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- Il bambino più
vecchio del mondo
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- - In qualsiasi posto nel mondo, Marzo 2095
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- Il mondo non era lucido. Non tutto, non in
maniera uniforme. Neanche caldo e privo di rumori.
Così lo aveva sempre creduto fin da quel giorno
di Giugno del 1943, quando aveva visto la luce. Non
c'era sempre vetro tutt'intorno. Questo non lo aveva
mai saputo.
- 152 lunghi anni. La sua vita.
- Vita? Forse.
- Ora non ne era più così certo.
Solo poche ore.
- Non si sentiva bene.
- Bene? Forse.
- Non si sentiva come si era sentito nel corso di
tutti gli anni precedenti, ogni singolo giorno di
quegli anni. Malattie. Cosa? Malattia era un concetto
che non comprendeva. Tanti concetti non comprendeva.
Mai era stato malato, sino ad allora. Non c'erano
individui col camice bianco li in giro. In che strano
mondo era capitato. Quella sera la tutrice Cx119 era
caduta.
- Lei stava male.
- Male? Forse.
- Era caduta in avanti spingendo inavvertitamente
il carrello contro la capsula asettica in cui viveva
da... da... da sempre. Il suo mondo.
- Non sapeva di essere vittima di un esperimento
scientifico. Segreto ovviamente: chi avrebbe potuto
permetterlo? Un esperimento in corso da 152
anni.
- Quanto può vivere un uomo preservando il
suo organismo da qualsiasi effetto degli agenti
esterni? Si può rallentare così
l'invecchiamento delle cellule?
- Lui ne era la risposta. 152 risposte.
- Quella sera, però, il suo tiepido,
algido grembo si era rotto.
- Paura. Mai tanto terrore allo stato puro! Che
fare? Solo. Per la prima volta davvero solo. Era
uscito. Camminava. Quante correnti.
- Aria? Forse.
- Si sentiva impacciato. Caracollava. Aprì
una porta.
- Altra aria, più forte.
- Vento? Forse.
- Era uscito all'aperto.
- L'edificio rettangolare, grigio era al centro
di una radura in aperta campagna. Quante lucine in
alto. Doveva essere il cielo.
- Cielo? Forse.
- Perchè gliene avevano solo parlato?
Quanto era bello. Freddo. Però splendido. Non
lo sapeva, ma aveva l'aspetto di un bimbo con il capo
molto grosso rispetto al corpo. Pochi ciuffi
grigiastri sopra un campo di efelidi. Un bambino.
Sembrava il bambino più vecchio del mondo. Era
alto poco più di un metro e mezzo. Piccolo
contro la natura tutta.
- Non sapeva dove andare. Camminava così
sospeso fra lo stupore per ciò che vedeva e il
terrore più cieco.
- Indossava i soliti pantaloncini beige con
l'elastico in vita, che lo coprivano fin sopra le
ginocchia, una camiciola bianca a maniche corte e un
paio di ciabatte aperte dietro. Nel Suo mondo non
c'erano mai sbalzi di temperatura. Tutto era sempre
avvolto da un tepore costante.
- Tossiva. Sentiva freddo, tanto freddo.
- Gelo? Forse.
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- Non aveva anticorpi. Mai gli erano serviti in
152 anni. Ed ora di certo non potevano fronteggiare un
attacco così violento. La testa gli doleva.
Tutte sensazioni nuove. Mica tanto piacevoli.
Però che meraviglia i cespugli, le foglie, i
fiori. Li aveva visti solo sui libri. Era convinto che
esistessero lì. Lì soltanto. E quel faro
in mezzo al cielo.
- Luna? Forse.
- Così grande e luminosa. Cosa c'era di
più splendido?
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- Era incredibilmente stanco. Aveva camminato per
ore. Il buio stava facendo posto al chiarore
dell'aurora.
- Alba?. Forse.
- Rantoli rochi di catarro frammisti a sospiri di
ammirazione: il suo primo sorger del sole.
L'ultimo.
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- Le gambe avevano ceduto. Era arrivato su un
sentiero sterrato. Quando l'asfalto aveva preso il
posto di ghiaia e terriccio era caduto la prima volta.
Aveva battuto il ginocchio destro. Si era rialzato a
stento. Poche decine di metri e, mentre, il sole si
era impadronito della volta celeste, era crollato
privo di forze. Il ginocchio destro pulsava e una
macchia violacea era comparsa. Sentiva mancargli
l'aria. Piangeva. Questo lo aveva fatto tante altre
volte però.
- Di solito durante le solitarie notti nella
capsula.
- In quei momenti sentiva mancargli
qualcosa.
- Non avrebbe saputo dire cosa, però
piangeva. Ora piangeva di nuovo, stavolta di dolore e
angoscia. Voleva tornare nel Suo mondo, dietro quel
vetro, da dove tutto sembrava lucido, caldo e
silenzioso.
- Un cane latrò. Si tappò le
orecchie. Pochi minuti e le liberò.
- Tonfi, lievi, rimbalzanti.
- Passi? Forse.
- Non ebbe la forza ne il coraggio di
voltarsi.
-
- La ragazzina poggiò lo zaino con i libri
accanto a lui. Così ripiegato su se stesso
sembrava un bimbo che si era perso in preda a una
crisi di panico. Almeno così pensava Claudia.
Quante volte aveva trovato quei discoli dei fratellini
in quelle condizioni. Si accovacciò accanto a
lui. Il bimbo più vecchio del mondo lo
percepì. Sentì la presenza di un essere
umano accanto a lui. Senza un vetro a dividerli.
Qualcosa di nuovo, morbido sfiorò la sua mano.
Qualcosa teneramente giela strinse.
- Dita? Forse.
- Non dita gommose di asettici guanti. Qualcosa
di setoso, caldo. Si volse. La ragazzina gli sorrise.
Non mostrò paura o repulsione nel guardarlo.
Repulsione che a volte gli sembrava avvertire nelle
persone che si erano occupate di lui. Tossì.
Stavolta gli uscì un fiotto di liquido rosso.
- Sangue? Forse.
- La ragazza gli pulì la bocca con un
fazzoletto. Non disse nulla. Lo rovesciò
delicatamente e rimase seduta in terra, gambe
incrociate, tenendolo in grembo. Respirava
affannosamente. Sempre più a fatica. Che
sensazione
@!ç#°§*@!ç#°§*@!...
si sforzò, ma non aveva termini per descrivere
il sollievo che stava provando. Piacere. Dolore.
Sentiva che stava per finire qualcosa. Non aveva
paura, però. Era la fine?
- Morte? Forse.
- Nessuno gli aveva detto che morire era una cosa
così fantastica. Aveva dolore in petto.
Bruciava. Era tutto un brulicare di vermi bollenti e
acuminati. Tremava di brividi in tutto il corpo che
reagiva ai primi microrganismi che lo invadevano dopo
"secoli" di sterile isolamento.
- La ragazza lo stava carezzando tra i radi
capelli, le lentiggini e le rughe del suo buffo
testone. Fresca. Calda. Fresca. La febbre gli
infuocava le guance, le tempie, gli zigomi. Quella
mano setosa carezzandolo lo rinfrescava, infondendogli
al tempo stesso un calore a lui sconosciuto.
- Che bello morire, pensò. E fu l'ultimo
pensiero a sfiorare il suo intelletto.
- Spirò. Sorridente. Era felice. La morte
era davvero una cosa meravigliosa. Quelle carezze
anche. Erano la cosa più preziosa che potesse
concepire. Forse non aveva compreso l'immensità
di quanto gli era stato negato.
- Però quel calore buono l'aveva
capito.
- Amore? Forse si.
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