Cultura e Storia

 
Alessandra Aresu
 
ALLA SCOPERTA DEGLI STUDI CULTURALI IN CINA
 
 

In Cina lo sviluppo degli studi culturali, secondo il significato che ad essi viene attribuito in Occidente1, è fenomeno assai recente e quindi di non facile analisi; inoltre all'interno del paese non esistono università che accolgano questo tipo di studi in un dipartimento a essi dedicato. Per individuare gli ambienti in cui gli studi culturali si sono recentemente sviluppati e le loro peculiarità è stato quindi necessario condurre una ricerca sul campo2 che mi ha permesso di individuare i centri di ricerca e gli intellettuali che negli ultimi anni si sono avvicinati a questi studi, e analizzare le pubblicazioni più significative sull'argomento. In questo modo è stato possibile muovere i primi passi verso la scoperta di un'affascinante ed inesplorata realtà della quale in Italia si conosce ben poco.
Data la vastità della materia, ho deciso di restringere il campo della mia ricerca e di concentrare l'attenzione sulla recente realtà accademica cinese, la quale presenta alcune particolarità che è bene chiarire. Storicamente la tassonomia in uso nei paesi occidentali e quella cinese erano molto diverse. Quest'ultima non prevedeva l'esistenza degli studi umanistici nel senso occidentale del termine e non contemplava alcuna distinzione tra gli studi umanistici e gli studi scientifici3. Conseguentemente, all'interno delle università la storia e la filosofia intese nel senso moderno del termine non esistevano ed erano considerate genericamente "scienza". La Cina ha gradualmente adottato la tassonomia occidentale nel corso del ventesimo secolo. Tale cambiamento ha, secondo gli esperti, "ristrutturato la conoscenza cinese" (Miller: 1995) dando vita ai moderni dipartimenti di lingua e letteratura, storia, filosofia e sociologia, all'interno dei quali, data l'interdisciplinarità della materia, ho ricercato le origini degli studi culturali in Cina.
In principio, ero certa che la mia assidua presenza4 presso il Dipartimento di Sociologia dell'Università del Popolo di Pechino (Zhongguo renmin daxue) mi avrebbe facilitato il compito ma non è stato così. Nonostante il grande interesse che studenti e insegnanti inequivocabilmente dimostrano nei confronti delle opere di autori stranieri (primo fra tutti Foucault), gli ambienti della sociologia, dell'antropologia e degli studi di genere non si possono considerare la culla degli studi culturali in Cina, le cui radici, secondo il Prof. Huang Zhuoyue5, docente dell'Università di Lingua e Cultura di Pechino (Beijing yuyan wenhua daxue), sono invece da rintracciare nell'ambiente della capitale, tra coloro che si dedicano agli studi linguistici e letterari. Egli afferma che in Cina la sociologia e l'antropologia sono discipline troppo giovani per poter rappresentare un terreno fertile per gli studi culturali che invece trovano ampio spazio nei dipartimenti di lingua e letteratura di alcune delle grandi università del paese. Infine, aggiunge il prof. Huang, tra gli intellettuali cinesi l'interesse per gli studi culturali è in grande crescita, e le opere di autori stranieri come Derrida, Bourdieu, Said e Foucault, ormai disponibili anche in lingua cinese, affollano le biblioteche private di molti di loro. A questo proposito è bene sottolineare che nella Repubblica popolare cinese l'accesso degli intellettuali alle opere di autori stranieri contemporanei è stato possibile solo dagli anni ottanta in avanti, quando il paese, dopo circa trenta anni di forte chiusura6, si è gradualmente aperto all'Occidente.

 
I centri di studio, gli esperti e le pubblicazioni più significative.
 
L'interesse per gli studi culturali in Cina sembra concentrarsi per lo più negli atenei della capitale. Uno dei più famosi centri di studio è l'Istituto di Letteratura Comparata e Studi Culturali dell'Università di Lingua e Cultura di Pechino (Beijing yuyan wenhua daxue bijiao wenxue yanjiusuo jianjie). Si tratta di un istituto di ricerca interdisciplinare che dal 1998 si contraddistingue per gli studi di critica comparata, teoria della letteratura e letteratura comparata cinese e straniera; spiccano tra i vari progetti in corso quelli sullo studio e sulla promozione della cultura cinese in Occidente, sulla teoria postmoderna e sul fenomeno della globalizzazione. L'Istituto provvede inoltre alla traduzione in lingua cinese della rivista americana New Literary History (Xinwenxue shi)7 e alla pubblicazione di varie collane di libri tra le quali Collana sulla Letteratura Postmoderna (Houxiandaizhuiyi jingdian congshu) e Collana sulla Cultura Cinese in Occidente (Zhongguo wenhua zai xifang congshu).
Di più recente fondazione è il Centro per gli Studi di Teoria della Letteratura dell'Università Normale di Pechino (Beijing shifan daxue wenyixue yanjiu zhongxin jianjie), sorto nel gennaio 2000 e diretto dal Prof. Tong Qingbing. A poco più di un anno dalla sua inaugurazione, il Centro ha organizzato, in collaborazione con altre università del paese8, una conferenza internazionale intitolata "Cultura, letteratura e genere umano in un contesto di globalizzazione" (Quanqiuhua yujing zhong de wenhua, wenxue yu ren). Per l'occasione studiosi cinesi ed esperti di tutto il mondo9 si sono incontrati a Pechino per discutere il tema della globalizzazione e il suo possibile impatto sulla cultura intesa nel senso più ampio del termine, riflettendo sul significato di modernismo, postmodernismo, colonialismo e postcolonialismo, e focalizzando l'attenzione sulla cultura cinese e sul ruolo che essa svolge e potrà svolgere in un contesto di globalizzazione10.
Vi è poi l'Istituto di Letteratura dell'Accademia delle Scienze Sociali (Zhongguo shehui kexue yuan), rinomato soprattutto perché accoglie tra i suoi esperti alcuni studiosi cinesi di fama internazionale quali il Prof. Wang Hui e il Prof. Wang Fengzhen. Il primo, noto nell'ambiente degli studi culturali per i suoi scritti sul tema della modernizzazione, è membro del comitato di redazione della rivista australiana Postcolonial Studies 11 e direttore sin dal 1996 di Leggere (Dushu), prestigioso mensile di critica letteraria pubblicato dalla Casa Editrice delle Tre Unioni (Sanlian chubanshe). Quest'ultima è una rivista di grande apertura intellettuale12 che, fin dalla sua fondazione nel 1979, accoglie e promuove nuove idee e dibattiti tra gli intellettuali cinesi. Dalla fine degli anni ottanta in avanti la rivista ha ospitato numerose recensioni dei classici del pensiero moderno che hanno attratto l'attenzione di studenti e studiosi cinesi i quali si sono così appassionati alla filosofia, alla teoria sociale e al pensiero economico occidentale. Il Prof. Wang Fengzhen ha invece collaborato alla traduzione in lingua cinese delle opere di alcuni famosi teorici occidentali13 ed è co-editore con il Prof. Xie Shaobo14 del volume in inglese Dialogues on Cultural Studies: Interviews with Contemporary Critic 15, una raccolta di interviste con alcuni dei più noti critici e teorici americani, tra i quali Arif Dirlik, Fredric Jameson16 e J. Hillis Miller. Il volume affronta varie tematiche, come gli studi culturali, il materialismo culturale, la teoria marxista, il modernismo, il postmodernismo, il postcolonialismo e la globalizzazione.
Un grande interesse verso gli studi culturali è stato recentemente dimostrato anche da alcune università che per decenni si sono occupate quasi esclusivamente di ricerca tecnico-scientifica. È il caso dell'Università Qinghua (Qinghua daxue), una delle più rinomate università del paese, che oggi sembra voler dedicare sempre più attenzione agli studi culturali partendo proprio dall'ampliamento degli studi sulla letteratura comparata. Tra gli esperti dell'Università Qinghua emerge il nome del Prof. Wang Ning, docente del Dipartimento di Lingue Straniere e ex-direttore dell'Istituto di Letteratura Comparata e Studi Culturali dell'Università di Lingua e Cultura di Pechino.
Un altro centro degno di menzione è l'Istituto di Cinese dell'Università Normale della Capitale (Zhongwenxi, Shoudu shifan daxue), presso il quale insegna il Prof. Tao Dongfeng17, autore del volume Gli studi culturali: l'Occidente e la Cina (Wenhua yanjiu: xifang yu Zhongguo)18 e co-editore della rivista cinese Studi Culturali (Wenhua yanjiu). La rivista, pubblicata dalla Casa Editrice dell'Accademia delle Scienze Sociali di Tianjin (Tianjin shehui kexue yuan chubanshe) dal giugno 2000, accoglie i contributi di autori di fama internazionale, cinesi e stranieri. Wenhua yanjiu è disponibile anche online sul sito internet in lingua cinese www.culstudies.com. Di recente ideazione, questo sito presenta una cospicua varietà di informazioni sugli studi culturali in Cina. Oltre a fornire le schede di presentazione di molti degli esperti cinesi, esso segnala alcuni collegamenti a siti stranieri in lingua inglese sugli studi culturali19, una bacheca con le più recenti pubblicazioni cinesi e le rispettive recensioni. Wenhua yanjiu non è l'unica rivista che si occupa di studi culturali in Cina. È bene ricordare inoltre Dialogo Transculturale (Wenhua duihua) la cui edizione è curata dal Prof. Yue Daiyun dell'Università di Pechino (Beijing daxue) e dal Prof. Alain le Pichon, dell'Università Cergy-Pontoise. Il comitato accademico della rivista accoglie esperti cinesi ed europei, tra i quali spicca il nome del Prof. Umberto Eco. Il primo numero della rivista, che risale alla fine dell'anno 2000, è stato pubblicato sia in cinese sia in francese grazie alla collaborazione della rivista Alliage 20.

I dibattiti
 
Dall'analisi condotta negli ultimi mesi non sembra emergere l'esistenza di una "scuola cinese" per gli studi culturali né la presenza di una produzione teorica davvero autonoma, poiché gli intellettuali cinesi sembrano concentrare l'attenzione sullo studio delle opere dei teorici occidentali. In Cina come in Occidente gli argomenti di dibattito più ricorrenti sono la globalizzazione e il suo possibile impatto sulla cultura. Gli esperti cinesi dedicano inoltre grande attenzione al ruolo della cultura cinese in un contesto di globalizzazione e alla sua diffusione nel resto del mondo.
Gli intellettuali cinesi sembrano essersi avvicinati per la prima volta al concetto di globalizzazione21 nella seconda metà degli anni novanta, periodo a cui risalgono anche i primi scritti cinesi sull'argomento. La conferma ci viene dal Prof. Wang Ning il quale afferma che in Cina l'argomento "globalizzazione" è ormai di gran moda tra gli accademici e gli intellettuali che si occupano di studi culturali (Wang, N.: 2000). Chi è a favore della globalizzazione, dichiara con espressioni di estremo ottimismo che quest'ultima è sinonimo di progresso e rappresenta l'unica via percorribile per porre fine all'arretratezza di alcuni stati, tra i quali la Cina. Altri la condannano perché la considerano un'espressione della tattica egemonica dei paesi imperialisti nei confronti dei paesi più deboli22. Una terza posizione, peculiare della realtà cinese, è quella di chi preferisce mantenersi neutrale e dichiarare in tono altisonante e un po' retró che la Cina non ha nulla da temere perché il sistema politico e l'ideologia cinese non sono influenzati da questo fenomeno e mai lo saranno (Yang, S.: 2001).
A favore o contro la globalizzazione, anche gli intellettuali cinesi come i loro colleghi in Occidente si domandano se non sarà proprio la cultura a pagare le spese di tanto progresso, ed in particolare che impatto la globalizzazione potrà avere sulla letteratura e la critica letteraria. Su questo argomento, la posizione del Prof. Tong Qingbing appare piuttosto aggressiva. Egli guarda positivamente alla globalizzazione e solleva una critica nei confronti del pessimismo di molti studiosi occidentali, ed in particolare di J.Hillis Miller, che vede letteratura e filosofia come le prime vittime della globalizzazione in ambito culturale. La letteratura, afferma con decisione Tong Qingbing, non è destinata a scomparire ma a mutarsi perché non è altro che l'espressione dei sentimenti e delle emozioni del genere umano (Tong: 2001).
Tuttavia, letteratura e filosofia non sono, agli occhi degli esperti, le uniche potenziali vittime della globalizzazione. Infatti molti studiosi dei paesi in via di sviluppo, tra i quali alcuni cinesi, temono la globalizzazione perché imputano a quest'ultima la scomparsa delle culture più deboli, schiacciate da quelle dominanti che, grazie alla globalizzazione, divengono sempre più forti. Il Prof. Wang Ning e il Prof. Yue Daiyun smentiscono fermamente questa tesi e si dichiarano fiduciosi ed ottimisti, ricorrendo talvolta ad espressioni che rievocano i toni propagandistici di qualche anno fa. Questi esperti guardano alla globalizzazione in modo originale definendola "la forza positiva" che ha favorito la fine del colonialismo e l'inizio del periodo postcoloniale, e che ha permesso alle colonie di conquistare così l'indipendenza politica, di ricercare la loro identità nazionale e di riscoprire il valore delle loro culture di origine. (Wang: 2001; Yue: 2001). Il Prof. Yue Daiyun aggiunge inoltre che l'esistenza di una pluralità di culture è evidentemente un fatto storico che non può essere messo in pericolo dal processo di globalizzazione. In passato, sottolinea il professore, le culture si sono sempre rinnovate o semplicemente hanno subito una selezione, senza mai ridursi ad una sola (Yue: 2001). Dalle parole del Prof. Yue traspare inoltre un forte desiderio di contatto e comunicazione con le realtà occidentali che sembra accomunare molti degli intellettuali cinesi di questo periodo. Egli condanna infatti la condizione di isolamento che, a suo parere, molti paesi creano allo scopo di difendere le proprie culture; isolamento che spesso si trasforma in una delle cause di scomparsa delle culture stesse.
Nel quadro di questo dibattito emerge un'altra particolarità della realtà cinese. Nonostante la Cina vanti una lunga tradizione culturale autonoma, la letteratura cinese moderna è, secondo gli esperti, ampiamente influenzata dalle opere occidentali dell'inizio del ventesimo secolo che sono state tradotte in lingua cinese dagli intellettuali di quel periodo23. Oggi i letterati cinesi guardano al passato con rammarico e affermano che la cultura cinese ha subito una vera e propria "colonizzazione" che ha provocato una crisi di identità in ambito letterario ancora oggi irrisolta. Quest'ultima, secondo gli intellettuali, può trovare soluzione solo attraverso il rafforzamento della cultura cinese e la produzione di una più autonoma letteratura e teoria delle letteratura. Gli esperti si trovano tuttavia in disaccordo sulle modalità per raggiungere tali obiettivi, sostenendo alcuni la via del modernismo ed altri la via del postmodernismo. È questo un dibattito che sembra trovare i suoi primi germogli nella seconda metà degli anni ottanta, quando Fredric Jameson introdusse per la prima volta questi due concetti in una serie di conferenze tenute all'Università di Pechino (Beijing daxue) i cui atti vennero pubblicati nel 1986 in un volume intitolato Teoria culturale e postmodernismo 24. Il Prof. Qian Zhongwen25 ad esempio, sceglie fermamente la via del modernismo perché, secondo lui, in Cina la fase di modernizzazione è ancora in corso e la via del postmodernismo risulterebbe dunque prematura e inadatta. Altri invece mantengono una posizione più elastica e realistica, affermando che in Cina modernismo e postmodernismo sono destinati ad una lunga convivenza (Qian: 2001).
Un altro obiettivo di primaria importanza per gli intellettuali cinesi è quello della diffusione della cultura cinese nel mondo. Gli studiosi, utilizzando una terminologia a volte simile a quella di propaganda, incoraggiano la diffusione di una cultura cinese forte e solida in grado di partecipare attivamente alla crescita e allo sviluppo della cultura nel senso più globale del termine e lamentano uno scambio tra l'Occidente e la Cina molto sbilanciato che vede quest'ultima assorbire dal resto del mondo molto più di quanto non riesca a offrire (Hu: 2001; Wang: 2001). A questo proposito, il Prof. Li Junping , docente del Dipartimento di Lingua e Letteratura Cinese dell'Università Normale dello Zhanjiang (Zhanjiang shifan xueyuan), ha individuato due "barriere psicologiche" (xinli zhang'ai) che spiegherebbero la scarsa diffusione della cultura cinese all'estero. La prima è denominata Tian chao daguo (letter.: Paese forte per mandato del cielo) e consiste in una eccessiva autostima che talvolta caratterizza i paesi forti. Essi ritengono di non aver alcun bisogno di esportare la loro cultura che può essere appresa dallo straniero solo se quest'ultimo si reca nel paese in pellegrinaggio. La seconda, Chuchu buru ren (letter.: Sempre inferiore ad altri) consiste in un complesso di inferiorità che caratterizza i paesi più deboli. Questi ultimi ritengono che la loro cultura non sia degna di venir esportata all'estero e quindi non si adoperano mai in questa direzione. Li Junping ritiene che tali barriere possano aver ostacolato la diffusione della cultura cinese in diversi momenti storici e considera il superamento di tali barriere indispensabile per accelerare la diffusione della cultura cinese e permetterle di assumere così un ruolo attivo nel processo di globalizzazione (Li: 2001).
Tornando alla percezione che i letterati cinesi hanno del loro rapporto con l'Occidente e la sua cultura, alcuni esperti affermano con tono di rimprovero che gli intellettuali cinesi hanno bisogno di acquisire una maggiore comprensione critica dell'Occidente. Secondo Yang Naiqiao26 alcuni studiosi fanno riferimento a teorie occidentali che non comprendono fino in fondo e che si rivelano in definitiva inadatte alla realtà cinese. Gli intellettuali cinesi non avrebbero ad esempio alcuna esperienza nel comprendere ed analizzare le concezioni religiose, elementi fondamentali in alcune opere occidentali. È per questo motivo, sottolinea Yang, che molti studiosi non sono in grado di cogliere il carattere islamico del concetto di Orientalismo di Edward W. Said, introdotto tra gli intellettuali cinesi nel 1995 da Zhang Kuan, uno studente d'oltremare che ha pubblicato alcuni articoli sull'argomento sulla rivista Dushu. L'inesperienza degli intellettuali cinesi in questo ambito, continua il professore, non può che influire negativamente sull'analisi, la comprensione e la traduzione dei discorsi di critica postcoloniale dell'autore (Yang, N.:2001). Altri esperti asseriscono che gli intellettuali cinesi continuano ad assorbire informazioni dall'Occidente in maniera "cieca", come dei must sempre positivi e validi. Ad esempio il Prof. Tao Dongfeng incoraggia gli intellettuali ad applicare le teorie occidentali in maniera critica e attenta. Egli si riferisce in particolare alla critica della cultura di massa prodotta dagli studiosi cinesi negli anni novanta, che rivelerebbe un uso continuo ed inappropriato delle teorie della Scuola di Francoforte, in particolare quella del pensiero di Theodor Adorno riguardante l'industria culturale. Sfortunatamente, egli aggiunge, le teorie critiche di questa scuola sono state spesso applicate per descrivere ed analizzare la cultura cinese di massa in modo meccanico e senza domandarsi se fossero adatte a descrivere la realtà cinese oppure no (Tao: 2001).
Yang e Tao incoraggiano gli intellettuali cinesi ad un radicale cambiamento senza però fornire alcun dettaglio sulle motivazioni che avrebbero impedito ai letterati di acquisire una maggiore comprensione critica delle teorie occidentali. Questo aspetto del problema appare assai significativo e merita dunque una riflessione. Dalle testimonianze raccolte, emerge l'estremo interesse che i letterati nutrono verso le opere occidentali; avidi di conoscenza, gli intellettuali divorano le opere che finalmente, dopo tanta attesa, sono anche a loro disposizione. Alcune sono ormai datate ma appaiono pur sempre nuove agli occhi dei letterati cinesi di oggi che ricordiamo, si sono formati in una realtà accademica e sociale ancora caratterizzata da una limitata comunicazione con il resto del mondo. Questo percorso di comprensione critica dell'Occidente moderno dura da poco meno di venti anni, un periodo forse troppo breve per apprendere le teorie occidentali e al contempo analizzarle in maniera critica ed applicarle in modo originale alla realtà cinese. Il tempo e l'esperienza non potranno che migliorare le abilità critiche degli intellettuali cinesi anche in questo ambito di studi.

Conclusioni
 
Dalle informazioni raccolte è possibile certamente concludere che negli ultimi anni, in Cina come nel resto del mondo, si assiste a una rapida diffusione degli studi culturali. Tuttavia, il loro sviluppo rimane per molti aspetti frammentario e i punti interrogativi che ancora attendono risposta sono molti. I dipartimenti di lingua e letteratura delle università cinesi rappresentano l'unico ambiente che ha effettivamente accolto gli studi culturali o ne esistono degli altri? A quali scoperte potrebbe portare una ricerca condotta in ambienti non accademici? Perché gli intellettuali cinesi dedicano maggiore attenzione allo sviluppo degli studi culturali in America e meno attenzione a quelli europei? Fino a che punto hanno colto le differenze? Questi sono solo alcuni dei quesiti che non hanno ancora trovato risposta, anche a causa delle difficoltà incontrate nel reperire le informazioni sull'argomento. Maggiori dettagli, per un'analisi più approfondita della materia, sono disponibili solo in Cina o difficilmente reperibili all'estero. Possiamo quindi considerare l'analisi svolta fino ad ora solo un'introduzione, a cui potrà far seguito un approfondimento nei prossimi mesi.
Vai alla Bibliografia