È uscito il n° 123-124
Novembre-Dicembre 2002
dell'edizione cartacea de Il Club degli autori
è stata spedita ai soci del Club degli autori il giorno 22 novembre 2002
 
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Editoriale
 
Satira e poesia:
Giovenale - La rabbiosa indignatio del più spietato flagello dissacratore
 
 
 
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La premiazione dei nostri concorsi
 
 
Sommario
Satire di Giovenale
Tratto da Giovenale - Satire, Rizzoli Editore, Milano 1960
 
SATIRA I
 
Dovrò io sempre soltanto ascoltare? Cordo mi ha straziato tante volte con la sua Teseide, fino a perderci la voce, e io non potrò mai vendicarmi? Quello mi recita le sue commedie togate, quest'altro le sue elegie, e io non debbo protestare? Sarò dunque costretto a perdere ancora tutta una giornata per un Telefo che non finisce mai e un Oreste ancora incompiuto e che pure già riempie un mucchio di pagine, fitte fin sui margini e a tergo, senza che qualcuno ne paghi il fio? Nessuno conosce così bene la sua casa, com'io conosco il bosco di Marte e l'antro di Vulcano, vicino alle rupi eolie. Che cosa facciano i venti, quali ombre tormenti Eaco, da dove quell'altro eroe porti via l'oro del vello e che frassini scagli Monico: tutto ciò, e notte e giorno, gridano i platani e i marmi rovinati di Frontone, e le colonne son crollate a furia di sentir versi? Declami un poeta grandissimo o uno da niente, dicon tutti le stesse cose. Ma anch'io da ragazzo tirai via la mano da sotto il righetto, e consigliai Silla a ritirarsi a vita privata e farci su un bel sonno! È davvero una sciocca preoccupazione quella di risparmiare poca carta, destinata a finire al macero, quando da tutte la parti inciampi in poeti? Ecco perché preferisco correre sullo stesso campo nel quale il grande figlio di Aurunca domò i suoi cavalli; naturalmente, ammesso che abbiate il tempo e la voglia di ascoltare con calma le mie ragioni.
Quando un eunuco rammollito prende moglie e Mevia, con le mammelle ignude e lo spiede in mano, va a caccia di cinghiali toscani nell'arena; quando tutti i patrizi sono sorpassati in ricchezza da un cialtrone che, ai miei tempi mi raschiava rumorosamente la barba; quando un avanzo della plebaglia del Nilo, un servo di Canopo, Crispino, tirandosi sulle spalle porpora tiria, sventola in giro, con le dita sudate, il suo anellino estivo e par quasi non riesca a sopportare il peso della gemma, ah, è difficile allora non scrivere satire!
Ma chi può sopportare una città così perversa? Bisognerebbe essere di ferro per trattenersi, quando Matone, l'avvocato, ti passa davanti agli occhi, traboccando fuori della sua nuova lettiga, con dietro un tale che ha appena denunciato l'amico più caro ed é li pronto ad arraffare quel che avanza della nobiltà rovinata; uno di cui ha paura persino Massa, e Caro lo liscia con regali, e Latino, per timore, gli mette sotto la sua Timele; quando ti si para davanti gente che si guadagna testamenti di notte, e gli altri che han trovato che la miglior strada per arrivare al cielo è la vescica d'una vecchia beata!
Proculeio si piglia un dodicesimo dell'eredità, Gillone il resto: così han la loro parte secondo la forza del lombi e ciascuno di loro riscuote il prezzo del suo sangue, fino a ridursi pallido come chi calpesta col tallone nudo un serpente, o come un rétore che debba fare il suo discorso all'altare di Lione.
Come si possono trovare le parole per dire la bile che mi brucia a secco il fegato? Guardalo, questo predone del suo pupillo: dopo averlo ridotto sul lastrico, va opprimendo il popolo con un codazzo di mansnadieri. Che importa l'infamia quando i quattrini sono al sicuro? Mario si ubriaca in esilio fin dalle prime ore del pomeriggio, infischiandosi dell'ira degli dèi. E intanto a te, povera provincia, che pure hai vinto la causa, non resta che piangere!
Non è degno tutto ciò della lucerna di Venosa? E non debbo raccontare queste cose? Altro che Ercole e Diomede, o i muggiti del Labirinto, o il ragazzo che precipita in mare, o il fabbro che vola, quando un marito ruffiano si piglia i beni dell'amante, abilissimo a guardare il soffitto o a russare ben sveglio, col naso sul bicchiere; quando c'è chi pensa che sia la cosa più naturale di questo mondo ambire al comando di una coorte, dopo aver scialaquato il patrimonio in cavalli ed esser rimasto senza più un soldo; e intanto corre sul cocchio, a rotta di collo, per la via Flaminia, come Automedonte, e tiene lui stesso le briglie, strisciandosi addosso all'amica togata.
E non ha da venir la voglia di scrivere interi libri, fosse pur in mezzo a un crocicchio, quando un falsario, che s'è fatto signore con poche tavolette e inumidendo un sigillo, si fa portare in poltrona, sulle spalle di sei schiavi, e si fa vedere da tutti, sdraiato indolentemente come un Mecenate? e subito ti viene incontro una grande matrona che, quando il marito ha sete, gli dà da bere molle Caleno mescolato con sugo di rospo e, più abile di Locusta, insegna a tutte le vicine inesperte come si porta a seppellire un marito nero di veleno, senza curarsi per nulla delle chiacchiere della gente.
Se vuoi essere qualcuno, devi avere il coraggio di fare cose degne dell'isola di Giari e della galera? L'onestà è lodata da tutti, ma muore di freddo. Ai criminali vanno i giardini, gli onori pretorii, le mense, l'argento vecchio e le belle tazze ornate di caproni rampanti. Ma chi può dormire tra questi corruttori di nuore insaziabili, queste spose miserabili, questi adulteri ancora in pretesta? Se anche non fosse del mio carattere, è l'indignazione stessa che, come può, mi spinge a scrivere. Io faccio soltato del mio meglio, ma credo ci riuscirebbe persino Cluvieno.
Da quando Deucalione, tra i nembi che gonfiavano l'acque, salì con la nave sul monte a chiedere il suo destino, e il soffio vitale a poco a poco ammollì i sassi e Pirra mostrò ai maschi le femmine ignude, tutto ciò che gli uomini fanno, i voti, i timori, le ire, i piaceri, le gioie, gli errori, tutto sarà mescolato nel mio libro. E quando ci fu mai abbondanza più fertile di vizi? Quando mai l'avarizia spalancò di più il suo grembo? Quando mai l'azzardo fu più grande? Oggi non si puntano al gioco le piccole somme; tutta la cassaforte si punta! Vieni a vedere che battaglie quando il cassiere distribuisce le munizioni! Ma non è pazzia bella e buona giocarsi centomila sesterzi e non poter ricucire la tunica al servo infreddolito?
E chi ha mai costruito tante ville, e chi mai tra i nostri antenati, cenava in segreto con sette portate? Ora, sulle soglie, come sono piccole le sportule! Se le contende una turba di gente togata, ma il patrono ti guarda prima bene in faccia per la paura che tu sia un altro e ti presenti con un falso nome. Solo se ti riconosce te la dà. E ordina al banditore di chiamare all'appello autentici discendenti di Troia (anche quelli son lì con noi a far ressa).
- Dalla al pretore, poi al tribuno!-
Ma il liberto si fa avanti per primo.
- Perché dovrei aver paura a difendere il mio posto, anche se son nato sulle rive dell'Eufrate? Lo so, si vede benissimo dai buchi che ho alle orecchie, come una donna; mi guardo bene dal negarlo. Ma ho cinque bettole che mi rendono i quattrocentomila sesterzi! Che vantaggio dà la porpora, quando Corvino pascola le pecore degli altri nei campi di Laurento e io ho più quattrini di Pallante e dei Licini?-
Così i tribuni fanno il favore di aspettare; la precedenza é al denaro e non c'è nessun bisogno che chi è venuto da poco in questa città coi piedi verniciati di bianco, ceda il passo alle cariche sacre. Molto più sacra è tra noi Sua Maestà il Denaro, sebbene tu, o funesta deità, non occupi ancora alcun tempio, e noi ancora non abbiamo eretto altari ai quattrini come alla Pace, alla Fede, alla Vittoria, alla Virtù, e a quella Concordia, sul cui tempio gracchiano, tornando al nido, gli uccelli.
Ma se gli alti magistrati debbono fare i conti a fin d'anno di quanto abbia reso loro la sportula e di quanto abbian pouto arrotondare i loro stipendi, che dovranno fare i clienti che da lì ricavano la toga, le scarpe, il pane e quel po' di fumo del loro focaolare? Vengono con file di lettighe per incassare i cento quadranti e per di più hanno con sé la moglie che sta male o è incinta, ma non per questo cessa di seguirli dappertutto. Costui, che la sa lunga, chiede i quattrini anche per chi non c'è e finge che sulla lettiga vuota e ben chiusa ci sia anche la moglie. - C'è la mia Galla, - dice. -Svelto, cosa aspetti? Fatti vedere, Galla. Zitti! Non destatela, dorme!
La giornata è tutta distinta in belll'ordine: prima la sportula, poi il foro, con Apollo che fa l'avvocato e i busti dei trionfatori, tra i quali ha osato mettere il suo, con sù scritte le sue imprese, un egiziano che non so chi sia, un governatore d'Arabia, sotto cui tutti possono andare ad orinare o peggio. Vecchi e stanchi i clienti se ne tornano dai vestiboli e depongono ogni speranza, quantunque ne avessero tanta, di poter cenare col patrono: per pochi miseri cavoli dovranno comprarsi anche il fuoco. Intanto l'altro, come un re, ingozzerà quanto di meglio si trova nelle selve e nel mare, tutto solo nel vuoto triclinio. È d'una razza, lui, che su tavole belle, spaziose, antiche, si mangia interi patrimoni senza bisogno di aiuto.
Al diavolo i parassiti! Ma nemmeno si può sopportare tanta spilorceria. O che gola ha costui, se può divorarsi da solo un cinghiale fatto apposta per bastare a un convito?
Ma la punizione già ti pende sulla testa, quando deponi le vesti e, pieno come sei, ti porti al bagno il pavone che non hai ancora digerito. Da qui la morte improvvisa, la vecchiaia senza testamento. La notizia corre da una cena all'altra, ma non rattrista nessuno. Passa il tuo funerale e gli amici, pur indignati, applaudono.
Non c'è nulla che la posterità possa aggiungere ai nostri costumi: i nostri figli non faranno e non potranno volere di più. Ogni vizio è arrivato al fondo. Alza quindi le vele, distendile al vento!
Qualcuno forse dirà: -Ma avrai ingegno bastevole per simile impresa? Da dove prenderai quella bella franchezza con cui gli antichi scrivevano tutto quanto ribollisse loro nell'animo?
-Perché? Credi che io non osi far nomi? Non mi importa se Mucio approverà o no quel che dico!
-Davvero? Pigliatela allora con Tigellino! Andrai subito a far luce sulle fiaccole dove, impalato, bruciando, manderai fumo dal petto aperto, e traccerai un gran solco, strascinato in mezzo all'arena!
-E chi ha avvelenato tre zii, allora, deve essere portato sulle piume e guardarci dall'alto?
-Quando lo incontrerai, tappati la bocca! Basta che tu dica: Eccolo, e finisci dritto in tribunale. Vuoi essere sicuro? Canta le battaglie di Enea e del Rutulo feroce. Achille morto e Ila che tutti cercano e nessuno trova, finito in acqua con la sua anfora, non offendono nessuno. Ma ogni qualvolta Lucilio indignato ribolle e par quasi che una spada gli folgori la mano, che lo ascolta, anche se è incallito nei delitti, arrossisce, e per le sue colpe segrete gli sudano i precordi! Di qui vendette e lacrime. Quindi pensaci bene prima di strombazzare queste cose: quando hai l'elmo in testa, è troppo tardi per pentirsi del duello.
-Vedrò allora che dire contro i sepolti lungo la Flaminia o la via Latina.
 

 
SATIRA VI
 
Io credo realmente che, durante l'età di Saturno, la Pudicizia abitò sulla terra e si mostrò per lungo tempo agli uomini, quando una gelida spelonca offriva un modesto asilo e insieme riuniva sotto un'ombra comune il fuoco, i Lari, il gregge e lo stesso pastore. La moglie montanara preparava allora un silvestre giaciglio con fronde e paglia e pelli di animali della sua terra, così diversa, o Cinzia, da te, pure, cui bastò la morte d'un passero a turbare gli occhi lucenti; offriva ai suoi grassi poppanti le mammelle rigonfie, più irsuta spesso a vedersi dello stesso marito, ruttatore di ghiande. Ché ben diversamente allora vivevano gli uomini, in quella primavera del mondo sotto il cielo recente, rampollati dalla scorza delle querce, o fatti di fango e senza genitori.
Forse molte tracce, o alcune almeno, della Pudicizia antica, si conservarono anche durante l'età di Giove; ma certo quando Giove ancora non aveva la barba; quando ancora non v'erano i greci, pronti sempre a giurare sulla testa degli altri, quando nessuno temeva ancor ladri per i suoi cavoli e le sue mele, e viveva senza chiudere l'orto! Ma poi, a poco a poco, con la Pudicizia, anche Astrea ritornò nei suoi cieli e insieme fuggirono il mondo le due sorelle.
È un'abitudine antichissima, o Postumo, quella di scuotere il letto altrui, infischiandosi del Genio che presiede al talamo nuziale. Ma se ben presto l'età del ferro portò con sé ogni altro delitto, fu l'età argentea che vide i primi adulteri. Nonostante ciò, coi tempi che corrono, tu prepari il contratto e gli sponsali, ti fai aggiustare i capelli da un maestro parrucchiere, e forse ti sei anche impegnato con l'anello. Una volta eri sano di mente; e adesso, o Postumo, ti vuoi sposare? Quale Tisifone, dimmi, quali sepenti ti hanno reso folle? Con tutte le corde che puoi avere a disposizione, con tante alte finestre spalancate e vertiginose, col ponte Emilio a due passi, come puoi pensare di farti schiavo di una donna? O se non ti piace morire in nessuno di questi modi, non credi sia meglio piuttosto dormire col ragazzo? Di notte non litiga, non vuole regalucci per giacerti accanto e non si lamenta se tu risparmi i tuoi lombi e non soffi quanto vorrebbe.
-Ma ad Ursidio piace la legge Giulia; spera già di poter sollevare tra le braccia il suo dolce erede, disposto a fare a meno della grassa tortora, della triglia barbata, e di tutte le tentazioni del mercato.
Tutto è possibile se una donna è disposta a sposare Ursidio, se questo adultero, celeberrimo da un pezzo tra tutti, porge la stolta cervice al capestro coniugale, lui che tante volte salvò la pelle, nascondendosi nella cesta di Latino. E per di più si cerca per costui una moglie all'antica! O medici, qui occorre un salasso!
Ingenuo che sei! Inginocchiati al tempio Tarpeio, sacrifica a Giunone una giovenca dorata, se mai ti capiterà una donna dalle labbra caste! Sono poche ad esser degne di toccare le bende di Cerere; poche quelle i cui baci non spaventino il loro stesso padre. Intreccia pure corone alle porte, distendi folti corimbi d'edera sul limitare!
-Basta un solo uomo a Iberina?
Faresti più presto a convincerla d'accontentarsi d'un occhio solo.
-C'è però gente che dice un gran bene di una tale che vive in campagna, nel podere avito.
Dille che viva a Gabi, come è vissuta in campagna, o a Fidene, ed io rinuncio subito a quel po' di terra che ha lasciato mio padre. E poi, chi, può giurare che non abbia fatto nulla in mezzo ai suoi monti o in qualche grotta?
Sono invecchiati a tal punto Giove e Marte?
E neppure è sotto i portici che puoi trovare la donna dei tuoi sogni. Dimmi se c'è un settore, nei teatri, che ti offra un oggetto d'amore sereno, tale che tu possa sceglierlo per te. Quando Batillo danza lascivamente la pantomima di Leda, Tuccia non si domina più, Apula guaisce all'imprivviso un lungo e compassionevole lamento, come nell'amplesso; Timele è tutt'occhi; rozza ancora com'è, ora impara. Altre, quando son riposti i sipari, chiusi e deserti i teatri, e soltanto le piazze risuonano e , finiti i giochi plebei, lontani sono ancora i megalesi, allora, malinconiche, maneggiano la maschera, il tirso e le mutandine di Accio.
Urbico, in una farsa atellana, muove il riso coi gesti di Autonoe: spasima Elia per lui, ma non ha denaro. Ma per altre, a suon di quattrini, subito si slaccia la fibbia del commediante, ed altre ancora han rovinato la voce a Crisogono, mentre Ispulla si gode un tragico. T'aspetteresti forse che amassero Quintiliano? Tu prendi moglie ed ella ben presto rende padri il citarista Echione e Glafiro ed Ambrosio flautisti. Innalziamo palchi per gli stretti vicoli, orniamo gli stipiti e le porte con grandi corone di alloro: dalla sua culla di tartaruga, il nobile fanciullo ti mostrerà, o Lentulo, la faccia d'un Eurialo, o quella d'un Mirmillone!
Sposa d'un senatore, Eppia ha seguito un gruppo di gladiatori fino a Faro, al Nilo, fino alle mura malfamate di Lago, lasciando persino Canopo scandalizzata dell'incredibile nefandezza romana. Dimentica della sua casa, dello sposo, della sorella, non si è piegata alla voce della patria: ha abbandonato, la scellerata, i figli in pianto e a tuo maggior stupore, i giochi e Paride. Quantunque allevata tra gli agi, nelle piume della casa paterna, dentro una culla intarsiata, non ha avuto paura del mare. E del resto già aveva disonorato il suo nome, di cui poco importa a chi è avvezzo alle molli poltrone. Con cuore indomito ha affrontato i flutti del Tirreno e l'onde risonanti dello Ionio, passando per tanti mari. Guai se queste donne debbono affrontare pericoli per una giusta e onesta causa! Tremano di spavento, s'agghiaccia loro il cuore nel petto, le gambe tremanti non le reggono più: solo osando le loro turpi imprese, ritrovano un grande coraggio.
Se è il marito a volerlo, che dramma salire su di una nave, che fetore dalla stiva; svengono! Ma quella che segue l'amante non soffre di stomaco. La prima vomita addosso al marito, questa pranza coi marinai, va su e siù per il ponte e gode un mondo a toccare le dure sartie.
Ma per quale bellezza, per quale mirabile giovinezza bruciava Eppia d'amore? Che cosa aveva veduto in quell'uomo da sopportare d'esser chiamata gladiatrice? Già da un pezzo il suo bel Sergio aveva cominciato a radersi la barba e a sperare il congedo per quel suo braccio rotto; e per di più aveva protuberanza nel mezzo del naso, spelata per l'uso dell'elmo, e un malanno noioso che gli faceva lacrimare continuamente gli occhi. Ma era un gladiatore! E ciò fa di costoro tanti Giacinti. Per questo ella lo ha preposto ai figli e alla patria, alla sorella e al marito. È il ferro che queste donne amano! Se il suo Sergio avesse già ricevuto il bastone di congedo, le sarebbe parso immediatamente brutto come Veientone.
Ti preoccupi tanto di quel che è accaduto in una casa privata, di quel che ha fatto una semplice Eppia? Guarda piuttosto quel che dovette sopportare un Claudio! Non appena lo vedeva addormentato, la sua sposa, sfrontata al punto da preferire una povera stuoia al talamo del palatino, indossava, augusta meretrice, un notturno mantello e con non più di un'ancella di scorta, abbandonava la casa e il marito. Poi, nascondendo sotto una bionda parrucca le negre chiome, entrava in un caldo lupanare, dietro una vecchia tenda, in una stanza vuota riservata a lei sola e qui s'offriva ignuda, coi capezzoli dorati, facendosi chiamare Licisca, e mostrando, o generoso Britannico, il ventre che t'aveva partorito. Blanda riceveva chi entrasse da lei, chiedeva il suo prezzo; poi quando il lenone rimandava le ragazze, anch'essa allora partiva, ma triste, lasciando il più tardi possibile la sua stanza, ancor tutta bruciante per il prurito dell'utero teso, e ritornava alla sua casa stancata di tanti, ma non sazia ancora, con le guance sozze, annerita dal fumo della lucerna, portava il lezzo del postribolo fin nel letto imperiale!
E dovrei ora parlare dell'ippòmane, delle formule magiche, del veleno fatto bollire e propinato al figliastro. Queste donne, spinte dalla prepotenza del sesso, commettono colpe ancor più gravi e la loro libidine è il meno.
-Eppure c'è Censennia che è brava, a sentire il marito.
-Gli ha portato in dote un milione, per questo la dice pudica? Non è per la faretra di Venere e per il fuoco dell'amore ch'egli è magro e brucia; dalla dote vengon le fiamme, dalla dote partono le saette. Così ella si compra la libertà; davanti a lui strizza l'occhio a chi le pare, e può scrivere tutti i messaggi che vuole. La donna ricca, che ha sposato un avido marito, si comporta come se fosse vedova.
-Eppure Sertorio brucia d'amore per Bibula!
-Attento che compaiano tre rughe, che la pelle inaridita si afflosci, aspetta che i denti si scuriscano un poco e gli occhi si faccian più piccoli; "Raccogli la tua roba", dice il liberto, "via di qui! Ormai ci sei di peso, non fai che soffiarti il naso. Svelta cammina! Aspettiamo un'altra che ha il naso asciutto! ".
Intanto è tutta calda, è lei che comanda, e chiede al marito pastori e pecore di Canusia e vigneti di Falerno. E ti par tanto? Vuole tutti i giovani schiavi, interi ergastoli vuole; tutto quello che in casa non c'è, ma il vicino ce l'ha, esige che lo se compri. Nel mese di dicembre, quando Giasone, ormai divenuto mercante, è chiuso alla vista, e le botteghe dipinte di bianco si ergono davanti ai suoi marinai pronti a salpare, pretende grandi cristalli, i più grossi vasi murrini, e anche il famoso diamante, fatto più prezioso dal dito di Berenice: il barbaro Agrippa lo donò un giorno all'incestuosa sorella, nel paese dove i re osservano a piedi nudi la festa del sabato e un'antica clemenza risparmia ai porci la vita fino all'estrema vecchiaia.
-Fra tante donne, non ne trovi dunque una degna di te?
-Sia pur bella, ben fatta, ricca, feconda: disponga pur anche, se vuoi sotto i suoi portici, di vetusti antenati; sia pur anche più pura di tutte le sabine che con le chiome disciolte divisero gli uomini in lotta, rara nel mondo come un cigno nero; chi sopporterà una moglie perfetta come questa? Preferisco piuttosto una di Venosa, che te, o Cornelia, madre dei Gracchi, se con tutte le tue virtù mi porti in casa la tua grande superbia e pretendi ch'io consideri inclusi nella dote tutti i trionfi dei tuoi avi! Riprenditi pure, per piacere, il tuo Annibale, il tuo vinto Siface ed emigra, ti prego, con tutta la sua Cartagine!
-Perdonami, Apollo, ti scongiuro! - grida Anfione.
-E tu deponi le tue saette, o dea! Nulla hanno fatto i miei figli; trafiggete piuttosto la madre! -Ma Apollo tende egualmente l'arco. Così Niobe portò alla sepoltura la schiera dei suoi figli e lo stesso loro genitore, per essersi creduta più nobile dei figli di Latona e più feconda della bianca scrofa.
Quale nobiltà, quale bellezza possono essere tali che una donna debba poter sempre rinfacciartele? Il piacere di doti così rare e così preziose finisce presto in nulla, quando, guastata dalla superbia del cuore, la donna ha in sé più d'aloe che in miele. Chi è schiavo di lei a tal punto, da non inorridire di lei, che pure riempie di lodi, da non odiarla almeno per sette ore in un giorno?
Altri difetti, per la verità, sono più leggeri; ciononostante non c'è marito che possa tollerarli.
Nulla è più stomachevole del brutto vezzo di sentirsi bella soltanto se da toscana com'è riesce a passare per greca, da sulmonese per ateniese puro sangue! Tutte vogliono parlare in greco, quando poi è vergogna così grande che nessuna di loro sappia più parlare latino. Parlano greco quando hanno paura, quando s'arrabbiano, quando voglion mostrar piacere o affanno o comunque effondono i più segreti sentimenti dell'animo. Che vuoi di più? Anche a letto parlano greco! E passi per le più giovani; ma tu, che hai già ottantasei anni, ancora grecheggi? Che sconcezza questo linguaggio in una vecchia! poc'anzi mormorato sotto le coperte, ed ora ripetuto in pubblico! Come non potrebbe eccitare gli inguini una voce così carezzevole e perversa? Pare abbia le dita! E tuttavia ogni penna s'affloscia: ché tu potresti dire le tue parole più lascivamente d'Emo o di Carpoforo; ma l'età ti sta scritta in faccia!
Se non hai l'intenzione d'amare colei che ti viene promessa e alla quale vuoi unirti in legittime nozze, perché la sposi? Non vedo perché tu debba rimetterci la cena e la focaccia di mosto, dovuta, secondo l'usanza, agli ospiti già sazi, e il dono d'obbligo per la prima notte, il grande piatto su cui scintillano le monete d'oro del Dacico e del Germanico.
Se invece hai l'intenzione d'essere un buon marito e di dedicarti ad una donna sola, abbassa la testa e preparati a portare sul collo il giogo. Non troverai nessuna disposta a risparmiare chi l'ama; anche se t'amerà, godrà di tormentarti e spogliarti. La moglie è tanto meno utile quanto più il marito le si mostra gentile e desiderabile. Se ella non vorrà, non potrai fare un regalo, non potrai vender nulla. Nulla potrai comprare se ella te lo proibirà. Ella regolerà i tuoi affetti; ella caccerà fuori di casa il vecchio amico, di cui la tua porta aveva conosciuto la prima barba. I ruffiani, i lanisti, i gladiatori, possono fare i loro testamenti in piena libertà; a te ella detterà come erede il nome di più d'uno dei tuoi rivali.
-Fai crocifiggere questo schiavo! - ti grida.
-Che cosa ha fatto per essere messo in croce? Chi sono i testimoni? Chi l'ha denunciato? Ascolta: c'è sempre tempo a uccidere un uomo!
-Sciocco! Forse che uno schiavo è un uomo? Anche se non ha fatto nulla voglio che sia messo in croce lo stesso; lo comando io! E se lo comando io, basta così!
È la moglie insomma che comanda al marito. Nonostante questo, abbandona ben presto il suo regno, cambia casa, calpesta il velo nuziale; quindi vola ancora di là, e di nuovo ritorna a quel letto che aveva tanto spregiato: lascia le porte appena ornate, i festoni e i verdi rami appesi sulla soglia della casa. Così cresce il numero dei mariti che possono diventare persino otto nello spazio di cinque autunni: cosa ben degna di essere scolpita a ricordo sul marmo della sua tomba.
Finché poi vive la suocera dispera della tua pace familiare. È lei che le insegna il modo di godere fino in fondo il poco che avanza del marito; è lei che le suggerisce come rispondere senza rudezza o troppo semplicemente alle lettere del seduttore; lei che inganna i custodi e li compra col denaro. E lei che manda a chiamare Archigene anche se la figlia sta benissimo di salute e tira via le coperte pesanti, intanto che l'amante, ben nascosto nella stanza, resta zitto zitto in attesa e, impazientemente, manovra il prepuzio. Ti aspetteresti forse che la madre le insegnasse costumi più onesti dei suoi? La turpe vecchia ha tutta la convenienza a rendere spudorata la figlia!
Non c'è poi una causa in tribunale, o quasi, cui non abbia dato avvio una donna. Se non è Manilia la rea, è lei l'accusatrice. Mettono insieme esse stesse e distendono gli atti d'accusa, pronte a dettare a Celso esordio ed argomenti.
E chi infine non conosce i loro mantelli ginnici di porpora di Tiro e gli unguenti per i loro esercizi? Chi non le ha viste colpire il palo? Lo ammaccano a furia di colpi, e, imbracciato lo scudo, compiono tutti i numeri dell'esercizio così bene, che le diresti veramente degne di figurare tra le trombe dei giochi Florali, quando addirittura nel loro petto non s'agiti ben altro, ed esse non s'apprestino davvero a calcare l'arena.
Che pudore può più mostrare una donna che porti l'elmo, che abbia rinunciato al suo sesso? Ama la forza; ma poi non vorrebbe affatto diventare un uomo, perché sa quant'è breve la voluttà nell'uomo. Che figura ci farebbe un marito, se si mettessero all'asta gli oggetti della moglie: la cintura di cuoio, le manopole, il cimiero, e il mezzo cosciale per la gamba sinistra; oppure, se l'avrà attirata un altro genere di combattimento, che gioia vederla vendere gli schienieri!...
 

Giovenale

 
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