-  
                     
                     
 
                        - Il ritratto
                        antico
 
                      
                      
  
                     
                     -  
 
                     
                     - Oggi di anni
                     ne compio trentasei.
 
                     
                     - Non son
                     già vecchio, giovin non mi
                     vedo.
 
                     
                     - Mi guardo
                     quando gli anni erano sei.
 
                     
                     - Ben mi
                     riguardo. Dico: "Non ci credo".
 
                     
                     -  
 
                     
                     - E voi? ... ci
                     credereste? Ecco il ritratto:
 
                     
                     - Al tra le
                     braccia della mamma giovane.
 
                     
                     - Riccioli,
                     gote fresche. Dentro al piatto
 
                     
                     - cade da man
                     di mamma il bianco pane.
 
                     
                     -  
 
                     
                     - Gaio ha
                     l'occhio. Vedete? Il labbro ride!
 
                     
                     - Non... no!
                     non mi guardate in carne. Cosa?
 
                     
                     - Non ero io?!
                     Guardate la mia iride!
 
                     
                     -  
 
                     
                     - Oh no!
                     Certo... ragione avete a iosa.
 
                     
                     - Egli ha la
                     mamma giovane. Ha sul viso
 
                     
                     - del fior che
                     sboccia il giovanil sorriso.
 
                     
                     -  
 
                   
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - L'amicizia
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Delicata,
                     
                     squisita
                     casa.
                     
                     La
                     sola,
                     
                     dopo l'Amore,
                     che sa dare 
                     
                     grande gioia
                     agli Umani.
                     
                     Trasparente,
                     e fragile, 
                     
                     come fine
                     cristallo, 
                     
                     essa è
                     conscia forse
                     
                     della
                     volontà prevaricatrice
                     
                     delle genti,
                     restia a nascere,
                     
                     e
                     perché si presenti,
                     
                     disponibile,
                     
                     occorre che
                     prima l'Uomo
                     
                     la inventi,
                     quasi la corteggi
                     
                     con
                     lusinghe;
                     
                     che
                     cioè la semini - per dire -,
                     
                     e in terra
                     buona, altrimenti non germoglierebbe
                     
                     e se pure
                     avvenisse,
                     
                     sana non
                     sarebbe
                     
                     ma
                     inutile.
                     
                      
                     
                     Alcuno dice
                     non esistere
                     
                     già io
                     altrove spiego
                     
                     l'inesistenza
                     e convinco:
                     
                     ed ecco il
                     Paradosso,
                     
                     vivo
                     arriccante, 
                     
                     ma ciò
                     non è vero.
                     
                     Essa è
                     viva nell'aria
                     
                     e
                     nell'acqua,
                     
                     attraversa le
                     agonie
                     
                     e le speranze
                     non solo
                     
                     di ognuno ma
                     anche
                     
                     di tutte le
                     cose;
                     
                     come un Dio
                     buono
                     
                     per chi
                     l'ama,
                     
                     e
                     onnipresente:
                     
                     tra cellula e
                     cellula,
                     
                     tra pelle e
                     penna,
                     
                     tra pelle e
                     pelo.
                     
                     Certo
                     è rara: "Chi trova
                     
                     un Amico
                     trova un Tesoro".
                     
                     Ed è
                     perciò che l'Amicizia
                     
                     può
                     solo essere LIMPIDA
                     
                     CALOROSA
                     SPONTANEA,
                     
                     dolcissima
                     amicizia
                     
                     capace di
                     meritarsi
                     
                     dal Poeta la
                     Poesia
                     
                     ora
                     letta.
                     
                      
                     
                     P.S. Spiego,
                     nella mia commedia, come l'amicizia non esiste e
                     convincendo il lettore, viene a provarsi
                     così come l'Assoluto nelle cose non
                     esiste, ma sì il Paradosso grazie al
                     quale nasce l'arricchimento di tutto quanto esso
                     tocca.
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - Valentina di
                        Gianna
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Una
                     cosina
                     
                     tu sei,
                     morbida che vai,
                     
                     vai
                     sempre,
                     
                     instancabile,
                     
                     tra gatti e
                     gattini,
                     
                     tra Zie e
                     Nonna di Mamma,
                     
                     tra ginocchia
                     e gambe
                     
                     di
                     Mamma,
                     
                     di Nonna a
                     nome Ada,
                     
                     tra quella di
                     chi arriva
                     
                     a
                     salutarti,
                     
                     per
                     vederti,
                     
                     toccarti,
                     
                     a
                     baciarti,
                     
                     palleggiarti...
                     
                     (No,
                     palleggiarti
                     
                     no: tu
                     pesi!)
                     
                      
                     
                     Nella
                     cornice
                     
                     dorata dei
                     tuoi riccioli,
                     
                     entro il
                     tuo
                     
                     roseo viso di
                     petalo,
                     
                     brillano
                     
                     se
                     guardo
                     
                     i tuoi
                     occhi
                     
                     intriganti.
                     
                     Occhi
                     
                     che
                     indagano
                     
                     vogliosi
                     
                     di
                     scoprire
                     
                     ogni
                     cosa.
                     
                     E mentre
                     impari
                     
                     a
                     leggere
                     
                     di tutti nei
                     gesti,
                     
                     nel
                     gustare
                     
                     di ciascuno
                     le carezze,
                     
                     scopri,
                     
                     che
                     ciò che più
                     t'interessa,
                     
                     della Gente
                     è l'animo,
                     
                     il contenuto
                     amoroso
                     
                     che Tutti
                     mortali
                     
                     vantiamo ai
                     venti,
                     
                     alle
                     stelle,
                     
                     insensibili.
                     
                      
                     
                     Così
                     da te
                     
                     anche viene
                     Alfonso
                     
                     che sul
                     caldo
                     
                     o freddo del
                     tempo
                     
                     con
                     Mamma
                     
                     o Nonna
                     cianciando,
                     
                     si sofferma
                     alla tua grazia:
                     
                     perché
                     hai, tu, l'epidermide
                     
                     fresca del
                     fiore
                     
                     quando
                     è bello,
                     
                     ove l'occhio
                     corre
                     
                     (s'abbevera),
                     mentre
                     
                     avide
                     inspirano le nari,
                     
                     freman le
                     labbra,
                     
                     bisticcia
                     
                     con
                     altri
                     
                     ogni dito di
                     mano,
                     
                     per poter,
                     primo,
                     
                     su te aver
                     contatto.
                     
                      
                     
                     Vai,
                     fila;
                     
                     fila,
                     vai.
                     
                     Cresci.
                     Cresci
                     
                     tra baci e
                     carezze,
                     
                     e,
                     pacche.
                     
                     D'insegnamenti
                     
                     
                     ti
                     nutrirai.
                     
                     E,
                     t'innamorerai.
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                        -  
 
                        
                        - Il
                        rovo
 
                      
                     
                      
                     
                     Nella siepaia
                     calda,
                     
                     armoniosa di
                     canti,
                     
                     immobile
                     troneggia,
                     
                     labirinteo
                     pruno,
                     
                     spinoso
                     groviglio
                     
                     dal tempo
                     intricato,
                     
                     il
                     Rovo
                     
                     dai fiori a
                     grappoli,
                     
                     ove il
                     nettare l'ape
                     
                     sugge, e la
                     farfalla
                     
                     maculata
                     nell'ali
                     
                     poiché
                     vi giunge
                     
                     dall'aria,
                     saltando,
                     
                     ancor prima
                     che,
                     
                     nascendo
                     sì bianca,
                     
                     la
                     mora
                     
                     passa pel
                     verde colore
                     
                     e pel
                     rosso
                     
                     che precede
                     poi l'ultimo,
                     
                     il
                     nero
                     
                     che dà
                     essa il nome.
                     
                      
                     
                     Spoglio in
                     autunno
                     
                     sei o
                     Rovo
                     
                     del
                     pettirosso
                     
                     abitacolo
                     
                     del
                     passero
                     
                     campestre
                     asilo
                     
                     e d'ogni
                     ciarlier
                     
                     volatile
                     ròcca:
                     
                     inespugnabil
                     ròcca
                     
                     allor che,
                     saettante
                     
                     a fior di
                     zolla,
                     
                     famelico
                     astuto,
                     
                     dissemina il
                     falco
                     
                     terror di
                     morte
                     
                     in tutta la
                     mia valle.
                     
                      
                     
                     Io
                     fanciulletto,
                     
                     nel bel calar
                     del sole
                     
                     udii
                     rapito
                     
                     alle nascenti
                     stelle
                     
                     un usignol
                     cantare
                     
                     o Rovo, e
                     lesto
                     
                     menai la
                     vista
                     
                     al fosco tuo
                     groviglio:
                     
                     volò
                     del canto il re,
                     
                     menando in
                     brevi
                     
                     oscillazioni
                     
                     un esile tuo
                     braccio
                     
                     pendulo.
                     
                      
  
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - Abbandonato
                        paese
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Pietre
                     lontane
                     
                     tra voi
                     combaciate
                     
                     a fare
                     attigue case,
                     
                     vie tavte,
                     
                     
                     e due
                     chiese
                     
                     (bel
                     paese,
                     
                     piccolo,
                     pugliese):
                     
                     sentite voi
                     forse
                     
                     di me la
                     mancanza
                     
                     nell'unica
                     stanza
                     
                     ov'i gemiti
                     spandei
                     
                     e i risi miei
                     primi
                     
                     e le
                     preghiere?
                     
                     Io la vostra
                     sento
                     
                     nostalgia e
                     del vento
                     
                     che negli
                     anni belli
                     
                     svolazzar mi
                     fece
                     
                     la chioma
                     sconcia
                     
                     folta e quasi
                     bionda
                     
                     allorché
                     giocondo
                     
                     qual satiro
                     andavo
                     
                     i giorni
                     vivendo. 
                     
                     O mio
                     Paese,
                     
                     ricordi tu
                     forse
                     
                     quando
                     bambino
                     
                     giocavo
                     soletto
                     
                     e la dolce
                     mia mamma
                     
                     al suo
                     bambino
                     
                     chiamava
                     Pupetto?
                     
                     Allor mi
                     portava
                     
                     (qual
                     fierezza di donna
                     
                     e qual gioia)
                     nel letto,
                     
                     ed io privo
                     d'intelletto,
                     
                     bevendo del
                     suo petto
                     
                     gustavo il
                     suo bacetto.
                     
                     Allor tu
                     m'abbracciavi
                     
                     e pur tu mi
                     parlavi
                     
                     vedendomi
                     crescere,
                     
                     piangere,
                     ridere.
                     
                     Poi, un
                     dì memore,
                     
                     quando
                     fumai,
                     
                     misi le
                     ali
                     
                     e da te
                     volai; 
                     
                     o caro
                     d'implumi
                     
                     a lunga vita
                     nido.
                     
                     Promisi alla
                     mamma
                     
                     di tornare a
                     Natale;
                     
                     ma quanti
                     Natali
                     
                     passaron
                     d'allora?
                     
                     Io sono
                     smemorato,
                     
                     in questo mio
                     vivere errato.
                     
                     Son forse il
                     figlio tuo più sfortunato.
                     
                     Ma di essere
                     sol chiedo perdonato.
                     
                     Dillo a mamma
                     mia
                     
                     che
                     tant'è buona e pia
                     
                     se vuol
                     venirmi incontro:
                     
                     io bramo il
                     suo riscontro.
                     
                     A casa
                     tornerei,
                     
                     Lucia
                     sposerei:
                     
                     farei
                     così felice me,
                     
                     mamma...
                     
                     e certo pure
                     te.
                     
                     Le rondini in
                     settembre,
                     
                     gli uomini in
                     primavera,
                     
                     tutti di te
                     parlano...
                     
                     ma lontano
                     vanno.
                     
                     Chi prima,
                     chi dopo,
                     
                     tutti a te
                     ritornano
                     
                     e si
                     sposano.
                     
                     Sei
                     magico.
                     
                     Hai la
                     calamita.
                     
                     Ma se
                     Lucia...
                     
                     da te se ne
                     già ita...
                     
                     o mio Paese
                     amico,
                     
                     lontano...
                     
                     povero
                     abbandonato!
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - Lettera al
                        morto
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Oda, o
                     Papà, il sepolto
                     
                     tuo
                     timpano
                     
                     questo mio
                     canto;
                     
                     e il
                     pianto
                     
                     mio
                     discerna
                     
                     ed il
                     tormento,
                     
                     mentr'ergo a
                     te,
                     
                     fra umani il
                     meglio
                     
                     all'infantil
                     mio occhio
                     
                     ed al
                     presente,
                     
                     questo piccol
                     monumento.
                     
                      
                     
                     Tu, che
                     cruento
                     
                     un dì
                     partisti
                     
                     dalla tua
                     prole
                     
                     imberba
                     tutta,
                     
                     e del fatal
                     coltello
                     
                     ancor serbi
                     il ricordo;
                     
                     tu che in
                     stranio
                     
                     loco solingo
                     giaci
                     
                     e prece niun
                     ne odi
                     
                     mai: quando
                     solitario
                     
                     per le vie a
                     te ignare
                     
                     piangendo
                     vado
                     
                     mi vedi? Odi
                     tu forse
                     
                     il parlar del
                     mio cervello?
                     
                     Sai del mio
                     soffrir?
                     
                     Povero
                     nascesti;
                     
                     vivesti
                     faticando d'anno
                     
                     in anno,
                     giorno per giorno;
                     
                     e il nido tuo
                     caro lasciasti
                     
                     un dì
                     d'implumi pieno...
                     
                     e
                     partisti...
                     
                     Ove mai per
                     cibo andasti!
                     
                     In
                     Africa,
                     
                     al lavar ti
                     recasti.
                     
                      
                     
                     Lagrimando
                     
                     la mamma
                     allor
                     
                     di te
                     parlava
                     
                     intorno al
                     focolare;
                     
                     e
                     nell'ascolto,
                     
                     quattro tuoi
                     fior
                     
                     al Dio per te
                     pregammo.
                     
                     Deluso
                     dell'Africa
                     
                     il ritorno
                     tuo
                     
                     empì
                     la casa;
                     
                     ma spietata
                     la cieca
                     
                     Morte in due
                     lustri
                     
                     ti
                     spedì nel regno
                     
                     putrido dei
                     più.
                     
                     E vano fu di
                     mamma
                     
                     e d'altri il
                     pianto!
                     
                     Io non
                     piansi;
                     
                     non seppi
                     piangere.
                     
                     Or nella
                     pace
                     
                     dei santi
                     riposa
                     
                     e dei vicini,
                     cui
                     
                     certo i cari
                     loro
                     
                     fiori
                     portano,
                     
                     invidia non
                     ti nasca;
                     
                     se vorace un
                     averno
                     
                     ti tiene,
                     lontano
                     
                     un dì
                     ci rivedremo.
                     
                      
                     
                     Venir vorrei
                     
                     
                     a trovarti un
                     dì
                     
                     con freschi
                     fiori.
                     
                     Ancor nel
                     ricordo
                     
                     vedo la tua
                     muta
                     
                     tomba; del
                     tuo silente
                     
                     paese ancor
                     serbo
                     
                     il ricordo
                     amico
                     
                     e odo sulle
                     nude croci
                     
                     il vento e
                     nei cipressi
                     
                     folti. Sulla
                     fresca
                     
                     spalla
                     perenne la tua
                     
                     bara mi
                     lasciò una
                     
                     dolente
                     impronta;
                     
                     e le labbra
                     tue esangue
                     
                     ancor
                     rispecchiarsi
                     
                     amano
                     nell'iridi mie
                     
                     verdi.
                     L'occhio tuo
                     
                     spento
                     più il mio non vedrà;
                     
                     ma
                     verrò un dì
                     
                     con freschi
                     fiori a trovarti.
                     
                     E s'altri
                     tuoi cari
                     
                     a me
                     s'accoppieranno,
                     
                     e innanzi al
                     tuo sepolcro
                     
                     pianger
                     vorranno,
                     
                     io
                     riderò; sì!
                     riderò,
                     
                     perché
                     essi smetteranno.
                     
                     Io so che tu
                     ora
                     
                     risoffrir non
                     sai,
                     
                     so della tua
                     pace.
                     
                     Ma
                     dell'infante tuo
                     
                     fedel
                     compagno l'alma,
                     
                     torbido
                     l'occhio a scrutar
                     
                     nessuno
                     s'avvia; e cereo
                     
                     il viso, caro
                     ti fu!
                     
                     Pazzo ciascun
                     gonzo
                     
                     tuo parente
                     mi chiama
                     
                     e dei savi
                     nella cerchia
                     
                     entrar
                     m'è vietato.
                     
                     Giro di qua,
                     passo
                     
                     di là,
                     ma sempre solo
                     
                     vado
                     pensando, meco
                     
                     ragionando di
                     cose
                     
                     che tu non
                     certo
                     
                     più
                     intendi, per questa
                     
                     buia via in
                     cui
                     
                     sì
                     giovin mi lasciasti.
                     
                     Talora in
                     sogno
                     
                     ridente
                     m'appari,
                     
                     o loquente il
                     labbro tuo
                     
                     ne mesce
                     sonoro
                     
                     un bel
                     parlare, come
                     
                     un tempo in
                     famiglia
                     
                     solevi e fuor
                     dei tuoi
                     
                     (dolce
                     notturno gioire!):
                     
                     felicissimo
                     il mio cuore
                     
                     al figlio tuo
                     offeso
                     
                     parla
                     lusinghiero e caro:
                     
                     "Non dunque
                     crudele
                     
                     è la
                     Morte con l'uomo
                     
                     se lo squarta
                     l'uccide
                     
                     l'interra ma
                     vivo
                     
                     lo rimanda
                     tra vivi".
                     
                     Ride
                     così, da letizia
                     
                     preso, il mio
                     cuore
                     
                     credulo e
                     gabbato,
                     
                     mentre il tuo
                     viso,
                     
                     dal mio
                     guardo preso,
                     
                     lontan si
                     parte
                     
                     e trasmutasi
                     in vana
                     
                     sembianza e
                     scompare.
                     
                     Destano il
                     figlio tuo,
                     
                     indarno
                     l'iridi sue
                     
                     smaniose te
                     cercano
                     
                     affannate.
                     Tornato
                     
                     tu sei dei
                     morti
                     
                     al villaggio,
                     e ivi
                     
                     festeggi e
                     piangi
                     
                     i giorni e le
                     pene.
                     
                     Nel lucerino
                     campo
                     
                     di croci,
                     sovra quali
                     
                     il
                     germogliare è muto,
                     
                     l'ossa tue
                     care giaciono;
                     
                     e hanno il
                     Vento solo amico,
                     
                     il vagabondo
                     che porta
                     
                     ai morti il
                     suon delle campane.
                     
                     Porti in
                     volo,
                     
                     o
                     Spensierato! il mio
                     
                     saluto al
                     padre mio lontano.
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - Gratitudine al
                        letto
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Amico
                     fedele
                     
                     fratello mio
                     letto,
                     
                     quando
                     stanco
                     
                     a te mi
                     presento
                     
                     grato ti sono
                     anche
                     
                     se grazie non
                     dico.
                     
                     Tu solo
                     sempre
                     
                     m'accogli
                     
                     comunque io
                     sono!
                     
                     Sei morbido
                     
                     
                     molleggiante
                     e muto,
                     
                     e non
                     t'offendi
                     
                     se in te mi
                     distendo.
                     
                     Sei
                     segreto!
                     
                     non dici a
                     nessuno
                     
                     ciò
                     ch'io a te solo
                     
                     racconto...
                     
                     ignaro di
                     tutto.
                     
                     Lontano da
                     te
                     
                     bisticcio con
                     tutti:
                     
                     Belle,
                     Cattivi
                     
                     ed Amici,
                     tutti
                     
                     mi
                     amano...
                     
                     e mi
                     odiano.
                     
                     Tu
                     solo
                     
                     veramente sei
                     caro.
                     
                     In te
                     solo
                     
                     io piango,
                     sogno,
                     
                     e penso alla
                     mamma,
                     
                     che tant'ho
                     lontano.
                     
                     L'amor con
                     te
                     
                     io
                     divido
                     
                     se in notte
                     alta
                     
                     in te
                     leggo
                     
                     pagine
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                     grandiosi,
                     
                     in cui nomi
                     gloriosi
                     
                     a me son
                     cari
                     
                     più
                     d'ogni vanità!
                     
                     In te, un
                     dì,
                     
                     mio nonno
                     morì;
                     
                     ed io ti
                     smontai
                     
                     per
                     punirti:
                     
                     al tuo posto
                     vi
                     
                     misi una
                     tavola,
                     
                     e sopra la
                     bara;
                     
                     ov'erano i
                     tuoi piedi,
                     
                     vi misi dei
                     ceri.
                     
                      
                     
                     Eccomi in
                     te
                     
                     con nervi
                     tesi,
                     
                     capelli in
                     mano,
                     
                     denti
                     stretti
                     
                     e pensier
                     lontano:
                     
                     all'Ombre mie
                     care
                     
                     io
                     guardo...
                     
                     remote! Poi
                     spengo
                     
                     la luce e la
                     nuca
                     
                     sprofondo nel
                     tuo
                     
                     morbido
                     cuscino.
                     
                     Assorto, al
                     domani
                     
                     io penso. Al
                     buio,
                     
                     guardo il
                     soffitto.
                     
                     Gli
                     orecchi
                     
                     mi fischiano.
                     Penso:
                     
                     "Voglio
                     dormir!";
                     
                     ma senza
                     riuscir.
                     
                     Al
                     passato
                     
                     io
                     penso
                     
                     con candida
                     mente.
                     
                     Poi passo
                     pensando
                     
                     di nuovo al
                     domani...
                     
                     e alla morte
                     mi fermo!
                     
                     Anch'io in te
                     morirò,
                     
                     e prole non
                     ho,
                     
                     che te
                     punirà.
                     
                     Chi mai ti
                     smonterà?
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - Al
                        pane
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     O pane che
                     nasci
                     
                     dall'umile
                     fatica
                     
                     dei docili,
                     almo
                     
                     d'ognun che
                     al creato
                     
                     pensa, suda
                     la mia
                     
                     fronte nella
                     ricerca
                     
                     tua ardua; e
                     pur disdegno,
                     
                     ma amor
                     talvolta
                     
                     al mite
                     chiedo.
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - Al
                        tempo
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Spettatore di
                     umani
                     
                     dolori e
                     voluttà,
                     
                     trascorri e
                     corri
                     
                     e a spiar
                     torni
                     
                     il soffrire e
                     la gioia
                     
                     di nostra
                     città.
                     
                     L'uomo
                     aborri: nei
                     
                     tuoi forni lo
                     cuoci;
                     
                     l'impasti di
                     pietà
                     
                     e di gloria
                     l'imbevi;
                     
                     lo carchi
                     d'amo
                     
                     e al mar lo
                     spedisci
                     
                     del Mal che
                     età non ha!
                     
                      
                     
                     Pel genio sei
                     balsamo.
                     
                     Drago senza
                     capo e senza
                     
                     coda,
                     ingordo
                     
                     di
                     primavere
                     
                     e
                     d'autunni,
                     
                     divorator di
                     secoli 
                     
                     e di fauna
                     immonda,
                     
                     non fai che
                     invecchiar
                     
                     di Dio gli
                     alunni:
                     
                     al ventenne
                     in schiena
                     
                     forte lo
                     sproni
                     
                     (amor
                     cantando alla
                     
                     sposa in cor
                     lo mandi)
                     
                     e al babbo la
                     man
                     
                     gli leghi e
                     'l trascini
                     
                     teco
                     nell'orbe immonda
                     
                     ove tu sol
                     comandi.
                     
                      
                     
                     Dio che idolo
                     non sei;
                     
                     castigator di
                     spiriti,
                     
                     servo di
                     Morte, girator
                     
                     della Luna;
                     sempre
                     
                     giovane,
                     antico nonno
                     
                     del Mondo,
                     vorrei dirti:
                     
                     A che
                     vegli
                     
                     sul cumulo
                     dei secoli,
                     
                     spine
                     portando
                     
                     a ciascuno
                     che spesso
                     
                     t'ignora? Tu,
                     forse,
                     
                     tutto
                     rammenti del Mondo,
                     
                     tutto tu sai.
                     Dimmi,
                     
                     ti prego:
                     quando,
                     
                     in
                     verità, e perché
                     
                     venne a te
                     l'Uomo?
                     
                      
                     
                     O crudel
                     spettatore
                     
                     di gioie e di
                     dolori,
                     
                     seppellitor
                     di glorie
                     
                     e di putride
                     nefandezze,
                     
                     che non
                     conosci colori
                     
                     né
                     odori, e le dolci
                     
                     carezze di
                     vere bellezze;
                     
                     o disgusto
                     dell'intelligenza
                     
                     cui mai pace
                     non rechi,
                     
                     di mille
                     umani sogni
                     
                     costruttore e
                     di misteri,
                     
                     pongo
                     d'ingegno mie
                     
                     speranze a
                     tua mercè,
                     
                     e il nome, se
                     di grazia 
                     
                     ai posteri
                     dirai. Ma s'io
                     
                     fermarti
                     potessi
                     
                     al par d'un
                     passero
                     
                     sul prato -
                     bersaglio della
                     
                     mia fionda da
                     monello -,
                     
                     all'uman
                     mondo
                     
                     dando eterno
                     pensiero
                     
                     e immanente
                     la vita,
                     
                     altri novelli
                     morituri
                     
                     non, la
                     Morte, al varco
                     
                     attenderebbe;
                     ma di nero
                     
                     vestita e
                     tutta
                     
                     in lacrime,
                     bocconi
                     
                     sull'ultimo
                     tuo tumulo
                     
                     poserebbe in
                     eterno
                     
                     pregando un
                     inesistente
                     
                     nume. E,
                     allorché,
                     
                     per sempre
                     fermati
                     
                     gli anni al
                     Mondo,
                     
                     più tu
                     non volando
                     
                     sull'ali del
                     dì,
                     
                     della notte,
                     l'adulto
                     
                     Monello
                     cantando
                     
                     ed in
                     giocondo stato cantando
                     
                     andrebbe:
                     "Finito
                     
                     è del
                     Tempo il tempo,
                     
                     ché
                     piant'esso è dalla Morte".
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - Il
                        genio
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Dall'eletto
                     grembo
                     
                     alla
                     luce
                     
                     un pargolo
                     è portato;
                     
                     un
                     grand'uomo,
                     
                     un genio
                     è nato!
                     
                     E già
                     soffre
                     
                     e si
                     ribella
                     
                     per la
                     luce
                     
                     che non
                     voleva.
                     
                     Ma poppa; il
                     latte
                     
                     al seno
                     poppa;
                     
                     al sen di
                     Eva.
                     
                     E il tutto or
                     gusta
                     
                     qual mai
                     credeva
                     
                     dianzi che la
                     mammella
                     
                     non
                     vedeva.
                     
                      
                     
                     Cereo il
                     viso,
                     
                     pallida la
                     carne
                     
                     tutta, il
                     pargolo
                     
                     ignaro cresce
                     e strilla
                     
                     in casa
                     sua.
                     
                      
                     
                     E vola il
                     tempo;
                     
                     tacito
                     passa
                     
                     e c'è;
                     sempre sta!
                     
                      
                     
                     Ruzzola di
                     domani 
                     
                     il
                     Genio;
                     
                     piange; zitto
                     sta.
                     
                      
                     
                     E le
                     cose
                     
                     vede
                     già!
                     
                     ma
                     parlare
                     
                     ancor non
                     sa.
                     
                     Ode,
                     comprende,
                     
                     bisbiglia.
                     Presto
                     
                     paura
                     avrà!
                     
                      
                     
                     Lento
                     è il crescere
                     
                     dell'astruso
                     fanciullo.
                     
                     Il padre nol
                     capisce già.
                     
                     Neppur la
                     madre sa
                     
                     che figlio
                     ha:
                     
                     mai lo
                     capirà!
                     
                     Flosce le
                     gambe
                     
                     presto in
                     giro
                     
                     lo
                     porteranno
                     
                     e pur le
                     stelle
                     
                     un giorno lo
                     guarderanno.
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - II
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     In giro or
                     solo
                     
                     il Monello
                     va
                     
                     par d'un
                     citrullo:
                     
                     vermi,
                     lucciole,
                     
                     uccelli e
                     grilli
                     
                     gli
                     dàn gran trastullo.
                     
                     E
                     l'Insegnante
                     
                     in aula
                     domani
                     
                     lo chiama
                     Ribelle
                     
                     tra bimbi
                     tanti
                     
                     e vive
                     bambole belle.
                     
                     Ma
                     all'ingrossar
                     
                     degli anni
                     suoi
                     
                     il numero,
                     corrucciato
                     
                     l'incontreremo
                     e nero;
                     
                     par cada il
                     Mondo
                     
                     su la sua
                     testa.
                     
                     Allor
                     privo
                     
                     è
                     d'amici; schiva
                     
                     ogni baldoria
                     o festa.
                     
                     Lavora; d'un
                     faticar
                     
                     mentale
                     sempre lavora:
                     
                     l'Opra
                     compone
                     
                     e il suo fato
                     adora.
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - III
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Un
                     sogno
                     
                     per lui
                     è la vita.
                     
                     Si dipinge al
                     suo
                     
                     guardo la
                     Gloria.
                     
                     Si presenta
                     al cospetto
                     
                     suo la fredda
                     Morte,
                     
                     già
                     orrida, ostinata.
                     
                     Al dipartir
                     suo ultimo
                     
                     accingendosi
                     pur certo
                     
                     in Cristo
                     meditando
                     
                     va: né
                     altri saper
                     
                     fa sempre la
                     sua via.
                     
                     Memore
                     spoglia
                     
                     che sotterra
                     giace;
                     
                     ove il bel
                     nome
                     
                     all'ossa
                     custode
                     
                     resta: e il
                     postero
                     
                     gentile
                     onora
                     
                     con visita il
                     bel sito
                     
                     e ne rallegra
                     con pio
                     
                     murmure la
                     pace.
                     
                      
                  
               
               
                
               
               
                     -  
                     
                     
 
                        - Gioia di
                        madre
 
                      
                       
                     
                      
                     
                     Vieni, o
                     mio
                     
                     ninnolo di
                     carne!
                     
                     Io ti
                     porto
                     
                     al seno
                     stretto
                     
                     sul terrazzo
                     al sole
                     
                     a cogliere le
                     viole.
                     
                      
                     
                     Ecco,
                     l'aereo
                     
                     giardino ci
                     accoglie!
                     
                     E la tua
                     gota
                     
                     saporosa
                     è fresca
                     
                     alle labbra
                     come
                     
                     al palato
                     albicocca
                     
                     matura che al
                     ramo
                     
                     pende in
                     alba
                     
                     d'agosto. Gli
                     occhi
                     
                     tuoi
                     grandi
                     
                     son come le
                     nere
                     
                     ciliege di
                     giugno;
                     
                     le mani e le
                     braccia
                     
                     come ali
                     d'uccello
                     
                     novello
                     
                     che il volo
                     prova.
                     
                      
                     
                     Odi tu il
                     rombo?! 
                     
                     Sono i motori
                     del cielo.
                     
                     E la
                     cetonia
                     
                     ci vola
                     d'intorno
                     
                     rilucendo nel
                     sole,
                     
                     ci canta
                     qualcosa
                     
                     che par
                     litania,
                     
                     si posa tra i
                     labili
                     
                     petali d'una
                     rosa
                     
                     non colta e
                     si cheta.
                     
                     E la gente
                     passa
                     
                     nella via
                     spigliata,
                     
                     mezza
                     indaffarata.
                     
                     Guarda.
                     Quello
                     
                     è il
                     lattaio
                     
                     che pur fa il
                     capraio;
                     
                     quello
                     è il becchino
                     
                     che al
                     cimiter non ti porta.
                     
                     Ecco il
                     prete,
                     
                     confessor
                     della nonna.
                     
                     Or guarda.
                     Chi passa?
                     
                     Passa il
                     Dottore,
                     
                     nemico falso
                     (e oratore)
                     
                     d'ogni
                     fumatore.
                     
                      
                     
                     Vedi?
                     
                     Sfila nella
                     via la gente
                     
                     che
                     più per noi vive
                     
                     che per
                     essa.
                     
                     Quant'è
                     fessa.
                     
                      
                     
                     (palleggiandolo
                     verso il cielo).
                     
                     Eccomi a te
                     or per domani:
                     
                     E d'aria tu
                     vivi,
                     
                     o fanciullo;
                     di carni
                     
                     ti nutri e di
                     pane;
                     
                     di sogni ti
                     pasci,
                     
                     e ancor
                     cresci
                     
                     in ogni
                     mattin
                     
                     che il sol
                     rinasce.
                  
               
            
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