- Cultura
e Storia
Fiorenza Taricone
-
- "DONNE
NUOVE" TRA OTTOCENTO E
NOVECENTO:
- IL
CASO DI ISABELLA GRASSI
-
-
- Isabella Grassi nasce a
Heidelberg nel Granducato di Baden il 24 aprile del
1886 da Giovanni Battista Grassi e Maria
Koënen1.
I due si erano sposati il 14 ottobre del 1884, e la
ventisettenne Maria era già orfana del padre,
Carl Koënen, commerciante2.
- L'incontro era stato
più che casuale. Nel 1884 G. B. Grassi,
già titolare della cattedra di zoologia e
anatomia comparata all'Università di Catania,
si reca a Heidelberg per lavorare con il famoso
anatomista Karl Gegenbauer. Con l'intento di
perfezionare il suo tedesco, pubblica un annuncio sui
giornali locali alla ricerca di un maestro di lingua:
Maria Koënen risponde all'inserzione e la loro
conoscenza si conclude appunto col matrimonio da cui
nasce Isabella, subito inserita in un nucleo familiare
bilingue e portatore di tradizioni religiose e
culturali diverse.
- Il Grassi infatti, nato a
Rovellasca, in provincia di Como, nel 1854, allievo
del collegio Ghislieri di Pavia, proveniva da famiglia
borghese di stretta osservanza cattolica. La sorella
del Grassi, Isabella, era legata al movimento
femminile cattolico3.
- Lo scienziato G. B. Grassi da
parte sua non sembra essere stato un cattolico
convinto, mentre Maria Koënen era di fede
protestante e
- di abitudini
assai semplici, colta, capace di diventare degna
consorte del futuro senatore del Regno e dello
scienziato, le cui opere tradurrà in
tedesco, la migliore presentazione per la Regina
Margherita che la volle dama di corte (Clelia
Bonati Pighetti: 1982, 27-35).
-
- Comuni ai due genitori erano
la severità di vita e l'avversione al
superfluo, caratteristiche che Isabella
ereditò. Nel 1895 la famiglia Grassi
Koënen si trasferisce da Catania a Roma;
nell'università della capitale G. B. Grassi va
ad occupare la cattedra di anatomia comparata che
ricopre fino alla morte, avvenuta nel maggio del
1925.
- La sua fama era dovuta alla
scoperta dell'anofele come veicolo di trasmissione
malarica. Nel 1883 vince la cattedra di zoologia e
anatomia comparata a soli ventinove anni ed ha ormai
rinunciato all'esercizio della professione medica per
dedicarsi alle ricerche scientifiche e
all'insegnamento, che considera non scindibile dalla
ricerca perché gli dà modo di scoprire
ed educare giovani promettenti. Caratteristica sempre
ricordata del Grassi fu infatti l'indiscusso amore per
la didattica e per la ricerca che trasmetteva ai suoi
allievi, come pure l'onestà scientifica che gli
causò anche dei dispiaceri. Continuò a
perseguire quei metodi di lavoro che avevano
caratterizzato la sua opera fin dal soggiorno
catanese: secondo tale metodo la scienza non era fatta
di caselle isolate l'una dall'altra, ma invece
richiedeva necessariamente la più stretta
coordinazione tra le varie branche della biologia. Da
tale principio derivarono quindi le sue indagini
sistematiche di zoologia, morfologia, biologia ed
embriologia.
- Dopo aver svolto per lungo
tempo ricerche sulla società delle termiti, il
Grassi riprese a Roma, nel 1898, le ricerche sulla
malaria4.
Nell'agosto del 1898 scriveva alla figlia, allora
dodicenne, che era alla ricerca di zanzare nella
maremma toscana, e il 23 agosto ribadiva alla moglie
Maria:
-
- Sono partito
domenica sera da Rovellasca, ho passato una
giornata a Follonica nella maremma toscana e
oggi sono di passaggio a Montecatini per
visitare la palude di Focecchio. Se il cielo mi
aiuta ho fatto una grande scoperta sulla malaria
(Giulio Cotronei: 1961,23).
-
- Il 29 settembre, in una nota
ai Lincei, aveva già circoscritto a poche
specie le probabili responsabili della trasmissione;
la sperimentazione diede poi ragione alle ipotesi
dello scienziato.
-
- Rintracciai
queste zanzare speciali e le sperimentammo, e
così risultò che gli anofeli, solo
gli anofeli, propagano la malaria. Così
la chiave fu trovata, la porta si aperse e la
luce venne dall'Italia. Questi risultati
portarono in tutto il mondo il mio nome,
facendomi nello stesso tempo assaggiare anche
amarissime amarezze (Giulio Cotronei: 1961,
23).
-
- Una di queste fu sicuramente
il premio Nobel assegnato a Ross, che aveva peraltro
condotto i suoi studi sulla malaria degli uccelli,
perseguendone il germe infettivo già scoperto
dal Grassi.
-
- A far
ottenere questa vittoria dello scienziato
inglese s'era affannato (è doloroso
ricordarlo) il grande Koch, scopritore del
bacillo della tubercolosi il quale non perdonava
al Grassi d'aver subito, proprio ad opera di lui
e nel campo della malaria, l'unica sconfitta
scientifica della sua vita (E. Cozzani: 1954,
5).
-
- Le descrizioni di G. Battista
Grassi presentano una persona il cui amore per la
scienza segna un distacco dal mondo circostante, alle
prese con una passione che escludeva tutto il resto, o
quanto meno lo poneva in secondo piano.
- Condusse le sue ricerche,
specialmente quelle sulla malaria, in condizioni di
autentica povertà. Talvolta accadeva che fosse
portato a spalla dall'inserviente per traversare
ruscelli e torrenti; spesso accettavano
l'ospitalità dei contadini della campagna
romana per rifocillarsi. Si legge di lui che
era
-
- piccolo,
stento, con gli occhi fortemente miopi, e
rovinati dall'abuso del microscopio, con una
barbetta caprina sempre arruffata come i
capelli; egli ha vissuto, combattuto, sofferto
tutta la vita in una tale modestia e
trascuratezza di ogni agio e d'ogni cura di
sé stesso da diventare facile preda dei
giornali umoristici e delle loro caricature (E.
Cozzani: 1954, 5).
-
- Il figlio agiato di
proprietari terrieri si era quasi ridotto, a causa
delle spese sostenute per le sue ricerche, alla
condizione di un nullatenente. Per amore di tali
ricerche compì anche gesti estremi: durante gli
studi sulla parassitologia, arrivò a ingoiare i
germi della tenia nana per comprovare le affermazioni
contraddette da scienziati italiani e stranieri;
analogamente ingoiò col cibo i germi del colera
per documentare che le mosche erano il più
efficace mezzo di trasmissione. Scoppiata la guerra,
ritenne suo dovere collaborare ad alcune questioni di
igiene sociale riguardanti la malaria; dal 1917 fino
alla morte non abbandonò più questo
tema.
- Scarse sono le testimonianze
sul Grassi "privato", sulla sua figura di uomo e
padre. La storia tradizionalmente intesa, in auge fino
a non molti anni fa anche nelle scuole, sempre legata
ai grandi personaggi e agli avvenimenti politici nei
loro risvolti bellici e dinastici e molto meno alla
storia sociale, del quotidiano, della concretezza del
privato ha fatto sì che il materiale
documentario giunto fino a noi fosse filtrato in modo
tale da privilegiare le qualità scientifiche
dello scienziato e molto meno gli scambi affettivi
nell'ambito familiare e amicale. Per reperire queste
notizie che sfuggono alla memorialistica ufficiale si
è ricorsi al modesto carteggio rimasto; nelle
scarse lettere che vanno dalla fine dell'Ottocento al
primo decennio del Novecento, scrivendo da ogni parte
d'Italia, Grassi rimprovera moglie e figlia di
trascurarlo affettivamente nei periodi in cui Isabella
e la madre si trovano in vacanza a Heidelberg, mentre
lui è costretto a lavorare ai suoi esperimenti
sulla fillossera e sulla malaria.
- Che il legame con la figlia
sia stato molto forte risulta anche dai superstiti
diari di Isabella che si riferiscono al 1920-21,
quando essa, trentacinquenne, annota il dispiacere di
non potere fare altro per il padre, afflitto da gravi
disturbi alla vista, che scrivere le lezioni che le
dettava, senza peraltro capirle fino in fondo
perché priva di formazione scientifica. Il
sentimento verso di lui viene quasi sempre espresso in
termini di dovere, così come l'assistenza
prestata è per Isabella un "dovere" massimo cui
obbedire.
- Poche ore prima di morire G.
B. Grassi aveva finito di correggere le bozze di una
comunicazione ai Lincei: quando arrivano, è
Isabella che gli sorregge la mano affinché
possa effettuare la sua ultima correzione.
- Della madre e dei rapporti
madre-figlia si sa molto poco. Quasi a nulla è
approdato infatti il paziente lavoro per rintracciare
le persone di famiglia; gli eredi e i conoscenti della
famiglia Grassi che avrebbero potuto dire qualcosa di
più risultano scomparsi, irreperibili o
deceduti.
- Nulla di più hanno
potuto aggiungere le diaconesse della comunità
evangelica di Roma, a cui Isabella, per devozione
verso la madre, due giorni prima della morte, lasciava
la sua casa con l'obbligo di occuparsi dell'assistenza
a Maria Koënen con letture quotidiane e
accompagnandola a passeggiare quando lo avesse
desiderato.
- A sua volta, Maria K., che
sopravvisse otto anni alla figlia, lasciò per
testamento alle suore diaconesse una rendita e parte
del mobilio appartenuto a Isabella nella casa romana
di via Adige. Negli archivi della comunità
tedesca, la Koënen risulta semplicemente
nell'elenco delle benefattrici e l'unico obbligo che
veniva fatto alle diaconesse era quello di visitare
annualmente la tomba della famiglia Grassi a Fiumicino
per deporvi dei fiori.
- Quello che si può
desumere dell'attività di Maria Koënen lo
si deve ricostruire dai documenti ufficiali, come
giornali quotidiani e periodici, libri, e dagli
archivi delle associazioni femminili, rari a trovarsi
e reperibili solo per quelle associazioni femminili
che hanno tentato di conservare memoria storica della
loro esistenza. Se Isabella aveva ereditato dal padre
la serietà e l'onestà nel lavoro
intellettuale e la sobrietà di vita, dalla
madre sicuramente ereditò lo spirito
associazionistico e la consapevolezza che l'unione
concreta di volontà femminili avrebbe potuto
dare un indirizzo preciso alla questione
femminile.
- La concezione altissima della
vita associata del resto sarà infatti basilare
per Isabella anche nei suoi convincimenti
etico-religiosi. Se farà parte della
comunità, formatasi attorno al sacerdote
modernista Buonaiuti dopo la prima guerra mondiale,
non sarà certo solo per la apertura teologico
religiosa, ma perché la koinonia - questo il
nome che Buonaiuti diede al gruppo dei discepoli
-personifica per Isabella il carattere sacrale della
vita associata, in piena sintonia con il
maestro.
- Maria Koënen invece
compare nel nucleo fondatore della associazione Per
la donna, nata tra il '97 e il '98, il che indica
che Maria K. si dedica alla causa femminile poco dopo
essersi stabilita nella capitale, in concomitanza con
l'inizio dell'insegnamento del marito
nell'Università. L'Associazione costituisce
infatti uno dei molti casi in cui non è stato
finora possibile reperire un archivio, neppure
frammentario; e nulla autorizza a pensare che si sia
sentita l'esigenza di un archivio al punto di
costituirne uno.
- Una seconda ipotesi potrebbe
ricollegarsi alla dispersione delle carte dopo lo
scioglimento dell'Associazione ad opera del regime
fascista nel 1925. Lo scioglimento avvalora, tra
l'altro, la definizione della associazione Per la
donna come una delle più battagliere per la
difesa dei diritti delle donne. Così la ricorda
Teresita Sandeski Scelba, che ricoprì svariate
cariche per lunghi periodi all'interno del
Consiglio Nazionale Donne Italiane (Cndi) ed
anche nell'associazione Per la donna.
Quest'ultima associazione aveva curato fin dai primi
del Novecento l'organizzazione di scuole festive,
dormitori per le lavoratrici minorenni, posti di
assistenza per gli emigranti alle stazioni e ai posti
d'imbarco, e soprattutto l'Opera Nazionale di
Assistenza Materna, sorta nel 1918; fu affidata
alle cure del pediatra Enrico Modigliani e della
consorte Olga Modigliani Flascel, la cui sorella,
Giulia Mendel Flascel, figurava nell'elenco delle
socie della Federazione Italiana Laureate Diplomate
Istituti Superiori (Fildis) del 1935, di cui
Isabella fu presidente nazionale fino allo
scioglimento. L'Opera intendeva colmare una
lacuna nell'assistenza alle madri nubili,
accogliendole qualche mese prima del parto e
facilitando riconoscimento e matrimoni. Con la morte
del prof. Modigliani e l'esilio di Olga durante il
fascismo, l'Opera ebbe vita stentata per tutta la
durata del regime5.
- Maria Grassi Koënen era
stata in particolare, nel 1904, l'ideatrice e la
promotrice, per conto dell'associazione Per la
donna, del dormitorio per le minorenni, ubicato in
via Vicenza, a Roma, nei pressi della stazione.
Lì, nel 1908, aveva accolto molte superstiti
del terremoto e successivamente profughe di paesi
invasi e minacciati durante la grande guerra. La
figlia Isabella si era prodigata invece durante il
conflitto come infermiera volontaria al fronte negli
ospedali da campo di Terzo e Scodovacca.
- Il Giornale d'Italia
del 1911 nel presentare le relatrici del congresso
femminista che si apriva a Castel Sant'Angelo, scrive
che Maria Koënen si era dedicata da anni alle
rivendicazioni femminili "lottando con ardore per
sacrosante questioni dalle quali dipende l'elevamento
della donna". Nel corso del congresso, inaugurato e
presieduto dalla stessa Koënen, essa affermava
che occorreva introdurre il divorzio nella
legislazione italiana e lottare per la laicità
della scuola perché femminismo e libero
pensiero erano una rivolta dell'anima contro le
antiche forme della morale religiosa (Nuova
Antologia: 1911, 106).
- Nel 1924 il dormitorio
entrava a far parte dell'Assistenza Materna per
madri legittime e illegittime, mentre la Koënen
veniva nominata membro del consiglio direttivo
dell'Assistenza Materna, carica che non
è stato possibile sapere se espletò o
meno6.
- Maria Koënen aveva
funzioni di cassiera all'interno del Cndi, anche
perché l'associazione Per la donna,
divenuta nel 1907, con l'apertura di altre sezioni,
Associazione Nazionale, era federata al
Consiglio stesso ed era anche la rappresentante
dell'Italia all'Icw, International Council of
Women, cui il Cndi si collegava
internazionalmente7.
- Negli anni Venti il Cndi,
insieme alla Federazione Nazionale Madri e Donne di
combattenti, alla Federazione Italiana fra le
Laureate e Diplomate Istituti Superiori,
all'Associazione Italiana Dottoresse in Medicina e
Chirurgia, e all' Associazione Italiana delle
Amiche delle giovanette, si accordavano sul
memoriale presentato dall'associazione Per la
donna in occasione del progetto di legge sul voto
amministrativo alle donne. In esso si ipotizzava tra
l'altro se non fosse il caso di comprendere fra le
onoreficenze che consentivano il diritto di voto,
anche quelle elargite per servizio prestato in
occasione di calamità pubbliche; inoltre
chiedevano che fosse inserita fra gli aventi diritto
al voto chi avesse superato l'esame scolastico alla
fine del terzo corso elementare, considerato che
nell'attuale legislazione il proscioglimento
dell'obbligo scolastico variava da comune e comune fra
la 3, la 4 e la 6 classe. Si richiedeva infine che
venissero comprese nel diritto di voto anche le donne
che avessero avuto l'effettivo esercizio della patria
potestà e della tutela e non ne fossero state
rimosse per incapacità, e quelle donne che
già usufruivano del diritto di voto in corpi
arbitrali e amministrativi riconosciuti dallo stato e
avevano coperto cariche direttive in enti o
commissioni dipendenti dallo stato, dalle provincie e
dai comuni8.
- Tra le iniziative che Maria
K. portò avanti in prima persona significativa
è quella di un comitato per le vedove e gli
orfani di impiegati privati che si trovavano in
miseria perché non avevano diritto ad alcuna
forma di pensione.
- Viene da sé pensare
che Isabella, accanto alla madre nelle sue
attività associazionistiche, ne avesse
assorbito progressivamente propositi e scelte. Molto
probabilmente, fu in compagnia della madre che conobbe
e si legò d'amicizia con Gabriella Spalletti
Rasponi, presidente per anni del Cndi, e
animatrice di uno dei più noti salotti
romani.
- L'amicizia decennale fra
Isabella e la Spalletti si concretizzò sul
piano lavorativo con la carica di segretaria del
Consiglio Nazionale Donne Italiane che Isabella
ebbe per vari anni; oltre a ciò, la
Fildis fu dal suo nascere federata al
Cndi, e Isabella esercitò quindi una
doppia rappresentanza. Il rapporto s'interruppe solo
con la morte della Spalletti Rasponi avvenuta nel
1931.
- Infine, una personale
iniziativa della Grassi Koënen fu la difesa
assunta in nome delle ricevitrici del Lotto.
Nell'assemblea generale del Cndi, tenuta a Roma nel
gennaio del 1913, Maria K. parlando a nome del
Comitato Nazionale delle vedove e orfani degli
impiegati dello stato e per mandato delle
ricevitrici del Lotto, si dichiarava contro
l'approvazione della legge che prendeva il nome dal
ministro L. Facta dove si stabiliva di allontanare le
ricevitrici titolari se entro otto giorni non avessero
assunto la gestione personale del banco. Poiché
le ricevitrici erano quasi tutte in età troppo
avanzata per poter provvedere diversamente alla
propria sussistenza, la Grassi Koënen proponeva
al Cndi di votare un ordine del giorno che
tutelasse le circa 800 donne che sarebbero state
ridotte in condizione precaria dalla legge del 4
maggio 1912; il progetto di legge avrebbe dovuto
essere emendato in modo da concedere alle vedove e
orfane degli impiegati dello stato, attualmente
ricevitrici titolari, di conservare immutata la
gestione del banco che era stata concessa prima del
1906, come ricompensa dei servizi prestati allo stato
dai rispettivi padri e mariti (Attività
Femminile Sociale: 1913, 23-4).
- Isabella fece gli studi medi
classici a Roma, al liceo "Pilo Albertelli", ex
"Umberto I", dove si sa con certezza che dal 1903 al
1905 frequentò i primi due anni della scuola
media superiore da ottima allieva con i voti del sette
e dell'otto. Non si è trovata traccia invece
dei registri relativi alla maturità classica,
che sarebbero stati utili nel caso avessero tracciato
un giudizio anche sul suo carattere. Unica spia delle
sue letture e interessi culturali è quella
parte della sua biblioteca che si trova alla
Alessandrina di Roma, nota come Donazione Grassi, con
tutta probabilità depositata dalla madre dopo
la morte della figlia, unitamente al lascito di una
borsa di studio in memoria di Isabella
Grassi.
- La biblioteca di Isabella
riflette immediatamente i suoi gusti e la sua cultura
bilingue: molte le opere di filosofia anche in
tedesco, come Kant, Fichte, Feuerbach, e testi
posteriori come Boutroux e Gentile. I libri
strettamente politici non sono numerosi: vi si trova
una raccolta di discorsi parlamentari dei deputati
Bonghi, Bertani, Finocchiaro, Varisco e Formichini, ed
un testo di Mussolini. C'è poi una nutrita
schiera di autori del romanticismo italiano e
straniero come Byron, Michelet, Maëterlink,
Foscolo, Pindemonte, Mazzini, Guerrazzi. Il Novecento
è scarsamente rappresentato, ma certo i libri
di Fogazzaro non sorprendono nella biblioteca di
Isabella, dati i legami teorici e pratici della Grassi
col Buonaiuti e il ruolo avuto dal Fogazzaro nei
fermenti modernistici dell'Italia del primo Novecento.
Fra le donne, sono presenti, oltre a Jane Austen e
alla pedagogista italiana Caterina Franceschi
Ferrucci, due firme che rappresentano la conferma, del
resto ampiamente documentata, degli interessi di
Isabella non solo per la religione, ma per tutto
ciò che concerneva l'occulto, l'irrazionale, il
teosofico: la prima è quella di Eva De
Vincentiis, socia dell'associazione Per la donna,
presente con un saggio intitolato Una parola
d'oltre tomba sulla educazione della gioventù,
pagine dettate da una individualità
disincarnata con prefazione del medium (1921). Il
medium è la stessa De Vincentiis, che a un
certo punto della sua vita si sente scelta e guidata
da uno spirito che le detta il contenuto del libro.
Una delle tesi fondamentali del libro è che
l'avvicendarsi delle generazioni deve segnare una
ascesi progressiva, seguendo una sorta di
reincarnazione qualitativa e obbedendo a criteri
precisi sia nella educazione degli spiriti, sia nella
procreazione; il concepimento è visto in modo
del tutto distaccato dal piacere, e indirizzato solo a
migliorare la qualità dei viventi. L'altra
presenza è quella della teosofa e conferenziera
Annie Besant, che si impegnò in Inghilterra
nella propaganda neo-malthusiana per il controllo
delle nascite, in nome degli stessi principi della De
Vincentiis9.
Nell'elaborazione di una diversa e più moderna
sessualità che non voleva affatto sconfinare
nell'immoralità, ma anzi mirava ad una
fortificazione della moralità umana, si
può rintracciare anche uno dei motivi dello
scambio culturale fra Isabella Grassi e lo scomunicato
Buonaiuti, avversario della politica demografica del
regime fascista e autore di un libro (certamente
singolare per un sacerdote) I rapporti sessuali
nell'esperienza religiosa primitiva.
- Sulla scia dell'impegno
materno, Isabella non era assente da nessuna
manifestazione femminile di impegno sociale, ma
l'istituzione a cui dedicò più tempo,
energie e risorse economiche fu la Fildis. Fin
dal 1915 fu anche consigliere della Sezione
Italiana del Comitato Internazionale Femminile Pro
Pace e Libertà, fondato a Roma nel 1915.
Chi l'ha conosciuta ricorda una donna la cui mente
spaziava dalla più vasta problematica teorica e
organizzativa fino ai più piccoli dettagli
della vita quotidiana.
- Tra le sue iniziative
più sconosciute c'era per esempio l'istituzione
e il finanziamento di una cassa per i piccoli prestiti
non eretta in ente morale e nota solo a poche socie e
benefattrici. L'istituzione quasi familiare aveva lo
scopo di aiutare dignitosamente persone oneste e serie
del ceto operaio o piccolo borghese che si trovavano
temporaneamente in difficoltà. Le piccole somme
venivano messe a disposizione sotto forma di prestito
senza interessi e a tempo illimitato.
- La donna che operava nelle
associazioni rimaneva però per lei la vera
chiave di volta del cambiamento sociale ed anche della
crescita interiore.
- In lei, l'attivismo personale
- che era anche una risposta esterna ai dubbi
esistenziali - si coniugava perfettamente con l'idea
che Isabella si faceva della donna nella
società futura: elevata culturalmente,
socialmente e spiritualmente. La spinta all'elevazione
in qualunque modo intesa non riguardava solo la
condizione femminile, né poteva dirsi nata nel
Novecento. Si collegava piuttosto ai cambiamenti
sociali, economici e politici inaugurati
dall'unità d'Italia, accompagnati da un
notevole mutamento di mentalità. L'opera di
alfabetizzazione inaugurata dallo stato unitario negli
anni '60 era stata decisiva nel mutare gli orizzonti
mentali e professionali, mentre il radicamento della
cultura laico-socialista, con il prospettare una vita
terrena (anziché ultraterrena) qualitativamente
migliore, ebbe anch'essa un ruolo significativo. Il
valore attribuito dalla cultura socialista al lavoro
come strumento di indipendenza economica e contributo
alla ricchezza della nazione, si combinò per
molte donne con il tramonto definitivo dell'economia
dotale. Non era più solo il matrimonio l'unica
collocazione possibile. In molte famiglie, ormai
impossibilitate ad assicurare alle figlie
un'educazione borghese, fondata sulle arts
d'agréments, in vista di una buona
collocazione matrimoniale si diffondeva invece la
convinzione che era meglio dotare le figlie di un
diploma e di un lavoro onesto e decoroso. Non era un
caso che gran parte delle maestre di fine secolo
provenissero in buon numero da famiglie della piccola
borghesia. In questo percorso di continua elevazione,
culturale e materiale, che andava di pari passo con lo
sviluppo della società moderna, anche Isabella
proiettava se stessa. Fu questa convinzione che la
motivò ad accettare la presidenza della sezione
educazione del Lyceum Romano dal 1932 al 1935,
attività, questa, che è stato
impossibile analizzare in dettaglio per la
irreperibilità dei documenti relativi al
Lyceum. Poiché però esso, come
istituzione, si proponeva di elevare e aggiornare il
pubblico femminile con cicli di conferenze, non
è difficile intuire come Isabella lo vedesse
come un ulteriore strumento per elevare la cultura
femminile.
- Sempre su questa linea,
Isabella aveva cercato di essere presente ai congressi
triennali tenuti all'estero dalle universitarie di
tutto il mondo, per testimoniare lo sforzo culturale
della donna italiana. Questi viaggi erano peraltro
resi ancora più necessari dalla riduzione di
autonomia subita dalla Fildis ad opera del regime
fascista dopo gli anni trenta; i contatti
internazionali permettevano una comunicazione ed uno
scambio altrimenti impossibili.
- L'impostazione data da
Isabella alla rivendicazione dei diritti era quella di
una parità culturale raggiunta con la
rettitudine morale e soprattutto con lo
studio.
-
- La donna
impiegata, la donna professionista di tutti i
rami dello scibile era da lei concepita non come
stupida antitesi alla donna madre, ma come un
integramento reso necessario dal cammino
ascensionale della civiltà moderna, dal
mutato fattore economico ed anche specialmente
dall'accresciuto livello culturale di tutta la
nazione, dal diffondersi delle arti liberali e
degli studi ai quali la donna si abbevera come
l'uomo non solo per rispondere alle
necessità della vita materiale, ma per
saziare quella sete del sapere che è
insita nell'essere umano intelligente, a
prescindere dal sesso. Così Isabella
intendeva la nostra missione e raccomandava di
estollerci più che fosse possibile dalla
questione di voto isolata e fine a se
stessa10.
-
- Per questo raccoglieva,
sforzando la vista indebolita da una miopia
progressiva, tutte le notizie relative a concorsi
universitari, a premi letterari e scientifici
conquistati da donne italiane in pubblici
concorsi.
- Da questi pur brevi cenni
risulta chiaro che Isabella Grassi condivide il
progetto comune a tutte le emancipazioniste che tra la
fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento si
battono in prima persona per una "donna nuova". A
coronamento delle lotte per l'affrancamento dal ruolo
tradizionale e l'acquisizione di altri inconsueti e
innovativi, per molte emancipazioniste deve emergere
una donna liberata, di cui il nuovo secolo sembra
comunque portatore sull'onda del progresso sociale ed
economico. "Nuova" e "futuribile" la donna moderna lo
era indiscutibilmente sotto molti aspetti: aperta a
nuove professioni, in lotta per i diritti civili e
politici - primo fra tutti quello di voto - in
contrasto con un ruolo falsamente naturale ed
esclusivo che la voleva dedita comunque, volente o
nolente, alla maternità; critica nei confronti
dei ruoli sessuali tradizionali e dell'ideologia
oppressiva celata sotto i legami affettivi
tradizionali. Benché il termine "donna nuova"
circoli con relativa frequenza in diverse sponde
culturali e ideologiche, le donne del movimento
femminil-femminista non si soffermano spesso sulla
teorizzazione di esso.
- La delineazione di una nuova
tipologia di donna italiana viene invece portata
avanti anche dall'uomo che attraverso una serie di
passaggi culturali comincia a produrre teorie, idee e
dati per dare forma all'altra metà del
carattere nazionale: l'italiana. La costruzione di una
tipologia femminile ha inizio negli ultimi dieci anni
dell'Ottocento e continua fino alla grande guerra, nel
dopoguerra e nel ventennio fascista. L'elaborazione di
una tipologia femminile si configura quindi come
operazione esclusivamente politica attraverso cui
intellettuali d'ambo i sessi tentarono di far leva
sull'immaginario collettivo femminile per arrestare o
accelerare l'immagine che le donne avevano l'una
dell'altra e della possibilità di cambiamento
legata all'immagine.
- Tra i contributi femminili
italiani all'individuazione di una probabile tipologia
femminile passata e presente si può annoverare
quell'Esposizione Beatrice tenuta a Firenze nel 1890,
nata da un'idea di Felicita Pozzoli e Bice Ferrari per
festeggiare Beatrice collocandone il busto nella casa
di Dante. Il progetto iniziale fu ampliato da Angelo
De Gubernatis che propose una pubblica esposizione di
lavori femminili "d'ingegno e di mano" provenienti da
tutta le province italiane e una serie di conferenze
che offrissero un'immagine della donna italiana nella
storia e nell'arte dal Trecento all'età moderna
e contemporanea. Ne fu tratto un volume, La donna
italiana descritta da scrittrici italiane (1890),
frutto di una selezione fra i trenta lavori inviati
(F. Taricone- Beatrice Pisa: 1985, 71-83).
- Teresa De Gubernatis, (F.
Taricone: Dizionario Biografico degli italiani,
1996) sorella di Angelo11,
aveva disegnato per l'occasione una rassegna
tipologica della donna dei diversi ceti sociali, dalle
aristocratiche alto e medio borghesi, alle massaie,
alla "bisnonna rediviva" come lei stessa definisce le
conservatrici, "alla donna del popolo", tracciando in
breve una piccola sistemazione concettuale, secondo
classi sociali, della donna italiana.
- Dora Melegari,
italo-svizzera, molto attiva nel Cndi e negli
organismi pacifisti, scrive nel 1902 che mentre per
gli stranieri la donna italiana era ancora "la femmina
assoluta", essa nella realtà era una donna
provinciale che si muoveva poco e produceva più
memoria passatista che immagini contemporanee di
sé (Michela De Giorgio: 1987, 215).
- Del resto, a mutare
l'immagine fisica, contribuisce ormai anche la
pubblicità sui benefici dell'esercizio fisico
femminile che a lungo andare produrrà
nell'immaginario cambiamenti dei canoni della bellezza
femminile legata non più solo alla corpulenza,
alla mollezza, alla sedentarietà, e non
più vista in contrasto con la forza, la
muscolatura, l'agilità, la
snellezza.
- La stessa propaganda
sull'igiene, serratissima a fine secolo e nel primo
Novecento, contribuisce a disegnare, interpretare,
raffigurare il corpo femminile; e se è vero che
tutte le descrizioni sono di parte maschile, alla
donna si poneva comunque l'intimo interrogativo se
quella descrizione le corrispondesse, se in esse vi si
ritrovasse con la sua fisicità.
- La donna nuova, anche
fisicamente, non faceva altro in definitiva che
accentuare la crisi della femminilità
tradizionale, con tutto il corredo di gesti,
comportamenti, abitudini, affettività ad essa
legati. La donna nuova si colora di mascolinizzazione
non solo per la meta che si propone - occupazioni di
spazi maschili, uguali opportunità e privilegi
- ma anche per il codice fisico-comportamentale. La
donna nuova che si tenta di individuare e di
circoscrivere era spesso anche oggetto di compassione
perché si riteneva che si fosse dedicata a una
vita inadatta alla donna in quanto frustrata nel
desiderio di farsi una famiglia, oppure perché
priva di attrattive fisiche che la rendessero
sessualmente aderente al gusto maschile. Ricompare
puntuale il fantasma della virilizzazione sotto forma
di commento sull'aspetto fisico delle
emancipazioniste, un classico per i detrattori delle
qualità femminili, già dal
Sei-Settecento, accompagnato dalla constatazione della
bellezza che era in grado, quando esisteva, di fare da
contraltare all'azzardo del ruolo contro natura della
femme savante (Ginevra Conti Odorisio: 1979).
Le erudite oltre i limiti del proprio sesso avevano un
precedente glorioso, ma ridicolizzato da
Molière, le preziose che avevano
rifiutato il matrimonio; ma l'intero Settecento e
Ottocento era popolato da donne che spesso preferivano
una vita vedovile autonoma ricca d'interessi,
piuttosto che una seconda unione. Negli anni in cui si
afferma l'emancipazionismo e quindi un diverso modello
femminile, una persistente immagine viriloide fa
elaborare ipotesi pessimistiche su una donna che
spinge la sua libertà fino alla non
accettazione della famiglia, dei figli e della stessa
femminilità così come era intesa fino
allora e nasce non casualmente alla fine del secolo il
termine "terzo sesso". Ma né la cultura
cattolica, che ai primi del Novecento condanna il
femminismo democratico-cristiano troppo progressista,
né la cultura positivista dominante alla fine
dell'Ottocento, dimostrano di approfondire
particolarmente le scelte femminili. Il positivista
Giuseppe Sergi, ad esempio,
-
- si pone il
problema di come le nubili emancipate libere e
indipendenti dall'uomo possano vivere senza
quell'elemento essenziale alla vita al quale gli
uomini scapoli provvedono senza pericoli e senza
vergogna, l'amore" (M. De Giorgio:
ibidem, 239).
-
- È evidente che per la
mentalità del tempo, che coniugava
inscindibilmente amore e matrimonio, sesso e
riproduzione, tenendone fuori il piacere, non fosse
neanche ipotizzabile come un rapporto idealmente
intenso fra donne potesse compensare un rapporto
erotico con l'altro sesso.
- Sull'altra sponda
dell'Atlantico e in Inghilterra il femminismo
celibatario americano e anglosassone era ben
più teorizzato che in Italia. Christabel
Pankhurst, ad esempio, una delle prime e più
attive agitatrici della lotta per il suffragio in
Inghilterra assieme alla madre e alla sorella,
affermava categoricamente che "spinsterhood was a
political decision, a deliberate choice made in
response to the conditions of sex-slavery". (Sheila
Jeffreys:1985, 89) Lucy Re-Bartlett in Sex and
Sanctity, dopo aver parlato degli orrori della
tratta delle bianche - cioè della prostituzione
femminile anche minorile e della rovina morale dei
figli - descrive la emergente coscienza delle
militanti inglesi e in genere di tutta una nuova
coscienza femminile anche nelle donne non militanti
nei movimenti di liberazione:
-
- These women
feel linked by their womanhood to every
suffering woman and every injuried child and as
they look around upon the great mass of men who
seem to them indifferent, there is growing up in
the hearts of some of these women a great sense
of distance...In the hearts of many women today
is rising a cry somewhat like this... I will
know no man and bear no child until this apathy
is broken through these wrongs be righted...(S.
Jeffreys: 1985, 89).
-
- Anche gli studi contemporanei
sull'argomento si sono sviluppati in territorio anglo
americano piuttosto che italiano. Nel 1985 veniva
pubblicato in traduzione un articolo di Esther Newton
e Carroll Smith Rosenberg su Il mito della lesbica
e la "donna nuova": potere, sessualità e
legittimità, 1870- 1930.
- Secondo queste autrici, la
"donna nuova" nubile, colta, ben definita
politicamente e professionalmente, si sarebbe imposta
tra il 1879 e il 1930. Nel tentativo di far coincidere
la legittimità sociale con il rifiuto della
famiglia e l'esercizio attivo di una professione,
l'immagine della donna autonoma e quella della donna
dotata di sessualità si fusero gradatamente per
dare vita al mito della donna sessualmente autonoma
che recava in sé una forza esplosiva. Nel corso
degli ultimi due decenni dell'Ottocento e dei primi
anni del Novecento i sessuologi, gli educatori e i
sociologi fecero della donna nuova una lesbica
imitatrice degli uomini, fabbricando un ruolo
femminile intermedio e pericoloso. Infatti, una donna
che rivendicava fuori della struttura familiare i suoi
diritti all'autonomia sessuale, politica ed economica,
non simbolizzava più solo la trasformazione
della famiglia, ma quella della
società.
- Le due autrici considerano la
donna nuova come il prodotto di un'interazione tra
forze macro-economiche e istituzionali da un lato, e
l'evoluzione sociale dall'altro: le figlie della
classe media si sposavano più tardi o affatto,
mentre si faceva sentire la diversificazione legata
alla crescita industriale e urbana, insieme
all'importanza degli studi superiori in un mondo che
esigeva la specializzazione. La generazione delle
donne nuove intrecciò così tre discorsi
distinti: il diritto di ognuno a realizzarsi, una
visione romantica della morale superiore delle donne,
un nuovo approccio scientifico non determinista. Gli
interventi dei medici nella questione ebbero un peso
rilevante. Alla fine dell'Ottocento, Richard
Krafft-Ebing divise le lesbiche in quattro categorie:
quelle che non tradiscono l'anomalia attraverso
l'aspetto esteriore; le "virago" che avevano una
marcata preferenza per i vestiti da uomo; la terza
categoria, in cui rientravano le inversioni pienamente
dichiarate e, in ultimo grado, la "ginandria" che
rappresentava lo stadio estremo di mascolinizzazione.
Havelock Ellis, rifiutando sia le tesi di
Krafft-Ebing, sia le tesi dei medici americani secondo
cui il lesbismo era un fenomeno tipico della classi
inferiori, affermò che le lesbiche erano spesso
donne brillanti, colte e seducenti. Sosteneva anche
che l'omosessualità era due volte più
frequente fra le donne che fra gli uomini e risultava
diffusa fra le studentesse e le donne attive nei
movimenti politici riformisti.
- Lentamente, la donna nuova,
nata in America e in Inghilterra, con il suo carico di
ambiguità comportamentali e a cui si guardava
spesso in Europa come a un'icona di simbologia
emancipatrice, si affacciò discretamente anche
sulla scena italiana, collegandosi al problema della
nubilità, considerata talvolta una traduzione
in termini pratici della contestazione ideale della
società maschile. Isabella stessa, oltre a
conoscere le potenzialità e le caratteristiche
della "donna nuova" poteva essere definita lei stessa
in modo tale? Aveva anche lei accoppiato alla
riflessione sui diritti esterni, civili e politici, la
pratica dei diritti per così dire "interni" e
inerenti alla sessualità autonoma, alla
riproduzione e al matrimonio, alla prole come si
diceva allora concepita come libera scelta, a una
concezione dell'individualità femminile scissa
dai ruoli di moglie e madre?
- Non si può dare una
risposta esauriente a questi interrogativi anche
perché il problema della "donna nuova" nel suo
complesso in Italia non si sviluppa in un dibattito
ampio come all'estero; ma si possono avanzare delle
ipotesi e osservazioni che non paiono azzardate. Il
tema non era certo sconosciuto a Isabella dal momento
che come rappresentante dell'Italia ai congressi
triennali dell'International Federation of
University Women aveva la possibilità di
girare il mondo molto più della maggioranza
delle donne italiane della sua epoca. Per quanto non
abbia lasciato scritti precisi sull'argomento, non
solo era perfettamente addentro al movimento
emancipazionista e femminil-femminista italiano e alle
tematiche che l'attraversavano, ma poteva essere
considerata lei stessa un'esponente del cosiddetto
femminismo celibatario. Nella prima pagina dei due
diari superstiti da me pubblicati si trova una
affermazione significativa:
-
- Per il
matrimonio non ho alcun trasporto: prova ne sia
che non mi sono mai sposata finora e quel che
è più sintomatico non mi sono
neppure innamorata: quindi non può essere
il matrimonio il mio destino" (F. Taricone:
2000, 109).
-
- Non si rifugiò quindi
dietro a nessuna giustificazione di copertura, per una
scelta fatta in un periodo in cui la figura della
zitella era socialmente screditante. La polemica sul
celibato femminile portava con sé anche
risvolti eugenetici e igienici. Si sosteneva che per
le donne il celibato fosse dannoso alla salute mentre
le femministe unmarried sostenevano il
contrario e cioè che erano il matrimonio come
contratto, le vessazioni della vita familiare, le
continue gravidanze che uccidevano il benessere fisico
delle donne.
- Ne è un esempio il
volume proveniente dalla biblioteca della Grassi, a
firma di Edward Carpenter,12
L'amore diventa maggiorenne, che ebbe varie
edizioni, in cui interi capitoli sono dedicati al
"terzo sesso". L'autore sintetizza quello che era un
fenomeno di attualità e di costume, ma anche un
nodo psicologico, antropologico e sessista tipico del
tempo. Lo scrittore ritiene che nell'uomo le passioni
e i poteri intellettivi, affettivi ed emotivi siano
più vasti e profondi che nella donna, ma
quest'ultima ha un grande vantaggio: i suoi poteri
sono più coordinati e più armonizzati
fra loro, mentre quelli dell'uomo sono separati e in
perenne conflitto: "La maggiorennità dell'amore
che armonizza tutte le facoltà della natura
umana ha luogo più presto nella donna mentre
nell'uomo si protrae a lungo e talvolta non si
effettua mai completamente" (E. Carpenter: 1946, 23).
La società si è quindi venuta formando
sul modello maschile: progredita intellettualmente e
nelle invenzioni meccaniche, animata da passioni
smisurate, ma piena di confusione e di lotta. Una
società, afferma lo scrittore, che dal lato
materiale potrà anche sembrare un successo, ma
dal lato affettivo dà a volte l'idea di un
completo fallimento. Gli uomini non sono mai diventati
maggiorenni, osserva Carpenter; e afferma
crudamente:
-
- A volte
è irritante il pensiero che i destini del
mondo, l'organizzazione della società, le
meravigliose possibilità della politica,
gli immensi portati dell'industria e del
commercio, l'amore della donna, le vite dei
criminali, la sorte delle nazioni barbare, tutto
sia nella mani di una tale genia di idioti (E.
Carpenter: 1946, 25).
-
- La donna nuova e l'operaio,
invece, si assomigliano sotto vari aspetti: ambedue
erano stati oppressi a lungo e ora cominciavano a
ribellarsi, più forti sotto l'aspetto emotivo
che non intellettivo, convinti dell'ideale di un
avvenire migliore che ancora non sanno come attuare.
Per uscire da una condizione degradante, compresa
quella di moglie intesa come proprietà
maschile, la donna ha bisogno di disporre di se stessa
con la massima libertà e quindi di essere
indipendente. Anche il sesso, di conseguenza, che
nell'uomo è passione disordinata e impeto
individuale, mentre nella donna è un "istinto
costruttivo", cambierebbe. Alla donna nuova è
affidato questo compito innovativo, alla
-
- donna
moderna, con i suoi clubs, le sue discussioni,
la sua politica, la sua libertà di
azione, e di costume... le donne moderniste
appartengono in gran parte o alla classe di
quelle in cui l'istinto materno è poco
forte o alla classe di quelle in cui l'istinto
sessuale non è preponderante. Esse dunque
non rappresentano completamente il loro sesso.
Alcune hanno un temperamento piuttosto maschile,
altre sono omogeniche, cioè propense ad
affezionarsi al loro sesso e non al sesso
opposto; altre sono ultrarazionaliste e pure
intellettualiste; per molte i figli sono
più o meno una noia; per altre infine, la
passione sessuale dell'uomo costituisce una
semplice impertinenza che non comprendono
affatto e di cui non possono quindi determinare
la funzione e l'importanza. Forse l'accusa
più grave che si possa muovere loro
è questa della deficienza dell'istinto
materno; ma poi, dopo tutto, cosa sappiamo noi
di quello che l'evoluzione sta preparando? (E.
Carpenter: 1946, 55).
Infine, nel capitolo
intitolato Il sesso intermedio Carpenter
traccia un quadro dei mutamenti dei rapporti reciproci
fra uomo e donna, sottolineando che il cambiamento si
era verificato in seguito all'apparire della "donna
nuova". L'uguaglianza aveva in un certo senso
mascolinizzato la donna e inversamente reso più
sensibile l'uomo. Le donne nel matrimonio cominciavano
a pretendere che esso fosse anche amicizia e non solo
passione. Carpenter cita lo scrittore austriaco K. H.
Ulrichs che aveva dimostrato come vi fossero degli
esseri i quali pur appartenendo a un sesso
fisicamente, facevano parte in realtà del sesso
opposto mentalmente ed emotivamente, o donne cui si
adattava la definizione inversa; l'individuo maschile
quindi, invece di unirsi per amore con una femmina
tendeva a contrarre una amicizia romantica con una
persona del suo stesso sesso, mentre l'individuo
apparentemente femminile, invece di maritarsi more
solito, dedicava la sua vita all'amore di un'altra
donna. Ulrichs definì queste creature "urningi"
o "uranii" e Carpenter le considerava il primo
tentativo dei tempi moderni di stabilire l'esistenza
di quello che potrebbe chiamarsi "il sesso
intermedio", dandone una spiegazione. Tali esseri, la
cui esistenza non era mai riconosciuta, ricorrevano
nella società in numero tutt'altro che esiguo,
perché se si aggiungevano coloro che oltre agli
affetti consueti sperimentavano "tendenze omogeniche"
diventavano una legione; erano però difficili
da scoprire perché sentendosi incompresi
tendevano a nascondere i loro veri sentimenti e anzi
agivano deliberatamente in modo da ingannare "il
mondo". Per Carpenter era evidente comunque come
uomini e donne non fossero affatto degenerati e per
giunta non fosse obbligatorio il tratto distintivo
dell'effeminatezza negli uomini e, nelle donne, quello
di abitudini maschili marcate13.
- La guerra, con la sua
inevitabile carica palingenetica e le grandi
trasformazioni sociali ed economiche sanzionerà
in modo irreversibile il consolidamento di quella
"donna nuova" che neanche il conservatorismo fascista
riuscì a modificare. Negli anni trenta, la
rivista Progresso Religioso, alla quale
collaborava Isabella, promuove una inchiesta fra i
giovani, utile per capire i mutamenti avvenuti nelle
nuove generazioni rispetto ai primi del Novecento.
Può darsi che Isabella avesse ispirato
dall'interno della rivista la novità di
un'inchiesta per approfondire i cambiamenti nei ruoli
sessuali e sociali fra quei giovani che
rappresentavano la seconda e anche la terza
generazione rispetto alle emancipazioniste di fine
Ottocento. L'iniziativa nasceva dalla considerazione
che si era nel mezzo di una crisi di gravi
proporzioni, che si rifletteva in tutte le
attività umane. I giovani, rispondendo
nell'inchiesta in base a ciò che sentivano
più che a quello che pensavano, potevano
suggerire a chi vagliava le risposte su quali principi
etici (così si esprimevano gli ideatori) si
sarebbe secondo loro fondata la società futura.
In questa prospettiva di lavoro il dottor Assaggioli
iniziò alla sede del Liceum la stesura
di un ricco formulario. Mario Puglisi, fondatore della
rivista14,
convocò nel suo studio a varie riprese giovani
d'ambo i sessi dai 18 ai 21 anni, quasi tutti studenti
e appartenenti alla media borghesia. Le risposte al
questionario rappresentavano, secondo gli
intervistatori, un discreto indice dello stato di
coscienza della condizione giovanile. Le domande
salienti erano:
- I Avete scelto un
indirizzo nella vita e quale?
- II Siete mossi da
esigenze religiose e morali o puramente
pratiche?
- Le risposte femminili sono in
effetti molto indicative in riferimento proprio alla
"donna nuova", tanto più considerando l'epoca
in cui era stata condotta l'inchiesta, quando il
consenso al regime sembrava fenomeno di massa, anche
se si deve tenere conto che l'ambiente che si
raccoglieva attorno alla rivista era eterodosso
rispetto al clima politico e agli indirizzi
governativi.
- Alcune affermano di seguire
nella vita le consuetudini, ma eliminando tutto quanto
ritengono solo "convenzionale"; nelle letture
preferite includono il trasgressivo Pitigrilli e in
genere non rifiutano nessun libro perché
vogliono conoscere bene la vita per affrontarla e
anche per reazione "alla letteratura scioccamente
sentimentale dei padri".
- La donna andava messa in
condizione di vivere da sé in modo
autonomo, senza dover dipendere dagli uomini: quindi
la sua educazione doveva essere tesa a darle tutti i
mezzi per partecipare assieme agli uomini alla vita
sociale, ivi compresa la gestione degli affari
pubblici. Del resto - si aggiunge significativamente -
la funzione educativa della madre viene ogni giorno
più limitata perché ad allevare i figli
ci pensa lo stato.
- Quest'ultima era sembrata una
risposta particolarmente significativa non tanto per
il riferimento alla ben nota opera di tutela della
maternità e della razza perseguita dal
fascismo, ma perché svela un aspetto
dell'immaginario femminile riguardo a questo tema.
Sicuramente ciò non era nelle intenzioni del
regime, ma il carico previdenziale e statale di una
politica della maternità può aver avuto
effetti liberatori nella mentalità di molte
donne della piccola e media borghesia, le quali
cominciano a pensarsi potenzialmente in grado di fare
anche qualcos'altro, oltre ad espletare i puri e
semplici compiti riproduttivi.
- Infatti una intervistata
afferma che negli anni trenta la donna si trovava
sospesa tra l'educazione del passato, inadeguata ai
tempi, e quella moderna che non appagava, anzi faceva
nascere inquietudini e malcontento. L'intervento della
donna nella politica era visto da molti come positivo,
appunto perché aveva a disposizione delle
qualità peculiari diverse da quelle degli
uomini e che si potevano mettere a frutto, come la
praticità, l'ordine, l'avvedutezza. Altrettanto
significativamente era una non studentessa a ribadire
che l'unico ideale della donna restava la famiglia, a
meno che essa non avesse delle spiccate facoltà
mascoline, per ingegno e temperamento.
- Per altre, una cultura della
donna giova certamente anche alla casa, ma deve essere
rivolta solo all'educazione dei figli. Le risposte
maschili oscillano tra il misticismo di chi rifiuta la
famiglia perché è Dio che riempie tutta
la vita e il mito del superuomo che aspira a dominare
le sue forze istintive, ma soprattutto gli
altri.
- Il commento finale
all'inchiesta rileva in effetti quanto spirito di
combattività sociale si fosse sviluppato nella
donna, rifiutando la missione casalinga a cui la si
voleva destinata in eterno. E costituisce anche una
conferma del lungo cammino percorso da più
generazioni di donne "nuove", cui fa da contrappunto
un certo immobilismo maschile. Gli uomini sembrano
aver accettato ormai la modernità della
condizione femminile, percepita peraltro in un'epoca
che certo non ha brillato nell'aprire spazi inconsueti
alle donne, quale quella fascista. La polemica non
è quindi rivolta alle anomalie di quelle donne
troppo virili che lavorano o studiano. Ma conservano
egualmente un tono passatista nel rivendicare antichi
privilegi:
-
- Di fronte al
suo assalto, i giovani in genere si ritirano
sulle posizioni antiche poiché per
difendere i privilegi sfoderano quei medesimi
argomenti di cui si valevano i loro avi. Ma la
donna d'oggi che va all'università e sta
prendendo un posto negli uffici è
insofferente di indugi e divieti e tiene a
dimostrare che ha consapevolezza dei problemi
della vita associata e virtù atte ad
affrontarli, il che potrà dispiacere al
futuro marito e ad averne uno non sembra che le
giovani d'oggi tengano molto, ma non pare ormai
sia un destino facilmente evitabile
(Progresso Religioso: 1932,
160-5).
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