Letteratura

 

Maria Vittoria Calvi

 
LA SCRITTURA DELL'IO IN CARMEN MARTÍN GAITE
 
Il forte interesse dimostrato dalla critica letteraria per la scrittura autobiografica1 dipende senza dubbio dalla proliferazione di opere ascrivibili a questo o ad altri generi correlati (memorie, diario, confessioni ecc.); ma è anche vero che la letteratura dell'io offre il terreno ideale per studiare la genesi del testo letterario, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra l'individuo e il mondo: "La autobiografía trata de articular mundo, texto y yo, y por esta razón ocupa un lugar privilegiado, ya que en ella tenemos que vérnoslas con los temas más importantes de las humanidades hoy en día: historia, poder, yo, temporalidad, memoria, imaginación, representación, lenguaje y retórica" (Loureiro: 1993, 13).
Nella Spagna degli anni 70, la transizione dalla dittatura alla democrazia determina un vero e proprio boom dell'autobiografismo (Castro: 1993), così come di quel particolare genere, a metà strada tra autobiografia e narrativa di finzione, definito autobiografía ficticia (Soto-Fernández: 1996) o memoria autobiográfica en forma dialogal (Sobejano: 1979), in cui il vissuto individuale si innesta su problematiche collettive, quali la crisi ideologica e la messa in discussione dei codici vigenti. Il romanzo El cuarto de atrás (1978) della scrittrice Carmen Martín Gaite - morta nell'anno 2000 all'età di settantacinque anni - offre il paradigma di questa narrativa autoreferenziale, basata sulla rievocazione dell'esperienza personale come chiave di accesso alla storia passata, e sull'uso del dialogo come strumento di indagine interiore. Il romanzo si colloca in una zona di frontiera tra il patto autobiografico e il patto narrativo2 in cui la continua mescolanza di realtà e finzione determina una totale ambiguità, ai limiti del fantastico: narrato in I persona dalla protagonista, che condivide con l'autrice numerose circostanze biografiche3, il libro racconta anche la propria genesi, legata all'apparizione di un misterioso visitatore vestito di nero, che con le sue domande semplici ma puntuali, mette in moto il flusso di coscienza e l'altalena dei ricordi. Altro elemento scatenante del processo retrospettivo è il luogo chiuso, cioè la casa della scrittrice protagonista, che diventa emblema della sua geografia interiore.
Un diffuso autobiografismo, del resto, impregna tutta l'opera di Carmen Martín Gaite, in cui è sempre evidente la volontà di abbattere le barriere tra i generi: "Carmen Martín Gaite è (...) una scrittrice che preferisce esprimersi in libertà fuori dalle convenzioni testuali che hanno istituzionalizzato da tempo le più azzardate acrobazie dell'immaginario. È molto meno originale quando può inventare che quando deve testimoniare, perché la sua dissidenza creativa si dispiega soprattutto in prossimità del già accaduto, di quella vita vissuta che rende ancor più lacerante la guerra persa di ogni scrittura" (Pittarello: 1994, 70; corsivi del testo originale).
Alcuni dei suoi libri contengono pagine espressamente autobiografiche, come il "Bosquejo autobiográfico" scritto nel 1980 su richiesta dell'ispanista americana Joan L. Brown4 e poi riprodotto nella sezione "Andando el tiempo" del volume Agua pasada 5, accompagnato da una nota introduttiva nella quale Carmen Martín Gaite llustra le circostanze in cui il pezzo era stato composto: "Como dirigido que está a público no necesariamente familiarizado con algunas costumbres y aspectos de la cultura española, ciertas puntualizaciones o comentarios pueden aquí resultar innecesarios o ingenuos" (AP: 11). Consapevole che il momento dell'enunciazione originaria (l'anno 1980) costituisce un limite invalicabile per il flusso memoriale, la scrittrice ammicca al nuovo lettore, suggerendogli una prospettiva diversa: "En otro orden de cosas, para un lector que no conozca mi biografía reciente, donde lea 'soledad' y 'muerte', puede estar seguro de que mi vivencia de esas dos nociones era aún bien incompleta" (ibid.). Dietro a queste parole, si legge il dolore per la perdita della figlia, morta nel 1985.
L'uso di introduzioni, postille e note liminari relative ai percorsi della scrittura, molto frequente in Carmen Martín Gaite, crea una cornice autobiografica intorno al testo. Ad esempio, il romanzo La Reina de las Nieves è preceduto dal minuzioso resoconto del percorso compositivo:
 
Esta novela, para la que vengo tomando notas desde 1975, ha tenido un proceso de elaboración lleno de peripecias. La empecé a escribir "en serio" en 1979, por primavera, y trabajé en ella con asiduidad hasta finales de 1984, sobre todo en otoño de ese año, durante una estancia larga en Chicago. Había ido a aquella Universidad como profesora visitante y me albergaba en el piso diecisiete de un antiguo hotel, el Blackstone, que tenía puerta giratoria. La Reina de las Nieves la asocio siempre con la fría y desolada visión de aquel lago inmenso. Creo que en alguna entrevista que me hicieron por entonces, hablé ya de este proyecto literario, que consideraba suficientemente maduro y pensaba rematar a mi regreso a Madrid. Sin embargo, a partir de enero de 1985, y por razones que atañen a mi biografía personal, solamente de pensar en la Reina de las Nieves se me helaba el corazón, y enterré aquellos cuadernos bajo siete estadios de tierra, creyendo que jamás tendría ganas de resucitarlos. Pero no fue así [...]6.
 
Emerge anche qui la reticenza dell'autrice riguardo al tragico evento che le ha segnato l'esistenza, rievocato tuttavia in modo più esplicito nella dedica iniziale: "Para Hans Christian Andersen, sin cuya colaboración este libro nunca se habría escrito. Y en memoria de mi hija, por el entusiasmo con que alentaba semejante colaboración". In tutto il frammento emerge l'attenzione per le circostanze, anche materiali, della scrittura: riferimenti cronologici al processo di elaborazione, ma anche dettagli sullo spazio (il vecchio albergo, il lago ghiacciato visto dalla finestra) e sugli oggetti che lo rappresentano (i quaderni sepolti sotto terra). Il cerchio si chiude nella nota finale, che chiarisce quando e dove si è conclusa la stesura del libro: "Terminé de escribir este libro en Madrid, el 1 de mayo de 1994, Festividad del Trabajo".
Se El cuarto de atrás è un'autobiografia in forma di romanzo fantastico, l'autrice amava parlare di sé anche attraverso altri generi, come si vede nel saggio Esperando el porvenir - dedicato alla memoria di Ignacio Aldecoa -, che lei stessa considerava come una vera e propria autobiografia letteraria. Il volume ricostruisce le vicende biografiche comuni a un gruppo di scrittori amici - tra cui Rafael Sánchez Ferlosio, Luis Martín-Santos, Jesús Fernández Santos, Juan Benet, oltre allo stesso Aldecoa -, che negli anni 50 sperimentano nuove forme letterarie per rappresentare la cupa realtà di miseria di cui erano spettatori. Questi giovani autori, riuniti intorno alla Revista española di Antonio Rodríguez Moñino, condividono esperienze decisive, come il fecondo contatto con il romanzo americano e con il neorealismo cinematografico italiano, di cui ammirano la predilezione per le storie antieroiche e i personaggi indifesi7. In Esperando el porvenir, la scrittrice analizza con lucidità il rapporto tra l'io testimoniale e la storia; prende le distanze dal vissuto, pur senza rinunciare al proprio punto di vista privilegiato:
 
Mi condición de testigo supone una ventaja, aunque también un inconveniente. Y habrá que andar por esa cuerda floja. Separarme totalmente de todo lo que viví, borrarme de la historia, no me será posible, pero sí pretendo - aunque el desafío resulte difícil - limpiar de ganga nostálgica todo lo que relate y comente, no aparecer en la función más que cuando venga a cuento y hablar de lo que oí y presencié con la mayor exactitud posible, sin renegar por eso de los adornos poéticos que puedan salir al paso (EP: 15).
 
La riflessione sull'arte del raccontare e sul rapporto con la scrittura letteraria è centrale anche nel saggio El cuento de nunca acabar (1983), che indaga sulla nascita dell'istanza narrativa nel bambino; su come avvenga, attraverso la fiaba, l'ingresso nel castello della letteratura, e sul profondo legame tra amore e narrazione.
La forma autobiografica viene adottata anche in molti romanzi, nei quali un personaggio ricostruisce la vicenda a partire da uno o più nodi di memoria, spinto dal bisogno di comporre l'identità del proprio io8. Nel già citato La Reina de las Nieves, ad esempio, dopo alcuni capitoli narrati alla terza persona, il racconto viene preso in carico dal protagonista il quale, rimasto orfano, rimette insieme i frammenti del proprio passato, affidando alle pagine di un diario-autobiografia le scoperte su vicende familiari che gli erano sempre state nascoste.
In Nubosidad variable (1992), si alternano invece due voci femminili, che esplorano la propria interiorità attraverso diverse modalità diaristiche ed epistolari. Il libro, uno dei romanzi dell'autrice più noti al pubblico italiano9, mette a fuoco le problematiche dell'identità femminile sullo sfondo di un periodo abbastanza ampio della storia spagnola recente, dai movimenti studenteschi clandestini degli anni 60 all'ascesa economica degli anni 80, attraverso il contrappunto di due vicende emblematiche: quella di Sofía, madre di famiglia delusa dallo yuppismo del marito, e quella di Mariana, affermatasi sul piano professionale ma sfortunata su quello degli affetti. Il percorso retrospettivo, che parte dall'incontro casuale tra le due amiche dopo anni di separazione, poggia sull'epifania della scrittura letteraria come scoperta dell'io e approda alla scelta consapevole, da parte di entrambe, della propria solitudine.
Queste brevi considerazioni non esauriscono certo il tema dell'autobiografismo nell'opera di Carmen Martín Gaite; benché nessuno dei suoi libri offra un'impalcatura autobiografica che rispetti tutte le condizioni del "patto", i riferimenti all'io sono disseminati un po' dappertutto: un io che non è mai assertivo e invadente, ma piuttosto dialogico, dubitativo e attento alla poetica dello spazio quotidiano. Questo tipo di autobiografismo, che ostenta un "gusto della verità"10 continuamente smentito dal gioco letterario, ma proprio per questo illuminante, rifugge anche dalla puntuale annotazione diaristica: sono piuttosto infinite tessere di un puzzle che nessun critico si è ancora assunto il compito di ricostruire.
Nel presente lavoro, mi propongo di illustrare alcuni aspetti del volume postumo Cuadernos de todo (2002), da me stessa curato per incarico della sorella della scrittrice, la quale mi ha affidato i circa ottanta quaderni inediti in cui Carmen Martín Gaite annotava pagine di diario, riflessioni personali, resoconti di sogni, commenti di lettura e progetti letterari. La denominazione appartiene al lessico famigliare dell'autrice: sono le parole con cui la figlia Marta, di cinque anni, dedica alla madre il quaderno che le regala per il compleanno; sintagma che Martín Gaite riporta puntualmente su molti dei fascicoli personali riempiti nel corso del tempo. Molto prima che questi scritti vedessero la luce in un volume, la loro esistenza era nota al lettore; in particolare, nel capitolo de El cuento de nunca acabar intitolato, per l'appunto, "Mis cuadernos de todo", la scrittrice ne racconta la nascita e ne chiarisce il valore emblematico:
 
A partir de entonces, todos mis cuadernos posteriores los fui bautizando con ese mismo título, que me acogía y resultaba de fiar por no obligar a nada, a ninguna estructura preconcebida. De hecho, venciendo una tendencia al ostracismo que por entonces me apuntaba, empecé a escribir más y se configuró en gran medida el tono nuevo de mis escritos, que derivaron a reflexionar no sólo sobre la relación que tienen entre sí todos los asuntos, sino también sobre el carácter relativo y provisional de aquello mismo que iba dejando anotado11.
 
La volontà di sfumare i confini tra i "generi", pur senza rifiutarne del tutto le convenzioni, e quindi senza rinunciare alla leggibilità del testo, è una costante della ricerca letteraria dell'autrice; ma l'eterogeneità dei frammenti non va intesa come pastiche, bensì come ricerca dell'autenticità al di là del canone, come creazione di un nuovo linguaggio che "prende corpo" attraverso l'osservazione del quotidiano e il flusso dell'oralità (Pittarello: 1994, 73).
Il grosso volume dei Cuadernos de todo, così come viene offerto oggi al lettore, è frutto della selezione da me effettuata. In un primo tempo, mi era parso che l'unico modo per mettere ordine in un materiale così variegato fosse la scelta antologica su base tematica; ma la rilettura de El cuento de nunca acabar mi ha convinta dell'opportunità di mantenere i quaderni nella successione capricciosa dei frammenti che li compongono. Il libro si divide in 36 capitoli che corrispondono ad alttrettanti quaderni12, disposti in successione cronologica, quanto meno nelle linee essenziali, date le frequenti sovrapposizioni temporali tra quaderni diversi.
Questo criterio, apparentemente più "neutro" rispetto all'opzione antologica, comporta in realtà un rischio maggiore, cioè quello di applicare un senso unitario a frammenti dispersi e privi, in origine, di destinatario. Tuttavia, le frequenti allusioni della scrittrice ai propri Cuadernos de todo come luogo primigenio della scrittura dimostrano che lei stessa li considerava, in qualche modo, come un'opera a se stante, a cui attingere in cerca di spunti per saggi e romanzi (molti frammenti sono stati ripescati e rielaborati nelle opere pubblicate), ma in qualche modo dotata di una propria autonomia.
Le esclusioni operate13 rispondono, oltre che all'istanza di leggibilità e alla necessità di scartare materiali ridondanti (appunti preparatori di saggi pubblicati, citazioni prive di commenti personali, schemi, esercizi di inglese, commissioni da svolgere ecc.) o eccessivamente "sensibili" (ad es., riferimenti alla vita privata di altre persone), all'intento di mettere in evidenza i fili sottili che saldano tra loro frammenti diversi; d'altra parte, le ellissi prodotte dai tagli non interrompono il flusso discorsivo più di quanto avvenisse nei testi originali, dove sono ricorrenti le interruzioni, le riprese ma anche gli abbandoni definitivi di temi lasciati in sospeso. Mi sono comunque proposta un'assoluta fedeltà al testo, anche quando l'estrema concisione e l'uso di una sintassi libera, vicina al colloquiale, ne rende difficile l'interpretazione; e sottolineo con piacere che, pur trattandosi di un'opera rivolta al lettore e non solo allo specialista, anche la casa editrice ha rispettato la scelta di ridurre al minimo gli interventi di correzione e normalizzazione14.
La disposizione cronologica dei Cuadernos de todo permette di seguirne lo sviluppo: in una prima fase, i quaderni propongono, con un tono spesso assertivo e polemico, le riflessioni di uno spirito inquieto, in cerca di autonomia; prevale poi una scrittura più intimista, attenta ai segnali del quotidiano e alla propria geografia narrativa; segue una tappa più apertamente diaristica, che raccoglie le vivide impressioni di numerosi soggiorni negli Stati Uniti; infine, dopo lo spartiacque del 1985, anno della morte della figlia, gli ultimi quaderni contengono, per lo più, appunti e notas fugaces.
Naturalmente, manca quella prospettiva "avvolgente" e illuminante con cui Martín Gaite, in altri casi, ha cucito insieme fogli sparsi; credo tuttavia che il libro possa fornire interessanti spunti di riflessione sulla scrittura dell'io, intesa come tessuto connettivo tra l'esperienza vissuta e la creazione letteraria. Nelle prossime pagine di questo breve intervento, cercherò di delineare alcuni tratti di questo personale "genere" autobiografico.
Nei Cuadernos de todo, la modalità diaristica prevale su quella propriamente autobiografica, benché non manchino riflessioni retrospettive, come vedremo in seguito. L'autrice esprime un netto rifiuto per il diario inteso come fedele riflesso della cronologia reale: "Ya hace años que me barrunté la falacia de los diarios concebidos como un reflejo más o menos fiel del encadenamiento temporal con que se sucedieron los hechos que registran"15, ma afferma il bisogno di una scrittura che parta dall'osservazione del quotidiano, allo scopo di mettere in ordine le proprie storie, presenti e passate: "La narración es una exigencia. Si no cuentas las cosas, forman montoneras. Es como entrar en un cuarto donde todo está patas arriba y empezar a doblar historias y meterlas en sus estantes correspondientes, luego ya se puede respirar y el ocio de tomar el sol en una butaca es armonioso, no ácido" (CT: 227). Spetta a chi scrive il compito di trovare i criteri di selezione:
 
Los diarios se escriben siempre para alguien. Se da importancia a lo cotidiano. Pero hay que seleccionar, lo importante son las conexiones significativas. Hay cosas eternas, aunque no las apuntes y otras que aun apuntadas no son nada. (...) Con los diarios empiezan los problemas del cuento de nunca acabar. Poner las fechas en fila ¿no será una falacia? No se posará y se ordenará a su modo lo que se vaya a convertir en literatura. Pero lo que más cuesta al principio es renunciar, podar, dejar de ser notario de cuanto los ojos ven (CT: 503-504).
 
I riferimenti alla cronologia sono piuttosto regolari; non mancano vere e proprie pagine di diario, che commentano eventi della giornata, ma spesso il discorso si sposta altrove, aprendosi alla creazione letteraria o al commento dei libri letti, intercalato di tanto in tanto da richiami alla situazione presente. In questi movimenti pendolari, si sfumano talvolta i confini del tempo e ci si accorge, senza sapere esattamente quando sia avvenuto il passaggio, che è spuntata l'alba di un nuovo giorno: il che rende difficile la datazione precisa del materiale, ma offre interessanti spunti di riflessione sulla temporalità nel testo letterario.
È invece molto vicino all'autobiografia vera e propria un progetto incompiuto, intitolato Cuenta pendiente, che Carmen Martín Gaite aveva abbozzato dopo la morte dei genitori; doveva trattarsi di un discorso rivolto alla madre, sulla base del materiale raccolto nei vecchi quaderni, rielaborato secondo la sua inclinazione più autentica: "Buscar por ahí, hablarte de mis apuntes. Necesito que estés tú oyendo, que sea para ti, si no, no se engrasa el engranaje (...). Es mi rollo, lo de siempre, pero se ha quedado frío de tanto decirlo, de tanto gastármelo los de las tesis doctorales" (CT : 584). La morte della figlia renderà troppo doloroso questo tipo di scrittura dell'io, così vicina alle vicende personali, ma prima di abbandonarla, l'autrice consegnerà uno splendido capitolo inedito, intitolato "El otoño de Poughkeepsie" (che nei Cuadernos de todo corrisponde al numero 35), scritto negli Stati Uniti durante il lungo soggiorno presso la Vassar University nell'autunno del 1985. La forma è quella del diario in libertà, elaborato a partire da diversi momenti di osservazione disposti lungo un arco temporale di circa venti giorni (dal 28 agosto al 21 settembre 1985), con diversi flash back che riportano al passato prossimo, come la pagina di diario scritta a Madrid poco prima della partenza per gli Stati Uniti, ritrovata in un libro e copiata sul quaderno. L'immediatezza del diario si combina quindi con la retrospezione caratteristica dell'autobiografia, mentre lo slittamento del punto di osservazione rende l'autoanalisi più dinamica, meno definitiva nelle sue conclusioni, e soggetta ai mutamenti provocati dall'esperienza.

I luoghi della scrittura
 
Quando si scrive, secondo Carmen Martín Gaite, la cosa più importante è il senso di orientamento, perché l'essere umano ha sempre bisogno di conoscere i limiti dello spazio che lo circonda, per potersi guardare intorno senza perdere l'equilibrio: "Y necesitaría también dar noticias de esos límites, hacer inventario no sólo de las ideas que, con su abejeo estimulante, le incitan a contar algo, sino del lugar y el momento en que surge el estímulo" (CNA: 31).
Nei Cuadernos de todo il riferimento allo spazio si esaurisce spesso nella breve didascalia che accompagna la data, come ad esempio: "20 de noviembre. En el cuarto de Marta, haciéndole compañía porque está mala. After eating" (CT: 271); ma altre volte, la descrizione dei luoghi della scrittura è più dettagliata. Si veda il frammento iniziale de "El otoño de Poughkeepsie":
 
A la habitación encristalada, que tiene dos camas con colcha roja, se accede por otra mucho más grande y totalmente vacía con el suelo cubierto de trapos sobre los que reposan botes de pintura y una escalera apoyada contra la pared. La he recorrido varias veces para ir llevando ropa a los dos armarios como casitas con estantes que se iluminan tirando de un cordón a modo de cadena de retrete. (...) Son las seis de la tarde, veintiocho de agosto y estoy sola, más sola que lo he estado nunca en mi vida, rodeada de silencio, de muebles desconocidos, que se apilan en este cuarto encristalado del fondo donde voy a dormir durante varios meses.
He sacado del equipaje mis libros y cuadernos y los he colocado de forma provisional, sin creerme mucho que me vayan a servir para algo, sin creerme mucho nada de lo que me pasa ni de lo que veo. Tal vez por eso mismo necesite apuntarlo. Veo un bosque, estoy perdida en medio de un bosque. Tal como suena, no es una metáfora. Me he quedado un rato tumbada sobre una de las camas de colcha roja, después de deshacer las maletas, y la visión de los árboles tupidos y corpulentos que rodean esta casa se me imponía como una evidencia falaz e incomprensible. He encendido una lámpara, porque empieza a oscurecer. En la habitación contigua, que es la que está vacía, no hay luz. Lo que más me fascina es la habitación vacía. Es lo que siento más verdad de todo (CT: 611).
 
La tematizzazione dell'indicatore spaziale ("a la habitación encristalada") ne sottolinea la centralità, come punto di osservazione del mondo e del proprio io, diaframma tra il fuori (il bosco misterioso) e il dentro (la "habitación vacía", emblema del vuoto e del silenzio lasciato nell'animo dalla morte). Neppure la presenza, di per sé confortante, dei propri libri e quaderni sembra poter dare un senso all'ignoto; ma le parole scritte, con la loro evidenza materiale, iniziano pian piano a riempire il vuoto ("Tal vez por eso mismo necesite apunarlo"): la realtà prende forma attraverso la parola, pronunciata su uno scenario visibile, che propizia l'autorappresentazione, "esa fascinación de objetivar el yo y de reconocerlo otro"16, anche con l'uso occasionale della III persona:
 
Una viajera con chaqueta a rayas que aterriza sana y salva en Kennedy Airport y que tiene la suerte de no haber perdido su equipaje solamente puede quitarle importancia a sus problemas, incluido el miedo de no encontrar al amigo que ha prometido venir a esperarla, si mira con atención alrededor y se considera formando parte del movedizo espectáculo que tantas veces ha contemplado fascinada, pero sin intervenir, desde una butaca del cine, eso es lo único que calma, considerarse una viajera más entre los miles de viajeros que llegan esa tarde a Nueva York y se dispersan con el rostro apurado en direcciones contrarias, rozándose sin conocerse, cada uno atento a su equipaje y concentrado en sus problemas, que no tienen por qué ser más llevaderos que los de la mujer de la chaqueta a rayas. Y ahora la cámara la enfoca a ella. Se ha apoyado en la pared, abre el bolso beige y recuenta sus papeles, no ha perdido ninguno (CT: 616).
 
D'altra parte, l'importanza del setting è anche legata alla natura dialogica dell'autobiografismo di Carmen Martín Gaite. Il linguaggio della comunicazione, come la linguistica dell'enunciazione e la pragmatica hanno messo in rilievo, dipende in buona misura dai fattori contestuali, cioè dalla cornice spazio-temporale in cui avviene lo scambio e dalla sua funzione sociale, oltre che dalle caratteristiche individuali e dai rapporti tra gli interlocutori. La scrittrice salmantina è ben consapevole di quanto lo spazio sociale possa condizionare il linguaggio, e ritiene che fornire all'interlocutore gli elementi contestuali che fanno da cornice ai fatti narrati sia uno dei requisiti essenziali della buona narrazione17. In definitiva, il riferimento alle coordinate spaziotemporali del discorso, oltre ad assicurare il senso di orientamento del soggetto, permette una partecipazione più consapevole del narratario.
Un inventario dei luoghi più frequentemente citati vede in prima posizione gli spazi chiusi e raccolti, gli stessi che propiziano il dialogo autentico, come le case o la biblioteca del madrileno Ateneo, dove la scrittrice trascorreva molte giornate di studio e lettura: "Y el Ateneo es como mi casa, sobre todo cuando hay un amigo cerca" (CT: 482); o i tavolini dei caffè, mentre era in attesa di qualcuno: "9 de julio. Ocho y media. En attendant C.S. Café Gijón" (CT: 375). Ma non sempre la chiusura e l'isolamento favoriscono la scrittura, che sgorga invece fluente e spontanea, ad esempio, durante i viaggi in treno, stimolata dal mutevole spettacolo del paesaggio visto dal finestrino: "Cuadernos de todo. Coherencia poética. Para mí no es un problema esto que me propongo. Es un placer paralelo y enhebrado (intrincado estrechamente) con el de mirar ahora mismo el sol sobre la nieve, según nos acercamos (...) a Cercedilla. Es un pire ir escribiendo así, enhebrándolo todo en mi memoria, como un ballet lleno de significaciones, según escribo" (CT: 402). All'immediatezza della escritura-tren si contrappone la paralisi dello scrittore di fronte al foglio bianco, in preda dell'inerzia: "Tablada. Las cuatro y cinco. Llevo una hora seguida escribiendo. Y si me pongo a escribir en Dr. Esquerdo18, a-llí, en plan de escritora frente al papel, en una hora no saco nada. Ventaja de escribir en los trenes" (CT: 403).

Dialogo con i testi e rilettura
 
La qualità dialogica della scrittura di Carmen Martín Gaite si esplica, all'interno dei Cuadernos de todo, anche nel commento delle proprie letture. Si va dai semplici appunti alla vera e propria critica letteraria19, ma la modalità più peculiare è l'appropriazione della parola altrui mediante la copiatura di frammenti e la citazione amplificata: "me veo obligada a ver escritas con mi letra en un cuaderno las frases del libro, cosa que sólo se parece al placer preparatorio de los collages. Lo hago verdad, lo hago mío, con sus añadidos y tachaduras" (CT: 636). Un esercizio che permette un dialogo autentico con gli autori dei libri letti: "Mis cuadernos de todo surgieron cuando me vi en la necesidad de trasladar al papel los diálogos internos que mantenía con los autores de los libros que leía, o sea convertir aquella conversación en sordina en algo que realmente se produjera. Los libros te disparan a pensar. Debían tener hojas en blanco entre medias para que el diálogo se hiciera más vivo" (CT: 264).
Questo tipo di dialogo diventa ancor più interessante, dal punto di vista della scrittura autobiografica, quando ri rivolge ai quaderni stessi. Carmen Martín Gaite descrive il piacere prodotto dalla pratica di ricopiare pagine dimenticate, da utilizzare come punto di partenza per nuove riflessioni:
 
Procuraré no limitarme a copiarlas sino ampliarlas a la luz de ese nuevo propósito, de ese hilo que se va poco a poco configurando, y que espero que las ordenará de alguna manera que todavía no sospecho. Esto se llama coger el toro por los cuernos: revisar cuadernos viejos, llevo mucho tiempo sabiendo que es esto lo que tengo que hacer, volver al origen, partir de mis primeros cuadernos de todo, pero no me atrevía. Es como bajar a la bodega a explorar los cimientos de la casa y es duro de pelar; yo últimamente soy más cobarde que antes para hurgar en las cuestiones, tengo el ánimo muy quebrantado" (CT: 301).
 
Si vede qui con chiarezza come la genesi del testo letterario (il progettato saggio sull'arte del raccontare che prenderà forma come Cuento de nunca acabar) sia legata a un processo retrospettivo (rilettura dei vecchi quaderni), che comporta uno scavo nel proprio passato ("bajar a la bodega y explorar los cimientos de la casa"): una forma di autobiografia mediante l'esplorazione della propria scrittura, rivisitata e amplificata alla luce delle nuove esperienze e conoscenze. La collazione tra i frammenti originali e quelli copiati mette in evidenza come le nuove riflessioni li abbiano resi quasi irriconoscibili.
Resta da chiedersi se il dialogismo dei Cuadernos de todo, comune a tutta l'opera di Carmen Martín Gaite, comporti la presenza di un possibile destinatario, e quindi di precisi segnali della ricezione all'interno testo. Non è una domanda di facile risposta, data la coesistenza di materiali molto eterogenei; certamente, i Cuadernos de todo come tali non sono stati scritti pensando a un pubblico specifico, anche se occasionalmente vengono usati come contenitori materiali di frammenti destinati già in partenza alla pubblicazione (capitoli di romanzi, saggi ecc.). Altre volte si intuisce che i frammenti, pur possedendo tracce visibili di elaborazione letteraria, sono ancora in cerca di collocazione (un articolo, saggio o romanzo dove potrebbero essere inseriti), e quindi del narratario più idoneo; ma anche nelle pagine più vicine allo sfogo personale, si riconosce sempre la volontà di guardare alla propria vita da una certa distanza, rappresentandola come se fosse letteratura, con lo sguardo rivolto verso un interlocutore, inteso almeno come sdoppiamento dell'io.

Conclusioni provvisorie
 
Per la stesura del presente articolo, ho sperimentato il piacere di leggere i Cuadernos de todo sfogliando l'elegante volume illustrato che la casa editrice ha dato alle stampe, senza più compiere lo sforzo di interpretare una calligrafia incomprensibile, o di esplorare minuziosamente le voluminose bozze a caccia di errori. Ma è venuto il momento di chiudere queste brevi riflessioni: sono ancora troppo vicina al lavoro compiuto per poter analizzare il "prodotto" con il necessario distacco; e d'altra parte, la ricchezza del testo è tale che sfugge a ogni tentativo di imbrigliarlo in poche, semplici annotazioni: le conclusioni saranno quindi, necessariamente, provvisorie.
Nella mia lettura, ho cercato di mettere a fuoco le problematiche relative all'autobiografia, a partire dagli aspetti già noti della scrittura dell'io praticata dall'autrice; da questo punto di vista, si ha l'impressione che i Cuadernos de todo costituiscano il primo grado della scrittura letteraria, il momento in cui i dati desunti dall'osservazione del quotidiano, o dal contatto con altri testi, vengono assimilati e tradotti in parole: questo continuo gioco di vedere e raccontare se stessi da una distanza variabile, con lo sguardo sempre rivolto verso lo specchio dell'altro, costituisce senza dubbio uno dei nuclei fondanti dell'opera di Carmen Martín Gaite.
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