È uscito il n° 121-122
Settembre-Ottobre 2002
dell'edizione cartacea de Il Club degli autori
è stata spedita ai soci del Club degli autori il giorno 25 settembre 2002
 
 

Sommario
 
 
 
Editoriale
 

Il personaggio del mese:
Salvatore Quasimodo - La poesia come momento della coscienza morale
 
 
 
 
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In vendita nelle seguenti librerie
Alcune Poesie di Salvatore Quasimodo
 
òboe sommerso, Salvatore Quasimodo, Letteratura italiana Einaudi, edizione di riferimento in Poesie e discorsi sulla poesia a cura di Gilberto Finzi, Mondadori, Milano 1971
 
òboe sommerso
 
Avara pena, tarda il tuo dono
in questa mia ora
di sospirati abbandoni.
 
Un oboe gelido risillaba
gioia di foglie perenni,
non mie, e smemora;
 
In me si fa sera:
l'acqua tramonta
sulle mie mani erbose.
 
Ali oscillano in fioco cielo,
labili: il cuore trasmigra
ed io son gerbido,
 
e i giorni una maceria.
 
 
Curva minore
 
Perdimi, Signore, che non oda
gli anni sommersi taciti spogliarmi,
si che cangi la pene in moto aperto:
curva minore
del vivere m'avanza.
 
E fammi vento che naviga felice,
o seme d'orzo o lebbra
che sé esprima in pieno divenire.
 
E sta facile amarti
in erba che accima alla luce,
in piaga che buca la carne.
 
Io tento una vita:
ognuno si scalza e vacilla
in ricerca.
 
Ancora mi lasci: son solo
nell'ombra che in sera si spande,
né valico s'apre al dolce
sfociare del sangue.
 
 
Lamentazione d'un fraticello d'icona
 
Di assai aridità mi vivo,
mio Dio;
il mio verde squallore!
 
Romba alta una notte
di caldi insetti;
 
il cordiglio mi slega
la tunica marcia d'orbace.
 
Mi cardo la carne
tarlata d'acaridi:
amore, mio scheletro.
 
Nascosto, profondo, un cadavere
mastica terra intrisa d'orina.
 
Mi pento
d'averti donato il mio sangue,
Signore, mio asilo:
 
misericordia!
 
 
La mia giornata paziente
 
La mia giornata paziente
a te consegno, Signore,
non sanata infermità,
i ginocchi spaccati dalla noia.
 
M'abbandono, m'abbandono:
ululo di primavera,
è una foresta
nata nei miei occhi di terra.
 
 
Metamorfosi nell'urna del santo
 
I morti maturano,
il mio cuore con essi.
Pietà di sé
nell'ultimo umore ha la terra.
 
Muove nei vetri dell'urna
una luce d'alberi lacustri;
mi devasta oscura mutazione,
santo ignoto: gemono al seme sparso
larve verdi:
il mio volto è loro primavera.
 
Nasce una memoria di buio
in fondo a pozzi murati,
un'eco di timpani sepolti:
 
sono la tua reliquia
patita.
 
 
Dammi il mio giorno
 
Dammi il mio giorno;
ch'io mi cerchi ancora
un volto d'anni sopito
che un cavo d'acque
riporti in trasparenza,
e ch'io pianga amore di me stesso.
 
Ti cammino sul cuore,
ed è un trovarsi d'astri
in arcipelaghi insonni,
notte, fraterni a me
fossile emerso da uno stanco flutto;
 
un incurvarsi d'orbite segrete
dove siamo fitti
coi macigni e l'erbe.
 
 
Amen per la domenica in Albis
 
Non m'hai tradito, Signore:
d'ogni dolore
son fatto primo nato.
 
 
Un sepolto in me canta
 
M'esilio; si colma
ombra di mirti
e il sopito spazio m'adagia.
 
Né amore accosta
silvani accordi felici
nell'ora sola con me:
paradiso e palude
dormono in cuore ai morti.
 
E un sepolto in me canta
che la pietraia forza
come radice, e tenta segni
dell'opposto cammino.
 
 
Mobile d'astri e di quiete
 
E se di me gioia ti vince,
è nodo d'ombre.
Non altro ora consola
che il silenzio: e non ci sazia
volto mutevole d'aria e di colli,
giri la luce i suoi cieli cavi
a limite di buio.
 
Mobile d'astri e di quiete
ci getta notte nel veloce inganno:
pietre che l'acqua spolpa ad ogni foce.
 
Bambini dormono ancora nel tuo sonno;
io pure udivo un urlo talvolta
rompere e farsi carne;
e battere di mani ed una voce
dolcezze spalancarmi ignote.
 
 
Anellide ermafrodito
 
Mite letargo d'acque:
la neve cede chiari azzurri.
 
Sono memoria
d'ogni mia ora terrena,
angelo biancospino.
 
A te mi porgo trebbiato
senza seme; e duole dentro
pietà di magre foglie
che m'aiuta la morte.
 
Dalla fangaia affiora
roseo anellide
ermafrodito.
 
 
Fresche di fiumi in sonno
 
Ti trovo nei felici approdi,
della notte consorte,
ora dissepolta
quasi tepore d'una nuova gioia,
grazia amara del viver senza foce.
 
Vergini strade oscillano
fresche di fiumi in sonno:
 
E ancora sono il prodigo che ascolta
dal silenzio il suo nome
quando chiamano i morti.
 
Ed è morte
uno spazio nel cuore.
 
 
Autunno
 
Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d'alberi e d'abissi.
 
Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:
 
povera cosa caduta
che la terra raccoglie.
 
 
L'Eucalyptus
 
Non una dolcezza mi matura,
e fu di pena deriva
ad ogni giorno
il tempo che rinnova
a fiato d'aspre resine.
 
In me un albero oscilla
da assonnata riva,
alata aria
amare fronde esala.
 
M'accori, dolente rinverdire,
odore dell'infanzia
che grama gioia accolse,
inferma già per un segreto amore
di narrarsi all'acque.
 
Isola mattutina:
riaffiora a mezza luce
la volpe d'oro
uccisa a una sorgiva.
 
 
Verde deriva
 
Sera: luce addolorata,
pigre campane affondano.
Non dirmi parole: in me tace
amore di suoni, e l'ora è mia
come nel tempo dei colloqui
con l'aria e con le selve.
 
Sapori scendevano dai cieli
dentro acque lunari,
case dormivano sonno di montagne,
o angeli fermava la neve sugli ontani,
e stelle ai vetri
velati come carte d'aquiloni.
 
Verde deriva d'isole,
approdi di velieri,
la ciurma che seguiva mari e nuvole
in cantilena di remi e di cordami
mi lasciava la preda:
nuda e bianca, che a toccarla
si udivano in segreto
le voci dei fiumi e delle rocce.
 
Poi le terre posavano
su fondali d'acquario,
e ansia di noia e vita d'altri moti
cadeva in assorti firmamenti.
 
Averti è sgomento
che sazia d'ogni pianto,
dolcezza che l'isole richiami.
 
 
Nascita del canto
 
Sorgiva: luce riemersa:
foglie bruciano rosee.
 
Giaccio su fiumi colmi
dove son isole
specchi d'ombre e d'astri.
 
E mi travolge il tuo grembo celeste
che mai di gioia nutre
la mia vita diversa.
 
Io muoio per riaverti,
anche delusa,
adolescenza delle membra
inferme.
 
 

Salvatore Quasimodo

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