Alessandra Consolaro
 
I TEMPLI DELLE UNIVERSITÀ "NAZIONALI" DI BENARES: UN ESEMPIO DI POLITICIZZAZIONE DI SIMBOLI.
 
 
 
 
1. Pedagogia e università "nazionali" a Benares
 
Il dibattito pedagogico legato all'elaborazione di una cultura "nazionale" e alla sua trasmissione alle nuove generazioni attraverso la fondazione di istituzioni adeguate occupa un lungo periodo della storia indiana contemporanea. Negli ultimi decenni del XIX secolo il tema era stato ampiamente trattato nei circoli che si proponevano un rinnovamento della società hindu (soprattutto l'Arya Samaj 1); in generale, tuttavia, inizialmente non si elaborarono sistemi didatticamente innovativi, ma si espresse piuttosto la necessità di emanciparsi dal monopolio dell'istruzione occidentale legata alla lingua e alla cultura inglese 2. Il problema si pose invece chiaramente in luce all'inizio del XX secolo, in connessione con lo sviluppo del movimento svadesi 3 in Bengala. L'incapacità del governo coloniale di accogliere la posizione dei pedagogisti indiani acuì il divario tra ufficialità e circoli nazionalisti e fece della questione scolastica un elemento della lotta per la libertà.
 
Nelle United Provinces 4 alla fine degli anni 1860 vi erano già state pressioni per l'apertura di un'università "vernacolare" 5, in cui tramite linguistico dell'insegnamento fosse un volgare indiano; ben presto, tuttavia, ci si spinse fino a richiedere anche università confessionali, a indirizzo rispettivamente hindu e islamico 6. Nel dibattito sulla pedagogia "nazionale" il tema dell'istruzione religiosa appare infatti di primaria importanza per la formazione delle nuove generazioni, specialmente di intellettuali e politici, che avrebbero dovuto assicurare continuità di esistenza e sviluppo moderno ai propri gruppi di origine; ma, se da parte ufficiale si riteneva sconsigliabile l'introduzione dell'insegnamento religioso nei curricula scolastici (il potere britannico non era mai stato propenso ad intromettersi nelle locali questioni di fede, ove non fosse richiesto da esigenze di divide et impera), da parte dei diretti interessati, invece, se ne chiedeva a gran voce l'inserimento. Al termine di due separati, ma comunque faticosi e intricati iter, videro dunque la luce la Benares Hindu University a Benares ([BHU] o Kasi Hindu Visvavidyalay) nel 1916 e l'università musulmana ad Aligarh nel 1920.
 
Pur sottoposta a controllo ufficiale e nata con caratteristiche diverse da quelle del progetto iniziale elaborato da Madan Mohan Malaviya 7 nel 1905, la BHU, rispetto alle altre università indiane coeve - di cui, peraltro, condivideva in sostanza curricula e impostazione generale della didattica -, risultava relativamente più indipendente, sia perché sottoposta a una gestione quasi esclusivamente hindu, sia perché finanziata con fondi procurati da prìncipi, industriali, élite fondiaria, mercanti, professionisti e perfino gente comune, nel corso di un'immane campagna di raccolta. Di conseguenza essa si pose subito come un forte simbolo dell'unità della comunità hindu e il suo campus apparve l'emblema vivente dell'incarnazione sulla terra della nuova conoscenza cui il popolo indiano 8 avrebbe dovuto tendere per un proficuo progresso nella modernizzazione.
 
I programmi vennero impostati su questa ottica, a cominciare dall'apertura del primo dipartimento di hindi in un'università indiana, anche se ciò non venne a significare che all'interno dell'istituzione questa lingua godesse di un riconoscimento effettivo: la lingua veicolare rimaneva l'inglese e solo negli anni 1930 la si cominciò ad ammettere nelle risposte d'esame. L'elaborazione della cultura hindi negli anni 1920 e 1930 deve molto proprio all'opera degli studiosi che lavorarono nel dipartimento di hindi della BHU: il fatto che essi fossero legati al circolo culturale di Mahavir Prasad Dvivedi 9 e alla Nagari Pracarini Sabha 10 fece sì che il modello da loro sancito e trasmesso alle nuove generazioni di studenti rispecchiasse la propensione per una letteratura didascalica, moraleggiante e ispirata ad un nazionalismo retorico a forte coloritura hindu.
 
D'altra parte in quegli stessi anni si verifica sulla scena pubblica indiana l'avvento di Gandhi e del suo movimento di non-cooperazione (aprile 1919) che, se impresse una notevolissima spinta al rinnovamento, mise però in crisi alcuni delicati equilibri presenti all'interno del mondo pedagogico indiano, specialmente nelle UP. La proposta educativa gandhiana è sicuramente la più radicale e originale tra le tante espresse dal movimento nazionalista indiano e si caratterizza per essere uno schema completo di rinnovamento umano, non limitato alla realtà locale, bensì proposto a livello universale 11. Dal punto di vista linguistico la posizione gandhiana è a favore di una riunificazione delle due tradizioni hindi e urdu, in quella che viene chiamata la hindustani : questa deve essere la lingua nazionale, da diffondersi a livello panindiano 12.
 
Il primo momento in cui l'impatto gandhiano si manifestò sulle scuole e università delle UP si verificò in occasione della campagna del 1919. La mobilitazione di studenti e insegnanti fu massiccia, come avverrà anche negli anni 1930 in occasione del movimento di disobbedienza civile 13. Proprio in connessione con il movimento di non-cooperazione sorse nel 1920 a Benares il Kasi Vidyapith (KVP), promosso da Gandhi stesso e realizzato grazie all'impegno di Bhagavan Das 14 e Shiv Prasad Gupta 15. Si trattava dell'estremo risultato di una serie di piccole fratture interne alla BHU, che, presenti fin dalla sua genesi 16, appunto in occasione dello scontro aperto generato dal lancio della campagna di non-cooperazione si trasformò in una secessione vera e propria: J. B. Kripalani 17 abbandonò il campus per dar vita al Gandhi Asram, Bhagavan Das e Shiv Prasad Gupta per fondare il KVP. Sostenuta da membri del Congresso vicini a Gandhi e da esponenti delle caste mercantili, dei ceti professionisti e dell'intelligentsia che avevano aderito all'appello di non-cooperazione, l'università inizialmente funzionò come una fucina delle nuove idee e attività politiche e solo in un secondo tempo acquisì il carattere di istituzione scolastica come le altre. La sua caratteristica principale era quella di proporre un curriculum del tutto innovativo, che non teneva conto dei requisiti imposti dal governo coloniale e che usava per lingua veicolare la hindi/hindustani. Studenti e insegnanti del KVP appaiono inoltre accomunati dall'impegno attivo nella vita sociale e politica del tempo. Nonostante non vi si seguisse una linea di discriminazione rispetto all'elemento musulmano, anche l'università "gandhiana" risulta prevalentemente connotata in senso hindu 18.
 
Ora, al di là delle differenze di impostazione, un aspetto caratteristico di entrambe le università è la presenza di un tempio all'interno del campus, fatto di per sé non inusuale, ma che qui assume una valenza del tutto particolare. Infatti, nel discorso nazionalista di inizio secolo ricorre spesso la connessione tra nazione, lingua e conoscenza e proprio attraverso la simbologia proposta dalle due strutture templari si può trovare il filo rosso che unisce queste tre tematiche.
 
I concetti di induismo e di nazione erano in fieri nei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo: la confusione tra l'appartenenza a una comunità connotata religiosamente e l'appartenenza alla nazione era ancora diffusa, come testimonia anche l'uso del termine jati 19 per indicare entrambe. Leader come Malaviya, figure preminenti del Congresso e al contempo attivisti di spicco nel movimento di organizzazione hindu, incarnano la mancata consapevolezza che possa esistere contraddizione tra l'auspicare tolleranza e patriottismo e promuovere un modello di vita improntato a regole esclusivamente hindu. Ed è proprio in questo contesto che si collocano l'insistenza sull'inserimento dell'insegnamento religioso e il progetto di edificare un grande tempio, emblema dell'energica vitalità e dell'unità dell'induismo.
 
 
2. Visvanath mandir
 
Nel progetto della BHU la formazione religiosa era riguardata come elemento prioritario e imprescindibile nell'educazione degli studenti; tuttavia furono proprio questi ultimi, con la loro scarsa frequenza alle cerimonie rituali 20 e il poco interesse per l'esame annuale - del resto non soggetto ad una valutazione in termini scolastici - a dimostrare che le nuove generazioni non erano intenzionate a continuare l'adesione a quella condotta prescritta dal sanatan dharm 21, che tanto stava, invece, a cuore ai fondatori. L'idea di un tempio che simboleggiasse l'unità e la forza dell'induismo era comune, inoltre, a molti nazionalisti hindu dell'epoca e sarebbe rimasta nello sviluppo seriore delle istituzioni hindu politicizzate. Per esempio, Svami Sraddhanand, il leader dell'Arya Samaj e della Hindu Mahasabha, nel suo progetto di organizzazione degli hindu si esprimeva come segue:
 
The first step I propose is to build one Hindu Rashtra Temple [tempio nazionale hindu] in every city and important town, with a compound which could contain an audience of 25.000 22 and a hall in which Katha from Bhagavat Gita, the Upanishads and the great epics Ramayana and Mahabharata could be daily recited. The Rashtra Mandir will be in charge of the local Hindu Sabha which will manage to have akharas [palestre] for wrestling and gatka [bastoni usati in un tipo di lotta marziale], etc. in the same compound. While the sectarian Hindu temples are dominated by their own individual deities, the Catholic Hindu Mandir would be devoted to the worship of the three mother-spirits the Gau-mata, the Saraswati-mata and the Bhumi-mata [Madre Vacca, Madre Sarasvati e Madre Terra] (Sraddhananda Sanyasi: 1926, 140-141).
 
Anche Gandhi salutò il progetto con le parole "It should be a unique thing" (Gandhi: 1980, LXXXVI, p. 215-216) e riconobbe che sarebbe servito egregiamente a rafforzare l'identità hindu, anche se, a differenza della Hindu Mahasabha, egli dà maggiore rilevanza all'elemento religioso rispetto a quello nazionalista. La nuova costruzione si sarebbe dovuta erigere in marmo con dimensioni colossali ed essere fornita di una buona acustica, in modo da poter fungere anche da luogo di raccolta di "an unlimited number of people" (ibidem).
 
La volontà di erigere un tempio nella BHU non venne mai meno 23, anche se molte furono le difficoltà da superare: la mancanza di fondi 24 comportò il rinvio dei lavori dopo la solenne posa della prima pietra nel 1932, alla presenza di Taponidhi Krishnaswami, un famoso santo dell'epoca. La costruzione cominciò solo nel 1938, per bloccarsi però subito al livello del plinto; bisognò aspettare il dopoguerra per riaprire i cantieri (1946) e impiegare vent'anni per completare la costruzione (1966).
Situato al centro dell'arco formato dalla pianta del campus in modo da irradiare uniformemente la sua influenza benefica sull'area circostante (Misra in Singh: 1961, 120-121), già dalla progettazione iniziale si era previsto che il tempio venisse realizzato in marmo con uno slancio verticale superiore a quello del Qutub Minar 25, all'epoca l'edificio più alto di tutta l'India (Caturvedi: 1936, 125). Doveva, insomma, possedere tali caratteristiche di grandiosità da apparire il simbolo stesso della rinascente potenza della nazione hindu 26.
 
Effettivamente, il Visvanath mandir - gestito da un apposito sottocomitato dell'amministrazione dell'università e dotato di un fondo speciale - ancora oggi è considerato un emblema della Varanasi ideale, la capitale religiosa degli hindu dove si realizza il superamento di ogni questione conflittuale nella cultura indiana: vuole rappresentare tutte le correnti di fede e di pensiero dell'intero subcontinente ed è aperto a tutti, senza distinzione di casta o credo. Nel 1958 al piano inferiore vennero installate le murti (statua) di Siv, Ganes-Ambika e Hanuma n e due anni dopo al piano superiore quelle di Laksmi-Narayan, Yogiraj Mahadev e Mahamaya (Durga). Si tratta di un tempio dedicato principalmente a Siv, venerato però nel suo aspetto di paramvaisnav, ossia "supremo adoratore di Visnu". Infatti la sua murti si trova al piano inferiore, mentre nel superiore, esattamente sulla sua testa, è posta quella di Visnu. Dunque l'aspetto vaisnav finisce per prevalere, secondo una tendenza tipica del neo-induismo 27.
 
Le pareti sono completamente rivestite di incisioni: vi si leggono i nomi di tutti i donatori che hanno reso possibile la realizzazione dell'opera e numerose citazioni tratte da Veda, Upanisad, Purana, Sastra, Ramayana, Mahabharata e Ramcaritmanas, ovvero le opere ritenute più rappresentative della letteratura hindu. La Gita è riportata per intero. Inoltre sono rappresentati i principali esponenti delle religioni del mondo, il tutto inteso a conferire al tempio un carattere "elevato, vero, splendido, filosofico e sacro" (Satvalekar in Singh: 1961, 53), fedele specchio dell'essenza della nuova fase di conoscenza che, una volta stabilmente acquisita, permetterà l'emancipazione del popolo hindu/indiano. Infatti tutta la struttura del tempio era stata progettata ed attuata in modo da dare forma vivente a Sarasvati, la divinità emblematica dell'università, quella che, da sempre invocata come protettrice delle lettere e del pensiero, era allora diventata un simbolo fondamentale nella mitologia nazionalista. La dedicazione alla dea della scienza sottolinea così ancor più marcatamente sia l'aspetto testuale della tradizione hindu, sia il suo nuovo sviluppo - ininterrotto e rigoglioso - nei modi della letteratura hindi, che si era andata standardizzando grazie all'opera degli intellettuali e studiosi efficacemente impegnati nel movimento linguistico all'interno della BHU.
 
Emblematici in proposito i versi composti da Malaviya per celebrare la sua università, mettendo in evidenza il nesso ideale tra il tempio e l'istituzione scolastica 28. Quest'università, egli afferma, che è l'emblema vivente della conoscenza, porta benefici a tutti, fertile come le acque venerabili della bella madre Ganga. È la radice del dharm, fonte di ogni felicità. Fondatore, sostenitore e protettore dell'università è Visvanath, l'eterno, il maestro di conoscenza ed il portatore di felicità, dal quale procede ogni forma di sapere. La dea Sarasvati ne è l'aspetto conoscitivo (jñan rupa), Ganga quello devozionale (bhakti rupa), la confluenza dei fiumi Gange e Yamuna - simile alla folgore nascosta nel cuore della nube - quello manifesto (karma rupa). Ma, grazie a Visvanath, Sarasvati (ossia l'aspetto gnostico dell'assoluto) si è ora manifestata fenomenicamente nell'università, che porta la luce della scienza agli uomini immersi nel buio conoscitivo. Siv e Sarasvati vengono in essa accomunati dall'effetto che producono: disseminare la conoscenza, il primo illuminando la conoscenza interiore, l'altra dissolvendo le tenebre dell'ignoranza.
 
Il senso che ne deriva è che l'università e il tempio vengono a coincidere nell'essere ambedue strumenti di conoscenza delle vera realtà, l'una manifesta e l'altra nascosta nell'intimo. L'università è sorta grazie all'opera congiunta di saggi, brahmani, re e nobili, che hanno reso disponibile a tutti gli indiani l'acquisizione di conoscenza: il legame tra elemento religioso, pedagogico e nazionale è così completo.
 
 
3. Bharat Mata mandir
 
Non esiste un termine sanscrito che denoti esattamente una carta geografica: la mappa era citra (disegno) o alekhya (tratto delineato, dipinto) e raffigurava la cosmografia secondo la geografia sacra dei Purana 29, dove il Bharatvars, l'India, era percorso dai devoti pellegrini nella circumambulazione che li portava a visitare le sette città sante, considerate dispensatrici di liberazione. Esisteva anche una geografia materiale, oltre a quella immaginaria dettata dal sacro 30, ma relegata ad uno scopo utilitaristico e perciò ristretto a una cerchia limitata della popolazione. D'altro canto, poiché l'immaginario collettivo raffigurava lo spazio secondo l'idea del viaggio salvifico, le carte geografiche in senso stretto non erano strumenti necessari per spostamenti fisici: anche nelle raffigurazioni di luoghi geografici reali, quali le piante dei circuiti di pellegrinaggio, ciò che contava non era la rappresentazione in scala o un orientamento preciso, ma piuttosto la gerarchia dei siti sacri. In nessun caso si concepiva l'idea di una carta politica, con frontiere e limiti territoriali riferiti a stati e nazioni.
 
L'India, paradossalmente, fu però il primo paese fuori dall'Europa a venire mappato accuratamente secondo il sistema cartografico occidentale 31, tanto che all'inizio del XX secolo risultava essere una delle aree meglio documentate in tal senso. L'immaginario dei nazionalisti delle UP se ne servì per rafforzare l'idea che la nazione indiana, a loro avviso corrispondente con la popolazione hindu, fosse la legittima abitante di un territorio che diventava ora sacro anche nella sua moderna manifestazione come carta geografica, avatar (discesa incarnata) della Madre India. L'ideale di dare forma concreta al culto della Madre India venne realizzato da Shiv Prasad Gupta appunto con la costruzione nel KVP di un tempio nel quale non si trova la murti canonica, bensì, stesa sul pavimento, la carta geografica dell'India realizzata in marmo. La stessa carta dell'India compariva anche nell'emblema del KVP: la carta geografica in veste di logo si diffonde negli ambienti nazionalisti e viene infine deificata, in una rilettura sacrale della geografia scientifica occidentale, che ben rappresenta quel processo di riappropriazione della tradizione attraverso le categorie occidentali, tipico dell'apparato ideologico di buona parte dei nazionalisti di inizio '900.
 
Nel 1913 Shiv Prasad Gupta visitò il Vidyasram di G. D. Karve a Poona, dove vide alcune piccole mappe dell'India realizzate a rilievo nell'argilla 32 (Gupta, Sri Bharat Mata Mandir in Krsnanath: 1971, 106-113). Progettò di attuare qualcosa di analogo una volta tornato a Kasi. L'anno seguente ebbe occasione di osservare al British Museum altri lavori del genere, ma in bassorilievo e questo rese ancor più salda l'intenzione iniziale (Gupta: 1915).
 
L'idea di un tempio dedicato alla carta dell'India si sarebbe diffusa anche negli ambienti legati alla Hindu Maha sabha, ai quali egli era vicino. A ispirare l'erezione di edifici sacri di tal genere in varie zone dell'India 33 era il desiderio di strutturare l'induismo come chiesa unitaria e di trasmettere alla società hindu un senso di coesione. Il tempio doveva avere una funzione pedagogica: all'interno del KVP era concepito come un edificio didattico, dove si sarebbero potute studiare contemporaneamente la geografia e la storia dell'India, e mirava a cancellare le differenze castali, nella logica di quello che Jaffrelot chiama "sincretismo strategico" (Jaffrelot: 1992), volta a trasferire al tempio hindu il carattere di identità collettiva tipico del culto islamico.
 
Quanto al culto di Bharat Mata (Madre India), esso ha le sue radici nel movimento nazionalista bengalese: Bankim Chandra Chatterji, componendo Bande Mataram (Viva la Madre!), creò una fonte di ispirazione alla fratellanza nazionale che avrebbe avuto sviluppi inaspettati 34. Nel contesto bengalese del culto della devi (dea) non appare strano questo ricorso ad una manifestazione nazionalista della Madre; piuttosto è interessante la rielaborazione "matriottica" del patriottismo occidentale 35: la lotta indipendentista vi appare come un dramma edipico dello stato nazionale patriarcale, in cui l'amore per la Madre buona spinge i figli a eliminare il Padre cattivo (lo stato laico occidentale e i musulmani), per poter godere di libertà, potere e ricchezze che lo stesso Padre sottrae loro malvagiamente.
 
Va sottolineato, tuttavia, come l'accentuazione esplicita in senso esclusivamente hindu sia un fenomeno che non impedisce al simbolo di Bharat Mata di valere anche in senso puramente nazionale, senza il connotato decisamente religioso. Nel 1935 nella prolusione di inaugurazione all'anno accademico del KVP (Hussein: 1993, 19-33) Zakir Hussein 36 chiude il discorso con l'invito a creare "such an Adam who could shape a new culture and a civilization", con un termine chiaramente tratto dal patrimonio islamico, ma subito dopo continua:
 
Therefore the greatness of India depends upon your good qualities. By developing all your potentialities, form yourself such a moral personality that when you go to present it before Bharat Mata, you would not be ashamed of it, and she would accept it with pleasure.
 
E ancora:
 
You have to focus ... in a physical and moral manner your attention on that picture of Bharat Mata which should ever be present in your heart, namely the picture of this land where truth governs the country, where justice would be done to all, where distinction of rich and poor would not exist, where all would have an opportunity to develop fully and completely as per their abilities, where people would trust each other and help each other, and where religion would not be used in order to secure small demands and become a shield for selfish desires, but it would become an instrument to improve life and make it meaningful. If you were to glance at this picture, your fatigue would all disappear and you would again be engaged afresh in the task (Hussein: 1993, 32-33).
 
Nonostante il riferimento all'offerta che la divinità deve accogliere rimandi a un contesto hindu, il fatto che quest'ultima sia simbolica e interiore lo rende accettabile anche al retaggio islamico. Ciò che colpisce è la diversità della Madre India che viene qui presentata: anziché un modello del passato da far rivivere o una costruzione personificata secondo il modello femminile hindu, essa appare un ideale proiettato nel futuro, da costruire attraverso il rinnovamento interiore e l'attività sociale e politica; è l'Utopia, la nazione ideale, difficile da rappresentare circoscritta nei limiti di una carta geografica perché i suoi cittadini sono definiti in base a qualità morali universali e non determinate etnicamente o religiosamente. Ma questo discorso verrà lasciato in disparte con l'affermarsi sempre più forte delle posizioni comunitariste e del separatismo.
 
L'architetto del tempio del KVP fu Sri Durga Prasad, membro della Court e del Council della BHU. La mappa dell'India contenuta nel tempio ha una lunghezza di 9,5 m. per 9,2 m. di altezza ed è costruita con 762 blocchi cubici di marmo di 28 cm. di lato. Si tratta di una cartina fisica del subcontinente in scala 1: 500.000, il cui costo fu di circa trecentomila rupie. Sulla mappa compaiono in dettaglio montagne, fiumi e luoghi sacri (tirth ) e famosi. Il modello è quello della grande India dell'antichità, il Bharatvars 37.
 
L'inaugurazione si svolse il 2 aprile 1928 con una solenne cerimonia; alla celebrazione del decennale, nel 1936, presiedette M. K. Gandhi. Nel 1939 il tempio venne aperto al pubblico e da allora diventò meta di pellegrinaggio religioso e di turismo.
 
Quanto fin qui esposto riguarda la lettura spirituale dei due templi, ma, secondo quanto messo in luce da Anderson, in ambito coloniale la carta geografica non si trasforma solo in emblema della nazione, bensì funge anche da richiamo storico (Anderson: 1991, 174). Ci pare interessante notare come nel Bharat Mata mandir questa pregnanza venga realizzata contornando il plastico dell'India con il racconto delle gesta della nazione dall'antichità al presente, quasi a voler recuperare la tradizione del racconto delle saghe (katha) in un contesto di induismo nazionalistico. Infatti non sono le vicende degli dèi ad essere illustrate, bensì quelle dei "matrioti", figli della comune Madre India: personaggi che hanno contribuito all'elevazione della religione, delle lettere e della società indiana. A presentarle è un'iscrizione epigrafica, inaugurata il 3/4/1927, che riporta, incisa sulle pareti del tempio, una cronologia dei principali eventi della storia indiana dall'epoca vedica al 1927. Nella selezione di fatti e personaggi l'aspetto hindu e hindi risulta predominante. Esaminiamone brevemente il contenuto: all'origine della storia nazionale si pone un corpus letterario, i Veda, e la serie degli eventi si svolge sulle linee delle vicende dell'epica sanscrita (Maha bharata e Ramayana). In seguito si elencano le diverse penetrazioni esterne, da quelle più antiche (Alessandro Magno, Milinda) fino alle invasioni musulmane e all'insediamento del dominio inglese. A far da contrappunto all'elenco degli invasori stranieri si ricordano i valorosi sovrani e guerrieri hindu che nelle varie epoche si prodigarono per respingere gli assalti esterni. Tra questi spiccano i rajput (principi guerrieri dell'India settentrionale) e il re di Ajmer, Prthviraj Cauhan (XII sec.), eroe della resistenza alle armate musulmane come anche il maharaj Pratap di Mevar (XVI sec.) e Sivaji (XVII sec.), fiero oppositore dei mugal e fondatore della potenza maratha; altrettanto rilevanti appaiono l'impero hindu di Vijaynagar (1336-1565), baluardo dell'induismo nel sud dell'India, e i regni maratha e sikh. Naturalmente è alla storia più recente, legata alla presenza coloniale britannica e alla lotta per l'indipendenza, che viene riservato lo spazio maggiore. Si ricordano le varie tappe dell'avanzata del potere britannico in India, a partire dall'istituzione della East India Company; a differenza di quanto riportato nella storiografia ufficiale, la "rivolta" del 1857 è ricordata in termini nazionalistici come "prima lotta per l'indipendenza"; infine si attribuisce un'importanza sempre crescente all'azione di Gandhi. Ma la conclusione è amara: il conflitto tra hindu e musulmani si aggrava ogni giorno di più, di pari passo con il drammatico problema dell'unità hindu-musulmana.
 
Un ruolo particolarmente rilevante ricoprono nell'epigrafe le organizzazioni e le istituzioni che avrebbero contribuito a consolidare il sentimento nazionale e l'organizzazione della nazione. Oltre all'Arya Samaj e al Brahma Samaj 38, associazioni culturali dal forte influsso politico, si menzionano naturalmente anche il Congresso e la Muslim League, ormai in tutto e per tutto veri e propri partiti. Ma - e questo è l'elemento meno prevedibile - la rosa delle organizzazioni protagoniste della storia attuale della nazione indiana viene completata dallo Hindi Sahitya Sammelan e da quattro istituzioni universitarie "nazionali": l'università musulmana di Aligarh, il Gurukul Kangri 39, la BHU e il KVP. Con ciò si vuole indicare che l'attività linguistica, letteraria e pedagogica sta sullo stesso piano dell'impegno politico. Tale idea si esplicita ancor meglio se consideriamo la presentazione di alcuni tra i "matrioti": Sir Sayyid Ahmad Khan 40 e Madan Mohan Malaviya non vengono ricordati per il loro impegno politico, bensì per aver fondato rispettivamente il Mohammedan Anglo-Oriental College 41 e la BHU, cioè per i loro meriti in campo pedagogico.
 
Spicca infine la preponderanza dell'elemento letterario, che viene costantemente proposto come esempio della grandezza della nazione. Oltre che in quella sanscrita 42, la tradizione "nazionale" trova espressione nelle letterature hindi e bengali, in ottemperanza all'atteggiamento linguistico promosso dagli ambienti hindi, che tendevano a ricondurre a questa lingua tutte le tradizioni neo-indo-arie del passato; tutte le altre lingue indiane vengono ignorate. In particolare la letteratura hindi appare strettamente legata alle vicende storiche della "nazione" e se ne porta ad esempio Cand Bardai (XII sec.), autore del poema Prthvira j raso, in onore del re suo patrono 43. Anche la tradizione devozionale è messa in rilievo, specialmente con le figure dei poeti bhakta Surdas (XV-XVI sec.) e Tulsidas (XVI-XVII sec.), autore quasi santificato della saga ramaita. In epoca moderna appaiono molto importanti i "promotori della letteratura hindi " Raja Laksman Simh (1826-1896) e Bhartendu Hariscandra (1850-1885).
 
Alcuni elementi accomunano i due templi presenti nei campus delle università "nazionali" di Benares, pur nella loro diversità. In entrambi si promuove una forma di induismo moderno, ecumenico, che presenta aspetti non tradizionali e mira a infondere un sentimento di identità collettiva connessa alla religione e alla nazione. Entrambi, poi, attribuiscono notevole importanza all'elemento testuale e alla scrittura: citazioni ed epigrafi sono volte a sottolineare il passato nazionale che si esplica nella tradizione letteraria e identificano la religione con un testo scritto (Veda, Gita, ecc.), secondo un processo caratteristico del neo-induismo, come abbiamo già rilevato. E ancora, ambedue i monumenti permettono di notare come, alla fine del processo di interiorizzazione delle categorie importate dall'Occidente avvenuto nell'arco dei decenni che vanno dalla metà del XIX secolo agli anni 1930, i nazionalisti si esprimano proprio con il linguaggio che si è cocreato nell'interazione con il raj.
 
Nell'ambito della presente indagine, tuttavia, appare estremamente interessante il forte legame che nei due templi viene messo in luce tra la storia della nazione e la letteratura hindi: non solo i testi sanscriti partecipano dell'aura di sacralità connessa alla nuova visione testuale dell'induismo, ma anche le opere fondamentali della letteratura hindi. Basta, infatti, scorrere la cronologia dell'epigrafe del Bharat Mata mandir per notare come tra le figure "sacre" compaiano religiosi, politici nazionalisti e autori della letteratura hindi: a Tulsidas e alla sua versione in volgare del Ramayana tocca una posizione di preminenza; i testi delle origini della storia letteraria hindi vengono esplicitamente connessi al risveglio della nazione, che appare connotata come hindu. La rilettura della storia, infatti, nei toni in cui ci viene proposta nell'epigrafe, presenta un orientamento teleologico, come se tutto si fosse svolto in passato per preparare l'attuale momento di lotta nazionalista, che appare qui ispirata prevalentemente al modello gandhiano, pur con una forte coloritura hindu. Così i musulmani sono in prima istanza gli invasori contro i quali si è manifestato l'eroismo degli antichi guerrieri hindu; al presente compaiono attraverso il personaggio di Sayyid Ahmad Khan, la Muslim League e il movimento khilafat 44. La partecipazione dei nazionalisti islamici alla lotta per l'indipendenza resta tuttavia in subordine rispetto all'elemento hindu: non va dimenticato che in effetti con il movimento khilafat la direzione generale della politica musulmana indiana era passata nelle mani di uno hindu, il maha tma Gandhi.
 
Inoltre, nella visione offerta dai due templi la tradizione hindu tende a inglobare anche gruppi che nel movimento nazionalista stavano invece a loro volta sviluppando un'identità politicizzata autonoma: nell'immaginario hindu nazionalista buddhisti, jaina, sikh, parsi, vengono tutti inclusi nel nuovo induismo 45. Per Gandhi toccare il tasto religioso in un contesto politico era un puro stratagemma retorico, poiché la religiosità veniva chiaramente definita in termini di interiorità. Eppure il discorso nazionalista hindu riesce ad affermarsi anche all'interno dell'università sorta sulle basi ideologiche del più genuino pensiero gandhiano: la retorica del culto della Madre India, diffusa in tutto l'ambiente nazionalista, si colora anche nel Bharat Mata mandir di toni esplicitamente hindu. Basti, appunto, osservare come nella lunga epigrafe alcuni elementi della storia passata siano interpretati come forieri di un futuro nazionale, in cui la Madre India vivrà libera e indipendente. Non sarà infondato, allora, sostenere che appare qui esplicitata e reificata quella selezione del sapere iniziata qualche decennio prima ed elaborata attraverso le diverse istituzioni linguistiche e culturali, che considera la nazione essenzialmente connotata come hindu dal punto di vista religioso e hindi da quello linguistico-letterario.
 
 
4. Conclusioni
 
Nel 1983 il Visva Hindu Parisad (VHP) 46 fece costruire a Hardwar un grande tempio dedicata alla Madre India. Vi si rinvengono non solo gli elementi caratteristici dei due templi di Benares, ma nel piano dedicato alla "sacred memory of our valiant ancestors, bold and gallant sons and daughters of Bharat Mata, who sacrificed their lives for the patriotic cause of protecting the Sanatan Dharma and the glory of the Motherland" (Mc Kean: 1998, 272), compare la stessa serie di personaggi che si trova nella ricostruzione storica là operata dagli intellettuali hindi attivi nelle associazioni culturali e nelle università: maharana Prata p, Sivaji, Guru Govind Singh, fondatore della moderna potenza sikh nel XVIII secolo, la rani di Jhansi (m. 1858), eroina della resistenza contro i britannici. Resta, a nostro avviso, degno di riflessione il fatto che sia Madan Mohan Malaviya, sia il mahatma Gandhi vengano riconosciuti come padri del genuino nazionalismo, mentre è cospicua l'assenza di Nehru.
 
Al terzo piano, in cui è collocata la sezione femminile, si trova, fra le altre, la murti di Annie Besant. L'inclusione dell'attivista irlandese sulla base delle caratteristiche di dedizione muliebre celebrate nell'ambito della riscoperta nazionalista della donna è problematica da giustificare. È inoltre improbabile che sia qui immortalata per le sue attività politiche, poiché le simpatie del VHP vanno in direzione ben diversa; d'altra parte, la presenza concomitante di Malaviya ci suggerisce che a determinare tale scelta siano state proprio la comune attività per l'istituzione della BHU e la riscoperta della tradizione hindu : parola e conoscenza sono, anche qui, la chiave della liberazione politica e spirituale. Ma i simboli selezionati funzionano solo in un immaginario hindu: nonostante gli appelli all'unità panindiana, i protagonisti del movimento per la diffusione dell'istruzione nazionale a Benares contribuirono tutti a rafforzare proprio questo immaginario, anche attraverso la storicizzazione della lingua e della letteratura hindi in un contesto che sarebbe diventato sempre più esclusivamente hindu.