Inediti On line
 
 Marisa Starace

presenta la sua opera inedita

Impronta di donna
(romanzo)

INDICE


Storia di Lena e Lia
Ai miei buoni amici Rosalba Valeri, Cesare Nazzaro, i Mandará, Carmen Germain, Gontran Gallardo Torres, Paul & Anna Bender, tutte persone meravigliose alle quali devo buoni ricordi degli anni passati e i quali, ciascuno a suo modo, mi aiutarono a crescere.
 

 

HISTORIA DE LENA Y LIA

 

Avrebbe dato qualsiasi cosa per dimenticare. Però ora era sola e non le rimanevano che i ricordi.

L'aveva vista partire. In verità si era separata da lei già da molto tempo. Da quando aveva dovuto ammettere il suo fallimento come madre. Aveva desiderato tanto avere un figlio e ora si chiedeva obiettivamente e freddamente il perché. Perché una donna di più di trent'anni senta improvvisamente o forse, non tanto repentinamente, il desiderio di un figlio proprio.

Forse per la paura d'invecchiare e la prospettiva della solitudine futura o forse l'ansia di progettare le proprie aspirazioni e i propri sogni non concretati in un altro essere che abbia alcune affinità con se stessa; paura di perdere il suo uomo mano a mano che il passo del tempo spegne un poco i primi entusiasmi; la necessità di realizzare sopra una base umana la esperienza della maternità o la responsabilità davanti all'alternativa dell'aborto.

Lena non poteva dirlo. Semplicemente non lo sapeva. Era confusa come sempre lo era stata nella sua vita. Non riusciva a focalizzare le immagini del suo passato. Aveva bisogno di riposare, chiudere gli occhi e cercare di non pensare per alcuni giorni o anche solo alcune ore. Fino a quando avesse potuto esaminare i fatti o tornare a vivere avvenimenti della sua vita con serenità e mettere a fuoco le sue esperienze con la mente sgombra da qualsiasi pregiudizio o parzialità.

Voleva solamente guardarsi dentro e portare in superficie il marcio che le si era affastellato dentro durante tanti anni. Avrebbe avuto il coraggio, la obbiettività, il disincanto, la crudeltà, il masochismo necessario, per capire il perché era riuscita ad avere una figlia a dispetto di tutti ed a perderla malgrado tutto l'amore che sentiva per lei?

Era bella Lia. Bella, intelligente e molte altre cose ancora. Era bruna e aveva grandi occhi neri, una bella bocca e belle mani. Alta e delicata.

Ora Lena è nella sua nuova casa che guarda al mare. Sola. Da qui non si muoverà più. Ha terminato di vagabondare come una zingara. La zingara che da sempre porta dentro se stessa. Qui aspetterà che sua figlia torni. Se torna.

Era già passata una settimana da quando Lia aveva viaggiato negli Stati Uniti d'America dove aveva assistito ad alcune lezioni all'Università. Forse si sarebbe innamorata. O tante altre cose ancora. Lena pensa a sua figlia e cerca di visualizzarla. La vede eccitata nei suoi primi contatti con la scuola e con il nuovo ambiente. Sarebbe stata felice. Di questo era sicura. Non aveva il minimo dubbio. Lei l'avrebbe aspettata nella sua nuova casa in riva al mare.

 

Era nata all'una di una mattina d'estate. Una estate romana. Il sole, lei e sua figlia. Così aveva voluto. Non l'aveva sentita nascere perché al momento opportuno l'avevano anestetizzata. Le sue ultime parole "Il bambino, vi prego...". Si era svegliata circa un'ora più tardi, o forse erano passati solo pochi minuti. Lei era lì, in una piccola culla al suo lato. Un folto ciuffo di capelli scuri sopra un piccolo volto. Non aveva una ruga: era perfetta. Quante fotografie le aveva fatto. Lena pensava con orgoglio che forse neanche i figli dello Scià di Persia erano stati fotografati così tanto come la sua Lia. La vedeva soltanto durante la notte quando tornava dal lavoro. E scopriva ogni volta qualcosa di nuovo che la commuoveva. In un primo momento la preoccupò una leggera peluria che notò intorno alle piccole orecchie, poi le sembrò che avesse le gambe troppo magre. Era una mamma esigente, non per lei, ma per Lia, poiché voleva che crescesse bella e sana per potere un giorno conquistare il suo posto in questo mondo. Perché la vita la trattasse bene come donna. Le rare volte che pregava, chiedeva sempre che Lia crescesse bella, godendo di buona salute e che avesse fortuna nella vita. Mai chiese che fosse molto intelligente: non era femminista. O forse sì, lo era senza saperlo, senza rendersi conto che tutto ciò che aveva fatto nella sua vita, portava l'etichetta del femminismo. Se lo era, dipendeva dal suo istinto, da un impulso che le veniva chissà da quale lato oscuro del suo subscosciente. Forse per una ribellione, che non aveva saputo né voluto controllare, ai troppi "NO" che aveva incontrato nella sua strada e contro i quali aveva dovuto lottare per sopravvivere o per raggiungere ciò che riteneva necessario per realizzarsi come essere umano.

Alcuni di questi NO potevano forse essere validi, molti altri discutibili ed altri ancora decisamente inaccettabili.

La sua visione del mondo e la selezione nei rapporti umani e sociali erano stati sempre condizionati da un profondo senso di libertà, intesa come un giusto equilibrio tra diritti e doveri, però secondo uno sviluppo armonico delle proprie idee e dei propri desideri: non come una imposizione illogica e vuota di qualsiasi contenuto umano e vitale.

Parole, suoni, rumori, pensieri, sensazioni, vita, morte...

Così passa la vita.

 

Lia era nata in una calda notte di giugno. Un fatto banale. Una tra mille delle nascite di bebè. Però per Lena era stato il principio di un'altra tappa della sua vita, la più importante e la più compromettente. Mise fine a molti aspetti della sua esistenza, creò contrasti e lotte con se stessa e con gli altri, attriti che con il passar del tempo sfociarono in un fallimento completo. Nell'insuccesso totale di se stessa come madre. Sua figlia era una bambina sensibile ed intelligente, troppo per accontentarsi solo di un tentativo di madre.

Però non poteva dare più di ciò che le dava. Aveva fatto e dato tutto ciò che era nelle sue capacità. Di più sarebbe stato impossibile. Ma ciò che aveva dato apparentemente non era stato sufficiente.

Lena non capiva perché si parlava tanto di protezione della famiglia contro la disintegrazione che situazioni irregolari potevano provocare. Lei non era contro l'istituzione della famiglia. Però era maggior d'età, adulta e responsabile. La società dovrebbe considerare i casi come il suo. Essere più elastica. Una donna di più di trent'anni dovrebbe poter scegliere se continuare con la sua vita arida e solitaria o dedicarsi ad un figlio suo.

A che serve allora la polemica contro l'aborto, se non si permette la libera scelta in una situazione dove manca uno dei genitori, ponendola al margine della legge? Questa realtà anche se incompleta risulterebbe sempre più positiva di una paternità carente e incapace di assumersi delle responsabilità portando a risultati negativi perché quasi sempre tale responsabilità è respinta dall'uomo e pertanto non effettiva né efficace per creare una famiglia vera su basi solide. In un mondo dove la donna studia, lavora ed è indipendente economicamente, non dovrebbe essere un tabù avere un figlio fuori dal matrimonio, senza per questo invalidare l'istituzione della famiglia concepita, secondo il concetto borghese, con piena responsabilità da chi lo desidera.

Pensieri assurdi. Forse no. Se solo avesse potuto staccarsi dalla croce della sua vita di donna sola. A volte umiliata solo per avere amato la vita nel più grande rispetto di se stessa, secondo la legge della natura, senza un secondo fine e senza pensieri meschini o interessi personali.

Lia aveva un anno e mezzo quando per la prima volta avevano viaggiato insieme nel paese del padre. Lena voleva che conoscesse la sua figlioletta. Nonostante fosse per lui, forse, un ricordo non del tutto gradevole, indubbiamente una responsabilità non accettata ma neanche condivisa e pertanto tutto ciò era di riflesso, l'immagine stessa della sua inconsistenza morale ed umana. Forse.

Lei aveva voluto un figlio insieme a lui, somigliante a lui, anche suo. Ora non sapeva più se era stata innamorata veramente. Le sembrava di sì. Però l'amore, molte volte, l'aveva confusa. Però non importava. Già non aveva nessuna importanza. L'unica cosa che le premeva era sua figlia. Lui aveva chiesto di dare alla figlia il suo cognome, come se fosse stato importante, come se senza il nome di tanto padre non avrebbe potuto respirare, né vivere. Sciocchezze! Per tutto il resto comunque si sarebbe preoccupata lei. Come aveva sempre fatto. Non pretendeva e non voleva nient'altro da lui.

Dopo tanti anni Lena si chiedeva quando le passioni dei primi momenti vissuti allora si erano spente e tutto era sprofondato.

Perché non aveva voluto? Perché? Diffidenza, paura di doversi assumere responsabilità anche economiche o indifferenza meschina? Come può un essere umano dar vita ad una creatura e poi ignorarla come fosse il cucciolo di un animale? Per cattiveria, per mancanza di coscienza o solo per egoismo nel non voler avere responsabilità di nessun genere. Punto e basta!

Perché, per Dio?

Lena aveva accettato sua figlia Lia con tutto l'amore di cui era capace. L'aveva cresciuta senza nessun pentimento come una cosa naturale che rappresentava un atto d'amore. Forse si era messa contro la società. Forse. Però non l'aveva fatto apposta o per una sfida. Lena pensava che la società era ingiusta, che ci si doveva difendere più da uomini cosiddetti rispettati nonostante siano proprio loro ad essere i peggiori. Loro e non i figli.

Tutto questo se la società ragionasse con la logica nel cuore e il senso di umanità nella testa.

Lo aveva visto per caso. Nella grande città le agenzie di viaggio si trovavano tutte nella stessa zona centrale. Lia e lei camminavano lentamente guardando le vetrine nella strada principale, il centro nevralgico dell'attività commerciale, del rumore, della polvere e del sudore umano... quando all'improvviso lo vide. Era dritto dietro il banco di un'agenzia, parlava con un impiegato. I pantaloni erano sempre un poco più lunghi del necessario e si appoggiavano sopra un paio di scarpe appuntite. Lena aspettò che uscisse. Appena lui si allontanò, entrò decisa nell'agenzia e con l'aria di una turista un po' distratta, domandò all'impiegato se per caso non era il signor X, l'uomo che era appena uscito. Alla risposta affermativa, gli chiese allora dove poteva rintracciarlo dato che aveva un pacchetto da consegnargli da parte di un suo amico. Ora sapeva dove lavorava.

Non voleva sorprenderlo. Per pudore o forse per Lia. Non sapeva come avrebbe reagito e non voleva causare a sua figlia un inutile trauma. Lo chiamò per telefono. Chiese di lui. Subito la voce conosciuta: "Hello..."

"Hello..." mormorò Lena incapace di continuare.

"Elizabeth ?..." doveva essere l'ultima della serie in quel periodo.

"Mi dispiace disilluderti ma sono io...Lena...". Glielo disse cosi, semplicemente, senza un velo alcuno di malizia né di ironia. Poiché era incapace d'ironizzare o di dire qualcosa che nascondeva una seconda intenzione. All'altro capo del telefono ci fu un momento di silenzio, poi:

"Ah, sei tu? Quando sei arrivata?"

"Due giorni fa".

"Bene, dimmi in quale albergo sei e passerò da te quando termino di lavorare".

"Lia è con me...".

"Bene, bene, poi parleremo...".

A Lena sembrò impossibile avere avuto il coraggio di cercarlo e di parlargli. Era lei ora che si sentiva traumatizzata. Però, perché si chiedeva angustiata, perché doveva farlo, umiliarsi, vederlo di nuovo e dovere sperimentare ancora la sua diffidenza e la sua indifferenza?

Aveva impresso nella sua mente la voce dei suoi e dei suoi amici:

"Pensa a lei... devi farlo... cerca di convincerlo... per Lia, per Lia..."

Quasi sembrava che Lia non potesse crescere bene altrimenti, senza il benedetto nome di tanto inesistente padre.

L'aveva vestita con cura. Sapeva che lui l'avrebbe osservata, esaminata e giudicata.

Lo vide arrivare attraverso il finestrone della hall dell'albergo.

É passato molto tempo da allora. La vita di Lena è entrata nella sua tappa finale. Sua figlia è già grande e non ha più bisogno dei suoi genitori. Non più. A Lena piace pensare che Lia è cresciuta bene perché non ha avuto il padre al suo fianco. La mancanza che provò per l'assenza della figura paterna è servita come stimolo per progredire, per formarsi una vita che le ha dato tutte quelle soddisfazioni che suo padre non volle o non seppe darle. Forse è solo un modo di pensare, per consolarsi di ciò che lei non aveva saputo darle. Grazie al cielo, Lena ha raggiunto finalmente il periodo della vita nel quale non c'è più posto né nessun interesse per recriminazioni o pentimenti. E di che cosa? Di non avere potuto dare un padre a sua figlia e un uomo a se stessa? Erano tutte queste cose veramente necessarie per rendere felice un essere umano? Ora ne dubitava. Ora le dava quasi nausea, le ripugnava ricordare tutto ciò che aveva fatto perché Lia potesse avere suo padre vicino. Quella continua ricerca di un contatto per non mettere la parola fine ad una relazione senza vitalità, deprimente e squallida. Senza carne né sangue. Per paura che lui le dimenticasse o per lo meno che non sentisse il pungolo delle responsabilità. Perché?

Questo si chiedeva Lena ora che tutto era terminato, concluso, finito. Ora che il tempo pietoso si era incaricato di chiudere per sempre quel capitolo della sua vita fatto di umiliazioni e di amarezze. Perché quella voglia di distruggersi, annullarsi, fino ad immolarsi? E soprattutto, valeva la pena patire tutta quella sofferenza? Doveva avere una risposta. Però, come poter essere obbiettiva, guardarsi dentro senza macerarsi per incontrare la verità, il vero significato della situazione che aveva vissuto? Doveva ancora una volta umiliarsi ed essere umile per toccare il fondo e affrontare la verità, nonostante non credeva all'esistenza di una sola verità, di una sola storia dello stesso fatto, ma piuttosto che qualsiasi avvenimento aveva vari aspetti, varie facce, tanti angoli oscuri, tante ombre e sfumature più o meno forti. E se aveva fatto tutto anche per lei, per se stessa? Non solo per la figlia ma anche perché lei non poteva vivere senza di lui? Nonostante tutte le sue dichiarazioni di libertà, di disprezzo e di orgoglio ad oltranza e mal fondato? Se, senza rendersi conto, avesse mascherato il suo desiderio verso di lui, fingendo e ingrandendo l'importanza che sua figlia avesse un padre? Forse. Potrebbe forse esserci qualcosa di vero in questa idea. A distanza di anni era ormai difficile dire dove cominciava una verità e terminava l'altra. Se una non era altro che il prolungamento di un'altra. O la verità era che aveva voluto unire le due cose. Perché sua figlia avesse potuto avere entrambi i suoi genitori vicino. Solo che non lo aveva confessato o ammesso mai. Peccato di superbia od orgoglio ridicolo però... che importava adesso? Perché tornare a rimescolare vecchi sentimenti anche se possono essere stati importanti? Ormai già da molto tempo tutto era terminato e lei non poteva tornare indietro per cambiare... E cambiare che cosa? Sapeva bene che se fosse nata di nuovo, avrebbe commesso gli stessi errori di tutta la sua vita, se errori si possono chiamare gli atti d'amore e di dedizione di un essere umano verso l'altro... e tutto vissuto intensamente.

Lo aveva perduto, senza averlo mai avuto in verità, perché lui non era adatto per lei. Questa era la questione. Fine. E con il tempo aveva perduto anche sua figlia. Però aveva lottato tutta la vita per lei. Da lei aveva estratto la forza per continuare a vivere nei momenti difficili e nelle situazioni di depressione. In un mondo dove la concorrenza è, a volte, la negazione di qualsiasi valore umano e civile, Lia aveva rappresentato per lei l'ossigeno, l'energia, lo stimolo necessario per non arrendersi davanti alle difficoltà incontrate nel suo cammino di donna sola. Però non aveva saputo farsi amare come una figlia dovrebbe amare una madre. Forse era stata una madre debole, incapace di darle il buon esempio necessario affinché lei potesse trionfare nella vita. O non aveva saputo dimostrarle tutto il suo affetto.

Quando si rese conto che non poteva insegnarle niente di utile per paura che le sue idee potessero fare di sua figlia un soggetto negativo e senza la forza morale necessaria per vivere in una società che porta con sé tutti i suoi tabù e pregiudizi, aveva preferito che Lia crescesse spiritualmente lontana da lei. Lia aveva ricevuto una buona educazione ed ora aveva l'opportunità di vivere e di studiare in un paese dove, nonostante alcuni difetti, quasi tutti hanno la stessa chance di progredire. Lena sperava che Lia potesse trovare l'equilibrio che, malgrado tutti i suoi sforzi, la mancanza di un padre le aveva impedito di sviluppare completamente.

Improvvisamente squillò il telefono. Lena si svegliò dal suo stato di dormiveglia.

Le sembrò di tornare da un lungo viaggio. Aveva sognato o aveva rivissuto il suo passato, aveva ripercorso le tappe salienti della sua esistenza? Il telefono continuava a suonare. Doveva essere Lia. Si affrettò a rispondere: era lei.

"Ciao, mamma! Volevo essere sicura che tu fossi finalmente nella tua nuova casa. Sarai felice ora e spero niente più depressione, spero... Io sto bene, meglio che mai. Ho una stanza magnifica che divido con una ragazza della mia età, molto simpatica. Tutto e tutti sono divini. Cosa? Naturalmente ti scriverò e ti racconterò tutto dettagliatamente. Non ti preoccupare. Ciao e ti faccio gli auguri per la tua casa". Si udì un click e la voce si spense.

Lena posò il ricevitore al suo posto con un gesto lento e tenero... poi si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Faceva freddo ma il mare la riscaldò. La sola vista del mare, il suo profumo, la sua vicinanza, il suono della sua voce quasi umana...

Era l'amore perduto e recuperato. Un amore senza età. Eterno. Non era sola. Fino alla fine.

 
 
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agg. 15 novembre 2001