-
Letteratura
Patrizia
Conte
-
- DUE
LIFE STORIES FEMMINILI COME SPECCHIO
DEL
- SUDAFRICA
COLONIALE
-
-
- La life story è
una preziosa fonte di informazione e costruzione della
storia di un popolo ed è qui utilizzata come
rappresentazione della società sudafricana nel
suo complesso e non solo come strumento di
celebrazione di imprese individuali. La caratteristica
principale della life story è infatti
quella di essere sia una narrazione "ego-centrica"
(Dégh: 1988, 15), sia una testimonianza
collettiva poiché le esperienze dello
storyteller vivono e si rigenerano nel presente
di chi ascolta: si tratta di una realtà in
continua evoluzione, in grado di riprodursi
ciclicamente e di creare, tramite la condivisione
dell'esperienza, una storia comune, la Storia, in
questo caso, del Sudafrica.
- Paulina Dlamini e Frances
Colenso vivono entrambe in Sudafrica tra la seconda
metà dell'Ottocento e la prima metà del
Novecento. Le loro storie di vita raccontano di due
mondi opposti, in conflitto tra loro: se Paulina
è infatti una donna nera colonizzata, Frances
è una bianca appartenente al mondo dei
colonizzatori. Così come la società
tradizionale africana e il mondo occidentale vengono a
contatto, anche le storie di queste due donne sembrano
intersecarsi, seppur in maniera impercettibile.
Quindi, sebbene a prima vista queste due figure
possano apparire inconciliabili, osservandole con
attenzione si riesce a intravedere il filo sottile che
le tiene unite.
- La life story di
Paulina Dlamini è un prezioso documento storico
ed antropologico sulla vita di una donna presso la
corte di un re zulu; attraverso le sue parole non solo
si entra in contatto con gli usi e costumi zulu
dell'epoca, ma si hanno notizie storiche dirette su
Cetshwayo1,
il suo carattere, il suo modo di governare e la sua
politica.
- Paulina Unomguqo
2
Dlamini nasce intorno al 1858 nella regione dello
Zululand nel pressi del fiume White Mfolozi. I dati
relativi alla sua vita derivano esclusivamente dalla
sua testimonianza orale trascritta dal reverendo
Heinrich Filter a partire dal 1925. Le date di nascita
e di altri avvenimenti fondamentali della sua
esistenza sono dedotte nelle ricostruzioni del
reverendo Filter basate sugli avvenimenti storici che
segnarono quel periodo e dalle indicazioni, a volte
imprecise, della Dlamini. La life story di
Paulina Dlamini si inserisce nel contesto storico che
comprende la guerra anglo-zulu del 1879 e la guerra
anglo-boera del 1899-1902.
- La vita di Paulina Dlamini
ruota attorno a due momenti fondamentali: il passaggio
dalla fanciullezza all'età adulta, segnato dal
trasferimento fisico dalla casa paterna alla reggia di
Cetshwayo, e il passaggio dalla condizione pagana a
quella cristiana attraverso l'inserimento nella
missione. In entrambi i casi Paulina lascia una figura
paterna per abbracciarne una nuova senza che la fase
di smarrimento dovuta alla perdita di punti di
riferimento sia prolungata (nel primo passaggio la
carenza di traumi è dovuta alla mancanza di
reali cambiamenti nello stile di vita di Paulina, nel
secondo passaggio invece il senso di smarrimento di
Paulina si avverte nel testo, ma è smorzato
dalla censura dall'alto posta dall'intrusione del
redattore, il reverendo Heinrich Filter).
- La decisione di concedere
Paulina a re Cetshwayo non viene presa spontaneamente
dal padre della fanciulla, ma corrisponde a un ordine
di clan al quale il vecchio Sikhunyane Dlamini non
può opporsi. Nella società zulu il
potere sociale si basava infatti sulla produzione dei
vari homesteads e si esprimeva tramite
l'autorità del re e del clan, "a social unit
made up [by] men and women who believe they
have descended from a common ancestor, through the
male line" (Guy: 1994, 22). Scelte che nella
società occidentale sarebbero considerate atti
individuali, come il matrimonio, in quel contesto
assumevano un valore collettivo e perciò era
fondamentale che fossero approvate dal re:
-
- Under the
leadership of the royal house, homestead elders
doubtless suffered some loss of control over
youths in their own families. The Zulu King
usurped a central role of homestead heads in the
arrangement of marriages. [...] Shaka
insisted that some homestead heads present their
daughters to him as tribute; isolated in the
isigodlo 3,
a secluded quarter within the royal enclosure,
these 'maidens' were for the king's own pleasure
or presented as wives to prominent
amantungwa patriarchs in return for
bridewealth (Carton: 2000, 23).
-
- Il matrimonio non era
soltanto l'atto con cui un singolo uomo prendeva in
moglie una donna, ma costituiva la tappa fondamentale
che precedeva la costituzione di una nuova
unità produttiva; l'intero sistema di
produzione della società zulu si basava infatti
sullo scambio wife-cattle 4
e vedeva proprio nel matrimonio la fonte primaria di
tale acquisizione:
-
- When a man
married he also left his father homestead and
established a new production community, served
by tracts of arable grazing land, supported by
its own cattle, and which was soon augmented by
more wives and their offspring. Thus by
controlling marriage in the kingdom through the
military system the king in fact controlled the
rate and the direction of the fundamental social
process within the kingdom - those of production
and reproduction. [...] in Zulu society,
where marriage was linked with the creation of
new production communities, the king's authority
to hold back marriage gave him a significant
degree of control over the rate at which
production communities were formed and therefore
over the intensity with which the environment
was exploited (Guy: 1994, 11-12).
-
- Il rapporto asimmetrico
uomo-donna che vedeva nelle donne il perno della
produzione, ma che conferiva loro solo parzialmente la
gestione dei mezzi di produzione e del proprio
potenziale riproduttivo, costituisce lo sfondo di
tutta la prima parte della storia di vita di Paulina,
Servant of Cetshwayo.
- La richiesta da parte del
clan Buthelezi a Sikhunyane Dlamini di concedere la
propria figlia al re fu semplicemente un atto formale:
"The Buthelezi clan has decided to request you to
dedicate your daughter, Nomguqo, to the service of the
crown prince. She is still of tender years but already
comely and, as it is, also of royal descent" (Dlamini:
1986, 20). Nella sostanza infatti la decisione era
già stata presa e la possibilità del
rifiuto non era realmente contemplata.
- Il trasferimento presso la
reggia di Cetshwayo segnò per Paulina e per le
altre giovani donne del clan Buthelezi il passaggio
dalla fanciullezza all'età adulta. Se in un
primo momento la piccola Paulina avverte l'idea del
cambiamento come un fatto negativo; "I looked up in
surprise. My heart began to pound, I could hardly
breathe. I stammered: 'Father, I..., I must go to the
crown prince? I am still a child. Father, what does
this mean?" (Dlamini: 1986, 21), in un secondo tempo
sembra prevalere in lei la consapevolezza
dell'importanza del ruolo che le è stato
assegnato: "soon after however, a surprising readiness
to reassess came over me: I am no longer just a child.
I am deemed fit and worthy to become a member of the
king's court, to be presented to his isigodlo"
(Dlamini: 1986, 22). Il culmine di questa evoluzione
si percepisce nel momento in cui Paulina, avvertendo
l'invidia delle altre ragazze del clan, mostra
apertamente la natura di questa consapevolezza
rafforzata dal riconoscimento della superiorità
del suo status sociale. Tramite questo rapido
conformarsi alla volontà paterna e di clan si
deduce non solo che Paulina fosse stata allevata ed
educata all'obbedienza, ma anche il fatto che il nuovo
stile di vita alla reggia non avrebbe alterato nella
sostanza la routine cui era abituata: "our duties were
to plant and to harvest, to fetch water and firewood
and perform all household tasks" (Dlamini: 1986,
24).
- La sostituzione della figura
paterna con quella del re sembra avere un potere
rasserenante nei confronti delle ansie di
Paulina:
-
- No longer
would I kneel at my father's hearth to kindle
the fire, no longer would I bring light to his
hut in the evenings by setting alight and
holding stalks of grass in innumerable
succession; [...] no longer be of
service to my father; in future I should have to
kneel before the king (Dlamini: 1986,
22).
-
- Nonostante rimanga la
certezza del carattere definitivo della scelta del
padre, stupisce la calma con la quale questa piccola
donna di quattordici anni si appresta ad affrontare il
mondo dell'isi-godlo verso il quale le
aspettative risultano essere tutt'altro che
positive:
-
- this was a
good bye which according to human reckoning,
would be forever. Any girl or young woman who
was taken into the isigodlo lost her
freedom forever; there was no escape, for the
isigodlo women were at all times strictly
supervised and guarded (Dlamini: 1986, 23-24).
-
- Il passaggio dalla
fanciullezza all'età adulta si conclude quindi
senza traumi apparenti per Paulina Dlamini che fa
proprie le scelte del padre, del clan e del re,
continuando e interiorizzando le regole di un mondo
ove, per le donne, il raffronto con l'esterno è
del tutto assente.
- Il secondo momento
fondamentale della vita di Paulina Dlamini è
legato al suo trasferimento dalla corte del re alla
missione, ed è causato dalla sconfitta di
Cetshwayo nella guerra anglo-zulu e dalla conseguente
dissoluzione della reggia e dell'impero zulu.
Nell'analizzare questa fase appare evidente che la
donna passa da un patriarcato a un'altra forma di
patriarcato. I motivi che debbono averla spinta a
rifugiarsi alla missione possono essere diversi e in
parte sono deducibili dal racconto. Nel momento della
fuga dalla reggia di Ondini5,
Paulina Dlamini appare confusa poiché necessita
di un nuovo punto di riferimento che dapprima cerca
nella figura di Zibhebhu kaMaphitha, "chief" di
Mandlakazi, poi nel suo clan d'origine, il clan
Buthelezi; alla fine si rifugia nella
missione6.
Si può quindi pensare che il suo primo
avvicinarsi al cristianesimo sia stato dettato dalla
necessità di sentirsi protetta e dalle garanzie
che in questo senso la missione offriva e non da una
reale convinzione. Una delle paure più grandi
per una donna appartenente alla società
tradizionale africana era proprio quella di trovarsi
improvvisamente sola; le missioni apparivano come una
valida alternativa all'isolamento:
-
- It was
aberrant for a woman in "traditional" African
society to live alone: [...] her
productive labour and reproductive powers as
daughter, wife or widow belonged to her father,
husband or son. But the mission station provided
an alternative set of protectors and an
alternative economic base which made escape
possible. The mission station was a magnet for
young girls avoiding marriage (Gaitskell: 1990,
253).
-
- Unomguqo Dlamini fu
battezzata il 21 dicembre 1887 e prese il nome
cristiano di Paulina. Le congregazioni guidate dai
missionari europei e americani predicavano una
teologia paternalista in questo senso molto
rassicurante. Se si avvalora l'ipotesi della missione
come rifugio, ecco che acquista significato anche la
doppia struttura del testo redatto dal reverendo
Filter: Servant of Two Kings si compone infatti
di due parti ben distinte, la prima Servant of
Cetshwayo, la seconda Servant of God.
Questa ripartizione rivela un carattere prettamente
funzionale. In questo modo infatti non solo è
più evidente la contrapposizione tra il bene e
il male, rispettivamente la vita da cristiana di
Paulina e quella da pagana, ma è possibile
omettere un'ipotetica fase della vita di Paulina in
cui si sarebbe potuto riscontrare uno stato
confusionale nella donna oppure un periodo di
transizione in cui fosse prevalente l'indecisione
nella scelta tra i due re.
- La perdita di orientamento e
la conseguente confusione si palesano nella
contrapposizione di due stati d'animo: il senso di
smarrimento delle ultime fasi di Servant of
Cetshwayo, in cui Paulina è impegnata nella
fuga dalla reggia e tenta disperatamente di
nascondersi presso altri homesteads senza
trovare pace, e la fermezza d'animo ostentata dalla
Dlamini nel secondo capitolo di Servant of Two
Kings, che comincia con il sogno rivelatore di
Paulina, già pienamente inserita alla missione.
In Servants Of Two Kings la confusione emotiva
di Paulina vive in maniera implicita nel vuoto
volutamente lasciato dal reverendo Heinrich Filter tra
i due capitoli che compongono il testo. Questo
espediente era probabilmente volto a nascondere l'idea
che si potessero verificare situazioni "ibride", non
definite, in cui alcune donne si avvicinavano al
cristianesimo quando ancora vivevano nello
homestead con il marito in stato di poligamia.
Tali situazioni erano in realtà molto frequenti
all'epoca:
-
- In 1899 an
American Board missionary wrote what she claimed
to be a true description of one young African
wife's transition from obedience to her
homestead head to obedience to God. She had been
exploring Christianity at the local mission
while living in a homestead with her polygynist
husband. 'Trying to serve two masters' she
'found no rest until she came out boldly and
told her husband...that she could not please him
to the sacrifice of her master and that he must
free her (Carton: 2000, 96).
-
- Libertà è un
concetto nuovo per Paulina Dlamini, la quale cresce
condividendo e interiorizzando i valori di una
società chiusa. Paulina prende coscienza del
significato del termine 'libertà' solo in un
secondo tempo, quando la missione le offre la Bibbia
come strumento di emancipazione. Il patriarcato appare
in questa storia di vita come una istituzione 'senza
colore'; la missione e il senso di protezione ad essa
legato costituiscono "a contradictory package"
(Gaitskell: 1990, 254): se da un lato è una via
di fuga dalle costrizioni del patriarcato
tradizionale, dall'altro inserisce le donne in un
nuovo patriarcato: "a firm incorporation into the
domesticity and patriarchy of christian family life"
(Gaitskell: 1990, 254).
-
- Se per Paulina Dlamini la
missione è un punto d'arrivo, per Frances
Colenso rappresenta il punto di partenza. Dlamini
abbandona la società tradizionale africana (non
solo fisicamente, ma anche e soprattutto moralmente) e
crede di aver trovato la propria identità
all'interno della missione; Frances Colenso lascia
invece la missione (sebbene silenziosamente e non del
tutto) alla ricerca di una propria dimensione lontana
dagli stereotipi che ingabbiavano la donna e la
relegavano a una posizione marginale. Entrambe sono
legate al padre/patriarca dal quale non riescono a
staccarsi del tutto ed entrambe rompono gli schemi che
erano stati loro imposti in origine.
- Frances Colenso è una
donna bianca, contemporanea di Paulina Dlamini,
cresciuta nella colonia inglese del Natal.
L'educazione aperta e 'senza confini' ricevuta in
gioventù consente alla Colenso di vedere la
libertà come una condizione di vita ideale
verso cui tendere: i suoi genitori, Sarah Frances e
John William Colenso, furono infatti concordi
nell'iscrivere le proprie figlie maggiori, Harriette e
Frances, presso Winnington Hall, un istituto femminile
diretto da Margaret Bell, "an extremely clever woman,
of powerful and masterful turn of mind" (Guy: 2001,
23). John Ruskin fu uno degli insegnanti della scuola
di Miss Bell:
-
- Let a girl's
education be as serious as a boy's - You bring
up your girls as if they were meant for
sideboard ornaments, and then complain of their
frivolity. Give them the same advantages that
you give their brothers - appeal to the same
grand instincts of virtue in them; teach them
also that courage and truth are the pillars of
their being: do you think that they would answer
the appeal, brave and true as they are even now,
when you know that there is hardly a girl's
school in this Christian kingdom (Ruskin: 1970,
67-68).
-
- È probabile che,
sebbene in giovane età, Frances abbia assorbito
questo nuovo modello educativo e ne abbia fatto
tesoro. Questo tipo di approccio, "broad education,
high minded goals, the absence of conventional
prejudice" (Guy: 2001, 25) costituiva una
straordinaria eccezione nel Natal di metà
Ottocento ed ebbe i suoi migliori risultati proprio
con Frances.
- Frances Colenso nasce nel
piccolo villaggio di Norfolk, in Inghilterra, nel
1849. John William Colenso ha sempre tenuto in alta
considerazione le donne della sua famiglia consentendo
loro un ruolo attivo nella vita pubblica ed
incoraggiandole quando avessero voluto sposare le
cause politiche e sociali da lui introdotte. In questo
senso, la libertà ed i mezzi necessari a
conseguirla furono assegnati alle donne della famiglia
Colenso dall'alto, dal padre/patriarca considerato
all'epoca una figura molto controversa per le sue idee
religiose e politiche. Le figlie del vescovo del Natal
meritano un posto d'onore per aver saputo utilizzare
questi strumenti di libertà secondo i propri
fini. Se per Harriette la ricerca della soddisfazione
personale emerse nella scrittura di articoli, saggi e
testi riguardanti gli avvenimenti storico-politici che
segnarono le colonie britanniche dell'epoca, per
Frances la ricerca della libertà sembra
esprimersi attraverso il romanzo My Chief and
I.
- My Chief and I
è stato scritto da Frances Colenso nella
colonia del Natal nel 1875. L'opera apparve a Londra
per la prima volta nel 1880. Il testo Five Years
Later (1882) fu aggiunto a My Chief and I
in un secondo momento, poco prima che Frances Colenso
morisse di tubercolosi nel 1887. Le vicende storiche
che fanno da sfondo al romanzo coprono i sei mesi
successivi alla cosiddetta "Langalibalele Rebellion"
del 1873. Come il titolo stesso del romanzo ricorda,
Il primo e più importante intento di Frances
Colenso era tuttavia "to be able [...] to add
honour to names that have hitherto been unhonoured"
(Colenso: 1880, 56), riabilitare presso l'opinione
pubblica inglese dell'epoca il nome del suo amato
Anthony Durnford, "my Chief" (Colenso:
1880)7,
come veniva affettuosamente chiamato dal protagonista,
Atherton Wylde. Per assolvere questo compito, la
Colenso si affida al romanzo; a Frances Colenso si
può infatti attribuire il merito di esser stata
la prima in Sudafrica a utilizzare il romanzo come
strumento politico, precedendo così Olive
Schreiner8.
L'invenzione romanzesca le permetteva di dilungarsi in
particolari omettendo la vera identità delle
fonti e non solo, le consentiva anche di proteggere se
stessa e Durnford dalle voci e dai pettegolezzi che
sarebbero nati alla notizia della loro storia
d'amore.
- Il Colonnello Anthony
Durnford era un uomo sposato e conobbe Frances Colenso
nella colonia del Natal all'età di quarantadue
anni, quando la ragazza ne aveva ventitré. Il
loro incontro avvenne grazie al comune interesse per
la causa di Langalibalele. La moglie di Durnford
viveva ancora nella madrepatria quando tra
quest'ultimo e Frances Colenso nacque un legame tanto
profondo da spingere la donna a scrivere My Chief
and I e Five Years Later. Riabilitare il
nome di Durnford sarebbe stato impossibile se Frances
fosse venuta allo scoperto e avesse parlato in favore
del Colonnello pubblicamente, a proprio nome. La
scrittrice si avvalse quindi in tutto il romanzo di un
alter ego maschile, Atherton Wylde, un soldato
dell'esercito imperiale britannico. Sembra di poter
senz'altro escludere che Frances Colenso si sia
servita di una maschera perché non aveva
fiducia nelle proprie capacità di scrittrice e
di donna; è molto più probabile che
invece abbia dovuto sacrificare il forte desiderio di
esporsi in prima linea in virtù del risultato
che le stava a cuore più della sua stessa
libertà. La famiglia Colenso si era nel
frattempo costruita una reputazione piuttosto
sconveniente e non era ben vista a causa dell'appoggio
incondizionato di tutti i suoi componenti agli
zulu9.
Se Frances avesse reso nota la sua condotta
"sconveniente" avrebbe sicuramente compromesso
irrimediabilmente non solo il suo nome e quello di
Durnford, ma anche quello della sua famiglia, e a
farne le spese sarebbero stati gli zulu e le lotte
politiche di tutta una vita.
- Essendo dovuta scendere a
compromessi nello scrivere My Chief and I,
Frances Colenso non fu in grado di creare alcun
precedente per altre scrittrici dell'epoca e per
questo motivo fu quasi dimenticata. La sua
testimonianza rimane però fondamentale per la
costruzione della storia sudafricana nonché
dell'identità delle donne, come ricorda
Margaret Daymond, curatrice della recente edizione del
romanzo: "it is an important testimony to a woman's
struggle to find her own voice, to speak with a
measure of independence, within the attitudes and
customs which circumscribed her life" (Daymond: 1994,
14). Per Frances Colenso Il linguaggio della
libertà deve rimanere segreto, oppure emergere
in superficie attraverso Atherton Wylde.
- In queste due life
stories la mediazione assume un ruolo fondamentale
ed indispensabile per la comprensione e la
divulgazione del testo; accanto alle voci di Paulina
Dlamini e Frances Colenso si ascoltano anche quelle di
due uomini, Heinrich Filter e Atherton Wylde.
Quest'ultimo rappresenta la figura chiave del romanzo
di Frances Colenso, poiché dalle parole di
Atherton Wylde la totale devozione e l'amore che la
Colenso prova nei confronti del Colonnello Durnford
emergono a tal punto che il personaggio di Wylde
risulta paradossalmente effeminato rispetto a quanto
ci si aspetterebbe da un soldato dell'epoca: "I could
not tell him why at first, and I think he began to
suspect me of having committed the folly of falling in
love" (Colenso: 1880, 128) "growing more and more
confused and annoyed with myself for a sentiment which
I feared would appear absurd in his eyes" (Colenso:
1880, 129); "and of those two men I was jealous,
although I liked them. Windvogel aroused that feeling
in my breast by a little action which for some time
escaped my attention [...] Windvogel was
always close to him [...] I should have liked
to send him away and to take his place myself"
(Colenso: 1880, 52). È probabile che Frances
Colenso si rendesse conto di come queste
caratteristiche fossero incongruenti con il ruolo che
Atherton doveva rivestire e potessero minare la
credibilità del racconto. È anche
possibile quindi che Frances Colenso abbia volutamente
mantenuto queste piccole imprecisioni per sottolineare
il proprio timbro di voce in contrapposizione a quello
maschile di Atherton Wylde. Anche il titolo My
Chief and I esprime il medesimo sentimento con la
stessa carica di ambiguità.
- Il fatto che Frances Colenso
fosse stata costretta a vestire i panni di un uomo e
che probabilmente, se avesse potuto scegliere di
parlare liberamente lo avrebbe fatto, "I could not
help thinking that, if that young lady were to take
the reins into her own hands, and speak out her mind,
the priest would be rather a hen with ducklings"
(Colenso: 1880, 17), è evidente in alcuni
espedienti che l'autrice usa nel romanzo per rendere
chiaramente distinguibile la sua persona. Nel terzo
capitolo Atherton Wylde si imbatte in una giovane
accompagnata da un prete e da un'altra donna. La
Colenso, che in tutto il romanzo si nasconde dietro il
suo alter ego maschile, viene qui allo scoperto
ritagliandosi una sorta di cameo cinematografico
all'interno del suo racconto:
-
- I have said
that only one of the speakers seemed to feel for
the oppressed tribe. But there was one other
present who, although perfectly silent,
evidently took a vivid interest in the subject.
This was one of the young ladies in the charge
of the Roman Catholic priest: and I had observed
her with some attention as the rapid changes in
her countenance evinced her intense dissent from
the harsh sentiments enunciated, her indignation
against the cowardly attack upon the prisoner,
and her pleasure in the old man's defence.
[...] She leant forwards to look at the
speaker, with heightened colour in her face. It
was manifestly as much as she could do to keep
silence, but it was as evident that it would not
be well for a lady to take part in a discussion
with these rough men, and she sank back into her
place, containing herself with a widespread
remark to her priestly escort, who indeed seemed
to be rather nervous, and excessively anxious to
keep her quiet. [...] However she seemed
to be submissive enough. I observed that an
awkward silence fell upon the party after this
direct mention of the Bishop, and wondered what
could be the cause. [...] Before we
started again I inquired of one of the
legislators who had exchanged remarks with me
before, who were the two young ladies with the
Roman Catholic clergyman. His reply was, "that
one is one of Bishop Colenso's daughters"
(Colenso: 1880, 17-18).
-
- È per la
necessità di sfuggire in qualche modo al
silenzio entro cui si sentiva costretta, come altre
donne in epoca vittoriana, che Frances Colenso ha
bisogno di Atherton Wylde e delle proprie stesse
comparse sporadiche nel romanzo: questi due episodi
tramutano infatti quella che inizialmente sembrerebbe
una necessità freudiana in una volontà
manifesta. La Colenso sembra però rifiutare in
gran parte la "gabbia" entro la quale erano confinate
le donne inglesi dell'epoca (Wollstonecraft: 1972),
sebbene questa "istituzione" rimanga come una presenza
determinante ed inquietante in tutto My Chief and
I. Il secondo riferimento esplicito di questo tipo
si ritrova alla fine del romanzo, quando Atherton
Wylde si riposa dalle fatiche della giornata leggendo
un libro:
-
- taking a book
from the shelves I deposited myself in a
remarkably comfortable lounging chair for a
quiet read. My book was a novel, the scene of
which was partly laid in Hong Kong. I had just
come to the conclusion that the writer was a
woman, and had never been out of England in her
life, when I fell asleep (Colenso: 1880,
122).
-
- Ecco che di nuovo Frances
Colenso sostituisce la propria voce a quella di
Atherton Wylde usando l'ironia come strumento per
sottolineare la propria presenza all'interno della
narrazione. La donna in stile vittoriano descritta da
Frances Colenso simboleggia la necessità delle
donne di potersi esprimere e dare voce alle proprie
idee. In Natal, forze conservatrici quali ad esempio
la Chiesa Riformata Olandese, bloccavano le idee
liberali che volevano per le donne un ruolo attivo
nella vita pubblica in Sudafrica. Anche gli inglesi
avevano stabilito nelle loro colonie un sistema basato
sulle discriminazioni di genere e sulle differenze tra
uomini e donne. Lo sviluppo del capitalismo
industriale nella Gran Bretagna del Settecento aveva
inoltre incrementato questa divisione relegando la
donna alla dimensione domestica:
-
- The
development of industrial capitalism in Britain
during the eighteenth century was characterised
by a fundamental shift in the social function of
the home and family, away from its earlier
importance as site of production, to a site,
primarily, of reproduction and consumption. This
separation between what became the essentially
private domain of the home, which was the proper
realm of women, and the public domain of
productive work and politics, the realm of men,
was basic to the organisation of gender
relations in Britain in the nineteenth century
(Walker: 1990, 319).
-
- Nella famiglia Colenso "God
did remain useful as the supreme arbiter of the
[...] patriarchal order" (Walker: 1990, 319);
nel processo di costruzione ed affermazione delle
identità di genere, le missioni che si
stabilirono in Africa tra il Settecento e l'Ottocento
contribuirono a rafforzare il patriarcato e quelle
ideologie che, enfatizzando l'importanza di
qualità come la discrezione, la pudicizia e la
riservatezza, consegnavano alle donne un ideale di
donna passiva e sottomessa alla volontà del
marito. L'importanza dell'opera della Colenso risiede
quindi nella consapevolezza del suo ruolo nella
società e nel fatto di aver saputo utilizzare
tutti gli strumenti a disposizione per avvicinarsi il
più possibile al proprio ideale di
libertà. My Chief and I e la mediazione
di Atherton Wylde quindi vanno intesi non come il
frutto di un compromesso negativo, quanto come una
strategia intelligente e necessaria.
- Sia Frances Colenso che
Paulina Dlamini affidano quindi la propria life
story a un uomo, come unica soluzione per emergere
in superficie e fare ascoltare la propria voce
(sebbene mosse da ideali differenti, Colenso sente la
necessità di riabilitare il nome dell'amato
presso l'opinione pubblica della madrepatria, mentre
Dlamini, secondo quanto riportato da Heinrich Filter,
desidera narrare la propria storia come testimonianza
dell'esistenza di Dio). Se però la mediazione
di Wylde può essere definita 'positiva' in
quanto funzionale all'intima verità di Frances
Colenso, quella del reverendo missionario luterano non
può essere definita tale.
- Se ad Heinrich Filter va
riconosciuto il merito di aver compreso per primo
l'unicità della life story di Paulina
Dlamini, a lui vanno attribuiti anche alcuni demeriti,
tra cui quello di aver sensibilmente strumentalizzato
la storia di vita in suo possesso per assecondare i
propri fini. L'opera di Filter si inserisce nel
progetto delle missioni e della loro opera di
proselitismo tra le popolazioni indigene del
Sudafrica: "the missionaries tried to wrest
patriarchal authority from homestead heads by
proselytizing their wives and youths" (Carton: 2000,
54). Dai tempi delle parabole del Vangelo sino
all'epoca presa in considerazione, le storie
individuali dei Santi e delle loro conversioni erano
usate come esempio da imitare. Attraverso le loro
storie di vita, la chiesa diffondeva modelli di
comportamento cui il buon cristiano avrebbe dovuto
conformarsi per ottenere la salvezza. L'idea quindi di
utilizzare una storia individuale come strumento di
propaganda e sensibilizzazione non è nuova
all'interno della chiesa, ma affonda le sue origini
nel passato. Heinrich Filter non sbaglia nel momento
in cui avverte il potere suggestivo della
testimonianza di questa donna zulu sulle altre donne
indigene che con Paulina condividevano ansie e paure.
La conversione improvvisa di Paulina e la somiglianza
della sua missione a quella degli apostoli: "andate
nel mondo intero e predicate la Buona Novella a tutta
la creazione. Chi crederà e sarà
battezzato sarà salvo, e chi non crederà
sarà condannato" (Vangelo secondo Marco, 16,
15-19) sono caratteristiche che caricano la figura di
Paulina di un forte potere persuasivo soprattutto nei
confronti delle altre donne dell'isigodlo di
Cetshwayo rimaste "orfane" dopo la cattura del re. La
conversione di Paulina Dlamini, vera o presunta che
sia, è un elemento che ha portato con sé
omissione, distorsione e censura rispetto al periodo
della sua vita corrispondente alla prima parte del
testo, Servant of Cetshwayo. La tendenza
all'autocensura e all'omissione è
particolarmente evidente nelle descrizioni inerenti la
vita delle giovani donne dell'isigodlo: "about
the king's nightlife with his isigodlo girls I
must remain silent; because as a Christian, who has
now learnt to kneel before the King of all Kings, the
Lord Jesus Christ, I can no longer speak about"
(Dlamini: 1986, 82). L'imbarazzo che spesso si avverte
nelle parole di Paulina Dlamini riflette in parte la
mentalità vittoriana e in parte l'aderenza
diventata col tempo quasi totale ai principi
missionari che non tolleravano per nulla o quasi le
credenze, i costumi e le pratiche dei popoli che
vivevano ancora inseriti nelle proprie
tradizioni.
- Il rigido atteggiamento
critico di Paulina nei confronti delle esperienze di
vita vissute da pagana si può spiegare in
più modi. La revisione del sistema di valori
tradizionali era una parte dell'ampio processo di
civilizing intrapreso dagli inglesi e di cui le
missioni erano un pilastro. In questo contesto
venivano rivisti la liceità della poligamia e
alcuni riti di passaggio legati all'adolescenza delle
giovani fanciulle e dei giovani uomini, come le
cerimonie di iniziazione. Nell'analisi dei
comportamenti e delle riflessioni a mente fredda di
Paulina Dlamini non si può inoltre
sottovalutare il potere intimidatorio di Filter. Il
racconto di Paulina è il risultato del lento
processo di negoziazione, creazione e scambio proprio
della trasmissione orale dell'esperienza. La life
story è infatti una narrazione, un
racconto, un testo che può rimanere confinato
alla sfera dell'oralità o prendere forma
scritta. Talvolta nasce e si sviluppa attraverso
l'interazione tra storyteller e pubblico, tra
soggetto e ricercatore. Come in questo caso specifico,
la storia di vita è una testimonianza in
continua tensione tra realtà e menzogna, o,
meglio "creazione". Heinrich Filter, avendo trovato in
Paulina uno strumento efficace di persuasione
dall'interno per gli zulu, che risultavano resistere
alla evangelizzazione - "Missionary enterprise in
Zululand was intense but conspicuous for its lack of
success [...] the missionaries [...]
found it extremely difficult to prise the Zulu from
their way of life" (Guy: 1994, 15) - ha preferito a
tratti sacrificare l'integrità del racconto in
virtù del suo fine ultimo. Oltre alla vera e
propria censura dall'alto ad opera del reverendo
luterano è necessario ipotizzare che Paulina
stessa si sia sottoposta ad autocensura e che abbia
volutamente eliminato i dettagli più piccanti o
per lei più compromettenti della sua storia,
per timore di essere giudicata.
- Sia Paulina Dlamini che
Frances Colenso appaiono legate alla figura del
padre/patriarca dal quale entrambe, sebbene in modi
diversi, tentano di staccarsi. Se però in
Paulina Dlamini non si avverte la piena consapevolezza
di questo processo di distacco, in Frances Colenso la
necessità di dovervi rinunciare (seppur in
piena coscienza) rende il suo cammino verso
l'emancipazione un percorso tortuoso e difficile. In
queste due storie il patriarcato appare come una
istituzione castrante e soffocante: così come
in My Chief and I il popolo ngwe ha bisogno di
Anthony Durnford per ottenere la libertà,
così Frances Colenso ha bisogno di Atherton
Wylde per potersi esprimere. Paulina Dlamini porta in
superficie la difficile situazione delle donne
all'interno del patriarcato tradizionale africano:
considerate come l'anello fondamentale del sistema,
esse sembrano accettare questo ruolo condividendo,
facendo propri e trasmettendo ai figli i valori di una
società che le relegava al ruolo di mogli e di
madri senza che fosse fornito loro un raffronto con
l'esterno. Paulina Dlamini comincia ad acquisire
spirito critico con l'ingresso alla missione che porta
con sé un modello alternativo di vita e nuovi
valori su cui costruire la propria emancipazione. Se
però Paulina dimostra di avere atteggiamento
critico nei confronti dei valori e delle tradizioni
zulu in cui è stata allevata, non sembra
utilizzare il medesimo spirito critico nei confronti
dei nuovi valori importati dall'occidente e dalle
missioni. Paulina ha bisogno infatti di un nuovo
patriarca per riconoscere un patriarca nel suo vecchio
padre.
|