Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
 
Incipit del libro
Il pantano
di
Angelo Gaudio
 
editrice Montedit, 2000, Collana I salici (narrativa), pp. 100
L. 18.000 - Euro 9,30 - ISBN 88-8356-053-1
 
Ci si domanda chi fossero quelle due e belle ragazze, che, con il fascio di legna in testa, percorrono sotto il sole rovente la strada che dalla campagna porta in paese. Quasi tutti qui le conoscono. Si chiamano Rosetta e Francesca e hanno 22 anni. Non sono sposate, ma la tengono già rotta. Ha reso loro questo servizio colui che professò loro il primo amore. Due o tre volte al giorno devono compiere questo tragitto, sempre a piedi.
È inutile per loro sentirsi stanche, in quanto nessuno è disposto più ad ascoltare le solite lamentele. Ormai sempre insieme, hanno preso l'abitudine di parlare e sparlare di tutto e di tutti. Alla fine si lamentano sempre della propria triste condizione e della mancata occasione offerta da qualche giovanotto per toglierle da quel dannato posto. La speranza di andar via un giorno le lascia in un'ansia tutta femminile, rivolta continuamente al desiderio non appagato. Svogliate perciò nell'eseguire qualsiasi lavoro, non sono più chiamate nei campi e devono quindi andare nel bosco a fare la legna. Quel paese, poi, sperduto lì su una rupe, quasi a dispetto lontano dal mondo e dalle comunicazioni, con un'anima sua tutta particolare, contribuisce a quell'isolamento non desiderato. La gente, che abita in case larghe e tozze, è taccagna, disposta solo al lavoro al fine di aumentare il proprio gruzzolo per la vecchiaia. Fra il paese e la campagna, in una forma cava, quasi il figlio nel grembo della madre, esiste l'ampio stagno pieno di rifiuti che tutti chiamano "Pantano" per la quiete apparente della superficie delle acque, piana quasi come un tavolato.
A guardarlo dalla sponda sembra immenso, bello, accogliente e largo. Esiste nei suoi paraggi una stradina laterale asfaltata, costruita di recente con ampi parcheggi di tanto in tanto. Più volte, nel passato, hanno cercato di riempirlo, ma inutilmente. Il pantano, più forte della volontà e della capacità dell'uomo, ha sempre reclamato con un forte boato gli ettari di terreno occupati con le sue acque. Ha reso vano, così, ogni tentativo di distruzione.
Da quel pantano nasce un rigagnolo che si perde serpeggiando nelle campagne, che rende fertili. Le due ragazze, sempre chiacchierando, oltrepassano il pantano, entrano in paese e si recano al centro, dove vi è la piccola chiesa con il campanile aguzzo e la bella facciata. Appoggiano le fascine al muro dell'abitazione del notaio, si avvicinano al grande e antico portone di legno e bussano in malo modo, svogliatamente. Viene ad aprire immediatamente la signora Concetta, moglie del notaio. Capisce il da farsi con un'occhiata intelligente e invita le ragazze ad entrare in un ampio cantinato, per deporre la legna al suo posto. La donna è svelta, ma anche molto precisa. Non ha per nulla l'aria autoritaria dei piccoli borghesi dei nostri paesi, che si sono arricchiti da poco. Bassa di statura e rubiconda, tendente all'obesità, ha portato quale dote un grosso patrimonio, consistente in vari immobili e in una cospicua somma di denaro.
Nessuno per la verità ne conosce bene la misura. Le più svariate ipotesi si fanno al riguardo con un'evidente imprecisione sull'effettiva quantità.
La signora Concetta ha anche studiato e perciò le è stato permesso di contrarre matrimonio con il notaio, assai più vecchio di lei, ma con un avvenire sicuro.
Tutto quanto per un'esistenza modesta, ma tranquilla, lontana dai travagli e incurante della sorte. Hanno scelto di sposarsi tardi, piuttosto che vivere in ristrettezze economiche. È vero che è stata con altri uomini, prima di conoscere il notaio, ma ormai queste sono storie appartenenti al passato.
Non hanno avuto figli. Hanno desiderato diventare genitori a tutti i costi e sono stati appagati presto con l'adozione di un marmocchio, preso all'orfanotrofio regionale ed educato con tutti i riguardi per un'esistenza borghese.
"Povera creatura, la madre è morta subito dopo il parto. Il padre, con il cuore spezzato e affranto dal dolore, lo ha affidato all'orfanotrofio con la speranza che una nuova famiglia accudisse amorevolmente il figlio" così fu fatto credere alla gente del luogo.
Si fanno ignorare le vere origini dell'adottato. Il notaio e la moglie conoscono queste fin troppo bene e le mantengono in gran segreto.
Don Filippo è stato in questo modo nell'agio allevato ed è diventato giovane. Il denaro, l'ossequio, l'arretratezza del paese e il rispetto di tutti lo presentano amabilmente spavaldo. Tutte le ragazze sperano in quel giovanotto e s'illudono. Don Filippo questo lo sa e perciò non ha rivali neanche in amore, potendo disporre di tutto ciò che vuole.
Un paesino di provincia non può appagare per niente tutti i desideri del giovanotto, che, terminate le scuole del luogo, si è stabilito in città. Il padre ha acquistato per lui un appartamento, che gli serve da studio, da soggiorno e da ritrovo. Il suo passatempo preferito è sperperare l'abbondante denaro del notaio, amabilmente trasfuso nelle sue tasche dall'amorevole signora Concetta, che, ricambiata, non ha segreti per suo figlio.
Egli alterna in ogni caso alla città continui soggiorni in paese. Per tale motivo in sostanza non ha fissa dimora.
Ultimamente ha preso simpatia per Teresa, una ragazza esile e bella e nel granaio, tra scherzi e reticenze, ne ha approfittato.
Quella volta le disse: "Ti voglio bene"
La ragazza gli rispose subito: "Anch'io"
È stufo adesso di farci all'amore. Non sa proprio come fare per sbarazzarsene. Una sera, all'osteria con gli amici, mentre si gioca e si è allegri, ne ha parlato in modo cattivo e con molta franchezza.
"Bene ragazzi, sapete l'ultima? Sono proprio stufo di Teresa. È possibile che nessuno di voi trovi il modo di togliermela dai piedi? Pensate che con quella ci ho fatto..." e giù a raccontare, mettendo bene in risalto la sua spavalderia.
"L'uomo deve sempre illudere la donna da possedere con la più grande stupidaggine: l'amore. Peggio per lei, che non sa guardare la realtà" lo assicurano in tal modo gli amici, sorridendo alle malizie e alle finezze di un racconto amoroso. Avrebbero provveduto ad allontanare da lui quell'invadente ragazza.
In quell'osteria pulita, ma stretta, ogni ragionamento è ammesso. Non è frequentata da donne ed è luogo di ritrovo dei soliti giocatori. È un'abitudine parlare e sparlare di tutto. Il gestore stesso non fa più caso ai ragionamenti ed è diventato anche lui un accanito giocatore. Il gioco in ogni caso lo assorbe tutto e assorbe anche il miserevole guadagno.
Alla "cantina", come familiarmente è chiamato quel locale, tavolini verdi e sedie sono allocati alla rinfusa. È affollata nelle ore serali ed è vuota di mattina.
Vi vengono tutti a giocare, ma è un'abitudine familiare soprattutto il poker del maresciallo, del farmacista, del notaio e di don Mimì, di professione giocatore.
Elegante e raffinato, don Mimì si siede al tavolo da gioco, come se si preparasse a una cerimonia religiosa, a un rito. Vestito impeccabilmente, prende il bocchino dalla tasca, v'infila la sigaretta, che accende con un accendisigaro con il fodero di pelle.
Don Mimi, senza fretta, quando due boccate di fumo si spandono nell'aria, ripone la macchinetta a gas nel fodero e il tutto nelle tasche. Allontana la sedia dal tavolo da gioco e vi si siede, riaccostandosi dolcemente. È ora pronto per giocare, muto e serio. Uomo sulla cinquantina, non è sposato. Non lo desidera per niente. Ha sempre disdegnato le complicazioni e non ultime quelle matrimoniali. Vive da solo e mangia all'osteria. Spera di morire presto, senza affrontare il disagio di una lunga malattia.
Il maresciallo, invece, presta servizio nell'esercito in città. È molto ricco e per tale motivo può permettersi il lusso di perdere abbastanza denaro. Gli rifornisce il denaro perduto il vino cattivo pagato per buono dall'esercito o i contadini, che lavorano il terreno per lui. È sposato da molti anni ma ha un solo figliolo.
Il farmacista è un giovane molto in gamba ed è anche scapolo. Si è avviato da poco, consumando molto denaro per acquistare e arredare la nuova farmacia in paese. Si sarebbe rifatto in breve, tenuto conto che la sua professione è la sola a fornire alle malattie un interessato conforto.
Il notaio, infine, al quale il gioco non si presenta come un vizio, ma come un passatempo, uno svago necessario dopo l'intensa giornata di lavoro, è gentile e amabile. Non iniziano a giocare, quando qualcuno di loro non è ancora arrivato. Stanno tutti insieme chiassosamente. Per porre rimedio all'attesa che tutta la compagnia si riunisca al completo, prendono le carte, discutono con gli altri avventori e consumano bevande al banco.
Una volta che si mettono a giocare, si forma una schiera di curiosi intorno al tavolo, che si divertono ad osservare in silenzio l'andamento del gioco.
Don Filippo viene raramente alla "cantina". In quella sera rigida d'inverno si era presentato nel suddetto locale, perché era tornato dalla città con una ragazza e aveva urgente bisogno di denaro. La madre gliene aveva dato, ma poco per la verità. Con il pretesto di salutare il padre, coglie l'occasione per portargli via qualche biglietto da centomila. È vero che non è sua abitudine chiedere denaro in pubblico, ma questa è un'occasione straordinaria.
Ha agito, poi, in modo che fosse il padre ad offrirglielo e non lui a chiederlo. I biglietti di banca scivolano nelle sue tasche sotto la continua e diretta sorveglianza dei curiosi presenti.
Sono il mezzo opportuno per una serata allegra da trascorrere in un luogo scelto e sicuro con una bella ragazza. La riflessione dei presenti è sempre la stessa: "Cosa può volere di più un uomo, quando ha bellezza, donna e denaro e un gran desiderio di godersi la vita? Don Filippo, in barba alle sue origini, è un fortunato".
 
* * *
 
Bruno è un ragazzo caparbio, ma in fondo per questo è d'animo buono. È tanto caro, perché si affeziona facilmente e prende a cuore le situazioni del prossimo cristiano. Ha vent'anni, ma già a dispetto della sua giovane età dimostra una sensibilità adulta. Ha qualcosa di strano nel suo volto giovanile, dal quale traspare un'infanzia non goduta. È orfano e fu affidato alle cure di un lontano parente, che gli ha insegnato il mestiere.
È diventato un bravo meccanico e ha messo bottega in paese. Giovane e bello con un mestiere, che rende, adesso scoppia dalla gioia, perché ha anche la sua ragazza.
Mariuccia è entrata nella sua misera vita quasi improvvisamente, nonostante sia stata sempre desiderata.
"Mi chiamo Bruno", disse nel presentarsi a lei. Poi non profferì altro per l'intera serata, essendo già felice di quella dolce compagnia.
Il modo vigoroso, ma tacito, di comportarsi attrasse Mariuccia fin da quel primo incontro e quando il ragazzo le disse: "Ti vorrei accompagnare a casa", nell'accettare, ne fu intimamente contenta.
L'incontro è stato per la fanciulla il principio di un amore tenero e dolce. È d'accordo per le scelte del suo ragazzo, con il quale fa lunghe passeggiate per le campagne a piedi o con la moto. È un dolce passatempo per il ragazzo guidare questa bella moto con il suo frastuono assordante, che infrange la quiete del paese. Mariuccia avverte sempre dove si trova Bruno; anzi molte volte insieme percorrono a gran velocità le strade del paese giammai per portare a termine delle incombenze, ma solamente per il piacere di godere la vita. Viene a trovarlo sempre più spesso alla bottega.
"Sei tanto cara" le ha detto Bruno. Lei si è lasciata accarezzare i capelli e poi si è fatta baciare.
Da un bacio ne sono venuti altri, tanto che adesso, appena lo intravede, gli corre incontro, dandogli un bacio sulla guancia o sulla bocca. Lo slancio è troppo spontaneo e vigoroso per essere frenato dalla presenza d'estranei.
In quel mondo, poi, c'è posto solamente per loro due. Gli altri non possono per nulla comprendere. Il desiderio reciproco di vivere insieme ha maturato la decisione di sposarsi.
"A quando le nozze?" domandano i conoscenti.
"A presto" rispondono entrambi con il sorriso sulle labbra.
Un bel giorno devono fissare veramente la data delle nozze. Dopo i baci, le carezze, un forte desiderio ha preso piede. Prima hanno avuto contatti leggeri, ma poi sempre più spesso desiderano fare all'amore.
Bruno si sente maturo come uomo e, quel che è peggio, trascina Mariuccia a comportarsi a suo modo. Cerca di vincere con l'affetto le prime inutili reticenze di quell'animo femminile, vergine in tutto e non solamente nel godimento dei sensi.
La ragazza resiste, temendo il vero e definitivo contatto, ma si tormenta nell'attesa. È titubante, pregustando d'altronde appieno tutte le nuove esperienze discendenti dal suo attuale manifestarsi, temute, ma non per nulla precluse. A sospingere quest'animo gentile a tentare esistono la passione umana e il sentimento.
La vita è bella, anche se trascorre inesorabilmente. È tanto forte il desiderio di godere e tanto grande n'è il godimento quanto più si vive intensamente la propria tormentata esistenza.
Con la bellezza di una vita in comune e riscoprendone la gioia ogni giorno, i due giovani con il sentimento superano il destino umano. Richiedono pertanto di vivere o di morire sempre insieme.
La gente del paese, che ogni giorno deve parlare di qualcosa, non fa più caso alla passione travolgente che ha preso i due ragazzi. È un fatto normale vederli insieme, considerarli già sposati e pronti a riempire la casa di figli.
Solo il prete borbotta: "Dovete unirvi in matrimonio per far contento il Signore". Si è inoltre tanto prodigato da ottenere l'impegno di fissare la data delle nozze dopo il Santo Natale. Fervono così i preparativi per la cerimonia, in quanto fra un mese è Natale.
Mariuccia rassetta la casa presa in fitto da Sergio, il commerciante, un uomo con quell'aria bonacciona, che ha preteso quattro mensilità anticipate. Il denaro prima d'ogni cosa e poi gli auguri e i confetti.
Il motto del commerciante è sempre lo stesso: "Prima gli affari, poi tutto il resto".
Nell'agire con tali intenzioni per un siffatto scopo, raggranella molto denaro. Con un gruzzolo molto abbondante acquista sempre ciò che ancora non possiede.
Dà in ogni modo lavoro e intrattiene affari con tutti, in particolare con coloro che sono con lui obbligati per qualsivoglia ragione e che non se ne possono liberare se non prestando la propria opera lavorativa.
È un uomo che sa veramente agire in questa società. Appare agli occhi di tutti come colui che promette e mantiene gli impegni per far mangiare, anche se in buona sostanza è un affamatore del popolo e una sanguisuga.
Tutti in paese ricorrono per una ragione o un'altra a lui. Si fa sempre pagare in ogni modo, ma piange sempre miseria.
Non gli si può per nulla negare che sappia proprio godersi la propria fortuna. Non gli si può imputare alcuna negligenza al riguardo. Gli è sempre piaciuto mangiare bene, vestire decentemente, ma soprattutto viaggiare molto.
Ama le avventure galanti e appare agli occhi delle donne non solo gentile e a modo, ma anche cortese e compiacente. Buon parlatore si circonda d'amici e pone la sua massima cura nella scelta oculata di un'élite, al solo esclusivo scopo di godere maggiormente la vita.
In lui vi è un gran desiderio d'amare che non riesce mai ad appagare. In ogni modo un solo pensiero lo tormenta, quello di essere ammirato ed amato solamente per il suo sporco denaro. I veri amici lo sanno e al riguardo tacciono.
Una tale opinione l'opprime e lo fa impazzire, dal momento che non ancora conosce la verità al riguardo. A dispetto di tanto si comporta in modo disinvolto ed è anche spendaccione, ben sapendo che tutto il denaro speso in paese alla fine passa nelle sue tasche.
In ogni modo si può largamente affermare che in quel posto il suo potere non conosce limiti. Ha fatto eleggere suo fratello sindaco e lo zio è parroco. Proprio questa la sua famiglia con un Comune amministrato senza opposizione.
Laureatosi in giurisprudenza, Dario ha fatto fortuna solamente ricorrendo al fratello. È stato così eletto sindaco. Per tale carica e con il denaro dello Stato ha creato una vasta influenza in politica. Da tanto gli deriva una discreta fortuna.
Lo zio prete, invece, ha una gran ricchezza, ma è pigro ed è taccagno. In Chiesa parla molto bene, ma i suoi fedeli non lo ascoltano più. Durante il rito sacro è tutta misericordia per il prossimo.
Fuori incomincia a gridare, quando qualcuno, che non può, non gli rende quello che gli deve. Non conosce i limiti di questa sua contraddizione, la ignora.
Uno strano mondo è questo. Si predica bene, ma si agisce male. Solamente la nostra condotta di vita può essere testimone di quello che abbiamo predicato.
Per don Fiorenzo le scritture sacre sono cose che si leggono in chiesa e che assolutamente non si mettono in pratica. Fa finta di ignorare che colui che ha interpretato la realtà ha suggerito anche di viverla coerentemente.
Mariuccia è una buona parrocchiana e ha ascoltato il prete, quando in confessione le ha affermato che deve sposare Bruno, perché è peccaminoso il loro comportamento per il Signore.
La ragazza non riesce proprio a comprendere cosa sia peccaminoso, forse amare più della vita il proprio uomo. Una volta sposati, questo comportamento non è sindacabile.
Lei, invece, è terrorizzata dal praticare gli atti sessuali nel matrimonio. Teme questo proprio perché deve offrire il suo corpo alla potenza di Bruno.
Pensando così alla paternale del prete, torna a casa. Sua madre le ha insegnato che occorre fuggire le cattive tentazioni e, quel che è peggio, non amare l'uomo solamente per la sua prestanza fisica.
È turbata dal pensiero di essere posseduta dal suo uomo, anche se non può frenare il desiderio di conoscere, di verificare. Nel momento in cui intravede il suo ragazzo, ha il coraggio di domandarglielo.
"Sei proprio sciocca - afferma lui, sorridendo. - Ma ti sembra che se fosse disgustoso fare all'amore, tutti continuerebbero a provarci gusto. Capisci che tutti hanno rapporti sessuali".
Mariuccia si sente rassicurata e bacia più forte Bruno sulle labbra. Siedono nella casa nuova, discutendo dei vari preparativi delle nozze.
S'interrompono bruscamente e si guardano fissi negli occhi. Lui tocca le gambe della ragazza, poi le cosce e i seni e sente il pene turgido. A lei un piacere tranquillo pervade il corpo, fino a quando dice: "Voglio essere tua stasera stessa". È così sua completamente.
È questa una prima esperienza temuta, ma felice, che avvolge i due amanti in quell'amplesso improvvisato. La felicità che deriva è tanta e improvvisa, che ci riprovano, ottenendo un godimento maggiore del primo.
Mariuccia si rammarica, pertanto, d'aver ascoltato tante stupidaggini dette sull'amore. E d'aver finalmente allontanato le false credenze su di esso, al fine di poter effettivamente godere la vita. Il rimpianto per non aver provato prima è troppo. Bisogna proprio cedere alle insistenze dell'uomo, in quanto ogni attimo piacevole non ritorna più.
La donna è felice del suo amore, di averlo tenuto stretto finalmente a sé, formando un solo corpo e un'anima. Nei giorni successivi ci riprovano sempre di più, dimenticando quel primo incerto tentativo in cerca sempre di nuove esperienze per più completi godimenti.
Ora fanno continuamente all'amore, tanto da non poterne più astenersi. Ogni volta succede la fine del mondo. Questo solo per il piacere di provare sempre più sovente, stando insieme, consumando quel dolce caro sentimento che li tiene uniti.
 
* * *
 
Piove da molti giorni in questo dannato paese avvolto da un'aria fredda. Vi è umidità dappertutto e non si può uscire all'aperto. Tutti, tralasciando i lavori nei campi, si rintanano nella propria calda abitazione al tepore del camino. Gli insofferenti a questa vita domestica passano il tempo, annoiandosi, al pubblico ritrovo a giocare e marcire.
I contadini si lamentano, in quanto non riescono a raccogliere le olive in questo mese di novembre.
La loro cupidigia è tanta e tale, che, per il raccolto già pronto, desiderano affrettarsi, non tralasciando alcun'occasione per lavorare.
Il torrente, che nasce dal pantano, già da vari giorni, ha rotto gli argini e ha inondato le campagne circostanti. Dal paese si osserva un'enorme distesa d'acqua che si riversa nella vallata sottostante.
È uno spettacolo naturale affascinante e attraente con gli alberi sommersi fino alle cime, che ondulano al vento.
Questo, d'altronde, non porta alcun giovamento al contadino, che deve raccogliere i frutti della sua terra e si tormenta di non poterlo fare, in quanto continua a piovere.
Passa, allora, dalla tavola al focolaio e poi al letto. Scruta il mattino seguente il cielo, che si presenta sempre nuvoloso. Un'altra giornata da trascorrere in casa, oziando, mentre il raccolto nelle campagne va alla malora.
Occorre fare qualcosa e non rassegnarsi solamente alla pioggia, che non vuole smettere di venire giù. Solo quando il cielo si presenta nuvoloso, ma non piove, il contadino allora è contento di recarsi in campagna, lavorare per mezz'ora o un'ora, il più delle volte per mezza giornata.
La raccolta delle olive ricade proprio in un periodo dell'anno così infausto per la pioggia e il freddo e, per questi motivi, è laboriosa. Occorre capire gli attimi propizi della giornata per ripararsi dal tempo cattivo e non prendere malanni nell'umidità.
Si deve avere tanta pazienza di riempire il piccolo sacchetto. Piano piano, si raccolgono una per una le olive con le mani. Alcune sono fatte cadere su un telone, steso ai piedi dell'albero, mentre le altre sono raccolte nel fango.
Sergio viene spesso in campagna sia per sorvegliare gli operai sia per amore della sua terra. Alla sua tempra d'uomo, il freddo e l'acqua non fanno paura.
Nella tenuta ha costruito una casa, dove durante la raccolta delle olive vi è il camino sempre acceso. Al pianterreno ammassa tanti arnesi e i sacchetti pieni per andare al frantoio.
Al piano superiore ha ricavato una stanza da letto con il bagno. Nel periodo della caccia, vi resta anche a dormire per le anitre selvatiche, che si fermano durante l'emigrazione sulle sponde del pantano.
In quest'abitazione ha anche la cucina con tavolo e sedie per il pranzo degli operai, ma anche per ogni altra occasione.
Oggi cucina Assunta, la figlia sedicenne dello spazzino del paese. Fra gli operai vi è la madre, che prende per quel lavoro, piove o no, per sé e la figlia sei litri d'olio.
Sì, proprio così, per la raccolta delle olive si compensa in natura. Si contano le giornate e l'ultima macina è per gli operai.
Sergio lascia gli operai e si aggira in cucina, dove Assunta apparecchia il pranzo. Prende un pezzo di pane e lo immerge a metà nel sugo. Fa così colazione.
Si avvicina poi alla ragazza e accarezza il suo bel sedere, che gli piace da morire. Certamente un gesto volgare, ma ben accettato, dal momento che spontaneamente la ragazza gli offre i seni.
Sergio, invece, senza pudicizia, infila la mano nella sottoveste fra le gambe fino a toccare e solleticare la vagina.
Questo è il modo di comportarsi del padrone. Non vale privarsi della sua compagnia e dell'acceso desiderio. Non è da tutti effettuare un lavoro leggero in casa, quando fuori vi è fango e freddo.
Il pranzo è preparato. Sergio avvisa gli operai di lasciare il lavoro per il desinare. Ognuno si accomoda dove più gli piace, su una sedia o su uno sgabello. Qualcuno per terra in disparte con la bottiglia di vino ai piedi.
Per tutti è il lavoro che ha importanza. Il contadino si adatta alla natura e perciò può sfruttarla per ricavarne i frutti migliori. Il pranzo è servito a questa gente semplice in tutti i modi, anche il peggiore.
Durante il desinare vi è abbastanza brusio. Qualcuno dice barzellette. Altri raccontano dei precedenti lavori e delle difficoltà affrontate, d'esperienze di vita vissuta, della fame sofferta in altri tempi.
Si benedice, perciò, con una schietta ingenuità l'attuale raccolto, che è così faticosamente procacciato. In breve, quasi come per incanto, gli operai ritornano al proprio lavoro, lasciando vuota la cucina. Assunta rassetta in un baleno il tutto, mentre Sergio finisce di portare i sacchetti pieni d'olive in casa. Alla fine si siede a tavola per mangiare.
È servito dalla bella e fascinosa ragazza, che pranza con lui. Dopo Assunta lava i piatti, mentre Sergio è sdraiato sul comodo divano a guardarla. Ne ammira le belle gambe, che fuoriescono dalla gonna e fanno venire voglia.
Alla fine le alza la gonna. Non si sorprende per nulla che la ragazza, in tacita previsione dei fatti, si è già tolta le mutandine. L'uomo l'accarezza piano, piano. Lei si mette curva con la faccia sul lavandino ed è in tale posizione posseduta.
Un modo naturale per fare all'amore, un atto dovuto della schiava al padrone. La ragazza non si scompone per niente, sembra non godere.
L'uomo, invece, si dimena nel coito. Gioisce per quella posizione, nella quale costringe la ragazza con la viva illusione di un immane possesso integrale. Raggiunge l'orgasmo. Si tira alla fine su i pantaloni, si aggiusta per bene e ritorna in poltrona. La ragazza, invece, con un gesto deciso fa scendere la gonna e poi continua il proprio lavoro.
"Non appena sistemerò il raccolto, ti farò passare una notte con me" le promette Sergio.
Assunta, con la sua calcolata ingenuità, promette al padrone ciò che più gli fa piacere, per illudersi insieme con lui che la vita è bella e che il far all'amore è ancora migliore.
Sergio tenta di conoscere i propri limiti come persona anziana e matura, ma che tuttavia non perde occasione per godere la vita.
Un vanto è per lui andare ancora con una donna, ma riuscire con una sedicenne lo fa letteralmente inorgoglire. Deve possedere per forza una potenza occulta per far sua una ragazzina e penetrarne tutte le intimità.
S'illude d'essere un impeccabile ed irriducibile cacciatore d'ogni donna, che si gloria e vaneggia di essere posseduta. Non esiste tregua tra la pretesa di quest'uomo di possedere e la vanità femminile, soggiogata al desiderio. L'amore stesso, in qualsiasi modo si manifesti, è un atto sessuale o una complessità di sentimenti inspiegabili, che tiene avvinti l'uomo e la donna. Non può essere unico, poiché ha necessità di un continuo rinnovamento.
Quest'attrattiva reciproca dà valore alla vita terrena. Tutti gli altri rapporti umani possono essere studiati, l'amore no. Sorge il meno che te lo aspetti e nel modo più impensato.
Sergio confessa che nella sua vita la cosa più bella che cerca di realizzare è fare all'amore. Nel momento che si alza dal letto, bacia sempre la compagna, ringraziandola del gran dono che spontaneamente ha voluto concedergli. Non ha preso mai una donna contro la sua volontà, anche se ha varcato sempre i limiti di tutti i pregiudizi umani.
Ha fede piena nella compagna che a lui si è donata. Non parla mai con estranei delle sue relazioni amorose e non se ne vanta con gli amici. Non è d'altronde geloso. Ricerca il godimento dell'attimo per il piacere che gli offre.
Assunta, invece, ama molto quell'uomo forte e abbastanza ricco. Le basta questo sentimento per correre dovunque egli sia. Non desidera altro che stargli accanto, anche se è più anziano di lei. Trova in lui maturità e si diletta, preferendolo ai suoi coetanei, indifferenti e privi di passione. Vestiti male e in eguale maniera, fanno persino rabbia per il loro assenteismo a fronte d'ogni godimento. Non apprezzano per nulla che la donna è seducente per quelle acconciature attillate e strette. Il corpo è uniformemente coperto da quei pantaloni a jeans e le magliette unisex. È vero che le ragazze sono lunghe e slanciate e non hanno seni, in quanto non allattano più, ma sono sempre pronte a far ogni dono del proprio corpo a esseri che sonnecchiano.
Sergio, intanto, alla guida del trattore impegna gli operai a caricare i sacchetti ricolmi d'olive. A pieno carico va al frantoio, ma non vi rimane. Ammucchia, infatti, le olive in un box di legno che ha fittato.
I contadini, che eseguono molte macine, non perdono tempo nell'attesa della molitura e prenotano quelle a farsi. Sergio è un gran proprietario e si comporta in questo modo anche lui.
Durante il giorno effettua molti viaggi al frantoio di tutte le olive raccolte. Di sera carica l'olio ricavato dalla molitura e lo trasporta a casa, sistemandolo in cantina.
 
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