Sommario Culture 2003

NOTE

 

1 Utilizziamo questo termine (fr. Sciences humaines, ing. Humanities) in mancanza di un'espressione italiana che copra il campo di studio in oggetto. Precisiamo inoltre che, per motivi di leggibilità, nel presente contributo non sono state prese in considerazione opere scritte in lingua araba..

 

2 L'islamistica è per tradizione una disciplina squisitamente maschile ed europea.

 

3 Il riferimento è, oltre al testo di E. Said Orientalismo, a M. Bernal, Athena nera, e J. Clifford, I frutti puri impazziscono.

4 Secondo Bernal, a partire dal 1830 circa si è verificato l'occultamento sistematico di fonti che dimostrano che per la Grecia il riferimento culturale fosse l'Egitto antico. Egli fa coincidere tutto questo con l'ascesa dell'antisemitismo in Europa. Peraltro questa tesi trova qualche riscontro (poco studiato ancora) nella strumentalizzazione della questione berbera da parte del governo francese. Bernal, di origine ebraica, sinologo, dedicandosi alla ricerca delle proprie radici si imbatteva sempre più spesso in elementi che contrastavano con quanto la storia aveva trasmesso in occidente sulla cultura greca e cioè che i greci avessero come modello di riferimento la cultura ariana.

5 "(...) cette histoire ne saurait être autre que l'histoire des peuples africains dans son ensemble (...) L'histoire de l'Afrique intègre évidemment le secteur méditérranéen (...)".

6 Questo atteggiamento ha portato, ad esempio, ai problemi concernenti la valutazione della poesia araba preislamica.
7 Le tradizioni orali sono diventate fonti solo dal 1957, quando, all'Università di Leuwen, per la prima volta è stato accettato un lavoro di ricerca ufficiale basato su fonti orali.
8 Vansina dedica a questo aspetto una sola riga nella postfazione scritta per la pubblicazione dell'edizione italiana, pur affermando che la lista delle discipline utili allo storico non finisce mai, né sembra aver cognizione degli studi di Propp sull'analisi dei testi "letterari", che pure tratta ampiamente.
9 Caratteristica della cultura superiore è l'educazione gestita dallo stato; per questo gli stati indipendenti puntano spesso sull'educazione per creare un'identità nazionale.
10 In questo caso si parla pertanto di invenzione della tradizione, per cui si veda Hobsbawm (1993).
11 In Francia, ad esempio, solo il 10 maggio 1999 una legge dell'Assemblea Nazionale ha riconosciuto l'utilizzo del termine "guerra"in riferimento ai "fatti" d'Algeria (Addi: 1995) 1954-61, fino ad allora nominati esclusivamente con il termine événements. In seguito a questa ammissione si è avuto un boom di pubblicazioni relative alla tortura utilizzata sistematicamente dai militari francesi, ma, e questo è interessante a nostro avviso per il nostro discorso, si trattava esclusivamente di testimonianze "orali" (che hanno perciò meno valore).
12 Anche la denominazione "berberi" rientra in questo contesto; essa infatti deriva dall'arabo barbara, "borbottare", vocabolo attribuito loro dagli arabi che, giunti in Nord Africa, non comprendevano il loro idioma.
13 Tornando all'Algeria e alla questione berbera, le richieste principali del movimento autonomista berbero sono state proprio in questo senso: introduzione dell'insegnamento della lingua nelle scuole, richiesta di un canale radio e di un telegiornale in linguaamazigh. Del resto Salem Shakr, linguista dell'Institut National des Langues et Civilisations Orientales (INALCO) di Parigi afferma che è la lingua e non la storia che è servita da polo di aggregazione identitario ai berberi. Ciò risulta ancor più evidente se si considera quanto i francesi abbiano contribuito alla creazione di un movimento di rivendicazione berbero da opporre al nazionalismo arabo algerino fin dai primi anni della conquista (1830-1962) creando la corrente "berberista" nella letteratura francese (Said: 1998, ma anche Messadi: 1990), oltre a una scuola di scrittori, e sostenendo la creazione dell'Accademia Berbera (già nella seconda metà dell'800) la cui sede è, ancora oggi, a Parigi e spingendo per la trasposizione scritta del tifinagh con l'adozione di caratteri latini peraltro assolutamente inadeguati dal punto di vista fonetico a rendere i suoni del berbero; tanto che si è dovuti ricorrere all'inserimento di simboli presi dall'alfabeto... greco. Fino al 1980, anno della "primavera berbera" il governo algerino non riconosceva l'identità berbera. Ma nella nuova costituzione del 1996 (sottoposta a referendum consultivo) si afferma che l'identità nazionale è fondata sull'arabismo, l'islàm e l'"amazighinità". Non a caso quest'affermazione ufficiale corrisponde a un declino del nazionalismo algerino e dell'ideologia del partito unico; mentre i berberi restano ancora in qualche modo legati all'ipotesi camitica - soprattutto in campo linguistico - ormai ampiamente superata.
14 Questo perché gli "africani" erano considerati troppo primitivi.
15 Le autrici cui facciamo riferimento sono principalmente Ghazala Anwar, Asma Barlas, Amina Wadud-Muhsin, Rifaat Hassan, Aziza al-Hibri, Fatima Naseef e Jadicha Candela. Riportiamo di seguito alcuni stralci di due interviste da noi condotte in relazione all'argomento:

Si può essere musulmane e femministe?

Risponde Asma Barlas, Associate Professor and Chair, Department of Politics and Director of the Center for the Study of Culture, Race, and Ethnicity, Ithaca College, Ithaca, NY. (Il testo fa parte di un'intervista realizzata il 12 marzo 2002).

"Trovo la domanda problematica per due motivi. Innanzitutto opponendo il femminismo - termine con il quale presumo le persone intendano il perseguimento dell'uguaglianza sessuale - all'Islàm, la domanda suggerisce che non vi sia posto per l'uguaglianza nell'Islàm. Un tale punto di vista ovviamente confonde letture patriarcali dell'Islàm con l'insegnamento del Corano e, secondo il mio punto di vista, queste letture patriarcali del Corano sono solo alcune letture, ma non le uniche. In effetti, studio la loro legittimità con/testuale, appoggiandomi in parte sulla tesi di Umberto Eco che, anche se possiamo non essere d'accordo con quella che è l'interpretazione migliore di un testo, dovremmo essere in grado di "essere d'accordo sul fatto che alcune interpretazioni non sono legittimate contestualmente". Credo - e ho cercato di dimostrarlo nel mio libro - che un'esegesi del Corano che vi legga il principio della superiorità ontlogica del maschio e la subordinazione femminile all'uomo - l'idea di inuguaglianza sessuale - sia una lettura illegittima dal punto di vista del contesto. Scopo del mio libro è mostrare come e perché e anche dimostrare che non è necessario usare un'ermeneutica femminile per leggere il Corano come testo anti patriarcale ed ugualitario.

In secondo luogo, preferisco il termine femminismo musulmano a quello femminismo islamico se proprio se ne deve usare uno. Cerco di distinguere tra la religione (Islàm) e le persone che la praticano (Musulmani), come si distinguerebbe tra Cristianità e Cristiani o Italia e Italiani. Può sembrare una questione secondaria, ma ha implicazioni significative, perché permette alle persone di notare che non tutto ciò che i musulmani fanno è sempre "islamico" nel senso che non rappresenta sempre gli insegnamenti del Corano. So bene che non si confonde islamico con coranico ma se si è interessati agli insegnamenti della religione, come visualizzata nelle e dalle sue scritture, allora una tale distinzione diventa non solo importante, ma cruciale."

Risponde Ghazala Anwar, Ph. D., Department of Philosophy and Religious Studies, University of Canterbury, New Zealand. (Il testo fa parte di un'intervista realizzata il 2 aprile 2002).

"Per alcune donne essere una femminista e una musulmana può sembrare mutuamente esclusivo, ma altre si identificano sia come musulmane che come femministe e combinano questi due elementi della loro identità con successo. È su questo secondo gruppo che soffermerò la mia attenzione.

Le donne musulmane che trovano il loro conforto personale negli insegnamenti spirituali e nelle pratiche dell'Islàm e che lottano per la completa equità fra i sessi hanno il compito di generare una nuova comprensione degli aspetti politici, culturali e sociali della vita musulmana. Il compito è vasto e collettivo ed è già cominciato, poiché sempre più studiose musulmane esprimono il loro punto di vista sull'Islàm e sfidano alcune delle inclinazioni sessiste e misogine della tradizione tra le più profondamente radicate. Personalmente vedo il bisogno di rivedere ogni aspetto dell'Islàm dal punto di vista "La ilah illa allah". E quindi:

(1) Il nostro linguaggio esclusivamente maschile per riferirci a Dio non rende Dio un maschio.

(2) Il Corano è la rivelazione di Dio, ma non è Dio, e come tale ci invita a pensare criticamente e a porre fiduciosi domande. Qualsiasi siano le domande e le preoccupazioni sollevate, Dio può comprenderle e soddisfare la nostra ricerca.

(3) Il Profeta Muhammad non è Dio ma un servo e un messaggero di Dio e come essere umano soggetto ad errore. Il modello del Profeta non è da ricercare in ogni suo singolo insegnamento quanto piuttosto nel suo coraggio nel vivere una vita dettata dalla sua fede e dalle sue convinzioni al meglio della sua capacità di comprensione. Le donne devono anche continuare l'approccio storico critico allo studio delle fonti disponibili per trarre informazioni sul Profeta Muhammad.

(4) La s˜ari'a non è Dio e come tale è aperta a una revisione completa dalle fondamenta ai particolari. Mentre la Legge e la gestione della Legge restano un aspetto centrale di ogni popolo o comunità inclusa quella musulmana, la struttura e il contenuto di una legge sono soggetti a revisione e cambiamento con l'evolversi della comunità in una società e una umma più equa nei confronti dei sessi."

16 Luce Irigaray (1991: 41) osserva che: "è in Occidente che il genere di Dio guardiano di ogni soggetto e discorso è sempre paterno e maschile". Una teologia che rivela il divino attraverso l'incarnazione in un corpo lo colloca per forza di cose in un genere e, inevitabilmente, fornisce giudizi sul genere opposto. Una teologia che colloca la manifestazione divina in un libro (il Corano) non fornisce alcun giudizio sul genere. In arabo, il termine di riferimento al divino è huwa (egli), ma i grammatici e gli esegeti concordano nel ritenere che non è allegorico: l'arabo non possiede il neutro e l'uso del maschile è normale in questa lingua per vocaboli neutri, non esiste un'implicazione di preponderanza maschile tanto quanto non esiste un'implicazione di preponderanza femminile nel genere femminile di plurali neutri. Ciò non significa che il genere sia assente dalla metafisica musulmana. Gli studiosi di kalàm lo hanno bandito dal mondo non fisico. Ma i sufi lo leggono in tutto il creato: il Dio fenomenico si manifesta non in uno ma nei due generi. L'aspetto femminile di Dio ha permesso a quasi tutti i principali autori sufi di riferirsi ad esso come layla - l'amato celestiale - termine femminile che normalmente significa "notte".

17 Naturalmente ci riferiamo a traduzioni dalla lingua araba. Per tradizione l'arabistica si è maggiormente occupata delle letterature arabe "orientali" lasciando in disparte paesi come Tunisia, Marocco, Algeria e Libia e privilegiando la conoscenza di autori egiziani e medio orientali. È pur vero che negli ultimi quindici anni la diffusione della letteratura arabofona ha avuto un'impennata in quanto a numero di traduzioni pubblicate, ma la maggior parte degli studi accademici sono ancor oggi riferiti alla letteratura classica e il numero degli autori tradotti rispetto ai titoli pubblicati è esiguo. Alcuni coraggiosi tentativi sono stati fatta da piccole case editrici come Jouvence (Roma, che traduce esclusivamente dall'arabo) e Edizioni Lavoro (Roma), ma se si censiscono le opere, si rileva che la stragrande maggioranza viene tradotta dal francese in particolare sulla scia di eventi che fanno notizia (come la condizione della donna). In tal senso, ad esempio, la letteratura contemporanea di un paese come la Tunisia è praticamente inesistente sugli scaffali delle librerie, mentre per l'Algeria la quasi totalità dei titoli è di autori che scrivono in francese, come a veicolare l'idea che l'arabo non sia lingua di cultura (è questa è già una notazione su cui riflettere).

 


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