Linguistica e Glottodidattica


Donatella Dolcini
 
"Ek(a)" - una chiave didattica per l'apprendimento della lingua hindi
 
 
Quando al termine di un faticoso iter la hindi venne indicata nella Costituzione (art. 343) come lingua nazionale federale (raj bhasa) dell'Unione Indiana, gli estensori del testo forse non erano consapevoli di star designando a quel compito di massima rappresentanza un idioma che, oltre ad essere per motivi prettamente linguistici e poi storici e politici l'unico a poter servire da tramite comunicativo in tutto il Paese, si rivelava anche una sorta di specchio del carattere della nazione. Di nascita remotissima, addirittura precedente a quella del sanscrito nell'opinione di molti studiosi1, quella che oggi si chiama "hindi"2 tout court può venire infatti assimilata ad un enorme contenitore (kos(a)3), che da epoche immemorabili non smette di accogliere e conservare al suo interno gli apporti più disparati, foggiandoli continuamente in un tutt'unico al tempo stesso omogeneo e variegato, antico e moderno, abbarbicato alle sue tradizioni e aperto ad ogni ventata di novità, purché costruttiva. Nel suo corpo convivono così incancellabili aspetti flessivi e forti tendenze alla nominalizzazione, ferreo rispetto della consecutio temporum e inopinata mancanza di discorso indiretto, complicati costrutti relativi e composizioni elementari della frase, puntuale correlazione di elementi sintattici e disinvolte 'sgrammaticature' di infinite espressioni idiomatiche. Una specie di affresco della multiforme ed elastica mentalità (e perciò) cultura indiana, insomma, trasposto dalla realtà della vita di ogni epoca e di ogni giorno alla sfera della comunicazione orale e scritta.
 
Dal punto di vista della didattica, e specialmente della didattica rivolta a studenti di lingua madre non indiana, tuttavia, questa ricchezza e poliedricità della hindi risulta spesso un ostacolo assai duro da superare: non è facile apprendere qualcosa che sfugge ad uno schema preciso, che non appena enuncia una regola, subito la contorna di una serie inaspettata di innumerevoli eccezioni. Ora, dopo molti anni di insegnamento pratico di questa materia, si è constatato che può sortire ottimi effetti sui discenti il ricorso ad elementi semplici, ma di uso frequente e polifunzionale, da impiegarsi come vere e proprie chiavi per aprire le 'minacciose' porte della lingua hindi.
Di essi, il primo e forse quello più importante è, manco a farlo apposta, proprio il termine che indica '1', inteso sia come vocabolo bisillabo graficamente composto da due caratteri distinti, sia come numerale cardinale, sia come articolo indeterminativo. Nelle stesse accezioni, insomma, in cui lo si adopera in italiano, fatta salva, ovviamente, la diversità di scrittura.
 
È appunto la scrittura a ergersi4 subito come uno spauracchio davanti ai principianti. Molto elegante nei singoli segni e nella composizione d'insieme, il sistema grafico devanagarico5 potrebbe forse affascinare chi deve imparare a vergarlo ed a leggerlo, risvegliandone lo spirito artistico, se non fosse per l'iniziale sforzo di apprendimento dovuto alla logica su cui si imposta. Logica assai più stringente e palpabile rispetto a quella dei nostri alfabeti, ma comunque in principio di non immediata evidenza. Lo schema in cui compaiono inserite le singole lettere, infatti, si basa esclusivamente sull'organo di fonazione umano, a cominciare dalle sonanti per seguire con le consonanti, anch'esse disposte secondo un criterio fisiologico: si parte dalle velari per giungere alle labiali - attraverso il passaggio consecutivo da palatali, cerebrali, dentali - e si riprende con le liquide (semivocali) fino alle sibilanti ed all'aspirata.
Come risulta chiaro anche da questa breve esposizione, il fondamento della pronuncia viene riconosciuto nella vocale, cui si appoggiano le eventuali modulazioni rappresentate dalle consonanti. Ecco allora che ogni carattere grafico denota sempre l'esistenza di una vocale, a sé stante o accompagnata che sia. Tale sonante di base è la "a" ed a rappresentarla si trova un segno specifico unicamente ove essa costituisca sillaba da sola ("isolata"), in quanto nel caso contrario, ponendosi tale "a" come l'elemento portante della consonante cui risulta unita (e perciò denominata 'inerente'), viene già automaticamente compresa nel carattere della consonante stessa.
Per quanto riguarda la scrittura delle altre vocali - "a", "i", "i", "u", "u", "r", "e", "ai","o", "au" - si applica la stessa regola del segno peculiare di ciascuna quando esse formano sillaba a sé ("isolate"), mentre, quando sostituiscono la "a" inerente ad una certa consonante, esigono di venire rappresentate con un carattere differenziato da quello di base, proprio per segnalare il loro legame con la consonante in questione. Di qui la doppia versione grafica di ogni vocale, ad eccezione della "a", che possiede ovviamente soltanto il segno richiesto dalla posizione cosiddetta "isolata".
A conclusione di questo breve excursus sulle linee di svolgimento del sistema devanagari, va infine notato che, a differenza di quanto si riscontra nel sanscrito, la "a" finale di sillaba interna di una data parola non sempre richiede di essere effettivamente pronunciata6, ed in ogni caso non lo è in sillaba finale di parola.
 
Ora, nelle prime esercitazioni di scrittura, parendo solo una perdita di tempo riempire fogli e fogli con caratteri scollegati o uniti a formare complessi senza senso, mentre risulta senza dubbio più costruttivo imparare da subito vocaboli, che, pur nella loro brevità di mono. e bisillabi, siano però provvisti di un significato compiuto (pronomi, posposizioni semplici, avverbi, aggettivi ecc.), il termine '1' rivela una sua prima utilità. Infatti in hindi esso è significato dal lemma 'ek(a)', un bisillabo in cui compaiono proprio a) una vocale in posizione isolata: "e"; b) una sillaba composta da una consonante con la sua "a" inerente: "k(a)", esemplificativa al contempo 1) della sillabicità dell'alfabeto, 2) della conseguente bisillabicità del vocabolo7, 3) della mancata pronuncia della stessa "a" inerente ove finale di parola8. Ecco allora che in pratica il termine 'ek(a)' viene a porsi come riassuntivo di quasi tutte le regole riguardanti il pur complesso alfabeto devanagari9.
 
Passando dalla morfologia alla funzionalità, "ek(a)" va poi inserito nella classe degli aggettivi, nel caso specifico in quella dei numerali. Analogamente a quanto si verifica in italiano, l'aggettivo numerale cardinale è invariabile e si colloca davanti al termine cui si riferisce: un libro = ek(a) pustak(a) (f.); una casa = ek(a) ghar(a) (m.)10. Poiché il discente non incontra alcuna difficoltà davanti a queste due regole per lui già del tutto familiari, lo si può introdurre nel vasto settore della classe degli aggettivi hindi immediatamente e senza sforzo né intellettivo né mnemonico né di applicazione pratica da parte sua. Proprio come l'aggettivo "ek(a)", infatti, qualsiasi altro aggettivo con funzione attributiva11 va posto davanti al nome che concorre a determinare più nel dettaglio: il libro nuovo = nai pustak(a); la casa bella = sundar(a) ghar(a).
Da qui, passando ad una visione ancora più ampia della sfera degli aggettivi, si può infine introdurre il principio generale che qualunque parte del discorso (A) si trovi ad evidenziare caratteristiche peculiari di una certa altra parte di discorso (B), precede quest'ultima nell'organizzazione sintattica del costrutto, ovvero graficamente si trova collocata alla sua sinistra, secondo lo schema: AB. Che, ridotto ai minimi termini, ripropone esattamente 'ek(a) pustak(a)' o 'ek(a) ghar(a)'12.
E c'è ancora un altro punto su cui "ek(a)" getta una luce chiarificatrice. Come si evince dai semplicissimi esempi precedenti, esso resta invariabile nei rispetti del genere del nome che accompagna. Di nuovo generalizzando riguardo agli aggettivi, si può allora enunciare l'ulteriore regola che tutti gli aggettivi con terminazione diversa da "a" sono invariabili appunto in genere e numero13.
 
Infine "ek(a)" fornisce l'unico corrispettivo in hindi dei nostri articoli, e precisamente di quelli indeterminativi, ovviamente sia maschile sia femminile, senza differenze morfologiche tra i due14. L'articolo determinativo, invece, non esiste, ma va da sé che proprio la sua mancanza davanti ad un nome denota subito la concreta determinazione di quest'ultimo: ek(a) pustak(a) = un libro/ pustak(a) = il libro; ek(a) ghar(a) = una casa/ ghar(a) = la casa.
E da un punto di vista psicologico, di nuovo, il fatto di non dover memorizzare un altro termine con le sue specifiche norme di applicazione, soprattutto quando probabilmente questa aggiunta di lavorio era già stata messa in conto sulla base dell'uso in italiano di tale elemento (l'articolo determinativo), gioca a favore di un molto facilitato e perciò più rapido apprendimento da parte dello studente non solo del prezioso vocabolo "ek(a)", ma anche delle aree grammaticali, sintattiche ed in genere funzionali della lingua hindi cui esso apre l'accesso.
Vai alla Bibliografia