1 Alla base di tale considerazione sta il fatto
            che il sanscrito in quanto tale, ossia lingua "fatta ad
            arte" e dunque "perfetta" (samskrta), presuppone
            uno o più idiomi da cui sia partito il suo cammino
            evolutivo. Questi stessi idiomi, non coinvolti nell'opera
            di "perfezionamento", sono poi quelli che nel tempo
            avrebbero proseguito in uno sviluppo senza soluzione di
            continuità sino ad oggi, accumulando
            un'"età" senza dubbio assai più
            cospicua. 
            2 In realtà la denominazione comprende
            circa una dozzina di lingue. Quella indicata dalla
            Costituzione è più propriamente la variante
            "khari boli". 
            3 Sintomaticamente il vocabolo, di origine
            sanscrita, significa appunto "contenitore" e per
            estensione "tesoro" e "vocabolario". 
            4 La presenza nel corpo della maggior parte delle
            lettere di elementi verticali e di una linea orizzontale
            al di sopra di ogni singolo carattere, quindi, in
            sostanza, dell'intera parola, aggiunta alla mancanza di
            differenziazione tra maiuscole e minuscole, finisce per
            imprimere alla pagina vergata in devanagari
            l'aspetto di un vero e proprio 'muro'. 
            5 Il termine "devanagari"  (da noi
            italianizzato nella forma aggettivale del testo) vale
            propriamente "della divina città" o 'dei cittadini
            che si occupano del divino' e la dice lunga sul suo
            impiego all'inizio esclusivamente riservato alla sfera
            della Sacre Scritture: grafia perfetta per una lingua
            "perfetta". Riguardo alla trascrizione qui adottata, si
            fa presente che di solito la "a" finale non
            pronunciata non viene posta tra parentesi; ricorriamo a
            tale espediente per maggiore chiarezza in questo preciso
            contesto che vuole esemplificare un sistema didattico del
            tutto empirico. Segnaliamo inoltre che apponiamo il segno
            di breve sulla "a" solo quando la trattiamo come oggetto
            specifico del discorso, perciò non quando essa
            ricorre nel corpo di un vocabolo. 
            6 Lo schema generalmente seguito per la reale
            pronuncia della "a" finale di sillaba è (i
            numeri che citiamo indicano la posizione della sillaba
            considerata): 1 (monosillabo o comunque sillaba
            iniziale); 2 (trisillabo uscente in "a" o
            polisillabo con la terza sillaba pure uscente in
            "a"); 3 (quadrisillabo uscente in "a"). Per
            un'esemplificazione si rimanda alla successiva
            nota
            9. 
            7 Se considerato secondo le regole della scrittura
            e della pronuncia italiana, questo dovrebbe invece essere
            catalogato come monosillabo. 
            8 Il vocabolo pertanto rientra nella classe di quelli
            uscenti in vocale, al contrario di quanto un
            profano potrebbe essere indotto ad arguire dalla
            grafia. 
            9 Dev(a)nag(a)ri nella pronuncia moderna,
            come l'abbiamo esemplificata nella nota
            6. 
            10 L'ordine con cui presentiamo un esempio al
            femminile prima di quello al maschile dipende dal fatto
            che per il discente il passaggio avviene attraverso
            l'italiano, ove il genere dei due vocaboli è
            scambiato rispetto a quello dei loro corrispettivi
            hindi. 
            11 Nel predicato nominale, invece, l'aggettivo che
            ne costituisce il nome viene collocato dopo il soggetto e
            subito prima della copula, ma anche qui esattamente come
            in italiano. 
            12 A questo punto lo studente ha in mano una sorta
            di corollario che, ad un livello più avanzato di
            apprendimento della lingua, lo metterà in grado di
            affrontare con minor impaccio il difficile capitolo sulla
            specificazione. Nella sua essenza, infatti, il genitivo
            hindi (sambandhakarak(a)) è proprio un
            aggettivo e di questo segue puntualmente le regole:
            formato dal nome (o pronome) in complemento di
            specificazione e dalla posposizione "ka",
            "ke", "ki"), deve venire collocato prima
            del termine specificato e, poiché termina per
            "a" (v. riga 7 di p. 5), accordato in genere e
            numero con questo. 
            13 Ovviamente del numero "1" si ammette solo il
            singolare! Ma a volte anche i concetti più
            semplici, addirittura intuitivi, possono rappresentare
            una sorta di confortante riscoperta. 
            14 Tre, se ci si riferisce alle due forme maschili
            italiane in aggiunta a quella femminile.
   
 
       
          
   
            
            Per ragioni tecniche non è stato possibile
            riportare i vocabili in lingua hindi poiché non
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