- La
tata
- Una storia d'altri
tempi
-
- Sto guidando diretto alla mia casa di
campagna. Da qualche anno trascorro le vacanze qui,
tra queste colline dove sono nato. Non riuscirei
più a vedermi nella piazzetta di Capri o sul
corso di Cortina dove incontri sempre le solite
facce e ti senti come in vetrina, fotografato,
scrutato, criticato.
- È riposo quello?
- In questo momento poi, ho particolarmente
bisogno di quiete. Subito dopo la caduta del muro
di Berlino, ho viaggiato a lungo nei paesi dell'est
ricavando una serie di servizi per il mio giornale,
che forse ora raccoglierò in un
libro.
- È buio ormai, sono stanco, ma non
mancano che pochi chilometri. Tra poco
rivedrò Teresina. Spero stia bene
perché ormai è avanti con
l'età. Quanti anni avrà Teresina?
Novanta?
- È in casa nostra da tempo
immemorabile, mi ha visto nascere. Naturalmente da
parecchio tempo non svolge più alcun lavoro,
ma poiché ormai è quasi una di
famiglia, invece che alla casa di riposo ho pensato
di mandarla qui dove i custodi le danno un po' di
assistenza.
- «Finalmente sei arrivato! Come stai,
figlio mio? Sei sciupato...»
- «Teresina, ho più di
sessant'anni e mi chiami ancora figlio mio? Tu
piuttosto sei sempre in gamba».
- «Eh, sono vecchia, sono vecchia. Una di
queste volte non mi trovi più. Questa
potrebbe essere l'ultima e... c'è una cosa,
una cosa che non ho mai detto a nessuno, ma a te la
devo dire perché è un peso, un peso
qui... sulla coscienza...»
- Non posso nascondere un sorrisetto. Quali
peccati può avere questa donna che è
sempre vissuta castamente e che per tutta la vita
ha fatto i lavori più umili?
- «Tu non sai, sei troppo giovane, ma la
mia vita è proprio un romanzo, come quelli
che scrivi tu».
- Teresina ha tutti i miei libri, li
custodisce gelosamente in camera sua e assicura di
averli letti, ma io non ho mai scritto romanzi. I
miei sono saggi, reportage, inchieste.
- «Ora ascoltami, ti prego. Ci mettiamo
qui vicino alla stufa.
- Tu sai che non ho mai avuto una vera
famiglia, perché ho perso i genitori da
piccola e mi ha allevato una zia. Una donna
cattiva. Mai una carezza, mi faceva lavorare come
una bestia, nemmeno a scuola mi mandava.
Così a quindici anni ho fatto fagotto e sono
andata in città.
- Fare la sguattera in un albergo era pesante,
ma mai come lavorare in campagna, a mietere sotto
il sole o a stare nell'acqua del macero. Mi
ritrovavo qualche soldino in tasca e la domenica
avevo il pomeriggio libero. Ero giovane e mi pareva
di avere il mondo in tasca. Incominciai a uscire
con un ragazzo, Elio si chiamava. Era in
convalescenza da una ferita, perché c'era la
guerra, la grande guerra. Avevamo tutti e due una
gran voglia di vivere, io, come tutte le ragazze
innamorate non pensavo a niente. Quando rimasi
incinta, ne fui felice.
- 'Ora mi sposa, sono ancora minorenne' mi
dissi.
- Lui invece non si mostrò felice e poi
doveva ritornare al fronte: 'Finita la guerra,
quando tornerò... ci penseremo...' fu tutto
quello che fu capace di dirmi.
- Non ne seppi più nulla, nemmeno a
guerra finita. Morto... no, non credo. Il suo nome
non era tra quelli dei caduti, né tra i
dispersi. Lo cercai tanto, gli impiegati guardavano
la mia pancia e scuotevano la testa con un
sorrisetto... Ci conoscevamo da poco, si
sarà spaventato...»
- «Un bambino! Tu, Teresina, un
bambino... E come hai fatto tutto da
sola?»
- «Come si faceva allora, sono andata a
partorire in campagna, da gente che conoscevo e
l'ho lasciato a loro. Io non volevo abbandonarlo,
lo giuro, ma dovevo pur lavorare per lui e per
me».
- «Come lo avevi chiamato il tuo bambino?
Elio anche lui?»
- «No, Agostino. Con il nome di un mio
fratellino morto da piccolo. Lui invece cresceva
sano e robusto, una bellezza. Ero allora a servizio
in casa di un commerciante all'ingrosso. La moglie
era morta di spagnola e i figli non si ricordavano
del padre nemmeno a Natale. Anche se era ricco era
solo come me. Ci mettemmo insieme. Anche se aveva
più del doppio della mia età,
benedicevo il cielo di una così bella
sistemazione, perché era buono e generoso.
Diceva che ero in gamba, che ormai gli ero
indispensabile nel magazzino e che finalmente aveva
una cristiana in casa con cui parlare. Ripeteva che
ormai potevo stare tranquilla, che a me avrebbe
pensato sempre lui, che quella dovevo considerarla
casa mia. Mi lasciava andare spesso dal mio bambino
e io non chiedevo altro alla vita. Tra qualche
anno, quando fosse diventato più grandino,
avrei preso con me il mio Agostino.
- Invece, anche se non era ancora vecchio, il
mio compagno si ammalò. Il dottore mi
chiamava in disparte e mi ripeteva di avvertire i
parenti. 'Non ha nessuno' rispondevo. Allora
allargava le braccia.
- A lui non feci mai capire niente, ridevo
anche quando avevo voglia di piangere, assicuravo
che tutto andava bene, che era in via di
guarigione. Così per due anni. Gli fui
vicino giorno e notte. Morì nel sonno, senza
accorgersene.
- Allora arrivarono i figli, si misero a
frugare dappertutto, misero sottosopra la casa,
presero tutte le carte, tutte le chiavi. Dissero
che la cuccagna era finita, che avevo approfittato
del loro padre, che avevo sfruttato abbastanza
quella casa e chissà cosa mi ero messa in
testa.
- Mi ritrovai su una strada.
- Cercai un altro lavoro, ma erano brutti
tempi, c'era tanta confusione in giro, e tanta
miseria.
- Dopo qualche settimana non cercai nemmeno
più, tanto ero sporca e stracciata a forza
di dormire dove capitava. Facevo paura! Cosa passai
in quel periodo...! Vivevo di elemosine, anche
rubacchiando. Se non mi persi del tutto... non lo
so nemmeno io!»
- Cosa aveva dovuto passare Teresina per
essere arrivata anche al furto? Cosa c'era dietro
il suo scarno racconto?
- «Fui anche sul punto d'ammazzarmi -
proseguì, senza che io avessi il coraggio di
dire nulla - il fiume scorreva lì sotto con
la sua acqua gelata e io pensavo che se sparivo
nessuno se ne sarebbe accorto...»
- «E... il tuo bambino? A lui non ci
pensavi?»
- «L'avevo dato in adozione! Quando mi
avevano cacciato di casa, e cosa potevo fare? Erano
una coppia tanto distinta, avevano perso il loro
bambino per il Krupp e la signora, che non ne
poteva più avere, era come impazzita. Se non
l'avessi dato a loro, sarebbe finito in istituto.
Così invece, pensai, avrà
un'educazione, gli vorranno bene. Preferii
cavarmelo dal cuore, piuttosto che farlo crescere
senza una famiglia. Lo so io che cosa avevo
sofferto da piccola!»
- «O Teresina, io non sapevo
questo...»
- «Non importa, caro, non importa. Sono
cose tanto vecchie...
- Sono stata anche in prigione, sai? per
vagabondaggio e per qualche furtarello, e proprio
le suore del carcere mi hanno poi raccomandato ai
tuoi genitori.
- Così sono entrata in casa vostra. La
signora, tua madre, era incinta. La guardavo e
provavo una rabbia sorda a vederla così
ricca e felice e circondata da tante attenzioni. Lo
sapevo che non era giusto, che erano stati buoni a
prendere una che era stata in prigione, che mi
trattavano bene, ma era la vita che mi aveva
incattivito.
- Tu hai avuto fretta di venire al
mondo.
- Tuo padre era in viaggio per affari e noi
eravamo proprio in questa casa, perché
mancava ancora più di un mese. Si era
scatenato un temporale che pareva di essere
già in inverno. Mandai il giardiniere in
paese a cercare la levatrice o il dottore.
- Ma tu non volevi proprio aspettare. Ti feci
nascere io, fui io a tagliare il
cordone».
- Avevo sentito decine, se non centinaia di
volte, il racconto della mia nascita avventurosa,
ma ora acquistava un sapore particolare.
- «Fui sempre io a farti il primo
bagnetto e quando ti ebbi in braccio, così
piccolo, così indifeso, sentii che il groppo
si scioglieva. Eri proprio uguale alla mia
creatura, perché i bambini nudi sono tutti
uguali, sono i vestiti a fare la differenza.
Così ti volli subito bene come ad un figlio,
ti diedi tutte le coccole che non avevo potuto dare
al mio. Da quel giorno ti ho dedicato tutta la mia
vita e non mi è importato
d'altro».
- «E del tuo figliolo, hai più
saputo niente?»
- Scosse il capo.
- «I signori che l'hanno preso sono stati
chiari. Io non dovevo più farmi viva. Del
resto sarebbe stato impossibile, o quasi,
perché lui era un ingegnere delle Ferrovie e
la famiglia si trasferiva spesso».
- «Sì, ma dopo tanti anni, quando
è diventato adulto, potevi fare qualche
ricerca...»
- «E per dirgli cosa? Io sono quella che
ti ha abbandonato? Era tanto piccolo, non si
ricorderà nemmeno di me.
- E poi è cresciuto fra gente ricca,
istruita. L'avranno fatto studiare. Sarà
diventato un ingegnere anche lui. Oppure un
dottore, o un avvocato. Si vergognerebbe di una
vecchia ignorante come me...»
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