- Letteratura
Paolo Dondossola
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- FANTASCIENZA
E LIBERTÀ
- GLI
ARCHETIPI LETTERARI E IL VALORE DELLA
DIVERSITÀ*
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- La fantascienza è una
modalità di indagine per conoscere gli esseri
umani, sebbene sia stata spesso considerata soltanto
un genere letterario "popolare", quasi che la sua
commerciabilità fosse necessariamente sinonimo
di banalità. Questo era indubbiamente vero tra
la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, quando,
fatta eccezione per due dei fondatori di questo genere
- Jules Verne e Herbert George Wells - la maggior
parte di ciò che veniva pubblicato era
narrativa di mediocre fattura, scritta ad uso e
consumo di chi preferiva letture disimpegnate e
fantastiche rispetto alla più "nobile"
letteratura realistica.
- Ma le cose cambiarono grazie
a Hugo Gernsback e John W. Campbell Jr., che hanno
influenzato la fantascienza americana (e, di
conseguenza, mondiale) più di ogni altro,
attorno ai quali si coagulò nel corso del tempo
- ma specialmente dopo la metà degli anni
Trenta, quando si affermò la Golden Age
- una nutrita schiera di giovani scrittori del calibro
di Isaac Asimov, Ray Bradbury, Robert Heinlein e
Theodore Sturgeon1.
- La science fiction
cominciò così ad uscire dal "ghetto" dei
pulp magazines, acquisendo dignità
letteraria e affermandosi come un genere in grado di
analizzare - prima da un punto di vista scientifico,
poi sotto il profilo sociologico e psicologico - gli
enormi cambiamenti sociali apportati dalla scienza e
dalla tecnologia, riallacciandosi così alla
tradizione utopistico-distopica che, da Platone a
Orwell, si era sempre posta il problema di immaginare
possibili "mondi" alternativi per comprendere meglio
il proprio.
- La fantascienza non è
semplice "paraletteratura" (Suvin: 1979, 3), ma tratta
i grandi temi della vita, come la fede, l'etica, il
rapporto tra gli esseri umani e le istituzioni, per
mezzo di una profonda analisi - talvolta politica,
più spesso metaforica - della società in
cui viviamo. In breve, è possibile affermare
che la science fiction sia il genere letterario che
decanta il valore della libertà in ogni sua
forma e sostanza.
- Alcuni ritengono che gli
elementi tipici della fantascienza siano
rintracciabili fin dall'antichità (Suvin: 1993,
788-792); altri, invece, accostano questo genere
letterario al romanzo poliziesco, per via della comune
discendenza dal "romanzo nero", o gothic, un
sottoprodotto popolare della rivoluzione romantica
(Solmi: 1978, 55); altri, ancora, sostengono che tutta
la letteratura, dalla Bibbia in poi, presenti
determinate tematiche che, per un verso o per l'altro,
rientrerebbero nella science fiction. Ma ci
sono anche autori che denunciano questa pratica
acritica che tende a non tenere conto
dell'originalità dei temi trattati dalla
fantacienza (Kornbluth: 1964); tali critiche
considerano la SF una forma moderna di letteratura non
riconducibile al passato (Scholes e Rabkin: 1979, 13).
Essa appare come un elemento caratteristico
dell'età contemporanea in grado di rivelare le
tendenze del momento, ma anche di inglobare e rendere
evidente la maggior parte delle "costanti epocali"
(Dorfles: 1965, 208) presenti in ogni società.
Ciò nonostante, la science fiction
presenta elementi comuni con l'utopia positiva del
passato, e ancor di più con la distopia del XIX
e XX secolo.
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- La storia
della fantascienza è anche la storia di
come l'umanità ha cambiato atteggiamento
di fronte allo spazio e al tempo. È la
storia del progresso della nostra comprensione
dell'universo e della posizione nell'universo
della nostra specie (Scholes e Rabkin: 1979,
9).
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- La specificità della
fantascienza risiede nel fatto che, allargando i
confini spazio-temporali, permette di passare dalla
conoscenza dell'individuo a quella dell'umanità
nel suo complesso, scandagliando le meraviglie e gli
orrori della società, nel tentativo di
comprendere il genere umano. Di questo avviso è
il critico Darko Suvin:
-
- La posizione
di chi scrive è che la fantascienza sia
la forma letteraria dello "straniamento
cognitivo" e che debbano essere accettati come
primi esempi di fantascienza non solo tutta la
narrativa utopistica e gran parte dei voyages
extraordinaires, ma anche molti generi
affini risalenti, ad esempio, alla
Repubblica di Platone, a Luciano di
Samosata, a Moro, Cyrano e Swift. Questo
problema può essere superato se si
ricorda che tra il XVII e il XVIII secolo,
all'epoca delle rivoluzioni borghesi (e
specialmente della rivoluzione industriale),
accanto ai luoghi tipici della fantascienza, il
passato e lo spazio, fu introdotto il futuro,
concepito come una quarta dimensione (come ad
esempio in La macchina del tempo di H. G.
Wells). E questo mutamento operato dalla
fantasia, omogeneo al tipo di vita introdotto
dal capitalismo, è così
fondamentale da caratterizzare l'intero
cronotopo della fantascienza anche là
dove essa continua (come in Verne o nelle prime
avventure interplanetarie) a essere collocato
nello spazio, o addirittura nei casi in cui
ritorna al passato (come in Uno yankee del
Connecticut alla corte di re Artù di
Mark Twain o nel sottogenere fantascientifico
del "romanzo preistorico"). Pertanto si
può individuare un corpus - lo si
chiami poi "passaggio all'anticipazione" o
fantascienza tout court - il cui termine
a quo è l'ambiguo gruppo di
scritti dell'epoca delle rivoluzioni
democratiche. Questo corpus inizierebbe
con gli entusiasmi per le innovazioni più
radicali di L'an 2440 di Sebastien
Mercier e del Prometeo liberato di Percy
Bysshe Shelley, e con la reazione a esse del
Frankenstein di Mary Wollstonecraft
Shelley e di alcuni racconti di Poe. Il
corpus della fantascienza risultante da
un approccio di questo tipo, accettabile nelle
sue linee generali, potrebbe essere suddiviso in
una parte premoderna e in un'altra moderna, con
Wells come momento di passaggio fra il cronotopo
newtoniano e quello einsteniano, tra
un'anticipatoria pretesa all'estrapolazione e
"mondi possibili" alternativi, peraltro
decisamente analogici al nostro (Suvin: 1993,
788).
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- Brian Aldiss sosteneva che
nella fantascienza confluiscono due correnti
principali, la scientifica e la fantastica, quella che
si basa sulla realtà e quella che costruisce
castelli in aria.
- Il lungo e difficile cammino
compiuto dalla science fiction per trovare un
posto di prima importanza nel panorama letterario
passa anche attraverso le definizioni che la
identificano come un genere indipendente dalle altre
correnti narrative. Se le origini "tematiche" ed
epistemologiche della fantascienza possono essere
rintracciate nella letteratura fantastica del passato,
è senz'altro vero, tuttavia, che il neologismo
che ne definisce la natura è figlio del
Novecento, ed è ascrivibile a una delle figure
editoriali più importanti del settore, Hugo
Gernsback2.
Nel 1926 ideò la rivista destinata a entrare
nella storia degli appassionati del genere: Amazing
Stories, dove comparve, per la prima volta, il
termine scientifiction. Nel 1929, invece, fu
ideato il neologismo science fiction, che
divenne la definizione ufficiale del moderno genere
letterario, grazie a una nuova rivista, Science
Wonder Stories.
- Con l'andare del tempo tale
termine divenne sempre più "stretto": negli
anni Sessanta, la nuova generazione di scrittori -
quella formata dai vari Ellison, Dick, Spinrad - non
faceva più largo uso della scienza, e la
tecnologia, comunque, rivestiva una funzione diversa
all'interno della narrazione rispetto alla
fantascienza hard degli anni
precedenti3.
Cominciarono ad affermarsi diverse definizioni, tra
cui quelle di science fantasy e speculative
fiction, che, avendo in comune con il termine
science fiction le iniziali, permettevano
l'identica abbreviazione di SF4.
Fu in quest'ottica che nacquero le discussioni sulla
differenza tra estrapolazione e
speculazione.
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- Extrapolation,
as is implicit in the word's etymology, is
basically a logical and linear process. The
author accepts the current state of scientific
knowledge, projects from it either in time or in
space, and tries to imagine and articulate the
resultant situation or conditions. In "pure"
extrapolation one must adhere strictly to the
current state of scientific theory and fact.
Writers firmly committed to extrapolative SF
occasionally find themselves in an embarassing
position when subsequent scientific discoveries
invalidate the facts which they had presumed to
be true while writing the story (Malmgren: 1991,
12).
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- La speculazione, invece,
è un sistema di comprensione visionario e
intuitivo; nondimeno, non significa che essa sia un
modo per evadere dalla realtà o per cercare una
via di fuga dai problemi quotidiani. Al contrario, il
pensiero speculativo trascende l'esperienza, ma
unicamente per cercare di spiegare, comprendere,
unificare e ordinare l'esperienza stessa.
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- The emphasis
here upon the intuitive nature of speculation
and upon its desire to transcend experience, to
discover as it were a deep structure of reality,
pertains, I think, to the creation of
speculative SF worlds. Working metaphorically
rather than metonymically, the speculative
writer tries to inscribe a world whose relation
to the basic narrative world is less logical
than analogical or even anagogical; there are
systems of correspondence between the two
worlds, but they are not linear or one-to-one,
and they are consequently more problematic, more
difficult to establish with certainty (Malmgren:
1991, 13).
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- Comunque sia, la fantascienza
è un genere letterario mobile perché
tale è la società di cui essa narra. Non
ha importanza che si parli di science fiction o
speculative fiction, che si tratti di un
romanzo di anticipazione, di estrapolazione o di pura
speculazione.
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- La
fantascienza è la ricerca di una
definizione dell'uomo e della sua condizione
nell'universo che si inserisce nel nostro
avanzato ma confuso stato di conoscenza
(scienza) ed è caratteristicamente
forgiata nello stampo gotico o post-gotico"
(Aldiss: 1973, 14).
-
- La science fiction,
quindi, non è solo lettura di svago -
"literature of escapism" (Nicholls: 1976, 8) -
ma serve a comprendere meglio la realtà che ci
circonda, a mostrare come dietro l'apparente
normalità degli eventi si estenda un mondo
oscuro animato da fenomeni grotteschi poco o per nulla
visibili agli occhi della gente. Essa rappresenta, in
ultima analisi, l'interface area, "the area
where science fiction meets real life" (Nicholls:
1976, 8).
- La novità letteraria
di Frankenstein (1818), la presenza cioè
della creatura - definita, di volta in volta, mostro,
demone, ecc. - che non solo rappresenta
l'incapacità degli esseri umani di riconoscersi
nell'altro da sé (il diverso) e di trovare in
esso amore e compassione, ma che è anche
l'emblema del risultato teratologico di chi osa
sfidare la Natura, costituisce il fulcro di molti
romanzi della science fiction contemporanea,
specialmente quelli incentrati sulle figure dei
mutanti. Pur non comprendendo una vera e propria
teoria scientifica, Frankenstein può
comunque essere considerato un racconto di
fantascienza (Pagetti: 1993, 5)5.
- La fantascienza è nata
sotto il segno del mostro. Il primo romanzo definito
quasi unanimemente di SF è, appunto,
Frankenstein, e dal 1818 questo genere si
è diramato in una incredibile serie di
sottotipi che hanno affrontato il difficile tema della
diversità sotto ogni punto di
vista.
- Già il Medioevo e
l'epoca moderna furono pervasi da figure straordinarie
e mostruose narrate dai viaggiatori e dagli
esploratori, specialmente europei, che incutevano
timore e un forte senso di repulsione, e che avrebbero
giustificato gli stermini e gli incubi palingenetici
dei dominatori bianchi. In quei tempi il "mostro" era
una creatura naturale che rivestiva di volta in volta
valori e significati differenti, ma che, di fatto,
testimoniava un'ibridazione tra uomo e animale - dove
spesso la linea di confine tra le due entità
non era nemmeno troppo netta - i cui risultati erano a
dir poco orrifici6.
- Il passaggio dall'ibrido
naturale a quello artificiale fu piuttosto breve. Nel
Rinascimento l'alchimia giocò un ruolo
essenziale nella creazione della figura
dell'homunculus e del golem - l'automa,
la figura senza spirito che, nella leggenda giudaica,
indica l'essere creato magicamente dai Cabalisti - che
attestò il tentativo da parte dell'uomo di
imitare la creazione divina, con la conseguente e
inevitabile ribellione da parte della creatura nei
confronti del proprio creatore. Era il punto di
partenza di quell'artificializzazione della natura
che, nel corso del 1900, avrebbe prodotto nella
letteratura della science fiction le figure del
robot, del cyborg e dell'androide, provocando una
mutazione antropologica - indotta dalla crescente
avanzata della tecnologia - sconvolgente e
alienante.
-
- La tecnologia
è figlia di un'attività umana, e
come tale non è causa, ma sintomo
eclatante, elemento mediatore, simbolo della
trasformazione che ci avvolge. Ciò non
toglie che quando il cambiamento è
magmatico, prepotente, pervasivo, l'uomo stenti
a riconoscere la propria impronta in ciò
che avviene e preferisca attribuire a figure
autonome, che si ergono minacciose contro di
lui, le cause del disordine che lo circonda
(Caronia: 1985, 8-9).
-
- Il primo passo verso la
completa frantumazione dell'Io, verso quel
vacillamento ontologico che, nel nostro secolo,
avrebbe prodotto un'inquietudine metafisica di tipo
esistenzialista negli uomini, fu compiuto da Mary
Shelley. Frankenstein è un vero e
proprio conte philosophique che racchiude in
sé i temi dell'umanità: il rapporto tra
il creatore e la creatura da lui forgiata, metafora
dell'invisibile catena che unisce Dio al genere umano;
il pentimento del creatore e il suo rifiuto nei
confronti di un essere tanto ripugnante, simbolo della
solitudine umana; la scintilla, non prevista, del
libero arbitrio della creatura, che, una volta appreso
l'uso del linguaggio e la capacità di pensare,
si ribella al proprio padrone; il bisogno di sentirsi
parte di qualcosa, di avere qualcuno accanto da amare
e il rifiuto del creatore di generare un altro essere
tanto abietto; la rivolta del "mostro" a un mondo
così insensibile e privo di
umanità.
- Frankenstein introduce
il tema del doppio: il doppelganger, ovvero la
copia o la proiezione di se stessi, un topos tipico
della fantascienza contemporanea. Il doppio "umano"
della letteratura fantastica si trasformerà
nella science fiction del Novecento nel doppio
"artificiale", vale a dire nel robot, nell'androide e
nel cyborg, ma anche in una forma umana deviata
rispetto a ciò che viene comunemente definito
"normale".
- In realtà, sono almeno
quattro i grappoli narrativi in cui si può
suddividere il tema della diversità nella
fantascienza, a volte sconfinando negli archetipi che
appartengono essenzialmente al genere horror.
Il primo è costituito dai romanzi incentrati
sulle figure degli alieni, esseri cioè
provenienti da altri pianeti, a volte minacciosi,
altre volte pacifici; la produzione letteraria di
questo sottotipo è incalcolabile. Il secondo
grappolo include le opere che hanno per oggetto i
vampiri e i licantropi. Il terzo riguarda le figure
del robot, del cyborg e dell'androide - che presentano
notevoli differenze biologiche o biomeccaniche -
mentre il quarto grappolo narrativo annovera tutti i
romanzi e i racconti che sviluppano il tema della
mutazione7.
- L'alieno, oltre che
rappresentare un "rompicapo biologico" (Giovannoli:
1991, 39), diviene un mezzo per proiettare le paure
sociali - scaricandone, di fatto, le tensioni - "al di
fuori" (di una nazione, o addirittura del mondo
intero). In un periodo che possiamo grosso modo
racchiudere tra la fine degli anni Trenta - la
Golden Age, ed escludendo tutta la letteratura
precedente che pure annovera opere che hanno avuto il
pregio di alimentare l'interesse della gente comune -
e gli anni Cinquanta - quando l'avvento della
fantascienza sociologica spostò l'attenzione
verso problemi più "terrestri", senza tuttavia
soppiantare completamente i viaggi interstellari e gli
incontri con forme di vita extraterrestre - la
science fiction americana (che ha sempre
costituito il novantacinque per cento circa di tutta
la SF) alimentò i sogni di conquista dello
spazio, alternando vicende dozzinali ad altre molto
più attente ai problemi connessi
all'estrapolazione scientifica e ai rapidi
sconvolgimenti tecnologici di quell'epoca. Era
inevitabile che anche il cinema, in quegli anni,
facesse ricorso alla fantascienza per esorcizzare - o
nutrire - l'isterismo collettivo e la repulsione per
il diverso, che spesso acquisiva connotazioni
politiche o razziali.
- L'alieno, biologicamente
dissimile, diviene dunque una proiezione
dell'alterità ontologica, metafora di tutte le
possibili forme di diversità tra gli esseri
umani. Sebbene la science fiction abbia
prodotto anche alieni amichevoli, la maggior parte
della letteratura sugli extraterrestri li dipinge come
nemici terribili, sempre pronti a impossessarsi delle
risorse della Terra, assoggettando il genere umano e
rendendolo schiavo. In passato, l'interpretazione
sociologica attribuiva questi elementi al "pericolo
comunista", ma in epoche più recenti essi sono
stati analizzati essenzialmente come forme di paure
biologiche - ad esempio il cancro e le mutazioni da
radioattività - o come una semplice immagine
del Predatore (Giovannoli: 1991, 59). Ma è
sufficiente osservare la realtà che ci circonda
per capire quali siano i reali motivi che hanno spinto
gli scrittori di SF a descrivere simili situazioni:
ancora oggi ci sono nazioni che combattono guerre
spietate in nome di Dio o di una ideologia politica,
Stati afflitti da lotte intestine per la supremazia
etnica, governi tirannici che mantengono il potere con
la violenza, la tortura e l'assassinio, ed esecutivi
"democratici" che mentono sistematicamente al popolo,
promettendo qualcosa che non sarà mai
mantenuto. Di fronte a un ipotetico pericolo comune,
nulla di tutto questo avrebbe più importanza:
il colore della pelle, le opinioni politiche, le
scelte confessionali, la cultura di appartenenza...
niente di tutto questo avrebbe più senso, o
meglio, tutto acquisirebbe un significato più
intenso e profondo, proprio perché sarebbe la
vita umana - di tutto il genere umano - a
guadagnare la giusta dignità. Il pericolo
alieno, oltre che rappresentare l'incapacità
degli uomini e delle donne di identificarsi e di
fondersi nell'altro, estraneo ma simile,
costituisce probabilmente - insieme al sottogenere
delle catastrofi naturali - il momento di massima
collaborazione mondiale, almeno per ciò che
riguarda il panorama letterario - e cinematografico -
della fantascienza.
- Vampiri e licantropi fanno
parte di un filone fantastico sempre a cavallo tra
science fiction e horror. Sebbene si
tratti di archetipi utilizzati quasi sempre per
suscitare terrore, queste figure possono anche
assumere una connotazione più vicina al
classico tema della diversità, caro a molti
autori di fantascienza, proprio perché, come
gli alieni, rappresentano una forma di vita biologica
deviata rispetto alla normalità, ma tuttavia
umana. Ecco perché, comunque, l'orrore indotto
è spesso superiore a qualsiasi altro archetipo
letterario.
- La figura dei vampiri non
è che l'ennesima proiezione del "morbo di
Frankenstein", metafora letteraria dell'incomprensione
umana, non tanto sotto il profilo della ribellione
delle creature - che pure esiste - quanto, piuttosto,
per la latente incapacità degli individui di
percepire la diversità altrui come punto di
contatto e di dialogo, anziché come forma di
rivendicazione di superiorità culturale o
razziale.
-
- L'Altro è l'essere che
è diverso da te stesso. Tale essere può
differire da te nel sesso; o nel suo reddito annuale;
o nel modo di parlare, di vestire e di agire; o nel
colore della pelle, o nella quantità di gambe e
di teste che ha. In altre parole, esiste l'Alieno
sessuale, e l'Alieno sociale, e l'Alieno culturale, e
infine l'Alieno razziale (Le Guin: 1986,
87).
-
- Questo rapporto di
identificazione/opposizione con "l'alieno" è
stato affrontato dagli autori di science
fiction anche e soprattutto attraverso le figure
del robot, del cyborg e dell'androide, che acquistano
nomi diversi a seconda del grado di antropomorfismo
raggiunto.
-
- Il termine
robot designa un automa vagamente
antropomorfo, in genere con superficie
metallica; ma se l'automa, pur conservando una
natura essenzialmente meccanica, è
ricoperto da una "pelle" molto simile a quella
umana, si comincia a parlare allora di un
androide; infine, se il robot è
piuttosto un uomo sintetico, costituito da
tessuti organici artificiali e artificialmente
vivi, viene talvolta usato il termine
replicante.
- Sembra che
questa nomenclatura presupponga un
continuum graduato (di cui designa solo
le principali regioni),
- (i) che in
tutta la sua estensione è una sorta di
divenire, di metamorfosi, di evoluzione che
porta dalla macchina all'organismo (o viceversa,
se si inverte l'asse del tempo);
- (ii) il cui
massimo assoluto è una copia dell'uomo (o
comunque di un organismo) indistinguibile
dall'originale, cioè, di fatto se non di
principio, ad esso identica (Giovannoli: 1991,
22).
-
- Il cammino dall'uomo al robot
- passando attraverso il cyborg e l'androide -
costituisce un vero e proprio processo di
macchinizzazione degli individui che racchiude in
sé molte metafore: l'allontanamento dalla
natura, l'incapacità di amare, la ricerca
dell'immortalità, l'alienazione e la
frammentazione del mondo interiore scaturiti
dall'aumento dei compiti delegati alle macchine e, non
ultimo, una sorta di fenomeno entropico dove, se da un
lato la macchina si umanizza sempre più - come
alcuni robot di Asimov - dall'altro gli esseri umani
si macchinizzano, cedendo, con l'andare del tempo,
quei valori e quelle qualità che ne definiscono
l'essenza. Si tratta, in definitiva, di un cammino a
senso unico, tutto giocato sulla distinzione - non da
poco - tra essere e apparire. L'androide
sembra un uomo, ma non lo è; il cyborg non
sembra un uomo, ma lo è; il robot non sembra un
uomo, e non lo è. La vecchia distinzione tra
essere umano e macchina, tra naturale e artificiale,
così come la conoscevamo fin dai tempi di
Cartesio - per il quale l'universo era una gigantesca
macchina e gli animali non erano altro che automi;
solo l'individuo era parzialmente esente da questa
visione meccanicista8
- si dissolve di fronte a una simile disgregazione
della realtà, e tutto, all'improvviso, appare
indistinto, vago, incerto.
- Il mostro di Frankenstein, i
robot di Capek in R.U.R. e quelli di Asimov
simboleggiavano l'inquietudine degli individui di
veder affiorare in corpi "artificiali" sentimenti,
pensieri e sensazioni ritenute "umane". Questo senso
di disorientamento si fa ancora più profondo
quando ci si imbatte nella figura del
cyborg9,
vale a dire in una creatura in cui il corpo di un
essere umano è inestricabilmente unito a quello
di una macchina. Si tratta, di fatto, di un ibrido -
come lo erano le creature di Wells in The Island of
Dr. Moreau - ma l'elemento animale è
sostituito da una componente meccanica che trasforma
il cyborg in una sorta di freak tecnologico da
mostrare a tutti come un fenomeno da baraccone per
esaltare il progresso scientifico, e, al tempo stesso,
da nascondere, poiché il processo di
cibernetizzazione non annulla le qualità umane
del nuovo essere, incutendo un notevole senso di
fastidio negli osservatori.
- Nati come ideali esploratori
dello spazio, all'inizio i cyborg non suscitarono
interrogativi radicali, ma vennero salutati come un
ulteriore passo del genere umano verso quella
perfezione così lungamente inseguita. Questa
sorta di ottimismo meccanicista ebbe vita breve;
infatti, nel giro di poco tempo prevalsero
l'alienità e la mostruosità del nuovo
essere, e il senso di caos e desolazione subì
un passaggio decisivo dall'esterno all'interno degli
individui. Il corpo artificiale suscita inquietudini
superiori agli stravolgimenti scientifici del passato,
perché c'è la consapevolezza che dietro
alla struttura di metallo vive e opera un cervello
umano.
-
- Mentre
l'automa settecentesco, quello concreto e
materiale costruito dai grandi automisti, aveva
anche l'effetto di rassicurare riguardo
all'eccellenza del corpo dell'uomo (così
complesso da meritare di essere imitato) e della
sua mente (così acuta da essere capace di
realizzare quell'imitazione), il robot,
l'androide, il cyborg della fantascienza
annunciano il declino dell'uomo quale noi lo
conosciamo, o quale pensiamo di conoscerlo da
ciò che la storia e l'abitudine ci hanno
tramandato, e la nascita di un nuovo uomo,
simbionte della creatura che lui stesso ha
costruito ma ormai in qualche modo
autonomizzata. Lo fanno riproponendo un
interrogativo certo non nuovo, ma
indiscutibilmente attuale ("che cosa è
l'uomo?"), nella forma emotivamente e
narrativamente più efficace del "come si
distingue un uomo 'naturale' da uno
'artificiale'?". Se risposta esplicita non si
dà quasi mai, una risposta implicita
è spesso contenuta nella modificazione
dell'interrogativo, fino al suo radicale
rovesciamento: "come può l'essere
artificiale diventare uomo a tutti gli effetti?"
(Caronia: 1985, 58-59).
-
- Il processo simbiotico tra
uomo e macchina, se inizialmente era esaltato come un
tentativo di avvicinamento alla perfezione e
all'immortalità e come un superamento della
ciclicità e, quindi, della precarietà
della vita, successivamente fa emergere interrogativi
di ordine epistemologico e ontologico. Il cyborg
rappresenta il connubio tra natura - l'essere umano -
e scienza - la macchina. Nondimeno, ogni essere umano,
proprio a causa delle sue imperfezioni, è
unico; la scienza, al contrario, opera attraverso
rigorose codificazioni che, di fatto, rappresentano
una forma di standardizzazione. La scienza fa emergere
la regolarità e le leggi che governano
l'universo, mentre la tecnica imbriglia le forze della
natura, mettendole a disposizione degli individui.
L'unione di questi due fattori - l'elemento umano e
quello tecnologico - fonde due diverse prospettive:
quella ciclica della vita umana e quella lineare,
ottimistica, della scienza, che prevede uno sviluppo
costante e crescente delle forze produttive. La
nascita di questi nuovi ibridi provoca in loro quel
genere di sentimenti contrapposti tipici di ogni
gruppo emarginato rispetto alla maggioranza di
"normali": da un lato c'è un forte desiderio di
reintegrazione nell'umanità, dall'altro
un'ostinata e orgogliosa chiusura nella propria
corporazione.
- Il cyborg rimette in
discussione tutte le credenze e le convinzioni sulla
natura degli esseri umani, su quale sia la reale
definizione di "uomo". Il corpo meccanizzato dei
cyborg annulla ogni emozione, o meglio sottrae la
possibilità di manifestare compiutamente e
degnamente tutti gli stati d'animo - gioia, dolore,
rabbia, amore, partecipazione, empatia - che ci
rendono umani. In più, il processo di
metamorfosi, come ha descritto Kafka, assume
connotazioni mostruose e socialmente
inaccettabili.
- In quest'ottica si inserisce
il bel romanzo di Frederik Pohl, Man Plus
(Uomo +), dove la colonizzazione del pianeta
Marte da parte degli esseri umani è resa
possibile grazie all'ausilio dei cyborg, individui i
cui organi sono stati sostituiti con arti artificiali
e che sono stati adattati a vivere nell'atmosfera
irrespirabile di Marte, traendo dal sole la necessaria
energia per sopravvivere. Il Progetto Man Plus prepara
gli astronauti a vivere sul pianeta, anzi, li
"modifica" trasformandoli in organi cibernetici: ma il
prototipo che viene mostrato agli astronauti che
diverranno cyborg è una specie di
mostro.
-
- Il
teleschermo mostrava un uomo.
- Non sembrava
un uomo. Si chiamava Will Hartnett. Era un
astronauta, democratico, metodista, marito,
padre, suonatore dilettante di timpano, ottimo
ballerino. Ma non sembrava niente di tutto
questo. A vederlo, era un mostro.
- Non pareva
affatto umano. Gli occhi erano globi
sfaccettati, rossolucenti. Le narici si aprivano
tra le pieghe della carne, come il muso d'una
talpa stellata. La pelle era artificiale e aveva
il colore di una normale abbronzatura, ma la
robustezza della pelle di un rinoceronte. Non
c'era nulla, in lui, che avesse l'aria di essere
una caratteristica innata. Occhi, orecchi,
polmoni, naso, bocca, sistema circolatorio,
centri della percezione, cuore, pelle... tutto
era stato sostituito o potenziato. I cambiamenti
visibili altro non erano che la punta
dell'iceberg. Ciò che avevano fatto
dentro di lui era di gran lunga più
complesso e più importante. Hartnett era
stato ricostruito, con l'unico scopo di metterlo
in condizioni di restare in vita, senza l'aiuto
di apparecchi esterni, sulla superficie del
pianeta Marte.
- Era un
cyborg: un organismo cibernetico. Era in parte
uomo e in parte macchina, e le due sezioni
distinte erano fuse insieme in modo che lo
stesso Will Hartnett, guardandosi nello specchio
le rare volte in cui gli era permesso di vederne
uno, non sapeva quanto di lui fosse veramente
suo e quanto fosse stato aggiunto (Pohl: 1976,
p.12).
-
- Analogo discorso per gli
androidi, ma con qualche piccola differenza.
L'androide, infatti, tende a confondersi con gli
esseri umani; per converso, gli individui giungono al
punto di mettere in discussione persino la propria
"umanità". Il dubbio ontologico, qui, è
portato all'estremo. L'autore più attento
nell'analisi dell'alienazione degli esseri umani a
contatto con gli androidi è senza dubbio Philip
K. Dick: nella sua personale visione della
società, l'androide diventa un sinonimo di
Vuoto, oltre che di Falso indistinguibile dal Vero. Il
processo di androidizzazione, per Dick, riguarda
quegli esseri umani che hanno perso la capacità
di provare emozioni, o che, con assoluta acquiescenza,
sono stati manipolati e devitalizzati: in sostanza,
Dick si domanda costantemente se siamo umani o se
siamo stati programmati a crederlo. Sotto questo
profilo, l'ossessione del simulacro - cioè di
un essere svuotato di sostanza e significato - si
riflette nella figura dell'androide.
-
- Diventare
quello che io chiamo - in mancanza di un termine
più appropriato - un androide, significa
acconsentire a trasformarsi in un mezzo, oppure
essere oppressi, manipolati e ridotti a un mezzo
inconsapevolmente o contro la propria
volontà: il risultato non cambia. Ma
è impossibile trasformare un essere umano
in androide se quest'essere umano infrange le
leggi ogniqualvolta gliene si presenti
l'occasione. L'androidizzazione richiede
obbedienza. E, soprattutto,
prevedibilità. Solo quando la
reazione di una data persona a una qualsiasi
situazione data risulterà prevedibile con
precisione scientifica, si potrà dare il
via alla produzione su larga scala di androidi.
(...)
- Nell'universo
esistono cose gelide e crudeli, a cui io ho dato
il nome di "macchine". Il loro comportamento mi
spaventa, soprattutto quando imita così
bene quello umano da produrre in me la
sgradevole sensazione che stiano cercando di
farsi passare per umane pur non essendolo. In
questo caso le chiamo "androidi". Per "androide"
non intendo il risultato di un onesto tentativo
di ricreare in laboratorio un essere umano. Mi
riferisco invece a una cosa prodotta per
ingannarci in modo crudele, spacciandosi con
successo per una nostra simile (Dick: 1995,
231-232, 251)10.
-
- I romanzi più famosi
di Dick dedicati alla figura dell'androide sono Do
Androids Dream of Electric Sheep? (Blade
Runner), e The Simulacra (I
simulacri): il dramma esistenziale dei personaggi
di queste opere è figlio del caos universale,
del sempiterno farsi e disgregarsi delle cose, delle
tensioni inconsce che prendono il sopravvento sulla
razionalità, dei conflitti interiori che
obliterano qualsiasi certezza ontologica,
dell'alienazione sociale e individuale che trasforma
la vita in una faticosa e, spesso, vana ricerca del
proprio Io, dell'angoscia per la piccolezza e
l'estrema caducità della condizione umana,
della ricerca disperata di un dio che, se esiste, non
risponde più al richiamo dell'individuo, anche
se poi comprendiamo che siamo noi ad esserci chiusi
come ricci di fronte al fascino del trascendente.
Nelle opere di Dick il senso di disorientamento
è assoluto: la presenza di moltissimi
personaggi è una costante dei suoi romanzi, e
serve ad attestare non solo la coralità della
vita, che, spesso, si compie pienamente tra le persone
semplici, ma anche la moltitudine di piani in cui la
nostra esistenza è calata; le trame
aggrovigliate, al limite della comprensione, i
dialoghi a volte farneticanti, i grandi temi
dell'umanità - fede, politica, etica, ... -
mescolati ad esperienze banali e prive di significato,
amplificano, invece che diminuire, il significato
della vita, mentre la presenza degli androidi - con il
loro forte simbolismo di vacuità - è un
serio ammonimento nei confronti di tutti quegli
individui che rinunciano alla propria
personalità, alla propria libertà e ai
propri diritti.
- Esiste un'ultima figura,
nella letteratura di fantascienza, che pone il
problema dell'essenza umana e di ciò che la
costituisce: quella dei mutanti. Essi rappresentano
un'evoluzione - naturale o indotta - della specie, che
può essere progressiva (creando, quindi, il
superuomo) o regressiva (che genera il mutante
mostruoso). Comunque sia, il mutante rappresenta
un'ipotetica variante della "normalità", e
può anche essere percepito come una minaccia al
genere umano: tuttavia, la sua funzione all'interno
dei romanzi e dei racconti è quasi sempre
positiva, o "propositiva", e tende a evidenziare tutte
le differenze esistenti tra gli individui, ma anche e
soprattutto la comunanza di valori e l'appartenenza -
al di là della semplice e superficiale
apparenza - allo stesso genere.
- La sofferenza, il senso di
abbandono, la ricerca di un significato della propria
vita, il bisogno d'amore, sono temi che ricongiungono
questo gruppo all'archetipo di riferimento, la
creatura di Frankenstein. Due racconti meritano di
essere ricordati per la straordinaria
sensibilità con cui viene affrontato il tema
della diversità, ma soprattutto perché
sono accomunati dal fatto di essere narrati
direttamente dai mutanti stessi.
- Il primo racconto è
Born of Man and Woman (Nato d'uomo e di
donna)11,
di Richard Matheson, lo struggente diario di un
bambino - una specie di mostro - che vive rinchiuso in
cantina, spesso incatenato al letto. L'artificio
letterario adottato da Matheson è estremamente
efficace, in quanto la narrazione sgrammaticata del
piccolo protagonista spinge il lettore ad affrontare
la terribile realtà con gli occhi del diverso.
La famiglia di questa povera creatura - che non ha
nemmeno un nome, dato che la madre, dopo la nascita,
l'ha definita "un obbrobrio" - vive una vita
apparentemente normale, tenendo lontano il bambino
dalla vista della gente. Il piccolo, tuttavia, sente
le risate dei genitori e della sorella, e a volte
striscia faticosamente sulle scale ed entra nella
casa, provocando rabbia e orrore tra i genitori.
Questi lo incatenano al letto, picchiandolo
affinché impari la dura lezione che lui non fa
parte della famiglia, ma può al massimo
considerarsi una sorta di animale domestico.
Nondimeno, la creatura avverte lo stesso bisogno
d'amore - e, forse, di più - degli altri esseri
umani e, alla fine, stanco di questi indicibili
soprusi, medita - proprio come il mostro di
Frankenstein - una terribile vendetta nei confronti di
chi lo rifiuta e non vuole amarlo.
- Il secondo racconto è
Flowers for Algernon (Fiori per
Algernon12),
di Daniel Keyes, che, sotto alcuni aspetti, rimanda
alla vicenda precedente. Anche qui, infatti, ci si
trova di fronte a un diario scritto da un ritardato
mentale - Charlie Gordon - il quale viene sottoposto a
una serie di esperimenti - precedentemente eseguiti su
un topo, Algernon, appunto - che dovrebbero migliorare
le sue potenzialità intellettive. Le frasi sono
slegate, scorrette, quasi incomprensibili, ma dopo
l'operazione alla testa si assiste a un progressivo
miglioramento nel linguaggio e nella grammatica,
segnale che, in Charlie, sta improvvisamente
aumentando l'intelligenza. Ma il suo mondo cambia. Le
persone che prima lo schernivano perché
stupido, ignorante e indifeso, ora lo temono e lo
evitano perché hanno paura di ciò che
è diventato. Charlie desidera soltanto essere
una persona normale, come tutti gli altri: infatti si
innamora della dottoressa che lo ha in cura. Ma le sue
considerazioni sul mondo che lo circonda sono piene di
amarezza e desolazione.
-
- Strano che
delle persone civili e sensibili, le quali non
si sognerebbero di approfittare di un uomo nato
senza le braccia o le gambe o gli occhi - queste
stesse persone non esitino poi a offendere un
uomo nato povero d'intelligenza.
(...)
- Solo poco
tempo fa ho scoperto che la gente rideva di me.
Ora capisco che, senza saperlo, mi univo a loro
per ridere di me stesso. Questo soprattutto mi
fa male.
- (...) Anche
un deficiente sente il bisogno di essere come
gli altri.
- Un bambino
può non sapere come nutrirsi o di che
cibo, e tuttavia sa che cos'è la fame
(Keyes: 1959, 505-506).
-
- Theodore Sturgeon ha fatto
della difesa di ogni diversità il punto di
forza della propria carriera letteraria. Attraverso
una serie di romanzi - almeno tre - e racconti,
Sturgeon ha affrontato tutti i temi possibili, persino
quelli più scomodi come l'omosessualità
- Venus Plus X - e l'incesto - Se tutti gli
uomini fossero fratelli, lasceresti che tua sorella ne
sposasse uno? - senza mai scadere nella
banalità e, soprattutto, mantenendo un livello
letterario difficilmente eguagliabile persino tra gli
autori più acclamati della corrente
principale.
- Anche se ciò
potrà sembrare strano riferito a un autore di
science fiction, la caratteristica più
evidente di tutte le opere di Sturgeon è il
tema dell'amore, in ogni sua possibile
manifestazione. Per Sturgeon la libertà degli
esseri umani passa attraverso questo sentimento, che
è in grado di elevare gli individui a uno stato
di assoluta perfezione.
- Sotto questo punto di vista,
ci sono due romanzi che meritano di essere menzionati
per la loro rara e struggente bellezza: Cristalli
sognanti e Nascita del
Superuomo.
- The Dreaming Jewels
(Cristalli sognanti) è la storia
meravigliosa di un bambino, Horty, un mutante con una
grave carenza di acido formico che lo costringe a
mangiare le formiche. Scoperto, viene duramente
castigato dal patrigno, uno spietato avvocato in
carriera. Così Horty fugge di casa e si unisce
ai membri di un circo: qui la sua diversità si
confonde con quella dei geek - gli uomini che
mangiano ogni genere di cose disgustose - dei
freak - gli esseri deformi - e di Zena, una
nana che lo accoglie subito con grande affetto.
L'espediente fantascientifico è fornito dai
"cristalli sognanti", una sorta di razza aliena che
proietta i propri sogni nel mondo. Nondimeno, la
funzione dei cristalli è anche metaforica e
testimonia l'incanto della vita, il dovere da parte
degli individui di dare il giusto valore alle cose, di
saper apprezzare anche la più infima
manifestazione della natura, perché, spesso, la
bellezza più autentica riposa nelle cose meno
nobili. Traslata sul piano umano, questa
considerazione si sposta ovviamente sui personaggi del
circo, rifiutati dal mondo dei "normali" - che, salvo
poche eccezioni, è dipinto impietosamente - e
costretti a vivere in una specie di ghetto, ma dotati
di qualità umane tanto straordinarie che
eccedono rispetto alle limitazioni fisiche. Ed
è proprio qui che risiede la capacità
più grande di Sturgeon: quella di saper ridare
la giusta dignità agli oppressi, ai deboli, a
quanti vivono una vita ai margini e, d'altro canto,
quella di stroncare gli opportunisti, i meschini, gli
egoisti che si nutrono del dolore del prossimo e
giocano coi destini delle persone più
sensibili. Il circo è il luogo in cui vivono
tutti quei sentimenti che il normale consorzio umano
talvolta dimostra di aver dimenticato: è una
dura lotta tra l'amore e la rispettabilità, la
posizione sociale, il calcolo, la
superficialità, la grettezza e
l'avidità. Secondo Sturgeon, la vera
libertà si afferma e si consacra nel concetto
di umanità, e si compie nel rispetto di
tutti, specialmente di quanti vivono
nell'invisibilità.
-
- L'umanità
è un concetto vicino, incredibilmente
vicino agli esseri anormali, che anelano a
confondersi con gli altri, che anelano ad essere
come gli altri, che con i loro corpi deformi
chiedono disperatamente il diritto di
cittadinanza tra gli altri esseri umani, che
tendono le braccia avidamente verso quell'idea
di uguaglianza, di partecipazione al tutto, con
la stessa intensità dell'assetato che
tende le braccia verso l'oasi nel deserto
(Sturgeon: 1950, 161).
-
- L'altro romanzo -
strettamente collegato, sul piano ideale, con quello
precedente - è More Than Human
(Nascita del Superuomo), in cui lo spunto
originario per lo sviluppo della vicenda è
fornito da un'affermazione della psicologia della
Gestalt (o psicologia della forma): il tutto è
maggiore della somma delle sue parti. Questa nuova
teoria della totalità è fautrice,
quindi, di una diversa concezione dell'essere umano,
quasi come se l'homo gestalt costituisse il
passaggio successivo dell'evoluzione umana. Ma il
cammino non sarà breve: il
"superuomo"13,
prima di acquisire un'identità completa,
dovrà compiere un lungo percorso evolutivo, sia
sotto il profilo fisico, sia sotto quello etico.
Sebbene sia piuttosto evidente l'ideologia
sentimentale della solidarietà (Giovannoli:
1991, 117) che permea l'intera vicenda, è
tuttavia doveroso ricordare l'intento principale di
Sturgeon, che è quello di dimostrare che la
teoria gestaltista - o olista, o sistemica -
stabilisce che la forma complessiva (la
Gestalt, appunto) sia qualcosa in più
della somma delle parti che la compongono, e che
questo "qualcosa in più" sia, in definitiva, la
moralità. Per Sturgeon il nuovo balzo
dell'evoluzione umana non sarà fisico,
bensì psichico ed etico.
- Con questo romanzo, e con
Cristalli sognanti, Sturgeon ha offerto una
metafora della solidarietà umana, chiudendo
idealmente quel cerchio cominciato da una critica nei
confronti di qualsiasi forma di manipolazione contro
cui gli esseri umani sono costantemente chiamati a
lottare per rivendicare la propria libertà e il
proprio diritto di essere unici.
-
- Se uno nega
qualsiasi affinità con un'altra persona o
genere di persona, se afferma che è
completamente diversa da se stesso, come gli
uomini hanno fatto con le donne, e le classi
hanno fatto con le classi, e le nazioni hanno
fatto con le nazioni, può odiare l'altra
persona o deificarla; ma in ogni caso ha negato
la sua eguaglianza spirituale, e la sua
realtà umana. L'ha trasformata in un
oggetto, con il quale un solo rapporto è
possibile, un rapporto di potere. E così
ha fatalmente impoverito la sua stessa
realtà. Ha, in effetti, alienato se
stesso (Le Guin: 1986, 89).
-
- Gli esseri umani possiedono
un dono unico: quello di poter correggere i propri
errori - sia sotto il profilo intellettuale, sia sotto
quello morale - rimediando con il dialogo, la
comprensione, la conoscenza e l'esperienza; questa
qualità si realizza compiutamente nella
libertà di ognuno. Sebbene le forze avverse
alla libertà siano sempre in agguato, essa
rimane un valore supremo da difendere, poiché
senza libertà gli esseri umani non sarebbero
pienamente umani. Pertanto, il diritto di essere unici
e liberi passa anche attraverso il riconoscimento
dell'identità e della libertà altrui,
lungo quella strada della comprensione reciproca tanto
difficile da percorrere perché lastricata dalla
diffidenza tra le persone, tra i popoli, tra le
nazioni.
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