Cultura e Storia

 
Lorenza Acquarone
 
IL SISTEMA GIURIDICO DELL'INDIA DAL DHARMA AL DIRITTO POSITIVO, DALLA GERARCHIA ALL'INDIVIDUO
 

1. La società indiana nella visione di Maine ed il passaggio dallo status al contract
 
Con la formula "dal dharma al diritto: dallo status indiano al contratto inglese"1 si vorrebbe sintetizzare il percorso evolutivo compiuto dal sistema giuridico indiano, sul quale l'impatto del diritto inglese ha giocato un ruolo determinante (Cohn: 1961, 613).
La formula proposta si basa sulla nota espressione utilizzata da Henry Sumner Maine per descrivere il diritto delle società cosiddette primitive, tra le quali l'Autore annovera la società indiana. Secondo Maine le società "progressive", contrapponibili a quelle "statiche", sarebbero caratterizzate da un movimento evolutivo dallo status al contratto: da un ordine sociale fondato sul concetto di gruppo, quale organizzazione che regola i diritti e gli obblighi dei suoi membri, sarebbe emersa gradualmente, in seguito ad una progressiva dissoluzione del sistema, l'idea di contratto, legame fondato sull'accordo tra singoli individui e fonte di diritti e obblighi per gli stessi.
La relazione famiglia-individuo viene descritta da Maine nel modo seguente:
 
Men are regarded and treated, not as individuals, but always as members of a particular group. Everybody is (...) a member of his order - of an aristocracy or a democracy, of an order of patricians and plebeians; or, in those societies which an unhappy fate has afflicted with a special perversion in their course of development, of a caste. Next he is a member of a gens, house, clan; and lastly, he is a member of his family. This last was the narrowest and most personal relation in which he stood; nor parodoxical as it may be seen, was he ever regarded as himself, as a distinct individual. His individuality was swallowed up in his family (Maine: 931, 152).
 
Il progresso delle società, durante il suo corso, è stato caratterizzato dal graduale venir meno della dipendenza dal gruppo e dalla sostituzione della stessa con l'obbligo individuale. L'individuo è così diventato l'unità di riferimento del diritto civile. Il legame tra uomo e uomo che ha sostituito gradualmente i diritti e i doveri derivanti dall'appartenenza al gruppo è il contratto. Nella nuova fase dell'ordine sociale le relazioni originano dal libero accordo tra individui. Utilizzando la parola status nel senso di condizioni personali, possiamo dire che il progresso sociale è stato un movimento dallo status al contratto. Maine identifica, così, la legge del progresso nel manifestarsi dell'individualismo nella storia, processo in cui l'uomo occidentale, "progressivo", avanza verso la perfezione giuridica che consiste nella libertà degli individui di determinare da sé la propria condizione (Feaver: 1969, 53).
Per l'elaborazione di questa teoria, troppo conosciuta per meritare una più ampia esposizione, è stata decisiva l'osservazione della realtà indiana. La situazione ed il materiale indiano cui Maine fa riferimento non riguardano l'India antica, ma l'India della seconda metà dell'Ottocento. Egli afferma, in Village Communities in the East and West - opera successiva alla sua esperienza indiana di membro giuridico del Consiglio del Vicerè, durata dal 1862 al 1869 - che in India ciascun individuo appare schiavo delle consuetudini del gruppo a cui appartiene. Tale impostazione sarebbe caratteristica delle società "primitive" nelle quali esisterebbero costumi ed idee giuridiche che presenterebbero una forte somiglianza con fenomeni conosciuti in Occidente in periodi cronologicamente anteriori2: l'Oriente sarebbe, quindi, pervaso di frammenti di società antica. L'India diventa così, per Maine, il museo vivente nel quale la storia del diritto può essere osservata "at first hand" (Derret: 1959, 40). La distinzione tra passato e presente scompare e osservazione diretta e indagine storica interagiscono, venendo l'una in aiuto dell'altra3.
Per Maine gli occidentali sono troppo inclini a considerarsi esclusivamente figli dell'era del libero scambio: la maggior parte degli elementi costitutivi della società umana è, invece, soprattutto il risultato di un'eredità, di una stratificazione. Alla fine dello stesso saggio l'Autore dichiara, infatti, che dalla civiltà greca4 si sarebbe propagato un principio attivo che avrebbe vivificato tutte le grandi razze "progressive", producendo risultati conformi alle potenzialità latenti in ciascuna di esse. Gli intellettuali inglesi dell'epoca di Maine sentivano di dover assolvere una missione loro assegnata dalla Storia: trasmettere all'India quel principio di "progresso" che essi avevano a loro volta tratto da altre civiltà, convinti che, come afferma lo stesso Maine nel saggio "The Effects of Observation of India on Modern European Thought", esso avrebbe prodotto in India gli stessi effetti straordinari che aveva prodotto in Inghilterra (Cassani: 1990, 150).
Anche l'India si dovrebbe trasformare da società statica in progressiva, da società primitiva in moderna, conformandosi alla legge dell'evoluzione che porta al passaggio dallo status al contract. L'avvento del "progresso", come dice Maine, determinerebbe una radicale trasformazione: la posizione del singolo non sarebbe più ascritta ma scelta liberamente. Il cambiamento sociale connesso alla "rivoluzione" status-contract, infatti, è determinato dall'affermazione dei principi della freedom of movement, della freedom of will e dell'uguaglianza tra le parti interagenti. Queste istanze causano lo smantellamento del dogma dell'immobilità sociale caratteristica della società rurale e patriarcale (Friedmann: 1959, 90 e ss.).
Simbolo visibile dell'introduzione della libertà di scelta è il contratto, che, associato ad altri istituti giuridici, quali la proprietà individuale ed il testamento, rappresenta l'emblema della valorizzazione dell'individuo e della sua liberazione dalla subordinazione al gruppo.
Maine riteneva di cogliere l'essenza della civiltà indiana nella staticità e nello scarso individualismo. Elemento fondamentale per verificare il livello di partecipazione di una società, in una determinata epoca, al paradigma individualista risulta essere la libertà di possedere, contrattare, scambiare e intraprendere iniziative commerciali in libera concorrenza. Ciò comporta l'assenza di appartenenza a vita ad un solo gruppo e quindi la mobilità professionale e sociale (Laurent: 1994, 21).

2. L'interpretazione di Maine considerata da alcuni indologi
 
Le generalizzazioni antropologiche prospettate da Maine possono apparire approssimative e la forte impronta eurocentrica della sua impostazione lo colloca tra gli orientalisti inglesi dell'epoca vittoriana, convinti assertori della superiorità culturale dell'Occidente e della tesi secondo cui gli Europei, mediante la colonizzazione, avrebbero introdotto in Asia la civiltà moderna, "quasi che la civiltà sia un liquido che si possa travasare da un contenitore all'altro" (Borsa: 1977, 10). Numerosi autori riconoscono tuttavia che Maine ha colto l'essenza della civiltà indiana, vedendo le caratteristiche principali della stessa nella staticità e nel debole individualismo.
Concorda, in parte, con la visione dall'etnologo vittoriano un suo contemporaneo, di impostazione ideologica ben diversa: Karl Marx 5. Quest'ultimo riteneva che l'India fosse ferma ad uno stadio preliminare dell'evoluzione e la collocava fuori dalla storia, individuando nella società indiana una componente statica, un ristagno in contrasto con lo sviluppo della società occidentale: questo ristagno sarebbe stato determinato dall'economia "naturale" caratteristica dell'India, contrapposta all'economia mercantile dell'Occidente.
Giuseppe Mazzarella6 (1910: 98-122)7, definisce "geniali" le ricerche di Maine ed afferma che esse portano a credere che, nelle società degli Arii primitivi, l'unità sociale fondamentale fosse la famiglia patriarcale. Mazzarella, come Maine, si è prefisso di determinare le cause e le leggi universali dell'evoluzione del diritto, utilizzando il diritto indiano come sistema tipico di riferimento8. Anche per questo etnologo, come per Maine, l'India è museo vivente della civiltà umana, in quanto ogni stadio dell'evoluzione vi lascia una traccia permanente, indelebile. Sia Maine sia Mazzarella riconoscono che nella società indiana il ruolo di protagonista è affidato al gruppo. Gli acquisti e gli impegni presi si considerano, generalmente, come assunti nell'interesse del gruppo, soggetto esclusivo di diritto. Una progressiva disintegrazione dei gruppi familiari dovuta all'affievolirsi della potestà patriarcale avrebbe portato al riconoscimento graduale della capacità giuridica dell'individuo9.
Il tradizionale rifiuto, insito nella civiltà indiana, del Contract System 10, posto da Maine alla base della sua teoria, viene colto anche da Naipaul, il quale afferma che nell'alto ideale indù della realizzazione di sé non è insita l'idea di un contratto tra uomo e uomo. Secondo questo autore il dharma, ossia il codice etico differenziato in base al gruppo di appartenenza, permea di ingiustizia e crudeltà il sistema sociale indiano, nella misura in cui si oppone al concetto di equità, legittimando la schiavitù. Ecco che il sistema legale importato, ereditato da un'altra civiltà, infondendo l'equità nel sistema sociale, apporta un impulso nell'evoluzione della società indiana (Naipaul: 1977, 69).
Le generalizzazioni antropologiche e la forte impronta eurocentrica11 inducono, comunque, numerosi autori a ritenere tendenziosa e deviata la visione dell'India prospettata da Maine.
Michelgugliemo Torri mette in discussione le formule riduttive e standardizzate che non riconoscono la complessità ed il continuo, profondo mutamento compiuto dalla civiltà indiana nel corso dei secoli. La visione della storia dell'India proposta dagli storici inglesi del periodo coloniale è quella di una società statica, quasi immutabile e nella quale, comunque, il cambiamento era dovuto alle innovazioni apportate dalla conquista coloniale. Secondo l'Autore questo stereotipo, proprio della concezione colonialistica e vetero-orientalista, deve essere ripudiato (Torri: 2000, passim).
Un giudizio in questo senso sembra esprimere Sir Duncan Derret il quale ritiene che quello di Maine sia un approccio "superficiale" e "giornalistico", in quanto l'autore avrebbe esteso le sue generalizzazioni all'India senza ricercare in modo approfondito un riscontro ed una conferma delle sue teorie, attraverso l'utilizzo degli abbondanti materiali disponibili, costituiti dai testi in sanscrito. Derret confuta molte delle conclusioni dell'autore in tema di proprietà e diritto delle successioni. La erronea estensione alla società indiana di alcune teorie sarebbe in parte dovuta, secondo Derret, al fatto che il "museo vivente" di Maine è in realtà fortemente contaminato dall'interpretazione e dalla distorsione che delle regole indigene danno le corti inglesi. Il campione osservato è quindi una sorta di "hybrid monstruosity"12. Derret riconosce tuttavia e fa salvo il particolare valore rispetto all'India della concezione relativa al movimento from Status to Contract. Tale teoria, anche secondo Derret, trova piena giustificazione nel caso della società indiana, dove un soggetto godeva di diritti "esclusivamente in virtù della sua appartenenza ad una comunità o ad una gilda" (Derret: 1959, 40).

 
3. Il ruolo della gerarchia
 
Assolutamente critico dell'approccio di Maine sembra essere Louis Dumont, lo studioso che ha osservato la civiltà indiana ed i relativi valori contrapponendo ad essi l'ideologia moderna, generatasi nel pensiero di Hobbes, Locke e Smith ed espressione dei valori fondamentali della civiltà occidentale.
Dumont afferma infatti che l'Ottocento, nella persona di uno dei suoi rappresentanti più illustri, Sir Henry Sumner Maine, non sarebbe riuscito a capire l'India per non aver saputo riconoscere il principio fondamentale della gerarchia13. Per illustrare il concetto di gerarchia Dumont ricorre all'idea di struttura, come utilizzata dall'antropologia sociale. Il sistema delle caste costituirebbe l'esempio di un universo altamente strutturato nel quale ogni elemento, con i caratteri suoi propri, si contrappone ad altri elementi e ed è soltanto l'altro degli altri, e grazie agli altri assume significato (Dumont: 1991, 126). Nella realtà indiana nulla esiste in quanto isolato: dove il pensiero occidentale vede l'individuo che opera, la visione indiana percepisce solo la totalità. Il sistema delle caste, determinando la specializzazione professionale, evidenzia un'interdipendenza dei vari gruppi sociali che sono ordinati in base all'interazione reciproca. La specializzazione comporta una separazione tra i vari gruppi, ma è finalizzata a soddisfare i bisogni dell'insieme. Gerarchia e divisione del lavoro sono intimamente legate tra loro (Dumont: 1991, 197). Tutto questo implica separazione, vale a dire attribuzione differenziata dei compiti e delle funzioni. In India, la separazione e la gerarchia delle caste hanno senso in quanto la società è fondata sull'interdipendenza dei gruppi (Dumont: 1996, 24): sarebbe proprio questo, secondo Dumont, il fulcro della religione indù. Ciò in quanto il sistema delle caste racchiuderebbe ed esprimerebbe in termini religiosi una divisione del lavoro. La cultura tradizionale indiana risolverebbe in termini religiosi le stesse problematiche che vengono prospettate nella civiltà occidentale in termini economici14.
Nelle società occidentali la divisione del lavoro non deriva a priori da uno status rafforzato dall'elemento religioso, ma il soddisfacimento dei reciproci interessi viene realizzato attraverso lo scambio, cioè la contrattazione15. Dumont rimprovera a Maine di non aver tentato di capire intellettualmente i valori fondamentali della civiltà indiana, essendo troppo influenzato da un'impostazione ottocentesca, permeata di liberismo e liberalismo16, assolutamente individualista: per comprendere l'India è necessario prescindere dai valori e dalle rappresentazioni proprie della società occidentale, ovverosia dell'ideologia moderna. Dumont supera lo schema dal quale Maine non riesce a staccarsi, che condanna l'India alla qualificazione di "società statica", riconoscendo la polarità olismo/individualismo. Olistiche sono le società che valorizzano innanzitutto l'ordine, nel senso della conformità di ogni elemento al suo ruolo nell'insieme, quindi lo status. L'India rappresenterebbe un esempio estremo di questo tipo di società. Sono invece individualistiche le società - come quella occidentale, moderna - che valorizzano innanzitutto l'essere umano individuale, considerando ogni uomo libero ed uguale ad ogni altro (Dumont: 1984, 18 e ss.).
Tornando quindi alla valutazione, per molti aspetti negativa, del pensiero di Maine, Dumont, oltre a riconoscere che la distinzione tra status e contract è uno dei principi fondamentali della sociologia comparata, dichiara che soltanto sulla linea di Maine gli è stato possibile sviluppare le proprie considerazioni (Dumont: 1996, 148): il contrasto olismo/individualismo è infatti il prodotto della distinzione tra status e contratto (Dumont: 1984, 22).
Quando l'India entra in contatto con le forze motrici dello sviluppo moderno e, quindi, con la protesta indignata contro le disuguaglianze sociali fisse, ereditarie, prescritte, derivanti dall'"attribuzione" e non dalla "prestazione" individuale (Dumont: 1984, 107), la gerarchia viene soppiantata.

4. Status e dharma
 
L'organizzazione delle comunità dei villaggi delle popolazioni arie stabilitesi in India, basata sulle categorie sociali, fu perpetuata nel corso dei secoli dalla civiltà indù, che mantenne la struttura di un ordine sociale organizzato in base ad una pluralità di status. Alle diverse categorie di uomini corrispondeva un diverso codice di comportamento, o dharma, articolato in doveri. Ogni uomo, per rimanere inserito nella comunità, doveva adempiere agli obblighi che il suo status gli imponeva. I doveri degli appartenenti alle varie categorie sociali, configurate in quattro stati o varna 17, ovverosia i brahmani, gli kshatriya, i vaishya e gli shudra, si differenziavano a seconda delle qualità primordiali della loro natura, come scritto nel testo sacro della Bhagavadgita. In tale testo Krishna spiega che è preferibile compiere il proprio dovere, anche se in modo imperfetto, piuttosto che il dovere prescritto ad altri, anche se in modo perfetto, ed in senso quasi identico si esprime anche il Manavadharmasastra (Doniger, Smith: 1996, 329). Questo dovere è lo svadharma 18, vale a dire quel complesso di prescrizioni che regolano la vita degli individui - e perciò delle caste - e che rappresentano la manifestazione sociale dell'ordine divino.
Dharma è un concetto vasto19 che, nell'accezione giuridica del vocabolo, esprime la giusta condotta, il giusto agire, differenziato in relazione allo status di appartenenza. Il dharma include vari aspetti del comportamento, in quanto indica tutti gli obblighi che vincolano l'individuo, sia quelli di carattere morale e religioso, sia quelli di carattere giuridico. Tali obblighi dipendono dalla casta, dall'età e dallo stato civile. Il singolo, per essere in armonia con il proprio ruolo e la propria identità nella società, deve rispettare tali prescrizioni. È il dharma a disciplinare l'educazione, a dettare regole in fatto di riti religiosi, di doveri coniugali, di restrizioni riguardanti il consumo di alcuni cibi, di prescrizioni igieniche. Esso esprime la funzione che l'individuo deve avere nella società: attribuisce la professione, il mestiere, e determina l'interazione tra le varie professioni; detta alcune norme concernenti l'amministrazione della giustizia e fissa delle pene per comportamenti illeciti. Solo in parte, tuttavia, questi precetti appaiono suscettibili di esecuzione coattiva20, essendo ad essi spesso connessa una sanzione puramente sociale, come l'espulsione dalla casta.
La connotazione statica della società indiana tradizionale sembra trovare conferma nell'analisi etimologica della parola stessa che ci riporta appunto allo status, all'insieme di obblighi che derivano dall'appartenenza al gruppo più che dalla volontà dell'individuo: la radice dhr significa infatti "mantenere fermo", "sostenere" (Benveniste: 1976, 359) ed è confrontabile, formalmente e semanticamente, col latino firmus, solidus, constans (Bopp: 1930, 89). L'immutabile modello di società e verità, rappresentato dal dharma, mantiene stabile l'ordine universale (rta) e perciò, al suo interno, anche quello sociale21.
Nell'India antica costituiva un aspetto del dharma, inteso nella sua accezione giuridica, anche la disciplina, peraltro piuttosto scarna, concernente il contratto, o meglio i contratti. Essa era fortemente condizionata dal sistema castale: ad esempio, uno dei contratti maggiormente regolati, nella parte di attinenza giuridica dei testi sul dharma, è il mutuo e tali norme concernono per lo più i vaishya, essendo il prestito ad interesse un'occupazione loro riservata.
Ulteriori regole marginali ed integrative sulle obbligazioni sono reperibili negli usi e nelle consuetudini proprie delle corporazioni di mercanti. Questi usi, insieme ad alcune prescrizioni contenute nella letteratura normativa (dharmasutra e dharmasastra), costituiranno fino alla dominazione straniera la struttura portante del diritto indiano concernente istituti assimilabili ai contratti.

 
5. L'affermarsi del concetto di diritto e del contratto
 
Le conseguenze dell'individualismo sono molteplici: esso determina in primo luogo l'affermazione di una nuova idea di ricchezza ed inoltre muta, o forse sarebbe meglio dire introduce, il concetto di diritto. Entrambe le trasformazioni si riflettono sull'istituzione del contratto.
Riguardo al primo effetto, l'individualismo dell'Ottocento porta con sé una nuova concezione della ricchezza che incide sulla configurazione dei rapporti tra gli uomini e dei rapporti tra gli uomini e le cose: nelle società tradizionali, come quella indiana, infatti, i primi prevalgono sui secondi; nelle società moderne, invece, i rapporti fra gli uomini sono subordinati a quelli tra gli uomini e le cose. Questo mutamento emancipa la dimensione economica dalla struttura politica o religiosa.
L'ordine sociale, nell'India tradizionale, era strutturato secondo l'immutabile modello del dharma. A tale ordine sociale era connesso un sistema economico, che si sosteneva prevalentemente attraverso l'agricoltura, nel quale la produzione era rivolta al soddisfacimento diretto dei bisogni dei produttori stessi e solo in misura minima destinata al mercato: gli scambi erano perciò piuttosto ridotti. La maggioranza della popolazione viveva in villaggi isolati che costituivano unità economiche autosufficienti. I contadini coltivavano quanto necessario al sostentamento loro e degli artigiani che svolgevano le loro funzioni nel villaggio; questi ultimi, costituiti da fabbri, falegnami, conciatori di pelle, maestri, orafi e così via, prestavano la loro opera a favore della comunità, non essendo liberi di scegliersi un'occupazione, dovendosi conformare al sistema di diritti e doveri stabiliti dalla consuetudine (Borsa: 1977, 27). In questo contesto, non sorprende che fosse marginale lo spazio d'azione riservato agli scambi commerciali gestiti dalla volontà individuale, i quali comportano il movimento della ricchezza. Nella concezione indiana, in sintonia con la configurazione delle civiltà tradizionali, un generale disprezzo per il commercio e il denaro22 facevano sì che la ricchezza immobiliare23, legata al potere sugli uomini, come del resto avveniva nelle società feudali, fosse quella maggiormente considerata24. La società moderna, diversamente, separando gli aspetti economici dal tessuto sociale, valorizza la ricchezza mobile rispetto alla ricchezza radicata alla terra. Tale valorizzazione corrisponde ad un'affermazione dell'iniziativa personale, riflesso dell'impostazione individualistica della società.
La dominazione inglese introduce in India l'economia mercantile, favorendo l'ascesa del capitale mobiliare. Tale aspetto della ricchezza, importato dall'Occidente, è connesso alla dottrina che attribuisce un ruolo dominante al mercato: il valore che assume lo scambio è conseguenza dell'applicazione del principio individualistico al campo economico-sociale (Dumont: 1993, 34). La particolare considerazione del rapporto tra uomo e cose, caratteristica delle società moderne, comporta, sul piano degli istituti giuridici, la massima valorizzazione del contratto come strumento che consente il conseguimento della proprietà dei beni: il contratto è un'articolazione dell'aspetto "possessivo" dell'individualismo25.
Quanto all'altro effetto dell'individualismo, esso consiste nella fondamentale trasformazione del fenomeno giuridico da concetto etico religioso, prescritto dalle compilazioni sul dharma, in insieme di atti normativi emanati dall'autorità politica, tendenti a garantire la convivenza pacifica, a risolvere le controversie e a definire le libertà di ciascun individuo nei confronti di ogni altro (Miranda: 1987, 137). Il dharma è legato ad un ordine naturale e sociale gerarchizzato, ed è espressione dello stesso; quando a tale ordine subentra l'essere umano particolare, cioè l'individuo nel senso moderno del termine e non vi è più niente di ontologicamente reale se non l'essere particolare, la legge non può che essere la legge positiva, volontà del legislatore rivolta al singolo individuo: positivismo e soggettivismo rappresentano un'espansione, nel diritto, dell'individualismo (Dumont: 1993, 90).
Su tale aspetto, ovverosia sul binomio individualismo - legislazione, le conclusioni cui giunge Dumont sono in sintonia con l'idea di Maine. L'etnologo vittoriano riconosce il valore della legislazione come più avanzato strumento del progresso giuridico. I sistemi giuridici, infatti, superata la fase primitiva, caratterizzata dalla commistione del diritto con la religione, ed esaurita, quindi, la forza espansiva della legge di natura, raggiungono la fase della legislazione, ossia devono intraprendere la via delle riforme ed esprimere in forma sintetica ed organica le regole dell'ordinata e pacifica convivenza civile. In altre parole, una legge generale di evoluzione si osserva nella storia dei sistemi giuridici: il diritto passa dallo stadio religioso-metafisico allo stadio scientifico, positivo26.
Il sistema giuridico indiano conosce gli effetti del positivismo: i colonizzatori introducono in modo armonico e razionale i principi del diritto inglese, peraltro già largamente penetrato in India precedentemente alle codificazioni, rivedendolo allo scopo di migliorarlo, rendendolo sistematico, organizzandolo in codici e corpi normativi suddivisi per settori27. Nella seconda metà dell'Ottocento, anche sulla spinta delle dottrine di Bentham28, il diritto indiano viene in gran parte codificato. Ad una complessiva codificazione del diritto civile è stata di ostacolo l'esistenza dei diritti applicabili su base personale, legati alla comunità religiosa di appartenenza, concernenti i settori del diritto di famiglia e delle successioni, ma anche di questi è stata comunque avviata una redazione sistematica. Sono stati emanati atti legislativi, costituiti da corpi normativi che regolano singole materie, uno dei quali è l'Indian Contract Act del 1872. Tale statute è il prodotto legislativo della concezione classica, astratta, generale del contratto che giunse all'apogeo in Inghilterra nella seconda metà dell'Ottocento, imponendo l'idea di contratto quale pura astrazione formale contrapposta alla teoria atomistica che contemplava solo l'esistenza di molteplici tipi di contratti (Alpa: 1976, 730).
Il contratto, strumento fondamentale del commercio, è l'istituto che esprime il valore della volontà individuale dalla quale soltanto devono scaturire gli obblighi e i diritti. Tale concezione, che perviene ad una compiuta elaborazione nella seconda metà del secolo XIX, contestualmente pertanto alla redazione dell'Indian Contract Act, è fedele espressione delle direttive del laissez faire e dello spirito individualista. Ora, è proprio la seconda metà dell'Ottocento a vedere il momento culminante (Atiyah: 1979, 256 e ss)29 dell'ideologia dell'individualismo, strettamente connessa all'economia liberale dalla quale consegue la massima valorizzazione del contratto come istituto, soprattutto per quanto concerne l'aspetto della libertà contrattuale: in entrambi i modelli teorici - quello del (diritto) del contratto30 e quello dell'economia liberale - le parti sono unità economiche individuali che in teoria godono di completa autonomia decisionale (Gilmore: 1999, 8).

 
6. Il percorso a ritroso "dal contract allo status": ritorno al futuro?
 
La tesi di Maine, indipendentemente dall'affermazione o dalla negazione del suo significato particolare in relazione all'India, è stata acquisita dalla cultura giuridica contemporanea31, che, individuandovi un punto di riferimento, ritiene32 di poter cogliere, nella realtà attuale, segnali di ritorno allo status (Fusaro: 1986, 666).
Il XIX secolo ha rappresentato l'epoca d'oro del contratto e alla base del menzionato Indian Contract Act vi è una concezione che enfatizza l'autonomia privata, cioè l'idea di contratto quale affare riservato alle parti, nel quale gli interventi esterni, del giudice o del legislatore, costituiscono eventi limitati ed eccezionali.
L'Indian Contract Act del 1872 sopravvive, con qualche emendamento, ma la concezione di contratto e l'ideologia, che ne erano alla base, si sono sgretolate a causa delle trasformazioni sociali. Il primo fattore responsabile del mutamento nella funzione e nell'essenza dell'istituto contrattuale può essere individuato nell'affermarsi, nella società industriale, della contrattazione collettiva che ha ridotto decisamente lo spazio riservato ai singoli, sia lavoratori sia datori di lavoro. Il secondo fattore, non limitato alla realtà dei contratti di lavoro, è costituito dalla diffusione, soprattutto relativamente alla fornitura di servizi, di accordi stipulati con l'uso di moduli o formulari (standard contract o contract of adhesion), tipici di una realtà sociale nella quale le parti agenti, non avendo uguale potere contrattuale, non contribuiscono entrambe, attraverso un processo di negoziazione, alla redazione del testo da sottoscrivere, ed, addirittura, una di esse si trova di fronte all'alternativa (puramente fittizia) di aderire o meno. I contratti che stipuliamo costantemente nella vita quotidiana, ad esempio quelli di trasporto o di assicurazione, appartengono a questa tipologia. Il diffondersi delle situazioni in cui la stipulazione di un contratto si risolve nell'imposizione alla controparte di obblighi stabiliti dal contraente "forte", ha costretto i Legislatori a prendere atto del declino del dogma del consenso inteso come assoluta espressione della volontà individuale e a cercare di attuare, attraverso la legislazione del welfare, i principi dell'eguaglianza sostanziale. Si è venuta così consolidando una versione del diritto contrattuale che contempla un'idea di contratto come atto, stipulato dalle parti, ma sottoposto a tutti gli interventi esterni previsti dall'ordinamento in nome dell'attuazione di istanze fondamentali.
I fattori sociali e legislativi cui si è accennato sopra hanno inciso sulla realtà del diritto contrattuale previsto dai sistemi giuridici dei vari Paesi (Friedmann, 1959: 95 e 101) nell'ambito dei quali si può constatare un'erosione della libertà individuale ed un'"istituzionalizzazione" del contratto che ha determinato una sorta di ripristino degli status (Friedmann: 1965, 487-488). In tal senso, si era già espressa nel 1946 una corte inglese chiamata a giudicare sulla validità di alcune condizioni contrattuali stampate sul retro di un biglietto ferroviario; i giudici vedevano nella prassi dei contratti standardizzati un misuse del contratto, determinante l'introduzione di status (Henson v. L.N.E.R. [1946] All E.R. 653).
Il ritorno dal contratto agli status appare una caratteristica di tutti gli ordinamenti giuridici, come se essi "volessero percorrere a ritroso la via intrapresa con l'età dell'illuminismo" (Rescigno: 1973, p. 218): sembra giusto quindi parlare di inversione di tendenza.
Anche in India la public policy ha invaso il terreno dapprima riservato alla sola disciplina contenuta nell'Indian Contract Act. A questa normativa si sono affiancati la complessa ed articolata labour law indiana (per citare solo alcuni degli statute concernenti la materia: il Factories Act del 1948, l'Industrial Dispute Act del 1947 emendato nel 1992, il Workmen's Compensation Act del 1923, il Minimun Wages Act del 1948, il Payment of Bonus Act del 1965, l'Equal Remuneration Act del 1976); l'interesse pubblico ha inciso nei rapporti tra locatori e conduttori, fissando limiti per i canoni di locazione (Control Rent Act, 1958), è stata introdotta una legislazione a tutela dei consumatori, la cui normativa di riferimento è contenuta prevalentemente nel Consumer Protection Act del 1986. Questi settori dell'ordinamento, sviluppatisi nell'ultimo secolo, conferiscono nuovamente cittadinanza ad uno status (Friedmann: 1959, 488 e Alpa: 1993, passim) quello di "lavoratore", "consumatore", "conduttore"33.
L'uso del concetto di status non è scomparso nel corso dell'evoluzione dei sistemi giuridici e tende a riaffiorare; nel diritto privato, esso è associato o ai rapporti familiari (status di figlio, di coniuge) o all'attività economica esercitata (status di lavoratore, di imprenditore, di professionista). Proprio l'accostamento alla famiglia o all'attività indicherebbe l'origine antica del concetto che attinge da un sistema tribale o castale (Alpa: 1993, 4).
Senza inoltrarsi nella problematica attinente alla moderna accezione di status, aderendo all'esigenza di considerare punto di partenza il contenuto normativo, si ritiene tale quella condizione espressiva della particolare posizione giuridica, assunta da un soggetto nell'ordinamento, correlata ad una disciplina per lui predisposta dalla legge in forza della sua appartenenza ad un gruppo (Criscuoli: 1984, 204).
Ciò sembra permetterci di dare per acquisito il concetto per cui il diritto del lavoro e dei consumatori34 postulerebbero un riconoscimento di condizioni personali qualificabili come status: ci si potrebbe domandare se questa nuova nozione di status trascenda l'individuo e miri al perseguimento dell'interesse del gruppo, prevalente rispetto all'interesse del singolo, oppure se il rilievo dello status sia un mezzo giuridico volto al perseguimento di un interesse dell'individuo, emergente in relazione alla sua qualità di membro aggregato35. Soltanto nella prima ipotesi si realizzerebbe infatti il "tradimento" dell'individualismo e, quindi, una vera e propria "deviazione" dalla legge formulata da Maine per spiegare l'evoluzione delle società.
Gli status che riemergono, comunque, non sono solo quelli che provengono dai settori della Consumer protection e della Labour Law, o, comunque, nell'ambito del diritto privato. La "vocazione" del diritto indiano per gli status è risultata evidente in sede di costituente: alcuni articoli della parte III della Costituzione, dedicata ai diritti fondamentali dell'individuo, sanciscono il principio dell'eguaglianza, proibendo ogni discriminazione basata sulla religione, sulla razza, sulla casta, sul sesso e sul luogo di nascita, per poi, tuttavia, in nome dell'eguaglianza sostanziale, riconoscere lo status di backward class e scheduled caste, consentendo allo Stato di introdurre una legislazione per agevolare l'istruzione delle stesse o per assicurar loro un certo numero di posti di lavoro (anche a scapito degli altri gruppi sociali, non ritenuti bisognosi di protezione).
Il revival dello status che determina un "novello cammino a ritroso" (Criscuoli: 1984, 170) è determinato dalla preoccupazione di trovare nella identificazione del singolo con il gruppo una tutela più efficace di quelle istanze che non otterrebbero protezione se il singolo fosse lasciato interagire soltanto con il suo potere decisionale, ovverosia con lo strumento del contratto.
La nozione di status che affiora nel diritto indiano contemporaneo differisce da quella considerata da Maine, in quanto lo status riproposto dal legislatore di oggi non esprime una situazione di incapacità e privazione, ma, al contrario, tende all'attuazione di finalità qualificate come superiori e quindi sottratte alla volontà dei singoli. Lo status diviene strumento per esprimere un valore positivo36.
La ratio che porta all'utilizzazione degli status sembra, in ultima analisi, non un interesse superiore della collettività, ma proprio la tutela della persona, cioè dell'individuo. La legge evolutiva di Maine non sarebbe, quindi, contraddetta dall'apparente ritorno al futuro che si attua nel movimento dal contract allo status.
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