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Letteratura
Maria
Vittoria Calvi
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- LA
SCRITTURA DELL'IO IN CARMEN MARTÍN
GAITE
-
- Il forte interesse dimostrato
dalla critica letteraria per la scrittura
autobiografica1
dipende senza dubbio dalla proliferazione di opere
ascrivibili a questo o ad altri generi correlati
(memorie, diario, confessioni ecc.); ma è anche
vero che la letteratura dell'io offre il terreno
ideale per studiare la genesi del testo letterario,
soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra
l'individuo e il mondo: "La autobiografía trata
de articular mundo, texto y yo, y por esta
razón ocupa un lugar privilegiado, ya que en
ella tenemos que vérnoslas con los temas
más importantes de las humanidades hoy en
día: historia, poder, yo, temporalidad,
memoria, imaginación, representación,
lenguaje y retórica" (Loureiro: 1993,
13).
- Nella Spagna degli anni 70,
la transizione dalla dittatura alla democrazia
determina un vero e proprio boom
dell'autobiografismo (Castro: 1993), così come
di quel particolare genere, a metà strada tra
autobiografia e narrativa di finzione, definito
autobiografía ficticia
(Soto-Fernández: 1996) o memoria
autobiográfica en forma dialogal (Sobejano:
1979), in cui il vissuto individuale si innesta su
problematiche collettive, quali la crisi ideologica e
la messa in discussione dei codici vigenti. Il romanzo
El cuarto de atrás (1978) della
scrittrice Carmen Martín Gaite - morta
nell'anno 2000 all'età di settantacinque anni -
offre il paradigma di questa narrativa
autoreferenziale, basata sulla rievocazione
dell'esperienza personale come chiave di accesso alla
storia passata, e sull'uso del dialogo come strumento
di indagine interiore. Il romanzo si colloca in una
zona di frontiera tra il patto autobiografico e il
patto narrativo2
in cui la continua mescolanza di realtà e
finzione determina una totale ambiguità, ai
limiti del fantastico: narrato in I persona dalla
protagonista, che condivide con l'autrice numerose
circostanze biografiche3,
il libro racconta anche la propria genesi, legata
all'apparizione di un misterioso visitatore vestito di
nero, che con le sue domande semplici ma puntuali,
mette in moto il flusso di coscienza e l'altalena dei
ricordi. Altro elemento scatenante del processo
retrospettivo è il luogo chiuso, cioè la
casa della scrittrice protagonista, che diventa
emblema della sua geografia interiore.
- Un diffuso autobiografismo,
del resto, impregna tutta l'opera di Carmen
Martín Gaite, in cui è sempre evidente
la volontà di abbattere le barriere tra i
generi: "Carmen Martín Gaite è (...) una
scrittrice che preferisce esprimersi in libertà
fuori dalle convenzioni testuali che hanno
istituzionalizzato da tempo le più azzardate
acrobazie dell'immaginario. È molto meno
originale quando può inventare che
quando deve testimoniare, perché la sua
dissidenza creativa si dispiega soprattutto in
prossimità del già accaduto, di quella
vita vissuta che rende ancor più lacerante la
guerra persa di ogni scrittura" (Pittarello: 1994, 70;
corsivi del testo originale).
- Alcuni dei suoi libri
contengono pagine espressamente autobiografiche, come
il "Bosquejo autobiográfico" scritto nel 1980
su richiesta dell'ispanista americana Joan L.
Brown4
e poi riprodotto nella sezione "Andando el tiempo" del
volume Agua pasada 5,
accompagnato da una nota introduttiva nella quale
Carmen Martín Gaite llustra le circostanze in
cui il pezzo era stato composto: "Como dirigido que
está a público no necesariamente
familiarizado con algunas costumbres y aspectos de la
cultura española, ciertas puntualizaciones o
comentarios pueden aquí resultar innecesarios o
ingenuos" (AP: 11). Consapevole che il momento
dell'enunciazione originaria (l'anno 1980) costituisce
un limite invalicabile per il flusso memoriale, la
scrittrice ammicca al nuovo lettore, suggerendogli una
prospettiva diversa: "En otro orden de cosas, para un
lector que no conozca mi biografía reciente,
donde lea 'soledad' y 'muerte', puede estar seguro de
que mi vivencia de esas dos nociones era aún
bien incompleta" (ibid.). Dietro a queste
parole, si legge il dolore per la perdita della
figlia, morta nel 1985.
- L'uso di introduzioni,
postille e note liminari relative ai percorsi della
scrittura, molto frequente in Carmen Martín
Gaite, crea una cornice autobiografica intorno al
testo. Ad esempio, il romanzo La Reina de las
Nieves è preceduto dal minuzioso resoconto
del percorso compositivo:
-
- Esta novela,
para la que vengo tomando notas desde 1975, ha
tenido un proceso de elaboración lleno de
peripecias. La empecé a escribir "en
serio" en 1979, por primavera, y trabajé
en ella con asiduidad hasta finales de 1984,
sobre todo en otoño de ese año,
durante una estancia larga en Chicago.
Había ido a aquella Universidad como
profesora visitante y me albergaba en el piso
diecisiete de un antiguo hotel, el Blackstone,
que tenía puerta giratoria. La Reina
de las Nieves la asocio siempre con la
fría y desolada visión de aquel
lago inmenso. Creo que en alguna entrevista que
me hicieron por entonces, hablé ya de
este proyecto literario, que consideraba
suficientemente maduro y pensaba rematar a mi
regreso a Madrid. Sin embargo, a partir de enero
de 1985, y por razones que atañen a mi
biografía personal, solamente de pensar
en la Reina de las Nieves se me helaba el
corazón, y enterré aquellos
cuadernos bajo siete estadios de tierra,
creyendo que jamás tendría ganas
de resucitarlos. Pero no fue así
[...]6.
-
- Emerge anche qui la reticenza
dell'autrice riguardo al tragico evento che le ha
segnato l'esistenza, rievocato tuttavia in modo
più esplicito nella dedica iniziale: "Para Hans
Christian Andersen, sin cuya colaboración este
libro nunca se habría escrito. Y en memoria de
mi hija, por el entusiasmo con que alentaba semejante
colaboración". In tutto il frammento emerge
l'attenzione per le circostanze, anche materiali,
della scrittura: riferimenti cronologici al processo
di elaborazione, ma anche dettagli sullo spazio (il
vecchio albergo, il lago ghiacciato visto dalla
finestra) e sugli oggetti che lo rappresentano (i
quaderni sepolti sotto terra). Il cerchio si chiude
nella nota finale, che chiarisce quando e dove si
è conclusa la stesura del libro:
"Terminé de escribir este libro en Madrid, el 1
de mayo de 1994, Festividad del Trabajo".
- Se El cuarto de
atrás è un'autobiografia in forma di
romanzo fantastico, l'autrice amava parlare di
sé anche attraverso altri generi, come si vede
nel saggio Esperando el porvenir - dedicato
alla memoria di Ignacio Aldecoa -, che lei stessa
considerava come una vera e propria autobiografia
letteraria. Il volume ricostruisce le vicende
biografiche comuni a un gruppo di scrittori amici -
tra cui Rafael Sánchez Ferlosio, Luis
Martín-Santos, Jesús Fernández
Santos, Juan Benet, oltre allo stesso Aldecoa -, che
negli anni 50 sperimentano nuove forme letterarie per
rappresentare la cupa realtà di miseria di cui
erano spettatori. Questi giovani autori, riuniti
intorno alla Revista española di Antonio
Rodríguez Moñino, condividono esperienze
decisive, come il fecondo contatto con il romanzo
americano e con il neorealismo cinematografico
italiano, di cui ammirano la predilezione per le
storie antieroiche e i personaggi
indifesi7.
In Esperando el porvenir, la scrittrice
analizza con lucidità il rapporto tra l'io
testimoniale e la storia; prende le distanze dal
vissuto, pur senza rinunciare al proprio punto di
vista privilegiato:
-
- Mi
condición de testigo supone una ventaja,
aunque también un inconveniente. Y
habrá que andar por esa cuerda floja.
Separarme totalmente de todo lo que viví,
borrarme de la historia, no me será
posible, pero sí pretendo - aunque el
desafío resulte difícil - limpiar
de ganga nostálgica todo lo que relate y
comente, no aparecer en la función
más que cuando venga a cuento y hablar de
lo que oí y presencié con la mayor
exactitud posible, sin renegar por eso de los
adornos poéticos que puedan salir al paso
(EP: 15).
-
- La riflessione sull'arte del
raccontare e sul rapporto con la scrittura letteraria
è centrale anche nel saggio El cuento de
nunca acabar (1983), che indaga sulla nascita
dell'istanza narrativa nel bambino; su come avvenga,
attraverso la fiaba, l'ingresso nel castello della
letteratura, e sul profondo legame tra amore e
narrazione.
- La forma autobiografica viene
adottata anche in molti romanzi, nei quali un
personaggio ricostruisce la vicenda a partire da uno o
più nodi di memoria, spinto dal bisogno di
comporre l'identità del proprio
io8.
Nel già citato La Reina de las Nieves,
ad esempio, dopo alcuni capitoli narrati alla terza
persona, il racconto viene preso in carico dal
protagonista il quale, rimasto orfano, rimette insieme
i frammenti del proprio passato, affidando alle pagine
di un diario-autobiografia le scoperte su vicende
familiari che gli erano sempre state
nascoste.
- In Nubosidad variable
(1992), si alternano invece due voci femminili, che
esplorano la propria interiorità attraverso
diverse modalità diaristiche ed epistolari. Il
libro, uno dei romanzi dell'autrice più noti al
pubblico italiano9,
mette a fuoco le problematiche dell'identità
femminile sullo sfondo di un periodo abbastanza ampio
della storia spagnola recente, dai movimenti
studenteschi clandestini degli anni 60 all'ascesa
economica degli anni 80, attraverso il contrappunto di
due vicende emblematiche: quella di Sofía,
madre di famiglia delusa dallo yuppismo del
marito, e quella di Mariana, affermatasi sul piano
professionale ma sfortunata su quello degli affetti.
Il percorso retrospettivo, che parte dall'incontro
casuale tra le due amiche dopo anni di separazione,
poggia sull'epifania della scrittura letteraria come
scoperta dell'io e approda alla scelta consapevole, da
parte di entrambe, della propria
solitudine.
- Queste brevi considerazioni
non esauriscono certo il tema dell'autobiografismo
nell'opera di Carmen Martín Gaite;
benché nessuno dei suoi libri offra
un'impalcatura autobiografica che rispetti tutte le
condizioni del "patto", i riferimenti all'io sono
disseminati un po' dappertutto: un io che non è
mai assertivo e invadente, ma piuttosto dialogico,
dubitativo e attento alla poetica dello spazio
quotidiano. Questo tipo di autobiografismo, che
ostenta un "gusto della verità"10
continuamente smentito dal gioco letterario, ma
proprio per questo illuminante, rifugge anche dalla
puntuale annotazione diaristica: sono piuttosto
infinite tessere di un puzzle che nessun critico si
è ancora assunto il compito di
ricostruire.
- Nel presente lavoro, mi
propongo di illustrare alcuni aspetti del volume
postumo Cuadernos de todo (2002), da me stessa
curato per incarico della sorella della scrittrice, la
quale mi ha affidato i circa ottanta quaderni inediti
in cui Carmen Martín Gaite annotava pagine di
diario, riflessioni personali, resoconti di sogni,
commenti di lettura e progetti letterari. La
denominazione appartiene al lessico famigliare
dell'autrice: sono le parole con cui la figlia Marta,
di cinque anni, dedica alla madre il quaderno che le
regala per il compleanno; sintagma che Martín
Gaite riporta puntualmente su molti dei fascicoli
personali riempiti nel corso del tempo. Molto prima
che questi scritti vedessero la luce in un volume, la
loro esistenza era nota al lettore; in particolare,
nel capitolo de El cuento de nunca acabar
intitolato, per l'appunto, "Mis cuadernos de todo", la
scrittrice ne racconta la nascita e ne chiarisce il
valore emblematico:
-
- A partir de
entonces, todos mis cuadernos posteriores los
fui bautizando con ese mismo título, que
me acogía y resultaba de fiar por no
obligar a nada, a ninguna estructura
preconcebida. De hecho, venciendo una tendencia
al ostracismo que por entonces me apuntaba,
empecé a escribir más y se
configuró en gran medida el tono nuevo de
mis escritos, que derivaron a reflexionar no
sólo sobre la relación que tienen
entre sí todos los asuntos, sino
también sobre el carácter relativo
y provisional de aquello mismo que iba dejando
anotado11.
-
- La volontà di sfumare
i confini tra i "generi", pur senza rifiutarne del
tutto le convenzioni, e quindi senza rinunciare alla
leggibilità del testo, è una costante
della ricerca letteraria dell'autrice; ma
l'eterogeneità dei frammenti non va intesa come
pastiche, bensì come ricerca
dell'autenticità al di là del canone,
come creazione di un nuovo linguaggio che "prende
corpo" attraverso l'osservazione del quotidiano e il
flusso dell'oralità (Pittarello: 1994,
73).
- Il grosso volume dei
Cuadernos de todo, così come viene
offerto oggi al lettore, è frutto della
selezione da me effettuata. In un primo tempo, mi era
parso che l'unico modo per mettere ordine in un
materiale così variegato fosse la scelta
antologica su base tematica; ma la rilettura de El
cuento de nunca acabar mi ha convinta
dell'opportunità di mantenere i quaderni nella
successione capricciosa dei frammenti che li
compongono. Il libro si divide in 36 capitoli che
corrispondono ad alttrettanti quaderni12,
disposti in successione cronologica, quanto meno nelle
linee essenziali, date le frequenti sovrapposizioni
temporali tra quaderni diversi.
- Questo criterio,
apparentemente più "neutro" rispetto
all'opzione antologica, comporta in realtà un
rischio maggiore, cioè quello di applicare un
senso unitario a frammenti dispersi e privi, in
origine, di destinatario. Tuttavia, le frequenti
allusioni della scrittrice ai propri Cuadernos de
todo come luogo primigenio della scrittura
dimostrano che lei stessa li considerava, in qualche
modo, come un'opera a se stante, a cui attingere in
cerca di spunti per saggi e romanzi (molti frammenti
sono stati ripescati e rielaborati nelle opere
pubblicate), ma in qualche modo dotata di una propria
autonomia.
- Le esclusioni
operate13
rispondono, oltre che all'istanza di
leggibilità e alla necessità di scartare
materiali ridondanti (appunti preparatori di saggi
pubblicati, citazioni prive di commenti personali,
schemi, esercizi di inglese, commissioni da svolgere
ecc.) o eccessivamente "sensibili" (ad es.,
riferimenti alla vita privata di altre persone),
all'intento di mettere in evidenza i fili sottili che
saldano tra loro frammenti diversi; d'altra parte, le
ellissi prodotte dai tagli non interrompono il flusso
discorsivo più di quanto avvenisse nei testi
originali, dove sono ricorrenti le interruzioni, le
riprese ma anche gli abbandoni definitivi di temi
lasciati in sospeso. Mi sono comunque proposta
un'assoluta fedeltà al testo, anche quando
l'estrema concisione e l'uso di una sintassi libera,
vicina al colloquiale, ne rende difficile
l'interpretazione; e sottolineo con piacere che, pur
trattandosi di un'opera rivolta al lettore e non solo
allo specialista, anche la casa editrice ha rispettato
la scelta di ridurre al minimo gli interventi di
correzione e normalizzazione14.
- La disposizione cronologica
dei Cuadernos de todo permette di seguirne lo
sviluppo: in una prima fase, i quaderni propongono,
con un tono spesso assertivo e polemico, le
riflessioni di uno spirito inquieto, in cerca di
autonomia; prevale poi una scrittura più
intimista, attenta ai segnali del quotidiano e alla
propria geografia narrativa; segue una tappa
più apertamente diaristica, che raccoglie le
vivide impressioni di numerosi soggiorni negli Stati
Uniti; infine, dopo lo spartiacque del 1985, anno
della morte della figlia, gli ultimi quaderni
contengono, per lo più, appunti e notas
fugaces.
- Naturalmente, manca quella
prospettiva "avvolgente" e illuminante con cui
Martín Gaite, in altri casi, ha cucito insieme
fogli sparsi; credo tuttavia che il libro possa
fornire interessanti spunti di riflessione sulla
scrittura dell'io, intesa come tessuto connettivo tra
l'esperienza vissuta e la creazione letteraria. Nelle
prossime pagine di questo breve intervento,
cercherò di delineare alcuni tratti di questo
personale "genere" autobiografico.
- Nei Cuadernos de todo,
la modalità diaristica prevale su quella
propriamente autobiografica, benché non
manchino riflessioni retrospettive, come vedremo in
seguito. L'autrice esprime un netto rifiuto per il
diario inteso come fedele riflesso della cronologia
reale: "Ya hace años que me barrunté la
falacia de los diarios concebidos como un reflejo
más o menos fiel del encadenamiento temporal
con que se sucedieron los hechos que
registran"15,
ma afferma il bisogno di una scrittura che parta
dall'osservazione del quotidiano, allo scopo di
mettere in ordine le proprie storie, presenti e
passate: "La narración es una exigencia. Si no
cuentas las cosas, forman montoneras. Es como entrar
en un cuarto donde todo está patas arriba y
empezar a doblar historias y meterlas en sus estantes
correspondientes, luego ya se puede respirar y el ocio
de tomar el sol en una butaca es armonioso, no
ácido" (CT: 227). Spetta a chi scrive il
compito di trovare i criteri di selezione:
-
- Los diarios
se escriben siempre para alguien. Se da
importancia a lo cotidiano. Pero hay que
seleccionar, lo importante son las conexiones
significativas. Hay cosas eternas, aunque no las
apuntes y otras que aun apuntadas no son nada.
(...) Con los diarios empiezan los problemas del
cuento de nunca acabar. Poner las fechas en fila
¿no será una falacia? No se
posará y se ordenará a su modo lo
que se vaya a convertir en literatura. Pero lo
que más cuesta al principio es renunciar,
podar, dejar de ser notario de cuanto los ojos
ven (CT: 503-504).
-
- I riferimenti alla cronologia
sono piuttosto regolari; non mancano vere e proprie
pagine di diario, che commentano eventi della
giornata, ma spesso il discorso si sposta altrove,
aprendosi alla creazione letteraria o al commento dei
libri letti, intercalato di tanto in tanto da richiami
alla situazione presente. In questi movimenti
pendolari, si sfumano talvolta i confini del tempo e
ci si accorge, senza sapere esattamente quando sia
avvenuto il passaggio, che è spuntata l'alba di
un nuovo giorno: il che rende difficile la datazione
precisa del materiale, ma offre interessanti spunti di
riflessione sulla temporalità nel testo
letterario.
- È invece molto vicino
all'autobiografia vera e propria un progetto
incompiuto, intitolato Cuenta pendiente, che
Carmen Martín Gaite aveva abbozzato dopo la
morte dei genitori; doveva trattarsi di un discorso
rivolto alla madre, sulla base del materiale raccolto
nei vecchi quaderni, rielaborato secondo la sua
inclinazione più autentica: "Buscar por
ahí, hablarte de mis apuntes. Necesito que
estés tú oyendo, que sea para ti, si no,
no se engrasa el engranaje (...). Es mi rollo, lo de
siempre, pero se ha quedado frío de tanto
decirlo, de tanto gastármelo los de las tesis
doctorales" (CT : 584). La morte della figlia
renderà troppo doloroso questo tipo di
scrittura dell'io, così vicina alle vicende
personali, ma prima di abbandonarla, l'autrice
consegnerà uno splendido capitolo inedito,
intitolato "El otoño de Poughkeepsie" (che nei
Cuadernos de todo corrisponde al numero 35),
scritto negli Stati Uniti durante il lungo soggiorno
presso la Vassar University nell'autunno del 1985. La
forma è quella del diario in libertà,
elaborato a partire da diversi momenti di osservazione
disposti lungo un arco temporale di circa venti giorni
(dal 28 agosto al 21 settembre 1985), con diversi
flash back che riportano al passato prossimo, come la
pagina di diario scritta a Madrid poco prima della
partenza per gli Stati Uniti, ritrovata in un libro e
copiata sul quaderno. L'immediatezza del diario si
combina quindi con la retrospezione caratteristica
dell'autobiografia, mentre lo slittamento del punto di
osservazione rende l'autoanalisi più dinamica,
meno definitiva nelle sue conclusioni, e soggetta ai
mutamenti provocati dall'esperienza.
-
- I
luoghi della scrittura
-
- Quando si scrive, secondo
Carmen Martín Gaite, la cosa più
importante è il senso di orientamento,
perché l'essere umano ha sempre bisogno di
conoscere i limiti dello spazio che lo circonda, per
potersi guardare intorno senza perdere l'equilibrio:
"Y necesitaría también dar noticias de
esos límites, hacer inventario no sólo
de las ideas que, con su abejeo estimulante, le
incitan a contar algo, sino del lugar y el momento en
que surge el estímulo" (CNA: 31).
- Nei Cuadernos de todo
il riferimento allo spazio si esaurisce spesso nella
breve didascalia che accompagna la data, come ad
esempio: "20 de noviembre. En el cuarto de Marta,
haciéndole compañía porque
está mala. After eating" (CT: 271); ma altre
volte, la descrizione dei luoghi della scrittura
è più dettagliata. Si veda il frammento
iniziale de "El otoño de
Poughkeepsie":
-
- A la
habitación encristalada, que tiene dos camas
con colcha roja, se accede por otra mucho
más grande y totalmente vacía con el
suelo cubierto de trapos sobre los que reposan
botes de pintura y una escalera apoyada contra la
pared. La he recorrido varias veces para ir
llevando ropa a los dos armarios como casitas con
estantes que se iluminan tirando de un
cordón a modo de cadena de retrete. (...)
Son las seis de la tarde, veintiocho de agosto y
estoy sola, más sola que lo he estado nunca
en mi vida, rodeada de silencio, de muebles
desconocidos, que se apilan en este cuarto
encristalado del fondo donde voy a dormir durante
varios meses.
- He sacado del
equipaje mis libros y cuadernos y los he colocado
de forma provisional, sin creerme mucho que me
vayan a servir para algo, sin creerme mucho nada de
lo que me pasa ni de lo que veo. Tal vez por eso
mismo necesite apuntarlo. Veo un bosque, estoy
perdida en medio de un bosque. Tal como suena, no
es una metáfora. Me he quedado un rato
tumbada sobre una de las camas de colcha roja,
después de deshacer las maletas, y la
visión de los árboles tupidos y
corpulentos que rodean esta casa se me
imponía como una evidencia falaz e
incomprensible. He encendido una lámpara,
porque empieza a oscurecer. En la habitación
contigua, que es la que está vacía,
no hay luz. Lo que más me fascina es la
habitación vacía. Es lo que siento
más verdad de todo (CT: 611).
-
- La tematizzazione
dell'indicatore spaziale ("a la habitación
encristalada") ne sottolinea la centralità,
come punto di osservazione del mondo e del proprio io,
diaframma tra il fuori (il bosco misterioso) e il
dentro (la "habitación vacía", emblema
del vuoto e del silenzio lasciato nell'animo dalla
morte). Neppure la presenza, di per sé
confortante, dei propri libri e quaderni sembra poter
dare un senso all'ignoto; ma le parole scritte, con la
loro evidenza materiale, iniziano pian piano a
riempire il vuoto ("Tal vez por eso mismo necesite
apunarlo"): la realtà prende forma attraverso
la parola, pronunciata su uno scenario visibile, che
propizia l'autorappresentazione, "esa
fascinación de objetivar el yo y de reconocerlo
otro"16,
anche con l'uso occasionale della III
persona:
-
- Una viajera
con chaqueta a rayas que aterriza sana y salva
en Kennedy Airport y que tiene la suerte de no
haber perdido su equipaje solamente puede
quitarle importancia a sus problemas, incluido
el miedo de no encontrar al amigo que ha
prometido venir a esperarla, si mira con
atención alrededor y se considera
formando parte del movedizo espectáculo
que tantas veces ha contemplado fascinada, pero
sin intervenir, desde una butaca del cine, eso
es lo único que calma, considerarse una
viajera más entre los miles de viajeros
que llegan esa tarde a Nueva York y se dispersan
con el rostro apurado en direcciones contrarias,
rozándose sin conocerse, cada uno atento
a su equipaje y concentrado en sus problemas,
que no tienen por qué ser más
llevaderos que los de la mujer de la chaqueta a
rayas. Y ahora la cámara la enfoca a
ella. Se ha apoyado en la pared, abre el bolso
beige y recuenta sus papeles, no ha perdido
ninguno (CT: 616).
-
- D'altra parte, l'importanza
del setting è anche legata alla natura
dialogica dell'autobiografismo di Carmen Martín
Gaite. Il linguaggio della comunicazione, come la
linguistica dell'enunciazione e la pragmatica hanno
messo in rilievo, dipende in buona misura dai fattori
contestuali, cioè dalla cornice
spazio-temporale in cui avviene lo scambio e dalla sua
funzione sociale, oltre che dalle caratteristiche
individuali e dai rapporti tra gli interlocutori. La
scrittrice salmantina è ben consapevole di
quanto lo spazio sociale possa condizionare il
linguaggio, e ritiene che fornire all'interlocutore
gli elementi contestuali che fanno da cornice ai fatti
narrati sia uno dei requisiti essenziali della buona
narrazione17.
In definitiva, il riferimento alle coordinate
spaziotemporali del discorso, oltre ad assicurare il
senso di orientamento del soggetto, permette una
partecipazione più consapevole del
narratario.
- Un inventario dei luoghi
più frequentemente citati vede in prima
posizione gli spazi chiusi e raccolti, gli stessi che
propiziano il dialogo autentico, come le case o la
biblioteca del madrileno Ateneo, dove la scrittrice
trascorreva molte giornate di studio e lettura: "Y el
Ateneo es como mi casa, sobre todo cuando hay un amigo
cerca" (CT: 482); o i tavolini dei caffè,
mentre era in attesa di qualcuno: "9 de julio. Ocho y
media. En attendant C.S. Café
Gijón" (CT: 375). Ma non sempre la chiusura e
l'isolamento favoriscono la scrittura, che sgorga
invece fluente e spontanea, ad esempio, durante i
viaggi in treno, stimolata dal mutevole spettacolo del
paesaggio visto dal finestrino: "Cuadernos de todo.
Coherencia poética. Para mí no es un
problema esto que me propongo. Es un placer paralelo y
enhebrado (intrincado estrechamente) con el de mirar
ahora mismo el sol sobre la nieve, según nos
acercamos (...) a Cercedilla. Es un pire ir
escribiendo así, enhebrándolo todo en mi
memoria, como un ballet lleno de significaciones,
según escribo" (CT: 402). All'immediatezza
della escritura-tren si contrappone la paralisi dello
scrittore di fronte al foglio bianco, in preda
dell'inerzia: "Tablada. Las cuatro y cinco. Llevo una
hora seguida escribiendo. Y si me pongo a escribir en
Dr. Esquerdo18,
a-llí, en plan de escritora frente al papel, en
una hora no saco nada. Ventaja de escribir en los
trenes" (CT: 403).
-
- Dialogo
con i testi e rilettura
-
- La qualità dialogica
della scrittura di Carmen Martín Gaite si
esplica, all'interno dei Cuadernos de todo,
anche nel commento delle proprie letture. Si va dai
semplici appunti alla vera e propria critica
letteraria19,
ma la modalità più peculiare è
l'appropriazione della parola altrui mediante la
copiatura di frammenti e la citazione amplificata: "me
veo obligada a ver escritas con mi letra en un
cuaderno las frases del libro, cosa que sólo se
parece al placer preparatorio de los collages. Lo hago
verdad, lo hago mío, con sus añadidos y
tachaduras" (CT: 636). Un esercizio che permette un
dialogo autentico con gli autori dei libri letti: "Mis
cuadernos de todo surgieron cuando me vi en la
necesidad de trasladar al papel los diálogos
internos que mantenía con los autores de los
libros que leía, o sea convertir aquella
conversación en sordina en algo que realmente
se produjera. Los libros te disparan a pensar.
Debían tener hojas en blanco entre medias para
que el diálogo se hiciera más vivo" (CT:
264).
- Questo tipo di dialogo
diventa ancor più interessante, dal punto di
vista della scrittura autobiografica, quando ri
rivolge ai quaderni stessi. Carmen Martín Gaite
descrive il piacere prodotto dalla pratica di
ricopiare pagine dimenticate, da utilizzare come punto
di partenza per nuove riflessioni:
-
- Procuraré
no limitarme a copiarlas sino ampliarlas a la
luz de ese nuevo propósito, de ese hilo
que se va poco a poco configurando, y que espero
que las ordenará de alguna manera que
todavía no sospecho. Esto se llama coger
el toro por los cuernos: revisar cuadernos
viejos, llevo mucho tiempo sabiendo que es esto
lo que tengo que hacer, volver al origen, partir
de mis primeros cuadernos de todo, pero no me
atrevía. Es como bajar a la bodega a
explorar los cimientos de la casa y es duro de
pelar; yo últimamente soy más
cobarde que antes para hurgar en las cuestiones,
tengo el ánimo muy quebrantado" (CT:
301).
-
- Si vede qui con chiarezza
come la genesi del testo letterario (il progettato
saggio sull'arte del raccontare che prenderà
forma come Cuento de nunca acabar) sia legata a
un processo retrospettivo (rilettura dei vecchi
quaderni), che comporta uno scavo nel proprio passato
("bajar a la bodega y explorar los cimientos de la
casa"): una forma di autobiografia mediante
l'esplorazione della propria scrittura, rivisitata e
amplificata alla luce delle nuove esperienze e
conoscenze. La collazione tra i frammenti originali e
quelli copiati mette in evidenza come le nuove
riflessioni li abbiano resi quasi
irriconoscibili.
- Resta da chiedersi se il
dialogismo dei Cuadernos de todo, comune a
tutta l'opera di Carmen Martín Gaite, comporti
la presenza di un possibile destinatario, e quindi di
precisi segnali della ricezione all'interno testo. Non
è una domanda di facile risposta, data la
coesistenza di materiali molto eterogenei; certamente,
i Cuadernos de todo come tali non sono stati
scritti pensando a un pubblico specifico, anche se
occasionalmente vengono usati come contenitori
materiali di frammenti destinati già in
partenza alla pubblicazione (capitoli di romanzi,
saggi ecc.). Altre volte si intuisce che i frammenti,
pur possedendo tracce visibili di elaborazione
letteraria, sono ancora in cerca di collocazione (un
articolo, saggio o romanzo dove potrebbero essere
inseriti), e quindi del narratario più idoneo;
ma anche nelle pagine più vicine allo sfogo
personale, si riconosce sempre la volontà di
guardare alla propria vita da una certa distanza,
rappresentandola come se fosse letteratura, con
lo sguardo rivolto verso un interlocutore, inteso
almeno come sdoppiamento dell'io.
-
- Conclusioni
provvisorie
-
- Per la stesura del presente
articolo, ho sperimentato il piacere di leggere i
Cuadernos de todo sfogliando l'elegante volume
illustrato che la casa editrice ha dato alle stampe,
senza più compiere lo sforzo di interpretare
una calligrafia incomprensibile, o di esplorare
minuziosamente le voluminose bozze a caccia di errori.
Ma è venuto il momento di chiudere queste brevi
riflessioni: sono ancora troppo vicina al lavoro
compiuto per poter analizzare il "prodotto" con il
necessario distacco; e d'altra parte, la ricchezza del
testo è tale che sfugge a ogni tentativo di
imbrigliarlo in poche, semplici annotazioni: le
conclusioni saranno quindi, necessariamente,
provvisorie.
- Nella mia lettura, ho cercato
di mettere a fuoco le problematiche relative
all'autobiografia, a partire dagli aspetti già
noti della scrittura dell'io praticata dall'autrice;
da questo punto di vista, si ha l'impressione che i
Cuadernos de todo costituiscano il primo grado
della scrittura letteraria, il momento in cui i dati
desunti dall'osservazione del quotidiano, o dal
contatto con altri testi, vengono assimilati e
tradotti in parole: questo continuo gioco di vedere e
raccontare se stessi da una distanza variabile, con lo
sguardo sempre rivolto verso lo specchio dell'altro,
costituisce senza dubbio uno dei nuclei fondanti
dell'opera di Carmen Martín Gaite.
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