Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Angelo Gaudio
Con questo racconto si è classificato ottavo ex equo al concorso Marguerite Yourcenar 2001 sez. narrativa
8° classificato
 
 
 
Io 'so pazz
 
Ho chiesto alla psichiatra se le sembravo pazzo. Lei ha risposto: "No!". Dalla mia abitazione l'ho lasciata andare. Sono questi giochi di parole, che nascondono comportamenti dei miei familiari, portati a conclusione. Mi rendo conto che mi hanno costretto a lasciare Napoli per rinchiudermi in un piccolo paesino di montagna.
 
Sono luoghi senza attrattiva specifica, ad un paio d'ore di macchina dalla mia città. I paesani trascurano queste località per la mania di grandi viaggi. In quest'epoca si vive in modo eccentrico. Osservo i miei parenti ricercare la ricchezza per vegetare nel modo più immorale.
 
Tutte le persone di famiglia mi considerano pazzo per aver disdegnato i luoghi comuni, le feste, i matrimoni e i battesimi. Ignoro gli orari; quindi rifiuto gli orologi. Rigetto la divisione del tempo in giorni e mesi e mi adatto alle stagioni. Mi è indispensabile un cencio per coprirmi d'estate e un cappotto per ripararmi dal freddo d'inverno. Fenomeni esteriori non m'incastrano e ho una folta barba incolta da monaco cappuccino. Mi distacco dalla vita moderna.
 
Mi assicurano che sono ricco, ma non ho apprezzato mai il valore della ricchezza. Respingo di conteggiare l'entità del mio patrimonio, per evitare di ricavarne utilità maggiori. Ho studiato con minimo profitto, in quanto ho allacciato con valori per nulla compresi nell'era moderna.
 
I parenti, che affermano di volermi bene, stanno profittando a buon titolo della mia ricchezza, tanto è vero che dalla città mi hanno abbandonato in questa casa di cura, situata in un paese senza rilievo, sull'Appennino molisano. Godo, a loro dispregio, ottima salute nella cittadina, chiamata "il paese del vento".
 
In queste zone, durante la stagione invernale, nevica molto. Nell'estate si registra una frescura per una gradevole brezzolina. La casa di cura è situata nella parte alta dell'abitato ed è prospiciente alla piazza con quattro panchine. Sul piazzale affaccia al lato opposto il castello in rovina. Sul costone di roccia a levante vi sono le abitazioni e a ponente un forte precipizio.
 
Mi dedico al collezionismo di monete e alla musica. Vivo bene e mi accontento a fine giornata, di ritrovarmi nella stanzetta e sul letto, assorto sulla vanità dell'esistenza. M'incoraggia la libertà dello spirito. Al principio del soggiorno un infermiere mi sorvegliava; adesso non sussistono regole e le perversioni possono manifestarsi.
 
È interessante trovarmi tra le rovine del castello a cercar monete. I paesani si disinteressano della mia presenza. Dicono: "È un signore, ma è pazzo". Con un "cercamonete" ne ho ritrovate molte d'antiche, risalenti all'epoca romana. S'ignora l'epoca di costruzione di questo maniero.
 
La costruzione è certamente antica per aver conquistato nei secoli il ruolo d'avamposto militare. Domina la vallata al disopra del monte. Possiede una posizione strategica straordinaria. A dir degli abitanti vi hanno vissuto principi e regine. Una fitta schiera di storielle s'intrecciano. È semplice follia trasformare la storia con deturpazioni logiche evidenti. Dal mio punto di vista mi fermo a contemplarne la decadente bellezza, quando sosto sulle panchine. Suono con la chitarra e sussurro stornellate d'amore nella notte e al chiarore della luna.
 
Sto fuori della casa di riposo fino a tarda sera. Qualche volta s'intrattiene con me un infermiere. Il più delle volte sono solo, anche perché respingo le comitive. Di giorno, amante della privacy, m'inoltro nella campagne desolate, che nessuno coltiva più.
 
Ho già esplorato i luoghi nei dintorni della casa di cura. Sono sceso e risalito per la scarpata a precipizio, lungo il percorso compiuto dai pastori con le greggi. Esiste una discesa meno ardua, costruita dalla comunità montana. La trascuro, perché esclude il brivido dell'avventura.
 
La strada dei pastori, invece, in alcune parti scoscese pende nel vuoto. Sono vicino alle pecore pascolanti. Sono lontano dalle raccomandazioni della direttrice, preoccupata dalle mie bizzarrie.
 
Il desiderio d'aver esperienza con luoghi sconosciuti, ha raggiunto negli ultimi tempi un valido obiettivo. Girovagando, mi sono spinto a piedi, attraverso un tratturo, fino ad una pianura incolta, attorniata da una catena montuosa. Guardo con ammirazione il laghetto di gran dimensione e di piccola profondità, creato nel mezzo di essa durante il periodo invernale. Le acque di un torrente, che dalla montagna precipitano in pianura, e quelle piovane, confluenti sul posto, realizzano il lago. Le rocce sono rosse e corrose al passaggio dell'acqua. La presenza di questa primitiva bellezza genera paura in me al primo contatto.
 
La montagna ha una varietà di rocce, fra le quali abbondano quelle permeabili. Sono poco compatte, a strati orizzontali, e permettono il passaggio di fluidi, anche perché sono del tutto incoerenti. Alla base sono divenute cavernose in seguito a fenomeni di dissoluzione.
 
Lungo il tragitto e sulla montagna, l'acqua piovana ha corroso grandi massi di pietre. Hanno assunto figure caratteristiche d'oggetti o esseri umani. Sono sculture naturali. È stata assente una mano d'artista, che le abbia potute modellare. Il lento gocciolio della pioggia durante millenni ha prodotto strutture, contemplate da solitari pastori.
 
La popolazione che incontro, si dedica alla pastorizia. Pecore e vacche pascolano nei campi lungo il percorso e nella radura. I pastori tacciono, abituati all'isolamento dei luoghi, e respingono le novità. M'accorgo d'essere capitato nel luogo giusto, a che nessuno mi disturbi.
 
Mancano i servizi, mentre esiste abbondanza d'acqua nel laghetto. Incontro un bovaro, disteso a terra, a riposare con le mucche, che gli pascolano nei paraggi al suon dei campanacci.
 
Il puzzo delle pecore e delle vacche rovina l'aria ossigenata della montagna. Le condizioni meteorologiche hanno una temperatura normale con vento di tramontana freddo. Le campane delle mucche e delle pecore spezzano il silenzio generale della zona. Un cavallo bianco pascola con tranquillità. Il fruscio del vento nei boschi di spine e di querce richiama la mia attenzione.
 
La coltura degli alberi non si adegua alle rocce; di conseguenza la zona è una distesa erbosa. I fiori abbondano ed in quest'inizio di primavera n'offrono di svariate qualità. Sono gigli bianchi e gialli. In gran quantità esiste il fiore zafferano. M'attrae perché ha un colore sul viola con petali bianchi. Nella fase attuale il bulbo è giallo. È piccolo.
 
Spine, olmi, querce e faggi, non in fioritura, sono le varietà d'alberi. Le gazze e le piche mi gironzolano intorno. Dopo aver girovagato una mezza giornata nei boschi, rientro alla casa di cura. Mio fratello con la moglie è giunto in visita. Sono eleganti e con la direttrice simulano preoccupazione per me.
 
"Smettila d'allontanarti nei boschi!", afferma mio fratello.
 
Non rispondo, facendo comprendere che la loro presenza mi procura fastidio. Il telefonino nelle loro mani squilla in continuazione. Mia cognata indossa un indumento raffinato con una minigonna impareggiabile. Mi scruta in silenzio e manifesta nausea per me e per quei luoghi. Entrambi presentano la vita frenetica della città, che per loro imposizione ho lasciato.
 
Nascondo la disavventura d'oggi. Alla domanda insignificante se mi trovo bene, rispondo di sì con un cenno della testa. La loro fretta di congedarsi è pari alla mia di mandarli via. Con le raccomandazioni di prammatica, salgono sulla Mercedes 1900 nera e si dirigono in città, con la certezza d'aver ottemperato ad un loro dovere.
 
Dal canto mio vado presto a dormire, ma dormo pochissimo per il desiderio di conoscere le località, lasciate inesplorate il giorno prima. Riparto verso le nove, avvertendo la direttrice che rimarrò fuori per il pranzo. Ho guadagnato l'autorizzazione che estranei si dovranno disinteressare delle mie scelte, per un comportamento esemplare.
 
Mio fratello, inoltre, ha accettato la responsabilità per eventuali incidenti, che mi possono capitare. Ha stipulato un'assicurazione "ad hoc". L'assicurato sono io, mentre il beneficiario è lui con la famiglia. Pagherà la polizza, avendo valutato bene il pericolo di rimetterci. È l'unico a conoscere il profitto delle mie sostanze e, di conseguenza, ad utilizzarle. La somma versata formerà un capitale che si rivaluterà nel tempo. Gli sarà versato alla scadenza della polizza rinnovata per brevi periodi. In caso d'incidenti, percepirà una somma dovuta per il sinistro. A me interessa d'essere libero; in dipendenza di tanto, ho affidato il mio patrimonio alla sua amministrazione.
 
Mi preparano il pranzo, consistente in una porzione abbondante di pizza di patate, una pagnotta con prosciutto e formaggio pecorino, tre arance e dei torroncini di fabbrica. Introduco il preparato nel tascapane pulito. Infilo la torcia elettrica nella tasca della giacca sudicia. Intraprendo il viaggio, indossando stivali.
 
Lasciato l'abitato, le figure, scavate nella roccia, mi affascinano a lungo. Mi fermo e le ammiro. Sono incapace di comprendere i giochi di natura: da quanti secoli o anni i rivoli d'acqua le hanno corrose. Sono belle. Appago un interesse con la difesa dell'ambiente.
 
Verso mezzogiorno raggiungo il lago. Lo guado in lungo e in largo, dopo aver depositato la bisaccia sulle sponde. L'acqua è piana, immobile come un tavolato. Nessun frastuono! Dopo poco tempo, le conoscenze sono tante e tali da rimanere privo d'attrattive.
 
Mi avvicino alle acque del torrente, che precipitano dalla montagna. M'immergo in esse. L'acqua è al di sopra della cintola. Ne vengo fuori e mi osservo intorno. La montagna è fiera con i segreti, con i dirupi immacolati, con le rocce sporgenti bianche e, nella parte inferiore, con gli anfratti, ricoperti da spine. Inizio a percorrerla. Dal lago a salire fermo lo sguardo sulle fessure, sulle grotte. Sono incapace di penetrare nei rovi e nelle spine, sebbene abbia provato con difficoltà.
 
Una fessura ha l'aspetto di un pozzo. Vi getto pietre e ne sento il riecheggiare nelle acque lontane. L'ambiente mi incuriosisce. La ricerca della conoscenza m'assale, ma non ritrovo l'appiglio per una discesa. Cerco nuovi anfratti. Sono fortunato d'imbattermi in una grotta.
 
Entro ed incomincio a percorrerla. La torcia elettrica rischiara le cavità tenebrose, illuminandole in una luce tenue. Non hanno mai fine quelle gole anguste. Scivolo sul fondo umido e mi ritrovo disteso a pancia in giù. Mi sforzo per alzarmi, ma ne sono incapace. Provo dolore alla gamba destra e temo mi sia accaduta una disgrazia. Piano piano mi giro su me stesso e giaccio supino. Con la torcia osservo le escoriazioni, dalle quali fuoriesce sangue.
 
Con un fazzoletto lego la ferita. Gocce d'acqua vengono giù dal soffitto della grotta. Non ho paura, anche perché un benessere pervade la mia persona. Sento il fruscio dell'acqua in lontananza. Ne ignoro la natura.
 
Il ginocchio mi duole. Sarà rotto? No, perché dopo un piccolo periodo di pausa, mi alzo e riprendo a camminare, zoppicando. Il percorso è accidentato, irto di rocce sporgenti, corrose dall'umidità.
 
Vi sono pozzi, ma riservo tanta bravura da evitare di cadervi e rovinarmi. Osservando un bagliore in fondo alla grotta, mi dirigo in quella direzione. Sono bagnato e sento freddo. I cunicoli sono stretti. Avanzo tentoni e m'accingo a proseguire con accanimento. Mi dispiace il risparmiare una disavventura. Ho l'ostinazione di scoprire quel bagliore, proveniente da lontano. Sono stanco e mi addormento. Mi sveglio con un freddo insopportabile. In fondo alla caverna un chiarore più intenso rinnova la luce precedente.
 
Con un successivo sforzo, raggiungo il bagliore. È un luogo umido, profondo, scavato nella roccia, ma non vi scorre acqua. Alzo gli occhi verso la superficie. Filtrano da ogni fessura i raggi del sole, che penetrano nella grotta per quel cunicolo. Il sole è lontano da me, ma n'osservo l'energia. Sento freddo ed avverto sintomi d'autentiche stravaganze, mentre mi s'annebbia la vista.
 
Ignoro come mi ritrovo con una temperatura altissima nella casa di cura, attorniato dal personale medico.
 
"I pompieri vi hanno recuperato nella grotta delle streghe", mi dicono.
 
Sento la necessità di conversare. Rispondo:
 
"Grido al miracolo. Un forsennato come me, ha santi protettori in cielo. Sono devoto di Santa Romana. Visse in una grotta nei pressi di Todi. È una santa che trascurate. Ho ammirato d'altronde, che il sole con la sua pazzia, si ferma ogni giorno ad illuminare fino al tramonto la grotta delle streghe. Di giorno il sole e di notte le streghe. Sono sensazioni originali in una società, votata ai dettami della legge degli interessi economici. Ho ritrovato il creato in una natura incontaminata".
 
"Quest'uomo è davvero pazzo", gridano tutti.

 

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inserito il 3 novembre 2001