SCRITTORI ITALIANI
CONTEMPORANEI

affermati, emergenti ed esordienti
Racconto di

Tiziana Stanzani

 
 
BELLA
 
Mi svegliai nel cuore della notte in preda a dolori lancinanti e in stato confusionale.
 
Lanciai un urlo, perché non ricordavo nulla di ciò che era successo. Si accesero tutte le luci, e mi resi conto di trovarmi in un ospedale. Lentamente cominciai a ricordare.
Le infermiere accorsero quasi subito, e subito corsero a chiamare il medico di turno. In quei pochi minuti vidi me stessa all'interno dell'automobile, mentre rotolavo con essa fuori strada, in un capovolgermi interminabile. La suora che mi stava a fianco mi pregò di calmarmi, di parlare il meno possibile, perché i punti potevano strapparsi e lacerarmi le guance.
Punti? Avevo la faccia cucita, me ne rendevo conto sempre più, e un tonfo pesante sul cuore mi fece tornare alla mente i flash dei fotografi e come essi mi consigliavano le pose che avrei dovuto assumere. Mio Dio. Facevo la fotomodella.
Obbedii all'infermiera solo perché il terrore mi bloccò come fa la luce su certi pesci abissali. La mia faccia era coperta da bende, e non ci vedevo da un occhio. Avvicinai una mano &endash; anch'essa fasciata &endash; al volto, e cercai di guardarmi con le dita, come fanno i ciechi. Avevo fuori solo un orecchio, un occhio e qualche centimetro quadrato di cranio rasato. Scesi con la mano lungo i miei fianchi; una gamba era fratturata e l'altra completamente a posto. Un braccio era fortemente tumefatto, ma libero da fasciature. Nel suo incavo, vidi un ago collegato ad una fleboclisi. L'altro braccio era invece bendato per metà. Nel suo interno sentii i palpiti di una bruciatura. Respirai forte e provai un acuto dolore alle costole; mi doleva forte la schiena, e la pensai in tutta la sua lunghezza: un altro spillo mi punzonò il cuore, seguìto subito dal sollievo di poter muovere tutte le mie membra, fino all'ultimo dito.
Arrivò il chirurgo che mi aveva operato. Cominciò a parlarmi, tenendomi in un silenzio rigido, mentre io soffrivo altrove; parlò di tutto tranne di ciò che volevo sentire:
"Si rassicuri, signorina; guarirà perfettamente ed entro un mese al più tardi potrà uscire con le sue gambe. Non ci sono state lesioni interne; lei è giovane e sana e si rimetterà senza problemi. La sua famiglia è stata già avvertita e tranquillizzata. Non deve preoccuparsi di nulla."
Un fiume. Era come un fiume in piena, quell'uomo di mezza età. Era vistosamente imbarazzato, e nascose il suo malessere continuando a parlare speditamente di com'ero stata fortunata e di come la sua equipe di specialisti era stata eccezionalmente all'altezza della situazione: ero stata sotto ai ferri per sette ore.
"Lei è ortopedico?" &endash; mi informai, senza riconoscere la mia voce.
Il dottore tossì senza averne alcun bisogno, poi mi rispose.
"Chirurgo plastico."
 
Volevo piangere, ma mi resi conto che non mi sarebbe convenuto: il mio naso era completamente nascosto sotto le bende che lasciavano fuoriuscire due tubicini trasparenti, uno rosa e uno bianco, dai quali era già molto difficile respirare. Così gli occhi mi si svuotarono quasi subito, e quando non furono più appannati poterono tornare a interrogare quel medico. Ma in suo luogo c'era soltanto la sedia vuota. Fuggendo le mie domande, si rivolse a me che era già quasi sulla porta:
"Cerchi di riposare, adesso; la caposala le darà degli antidolorifici. A domani."
 
L'indomani ricordai che era inverno, che era un bellissimo inverno freddo e soleggiato, e che, proprio a causa del ghiaccio, la mia auto era slittata fuori strada. Dalla finestra potevo intuire la corrente di un fiume rabbrividito dal vento, e di nuovo mi prese quello scatto di malinconia come tante volte accade nel corso di una festa dove si ride molto. Per tutta quella notte, quando riuscivo a dormire, avevo sognato di essere a una festa. E sognai cose molto simili per i quindici giorni che seguirono.
Avevo un ragazzo, bello come il sole, e delicato nei sentimenti come un bambino. Quel giorno mi venne a trovare, e come un bambino scoppiò in un pianto dirotto; aveva saputo prima di me della mia sorte e non me lo disse, ma mi disse che non mi avrebbe lasciata mai, perché quell'incidente gli aveva illuminato ancor più la strada del suo cuore. Io gli credetti, ma solo alcuni giorni dopo identificai quella strada, pavimentata di ipocrisia e di vergogna: quando un argomento esalta troppo, al poeta si inceppa la lingua.
Solo adesso mi rendo conto che anch'io mi sarei comportata come lui, se fossi stata al suo posto; nessuno potrebbe fare altrimenti in simili circostanze, nessuno tranne forse i vecchi o gli sciocchi.
Di salute ero sempre stata una fragile tigre, e la mia capacità di ripresa fu realmente strepitosa: una mattina &endash; molto prima di quanto i medici avessero previsto &endash; mi staccarono la flebo, e il giorno dopo il catetere. Stavo decisamente meglio; potevo finalmente mangiare con la bocca, e permettermi di avere fame: mi erano stati tolti i tubicini dal naso solo da un paio di giorni, ma con quale cura mi avevano lasciate coperte le labbra e le alette del naso. Non potevo assolutamente, da qualunque angolazione mi guardassi allo specchio, sbirciare un qualunque punto del mio viso. Con la stessa cura, il primario e i suoi collaboratori continuavano a evitare di rispondere direttamente alle mie domande.
Avrei potuto impazzire, così lo feci: sbottai in rabbia furiosa e lanciai lontano da me il vassoio con il pranzo appellandomi a tutte le leggi che mi autorizzavano al diritto di sapere almeno quanti punti mi avevano dato in faccia, se fossi rimasta sfigurata per sempre oppure per meno, se avessi perso oppure no un occhio. Se il mio naso fosse stato al suo posto. Stranamente nessuno mi fermò né mi interruppe.
Così smisi: credetti di non aver sortito alcun effetto.
 
Mi sbagliavo. Mi regalarono, il giorno dopo, una camera singola che guardava a oriente. Mi vennero a trovare, quel pomeriggio, i miei genitori con la mia torta preferita.
Il mio fidanzato &endash; che non vedevo da una decina di giorni &endash; continuava invece a non venirmi a trovare, ma in compenso, la sera stessa, mi venne a far visita il chirurgo plastico, probabilmente vaccinato dalla lebbra che senza dubbio temeva gli avrei contagiato.
L'inverno aveva ripreso il suo corso naturale; una neve fantasiosa cadeva a intervalli sui rami magri delle piante, e a tratti graziose valanghe cascavano da essi e dai cornicioni delle finestre.
"Lei sa, Francesca, che fra tre giorni le toglieremo le bende, vero?" &endash; si informò sottovoce.
Non risposi. Ero rapita da quei fiocchi che cadevano, e giocavo a immaginare le geometrie sensazionali di cui erano composti. Mi convinsi, per un attimo, di aver riconosciuto la manifesta seppur improbabile esistenza di Dio, e quasi ebbi la certezza che un'intelligenza superiore governasse la vita e le sue leggi; ma mi ricredetti quasi subito: il dottore proseguì.
"Non le nascondo" &endash; sembrava molto afflitto &endash; "che la sua situazione non è delle più piacevoli, ma questo già lo saprà." &endash; disse con finta complicità.
"Come faccio a saperlo?" &endash; replicai secca e rassegnata come una canna di bambù.
Ancora quella tosse odiosa. Ma perché non starnutiva, tanto per cambiare?
"La sua vita subirà una svolta, Francesca. Non penso che... Insomma: dovrà cambiare lavoro; lei è una ragazza intelligente, e... so che ce la farà." &endash; asserì tormentandosi le nocche delle mani.
Così procedendo, lapidario e stucchevole, sollecitato dai miei scatti rabbiosi e dai miei continui lamenti istrionici e cantilenanti &endash; "Il medico pietoso fa la piaga lunga, dottore." &endash; finalmente si irritò, e i nervi di cui era colmo, infiammati probabilmente dai miei toni e dall'insuccesso che il mio terribile incidente aveva costituito a danno della sua professionalità, si riversarono come un fiume di lava dentro di me:
"Il suo viso è deturpato in modo spaventoso. Il danno ha compromesso le cartilagini e parte della struttura ossea e ovviamente della pelle; ha perduto un occhio e un orecchio, l'attaccatura dei capelli si è alzata enormemente, le rimarrà una bocca con le labbra ingrossate. Non mi faccia descrivere la forma del suo naso. Per favore, non mi faccia andare oltre... la prego."
Se ne andò dalla camera fermandosi ogni due passi, e ogni quattro tentando di tornare al mio capezzale, tutte le volte provando ad articolare qualche altra parola.
Finalmente uscì.
 
Sono passati molti anni, dal momento in cui mi sono state tolte le bende; è per questo motivo che ho potuto descrivere abbastanza freddamente la mia storia.
Era presente, quel giorno, anche uno dei miei antichi fotografi, il quale, col mio consenso, mi immortalò subito dopo che l'ultima fasciatura mi fu tolta da quello che mai più si potrà chiamare un viso.
Sicuramente il mio volto, nella sua deformità, risultò essere particolarmente pittoresco, e quando il manganese della luce si esaurì, vidi i suoi conati di disgusto e di pietà. Vomitò da tutte le sue quattro bocche sottili. Il naso aquilino del chirurgo plastico, per una sorta di vergogna solidale che pensava di imitare la mia, si arrossò in tutti i suoi quindici centimetri di lunghezza, e i tre gialli occhi porcini di mio padre si riempirono di lacrime. Solo l'infermiera di notte sorrise con materna compassione sotto l'irsuto manto nero del suo volto, e mia madre si tappò tutte e tre le orecchie per non udire il mio grido d'angoscia mentre mi guardavo allo specchio.
 
Mi guardo raramente allo specchio, molto raramente. Non ho ormai più cicatrici: dal punto di vista della microchirurgia, devo dire che quel primario fu davvero eccezionale, anche se ha dovuto amputare gran parte delle mie grazie.
Per fortuna i miei lunghi capelli, osceni nel loro colore divenuto giallo chiaro dallo spavento, riescono a nascondere un po' la mostruosità dei miei nuovi lineamenti.
Ho il naso più corto di almeno dieci centimetri e con due minuscole narici; ho soltanto due occhi tondi &endash; divenuti orrendamente azzurri &endash; e mi sono rimaste solo due piccole orecchie, poste ai lati della testa. Il mio volto è completamente glabro; si vede tutta la pelle sottile e tristemente rosata. Ma più insostenibile di tutto questo orrore è quell'unica bocca rimastami, rosso chiaro e carnosa, posta, mio Dio, proprio sotto questo orribile nasetto all'insù.
 
Non saprò mai di quale crimine mi sono macchiata per aver meritato tutto questo.
Forse, prima, ero troppo orgogliosa di essere
 
BELLA.
 
® Tiziana Stanzani 2000

 

 
Per leggere il racconto 3° classificato al concorso "Angela Starace 2001"
Prefazione del libro"Scorie d'amore"
Per leggere alcune pagine tratte dal libro"Scorie d'amore" e primo capitolo
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agg.21 dicembre 2001