È uscito il n° 136
Dicembre 2003
dell'edizione cartacea de Il Club degli autori
è stata spedita ai soci del Club degli autori il giorno 16 dicembre 2003
 
In vendita nelle seguenti librerie
 
 
Dissertazioni di Pietro Cirillo sulle "regole" della Poesia:
2) Il ritmo di Pietro Cirillo

Un componimento poetico, nelle sue strutture di base, è un assieme di elementi che devono amalgamarsi e fondersi in un testo conclusivo che mostri, quali caratteristiche principali, sinteticità e ritmo.
Seguitando nelle considerazioni espresse nel precedente articolo riguardante il verso, bisogna porre ora in evidenza che l'elemento fondamentale che lo caratterizza è il ritmo.
In cosa consiste, essenzialmente?
A tale proposito, bisogna ricordare innanzi tutto che le origini delle scale musicali sono state individuate nelle diverse modulazioni della voce che vivificano le parole, e quindi le frasi. Ne consegue una specie di risalto d'ordine melodico che s'inserisce nelle recitazioni senza che noi stessi quasi ce ne rendiamo conto. Volendo fornire, a questo punto, una definizione del ritmo, per quanto semplicistica, ci pare giusto affermare che s'identifica in quella cadenza di tipo musicale che si accompagna all'espressione vocale. Nel XVIII secolo era di moda affermare che «la musica comincia dove finiscono le parole»: noi oseremmo capovolgere il concetto sostenendo che, nell'ambito della poesia, «la musica inizia nel momento in cui le parole la introducano».
Vanto al ritmo, dunque, perché determina musicalità.
Nella poesia classica antica esso era costituito dalla quantità, vale a dire dalla durata del tempo di pronuncia delle sillabe, che potevano essere lunghe o brevi, e non dal loro numero. Venivano a determinarsi, in tal modo, una sequenza e un alternarsi di tempi forti (sillabe lunghe) e di tempi deboli (sillabe brevi), in un sistema definito di tipo quantitativo.
Nella poesia classica moderna, viceversa, il ritmo è fondato su due elementi d'ordine primario e uno di carattere accessorio. Quelli d'ordine primario sono l'esigenza secondo cui ogni verso deve essere composto dal numero di sillabe stabilite dalla sua specificità e la necessità d'impostarlo con determinate battute di accenti ritmici, su sillabe fisse, secondo la sua già citata specificità.
Il terzo elemento, ritenuto accessorio, è la rima.
La poesia strutturata con gli accorgimenti sopra indicati è definita di tipo accentativo.
«Il ritmo - hanno scritto i critici Panzeri-Vicinelli - secondo che è più o meno sentito, regola l'espressione poetica e spontaneamente si adatta al vario sentimento che questa manifesta, ne accresce la forza suggestiva, dà nuovo piacere estetico...»
Si noti, a tale riguardo, quale giusta misura di ritmo è presente in questa terzina di Dante:
 
...e poi cominciò: Ave
Maria, cantando; e cantando vanio
come per acqua cupa cosa grave.
 
E qual armonia di ritmo, distesa e solenne, s'avverte in questi tre versi del Petrarca:
 
Chiare, fresche e dolci acque
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna...
 
Si noti, ancora, il ritmo accattivante, che c'è nei versi seguenti, d'impostazione narrativa, appartenenti ad un componimento del poeta realista russo V. Majakovskij:
 
Gli occhi dei giocatori nella notte
brillavano come due rubli,
e io lì a ripulirmene qualcuno, come un forzuto operaio
scarica la stiva d'una nave.
Gloria a chi per primo ha ritrovato
come rivoltare e vuotare al prossimo le tasche,
senza faticare e aguzzare l'ingegno,
ma in maniera pulita ed elegante!
 
Vale la pena riportare, infine, alcuni stornelli di autori sconosciuti, e talune quartine ben conosciute, idonee a mostrare il tipo di ritmo saltellante che deve usarsi nei componimenti d'intonazione allegra:
 
Fior d'amaranto
ti potessi parlare un sol momento!
Questo momento lo spasimo tanto!
 
***
Foglia di canna,
la suocerina mia l'è bona donna:
mi par mill'anni di chiamarla mamma.
 
***
 
 
Fiorin di more,
E te l'ho detto, e te lo vo' ridire:
con quegli occhietti m'hai rubato il core.
 
***
 
 
C'è un castello
c'è un tesoro
c'è un avello;
dove? Ignoro.

(G. Mazzoni)

 
***
 
 
Rondinella pellegrina
che ti posi sul verone
ricantando ogni mattina
quella flebile canzone.
 

(T. Grossi)

 
Su 'l castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno
da la Chiusa al pian ritorna
solitario un suon di corno.
 

(G. Carducci)

 
Va poi tenuto in debito conto che il ritmo non deve essere, in ogni caso, eccessivamente rigido, poiché la poesia potrebbe esserne incatenata. Per rendere più chiaro tale concetto, proviamo a leggere la poesia Corno inglese, di Montale, nella quale il ritmo è misurato, non invadente, non ossessivo:
 
Il vento che stasera suona attento
- ricorda un forte scuotere di lame -
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l'orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba.
 
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D'alti Eldoradi
mal chiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell'ora che lenta s'annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.
 
Indipendentemente dagli accenti ritmici e dal numero delle sillabe, il ritmo è poi sollecitato dalla sonorità delle parole, dal fonosimbolismo e dal tono.
Di detti elementi parliamone sinteticamente.
Sonorità! È il pregio specifico che si attribuisce a parole dal suono chiaro e aperto, rispetto ad altre dal suono cupo e scuro: va da sé che le prime vanno utilizzate in versi che propongono espressioni luminose, mentre le seconde devono contraddistinguere i versi che contengono pessimismo, concetti tenebrosi.
Ecco un esempio di versi dal suono aperto e chiaro:
 
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna...
 

(G. Leopardi)

 
e due altri esempi con vocaboli dal suono tenebroso:
 
E lunghi funerali lentamente
senza tamburi sfilano né musica
dentro l'anima: vinta la Speranza
piange, e l'atroce angoscia sul mio cranio
pianta, despota, il vessillo nero.
 

(G. Baudelaire)

 
***
 
 
Devono, come i corpi, come le foglie, come tutto,
le pure cose dell'anima sfarsi, marcire;
devono i sogni sciogliersi in putredine.
Devi tu, uomo, sempre, di ciò che ti diede l'ebrezza
assaporare torbido la nausea.
Nulla dal fato è immune. Nel corpo e nell'anima, tutto
tutto, morendo, devesi corrompere...
 

(G. D'Annunzio)


È sulle qualità timbriche delle parole che prodigiosamente si determina, poi, una speciale efficacia espressiva delle parole medesime: particolarità che i critici hanno definito fonosimbolismo. Esso consiste, sostanzialmente, nella possibilità di attribuire ad una determinata parola un significato particolare basato su fattori fonici e non sintattici. Se pronunciamo, per esempio, la parola ghirigoro, o la parola inciuccio, è possibile che si creino delle immagini di natura fonica che poco o nulla hanno in comune con il senso semantico delle parole menzionate. È questa, nella più spiccia delle spiegazioni, la definizione che si può dare del fonosimbolismo.
Per quanto concerne il tono, è d'uopo ricordare che in una catena parlata, qual è appunto un verso, tra gli elementi che concorrono a formare la scorrevolezza dello stesso, vi è pure, e non è di trascurabile importanza, quella cadenza di natura musicale, denominata intonazione, che scaturisce dalle vibrazioni delle corde vocali. Nasce, così, dall'intonazione, una curva melodica di altezze diverse, tra le quali le più importanti sono denominate di tipo ascendente e discendente.
Quest'elemento d'armonia, che vien chiamato - tono, nasce da tensione interna e da sensibilità poetica di chi declama i versi.
Sempre a parere dei critici Panzeri-Vicinelli, il ritmo fa sì che concetti e messaggi restino impressi nella memoria più di quanto avviene con la prosa. Quando la scrittura era ancora sconosciuta, fu appunto la poesia, nell'espressione orale, a funzionare come veicolo atto a notificare leggi e norme comportamentali. Nelle epoche più antiche, era declamata nelle strade, nei circoli colti, nelle corti dei potenti e molto radicata era, in quella situazione, la convinzione che la poesia doveva essere ascoltata, e non letta in silenzio. Era poi precipuamente il ritmo, si sosteneva, a renderla memorizzabile e quindi a tramandarla di generazione in generazione.
Nel concludere la nostra riflessione sul ritmo e ripetendo i concetti fondamentali già espressi, ci pare di potere sostenere:
 
- il ritmo è frutto della giusta apposizione degli accenti ritmici secondo le regole previste dalla metrica;
 
- tutte le parole sono composte di suoni e la loro lettura, nell'ambito del verso, mediante pause e cesure, concorre alla formazione del ritmo;
 
- la poesia, a somiglianza d'ogni atto creativo basato sulle parole, non potrebbe addirittura esistere senza il ritmo;
 
- è il ritmo che la compenetra e che regala, in chi l'ascolta, un indicibile diletto.
 

(continua nel prossimo numero)

 

Pietro Cirillo

 


Leggi la prima parte pubblicata nel numero precedente della rivista Il Club degli autori
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