente dell'immagine e le parole sgorgano dalla penna come acqua limpida dalla sorgente. I vocaboli che reggono il verso assumono parvenza di ali, che il poeta riesce a fare sue per compiere un volo oltre i confini del contingente.
La poesia, una volta finita, si mostra al poeta come una creatura tutta sua: gli appare tremolante, come posata su uno specchio d'acqua. Quando il tremolio s'arresta è perché l'ultima correzione è stata apportata. Nessun compenso il vero poeta chiede per la lunga fatica, se non il riconoscimento che l'opera compiuta è valida.
Quanta parte di tanto successo può essere attribuita alla validità e all'eleganza del linguaggio, diventa facile immaginarlo. Proviamo a costatarlo rileggendo i versi conclusivi de L'infinito, di Leopardi:
«...così tra questa
immensità s'annega il pensier mio;
E il naufragar m'è dolce in questo mare...»
Immensità. S'annega. Naufragar. Vocaboli, sono solo vocaboli, ma carichi di significazioni conturbanti, spettacolari. Parole che suscitano, vaganti, le immagini di spazio e tempo, di smarrimento totale, d'annientamento della vita e della personalità dello stesso poeta. Linguaggio meraviglioso e ambiguo, quindi, quello della vera poesia. Linguaggio maestoso e fuggente che il poeta riesce a catturare come premio allo sforzo quotidiano di meditazione e ricerca.
 
(continua nel prossimo numero)

Pietro Cirillo


Leggi la prima parte pubblicata nel numero precedente della rivista Il Club degli autori
Leggi la seconda parte pubblicata nel numero precedente della rivista Il Club degli autori
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