Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
 
Scorie d'amore
di
Tiziana Stanzani
 
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi)
12x17 - pp. 116 - Euro 11,10 - L. 21.500 -
ISBN 88-8356-304-2
 
dedicato a Raffaella Rossin
 
 
 
VIAGGIO DI UN ALIENO
 
 

"Non v'accorgete, voi, che noi siam vermi

nati a formare l'angelica farfalla,

che vola alla giustizia senza schermi?"

Dante, Purgatorio X, 124

 
Diario di bordo
 
"Sto arrivando.
Era da tanto tempo che aspettavo questo momento. Prima di partire non ero molto convinto di voler intraprendere questo viaggio, ma ora che ci sono e mi sono posto dei progetti, mi rendo conto che sto facendo la cosa giusta. Tempo fa, un mio vecchio amico mi disse che i terrestri sono tipi alquanto strani; qualcosa come 'incoerenti e confusi'.
Spero di non diventare così anch'io.
 
Non so dire da quanto tempo sto viaggiando; credo di essere stato ibernato perchè questi viaggi, anche se superano la velocità della luce, sono lo stesso molto lunghi; ma ormai credo non manchi più tanto per giungere a destinazione.
Nel pianeta da dove vengo... be', non è proprio un pianeta; è piuttosto un modo di essere. Dicevo, sul mio pianeta il tempo scorre diversamente che sulla Terra; noi utilizziamo il tempo come fosse plastilina; è difficile da spiegare: è come se lo modellassimo a nostro piacere.
Non so se sono già completamete sveglio. Oppure sveglia? Non ricordo neanche se sono un uomo o una donna; curioso. Va bene: non ha importanza, mi verrà in mente. Credo mi abbia svegliato questo ritmico pulsare del motore; presumo che la mia astronave funzioni grazie a dei potenti motori a propulsione, i cui sistemi di mantenimento producono un suono piuttosto calmante.
O forse il motore è proprio dentro di me?
Sono molto disorientato.
 
Ho un aspetto umanoide, non molto differente da quello dei terrestri, perciò è probabile che non verrò notato. La mia missione su questo pianeta non è eccezionale, anzi, forse proprio nessuno si renderà conto del fatto che sono un extraterrestre, ma quello che ho da fare a me sembra importantissimo; certo stavo meglio dov'ero, e onestamente non ricordo con esattezza se mi ci abbiano mandato o se ci sono voluto venire di mia spontanea volontà.
Una volta ero un soldato e forse ho obbedito a degli ordini. Eppure mi sbaglio, perchè sono anche convinta di essere stata una madre di famiglia. Che sensazioni confuse; ma mi era stato detto: l'ibernazione può portare ad avere dei momentanei stati di allucinazione che col tempo vengono rimossi.
 
Sul mio pianeta abito in una casetta a due piani, in cima a una collina che termina in una spiaggia bianchissima. La costruii io stesso, tanto tempo fa, il giorno in cui andai in pensione. Agli abitanti della Terra sembrerebbe strano, ma ci misi solo un attimo per edificarla e inoltre, quando lo feci, ero già vecchio. Il potere nella nostra mente è sufficientemente forte da manipolare la materia: per esempio mi bastò desiderare un pianoforte, in un angolo dell'appartamento, e questo apparve come per incanto; volli molta acqua, intorno alla mia casa, e così, uscendo dal portone d'ingresso, feci spuntare diversi fiumiciattoli, apparire il mare sul davanti e una fitta vegetazione tropicale sul retro.
Noi possiamo anche fare a meno di mangiare: siamo un po' come le piante; basta un bagno di sole e ci rimettiamo subito in forze.
Ero a riposo già da qualche tempo quando quell'amico di vecchia data mi venne a trovare e mi consigliò di fare questo nuovo viaggio. I miei studi si erano dovuti interrompere per mancanza di materie prime; tutti noi studiamo in continuazione; infatti l'apprendimento è la nostra occupazione principale ed è pressochè impossibile rimanere troppo a lungo a casa, perchè noi stessi, dopo un certo periodo e nonostante non ci manchi nulla, sentiamo il bisogno di proseguire questo apprendimento presso diverse accademie.
Così ci rechiamo spesso alle nostre università, nelle quali abbiamo modo, periodicamente, di approfondire alcune importanti discipline; i nostri libri sono simili a scatole, nel cui interno possiamo vedere le scene del passato che desideriamo conoscere oppure le infinite possibilità che il futuro ci riserva. Il viaggio diventa necessario quando i libri non ci bastano più; dopo ogni viaggio passiamo, in un certo senso, alla classe successiva; l'impressione che se ne può trarre è simile al superamento di un esame. Piace a tutti studiare.
Un paio di miei amici, di recente, sono stati in qualche modo obbligati a partire; sono due tipi un po' pigri, è vero, eppure pensavo che avessero le loro buone ragioni per voler restare; la conclusione del loro ultimo soggiorno risultò essere stata un vero e proprio dramma per entrambi: al primo toccò una permanenza lunghissima, brutta e in completa solitudine forzata; al secondo, invece, un periodo molto breve e faticoso. Tuttavia sono dovuti ripartire; erano a riposo già da tempo. Essi non avevano più nulla da imparare, a casa, e avrebbero voluto godersi quella pensione ancora per qualche tempo eppure, nello stesso tempo, sentivano che stavano perdendo un'occasione. Un'altra mia cara amica era appena tornata - io stesso ero andato a riceverla - che subito aveva voluto ripartire ella stessa; non che si fosse particolarmente divertita l'ultima volta, anzi; pare proprio che nessuno si diverta granchè, lontano dal nostro pianeta di origine. Era piuttosto stanca, eppure ricordo che venne a salutarmi lo stesso, nonostante avesse molta fretta, e mi disse che ripartiva perché sapeva di dover finire alcune faccende che, a sentir lei, aveva lasciato in sospeso.
Mi disse pure che ci saremmo rivisti molto presto.
 
Da parecchio tempo non mi sento più vecchio, la mia volontà è tornata forte e la mia pazienza capace di farmi attendere, neanche troppo febbrilmente, di arrivare sul pianeta Terra nei tempi giusti. Probabilmente, per farmi trascorrere meglio il periodo del viaggio, mi sono stati indotti dei sogni artificiali.
No, non credo sia possibile; l'ibernazione è come un sonno profondo: dovrebbe escludere quella che sulla Terra viene definita la fase R.E.M.
Mi sento felice, anche se credo che nel luogo dal quale vengo lo sia stato di più, probabilmente perchè avevo una maggiore sensazione di libertà. Perchè adesso mi sembra di essere imprigionato? No, sto di nuovo esprimendomi male; non sono imprigionato; non posso muovermi eppure mi sento al sicuro. La capsula si occupa del mio sostentamento e dell'ossigenazione dei miei tessuti; dicevano che è tutto programmato. Non dovrò preoccuparmi di infilare la tuta spaziale perchè sulla Terra potrò respirare senza alcun problema.
Respirare? Che cosa assurda: ho pronunciato una parola senza comprenderne appieno il significato.
Durante questa ultima fase del viaggio devo aver attraversato una distorsione spazio-temporale; forse sono passato accanto a una stella morente e con ogni probabilità devo essere ancora nelle sue vicinanze perchè non sono più capace di fare del tempo ciò che voglio. Mi sento così impotente; non si avvera più quello che desidero, vorrei tornare a dormire e non riesco a farlo. Mi sto svegliando sempre più e ho paura. Speriamo che il computer dell'astronave mi sprofondi ancora per un po' nel mio dolce oblio.
Sono stanco di pensare.
 
Il computer di bordo, che è sintonizzato sulla stessa lunghezza d'onda dei miei neuroni cerebrali, mi deve aver esaudito; credo di aver dormito e ho fatto un sogno bizzarro: vedevo solo davanti, e dietro vedevo soltanto se giravo una cosa che mi sembra si chiami testa. Sì, adesso rammento: si chiama testa; la testa racchiude i neuroni cerebrali. In ogni modo, quel sogno era pieno di sensazioni spiacevoli perchè sul mio pianeta noi vediamo attraverso qualunque punto del corpo, non soltanto dalla testa. Inoltre comunicavo con difficoltà emettendo dei suoni. Anche questo è singolare giacchè da noi si comunica solo telepaticamente ed è mille volte più facile: noi esprimiamo i concetti, non le parole, cosicchè il nostro linguaggio è comprensibile in tutta la galassia, se qualcuno volesse ascoltarlo.
Mi sento sempre più strano. Ho effettivamente una testa, e la sento pesante. Forse la navicella è già in orbita attorno al pianeta Terra e io ne sento la gravità. Grave significa drammatico oppure pesante?
E se mi avessero intercettato? Io speravo di arrivare in incognito eppure percepisco delle presenze simili a me, qui intorno. Ah, sì, adesso ricordo; non sto arrivando da solo, ci sono altri compagni con me. Meno male.
Ora mi sembra di vedere una luce fievole in cima alla mia testa. L'ho già notata prima, ma a volte scompare. Non so cosa provare; ne sono attratto perchè da dove vengo non esiste il buio, ma mi fa paura perchè sono al buio da molto tempo e ci sto bene. Ricordo di far parte di un gruppo di esseri ben addestrati nel vincere la paura e nel sopportare la sofferenza.
Cosa succede? Sento la pressione salire, e il mio corpo fragile e vigoroso nello stesso tempo, che si allunga. I motori della mia astronave stanno accelerando e rallentando. Credo che sto per atterrare. Mi hanno avvertito dell'attracco, che sarà molto disorientante e forse doloroso. Ma io sono forte. Mi è stato anche detto che la mia memoria subirà dei mutamenti e che la sofferenza sarà dimenticata presto, insieme a molte altre cose. Non capisco più se mi sto addormentando oppure svegliando. Quale delle due cose è la realtà?
So che devo incidere nella mia memoria alcuni scopi, che ora ho chiari dentro di me e che non devono andare perduti altrimenti potrebbero compromettere la mia missione. Ho ormai poco tempo per farlo; rammento ancora il mio addestramento prima della partenza; fu molto duro e il mio istruttore, invece, molto comprensivo. Il mio istruttore... vedo tanti volti davanti a me, anche il suo, e devo registrarli tutti indelebilmente sul nastro della mia coscienza... non devo assolutamente dimenticarli perchè un giorno mi verrà chiesto di ricordare. Troverò dei nemici oppure degli amici ad accogliermi? La mia fiducia sta crescendo e ora so che saranno amici. Quei volti continuano a passare sullo schermo della mia coscienza. C'è anche quello della mia amica che vidi partire in fretta e furia. Ma che mi sta accadendo? Un'amnesia inarrestabile si sta impossessando di me. La mia memoria svanisce lentamente, no, per favore, voglio restare lucido ancora per un poco, per favore, non fatemi dimenticare di essere vivo! Qualcuno mi aiuti... la mia sofferenza sta aumentando con la diminuzione della mia coscienza che... si sta spegnendo... ho freddo... la capsula si sta liberando di me..."
 
Fine della registrazione
 
C'è un forte odore di pulito in questa stanza. Mi fa male dappertutto e sono ancora a testa in giù; qualcosa mi sta bloccando... per i piedi. Non ci vedo molto bene e alle mie orecchie i suoni risultano essere fastidiosi e stridenti. Vedo alcune persone vestite di bianco e di verde. Le loro mani sono bianche ma... sporche di sangue. Mi stanno fissando sorprese... che non abbiano mai visto un alieno?
Qualcuna di esse ride. Io invece sto piangendo.
 
Forse, alla fine del soggiorno, io riderò e altri piangeranno.
 
Col mio primo respiro a pugni stretti ho dimenticato tutto e so che, quando esalerò l'ultimo, i miei pugni si riapriranno di nuovo.
E finalmente tornerò a casa.
 
 
 
IL GIORNO IN CUI LA NOTAI
 
 
"Di tutto conosciamo il prezzo,
di niente il valore"
Nietzsche
 
 
"Scusatemi signori e signorine sono una signora povera, ho tre bambini piccoli non ho una casa siamo senza un lavoro, se volete aiutatemi, prego, grazie per tutti, buona giornata signori".
 
Il bicchiere di carta mi passò davanti mentre i soliti pensieri che tutti i giorni oscillavano come un pendolo nella mia testa, ripetevano l'antica scusa e il solito stato d'animo; quante volte, quante volte quel bicchiere si sarebbe potuto tuffare nel mare prima di riuscire a svuotarlo?
Ecco i soliti sguardi; ne distinguo almeno tre tipi: uno lancia saette ostili, un altro falsa compassione mista a impotenza, un terzo comunica annoiato scherno.
Il mio, come sarà?
Tutte le sere, quando scendo nel metrò, incontro questa donna. Alla mattina c'è invece un uomo che suona malinconiche note con la fisarmonica, e mi domando quanto costerà mai una fisarmonica. Talvolta ci sono dei ragazzini, altre volte, altre donne.
Altri sguardi; sì, io devo avere sicuramente un altro tipo di sguardo.
Lo sbuffo delle porte che si aprono somiglia a un sospiro di sollievo. La schiena della poveretta si drizza di colpo, lei riprende energia e si lancia alla conquista di una nuova carrozza con misteriosa forza. Tutti e tre i tipi di sguardo divengono il primo. I giovani possono proseguire a non offrire il loro posto alle stanche impiegate come me, o agli anziani. Gli uomini possono continuare a tormentare le fedi che portano al dito. Io posso proseguire a concentrarmi sulle piccinerie che coronano la mia vita.
 
Avevo imparato a memoria la sequenza delle quattordici fermate che separavano casa mia dal mio ufficio, eppure, ogni giorno, le guardavo scorrere, alla mattina con frustrazione, alla sera con frenesia. Pensavo di averle memorizzate come le note musicali: la scala cromatica e quella inversa; era ovvio: le guardavo da undici anni.
Quella sera, tornando a casa, pensai per la prima volta, seriamente, al divorzio. Gli sbuffi delle porte scorrevoli si fecero i miei sbuffi, quando immaginai mio marito davanti alla televisione; come al solito, a quell'ora, stava sicuramente aspettandomi affinchè gli preparassi la cena. Mi avrebbe chiesto, dopo cena, dove stava la camicia stirata per il giorno dopo, e non mi avrebbe preparato, la mattina dopo, il caffè. Quelle porte cominciavano a irritarmi veramente. Sbattevano, sbattevano, non si decidevano a restare aperte o a chiudersi definitivamente.
Maledizione.
Imprecai mentalmente contro il conducente: stavo pensando a delle cose di vitale importanza, io.
Finalmente le porte si chiusero, il treno ripartì e fu allora che vidi quella fermata che non avevo mai notato prima. Non era possibile. Mi alzai veloce e corsi verso la porta: rilessi quella parola, stampata bianco su rosso, sulla parete della stazione: EMPIREO. La gente mi guardò sbigottita; proprio ora, che potevamo tutti concentrarci di nuovo sulle nostre piccinerie, arrivava questa e pretendeva di uscire: avevo appena avuto sei o sette occasioni per farlo.
Ripresi il mio posto come una sonnambula, il treno accelerò e rischiai di sedermi sulle ginocchia del pensionato accanto a me. Le mie palizzate crollarono di colpo, e non ebbero più importanza neppure le fermate successive. Appena a casa, cucinai, poi stirai la camicia di mio marito.
EMPIREO. Quel nome bussava alla mia mente, e io non riuscivo a capacitarmi della mia leggerezza: avevo sempre avuto tutto sotto controllo.
Non potei mangiare né dormire, quella sera.
La mattina successiva ritrovai quella fermata. Aveva preso posto nell'esatta metà della successione che conoscevo. Mi domandai nuovamente come avevo fatto a non averla mai notata prima; non ricordavo, di recente, dei lavori in corso: normalmente le fermate nuove proseguono dall'ultimo capolinea. Avrei voluto scendere, ma non lo feci; dovevo andare a lavorare. Nemmeno al ritorno potei scendere; quella sera mi portavo appresso due pesanti borse della spesa; inoltre, a casa, mi aspettavano tre calzini per essere rammendati.
Così, per molti giorni, talvolta per timore, altre per mancanza di tempo, l'indecisione prese il posto della curiosità.
 
"Aiutatemi, sono in comunità e mi sto disintossicando... non ho soldi, i miei genitori mi hanno buttato fuori di casa... sto male, sono in astinenza e non ho nemmeno i soldi per comprarmi da mangiare. Per favore!"
 
Lui, forse, avrebbe potuto avere delle allucinazioni. Ma io non mi drogavo. Io non bevevo alcolici, non assumevo psicofarmaci. Mi colse un'irresistibile voglia di domandargli se quella fermata, lui, l'avesse mai notata. Dio, quanto mi sentivo stupida.
 
Eccola. Le porte si aprono; non c'è alcuna scala mobile; ho pochi secondi, ogni volta, per scrutare nei dettagli quell'incredibile fermata. I corrimano delle scale che portano fuori, sono di ferro battuto, e il loro disegno mi ricorda lo stile liberty. Sul fondo, verso l'uscita, vedo un lampione vecchio, di quelli che si usavano un tempo. La luce al neon è solo qui, a pochi metri dalle porte scorrevoli che si stanno chiudendo rumorosamente davanti a me, come una saracinesca sul mio cuore.
Porgo due monete al ragazzo drogato, e quello mi guarda come se gli avessi dato uno schiaffo. Mi sembra di respirare meglio, il metrò riprende la sua marcia, e torno a casa.
 
Tutti i giorni rivivevo ogni singolo particolare scovato nei pochi secondi quotidiani - che erano ormai divenuti lo scopo delle ventiquattr'ore della mia giornata - che mi erano concessi nelle due parentesi di tempo, alla mattina e alla sera, e ogni novità di quell'assurda fermata costituiva, per me, fonte di gioia e di fiducia. Spesso, di notte, sognavo il metrò che si fermava a EMPIREO ma non apriva le porte. Sempre più spesso, di giorno, sognavo che avrei trovato il coraggio di scendere a quella fermata.
Talvolta capitava che uno sciopero o un incidente fermassero il metrò, e allora mi trovavo costretta a ricorrere ai mezzi di superficie. Quelle erano davvero giornate orribili. Erano i giorni in cui non potevo sognare.
Poi, una mattina, mi accorsi che a EMPIREO non avevo mai visto scendere né salire nessuno. Davvero curioso, come il fatto che avevo ripreso a mangiarmi le unghie; stavo mordendomi il dito indice, la sera in cui notai un uomo con il cilindro, in procinto di salire la scala liberty, che si apprestava a un atto di estrema galanteria verso una signora in abito lungo, la quale doveva salire anch'ella, e l'uomo si inchinò davanti a lei, togliendosi il copricapo, con quel gesto di profondo rispetto così fuori moda. Eppure così struggentemente necessario. Poi lei si fece baciare la mano e si conobbero.
Avevo già gli occhi colmi di lacrime. Li serrai stretti nel gesto istintivo di ripararli all'orrendo scatto di chiusura delle porte, a pochi centimetri da me. Le mie lacrime spruzzarono contro il vetro, e non sentendole scorrere sulle guance, in un attimo lo sgomento mi passò.
Così, ogni giorno, da lontano, scorgevo bimbi vestiti alla marinaretta, giovanotti portare grossi e pesanti velocipedi da una scala all'altra, signore coi pizzi dei loro abiti stretti al collo passeggiare a braccetto e in tranquillità; intuivo sempre più, di sopra, il sapore sereno della vita che scorreva come avrebbe dovuto scorrere, finchè, una sera, quell'odio acuto verso la vita che conducevo ebbe il sopravvento. Il treno s'arrestò malamente, e scatti di frenate e accelerate mi sballottarono rabbiosi mentre mi reggevo al sostegno in alluminio sopra di me.
 
Basta.
 
Scesi. Mi guardai intorno, molto a lungo, poi mossi qualche passo, prima timidamente, poi più audacemente. Guardai il mio polso, in cerca dell'orologio; l'avevo perso. Avevo anche dimenticato l'ombrello sul treno. Procedetti sempre più decisa, e i miei abiti divennero di foggia antica. Mi girai, e mi vidi riflessa nei vetri del treno ormai in corsa: i miei capelli erano raccolti a crocchia sulla nuca. Mi vidi bella; la gente, la mia gente, quella che per tanto tempo avevo veduto solo da lontano, mi apriva la strada verso quella nuova dimensione, mentre ammirava il mio portamento. Salii le scale liberty, respirando a pieni polmoni un'aria nuova e frizzante, e mi ritrovai in una piazza di selciato di porfido; le carrozze coi cavalli sostavano e ripartivano, in una quiete strana eppure così vivida. Mi sentivo a mio agio come non lo ero mai stata, perciò decisi di accomodarmi su una sedia di un grazioso bar che faceva angolo con un viale di platani; decisi di sorbire un tè.
Non ricordo bene a cosa stessi pensando in quei momenti, ma il corso di quei pensieri fu interrotto da un giovane strillone che passò di lì, agitando l'edizione straordinaria che annunciava la morte del grande musicista Giuseppe Verdi. Sempre più stupita acquistai quel giornale e altri quotidiani, e li lessi d'un fiato, per quanto non avessi alcun dubbio riguardo a ciò che era accaduto; era l'epoca in cui le Colonie inglesi dell'India facevano scoppiare i tumulti, preoccupando oltre misura la vecchia Regina Vittoria nell'ultimo anno della sua vita; erano i giorni nei quali Dublino e Parigi piangevano la prematura scomparsa del compianto Oscar Wilde, e per tale occasione stava per essere pubblicata la ristampa del suo stupefcente romanzo sulla vita e le opere di quel giovane, tale Dorian Gray.
La mia tazza di fine porcellana era vuota da una buona mezz'ora; la sera si avvicinava, e io sapevo che avevo un posto dove andare. Guardai il campanile mentre scandiva le otto della sera, poi sbirciai di nuovo il giornale, che era rimasto aperto a una pagina qualsiasi. Sorrisi; mi divertii al pensiero di veder nascere la pubblicità, almeno come la intendiamo oggi. Oggi? No, come la intenderemo tra cento anni.
Non provai smarrimento quando lessi l'annuncio della nascita della nuova impresa di pompe funebri EMPIREO.
Alzai il capo e chiusi gli occhi, mentre sorridevo a una luce interiore che si rallegrava della scelta che avevo appena fatto. Decisi di alzarmi, quindi fermai un vetturino e mi feci condurre a casa, dove sapevo che quella stessa sera ci sarebbe stata una festa di benvenuto in mio onore.
 
La EMPIREO & Figli avrebbe resistito nei decenni a venire. Fu l'impresa che compose i resti di una donna, straziata sui binari del metrò, in una stazione metropolitana di Milano, nel futuro 1996. Anche il quotidiano sopravvisse agli eventi; quasi cent'anni dopo avrebbe dedicato un trafiletto a quell'avvenimento:
 
Dal nostro inviato
Milano, 9 ottobre1996
"(...) Ecco la testimonianza di un un uomo che è stato presente al tragico incidente di ieri, nel quale una giovane donna ha perso la vita:
'Ho sentito quella donna pronunciare questa frase sottovoce: - me ne devo andare da qui - Se non l'avessi vista così felice sarei intervenuto, ma solo un attimo dopo si è diretta, a passo sicuro, oltre la linea di sicurezza, ed è caduta sui binari'. L'uomo non ha potuto intervenire per salvarla".
 
Per leggere il racconto 3° classificato al concorso "Angela Starace 2001" Prefazione del libro"Scorie d'amore"
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ins 23 marzo 2000