Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Racconti
di
Francesco Sinibaldi
Valle dei pittori l'avevan chiamata
 
Con il tremore impostogli da una lontana soluzione, quando la chioma fluente e disordinata gli danzava gaia e padrona di sé tra gli ardori violenti della sensazione gradita, si trascinava incerto e un po' barcollante tra le intricate viuzze ascendenti di quel raffinato paesino di montagna, nido illibato e culla selvaggia dei concetti ammirati. Il cappello ricurvo, azzurrognolo fato, e un strimpellato giaccone ad onde arruffate, fluente e ingraziato dal riflesso ancor giovane dei raggi invaghiti del primo mattino, si degnava l'illuso a ridipingere inerte i contorni celati di un passato ricordo, interrando su tela le radici incolori di quel floreale e variopinto paesaggio, carente, ad un tratto, di fiocchi infelici.
Si aggrappa a un muretto, il pennello temprato ed i colori schiariti.
 
Vaste distese di meli fioriti e verdi colonne di pini invadenti, e gareggianti d'intesa tra le vette illimitate del chiaro e celeste mattino, cespugli fioriti col profumo pulito di un'insolita pace, accumuli enormi di rose nemiche, ma colte, ad un tempo, da mani sfiorite, balconi ridenti e rossi gerani fluenti, preannuncio, quel dì, di un atteso e narrato racconto. Fringuelli vocianti tra le pallide mura di un antico edificio, a percorrere insieme i tratti previsti dalla solita quiete, e l'austera immagine di una vergine reverita, accovacciatasi la, sulla cima sbiadita di una villa qualunque, dipinta oramai con la forza del tempo, ed accolta gradita dalla mente insicura. Con i tratti leggeri e la ruggine intorno.
Un viandante cresciuto tra le classiche mete di un vociante ritorno si arresta tranquillo tra i rossori sbiaditi di quel triplice incrocio, ed ammira più in alto, un'artistica insegna di marmoreo e trascorso rispetto. Più in basso ceste violacee di fragranti mirtilli, e stanchi e infossati contorni di rugosi e notturni tramonti, seduti ma attenti agli ultimi ospiti di quel ridente Settembre, vecchiette dorate e chiome vetuste, biancori lontani e perdute espressioni.
Nella sera dei magici colori poi, quel campanile illuminato e ingiallito da un riflesso ispirato, e alla base un vialetto contorto e ondulato, che si apre d'incanto tra il verde giardino dei lampioni d'un tempo, e una quiete amatissima, tra il leggero richiamo di una bella fontana, riempita ormai di scarlatti e valenti ricordi, tra i rintocchi decisi e le ore scoccate.
E nel centro, nel silenzio notturno di un istante qualunque, un esperto ma incolto pianista si innalza superbo su tutto il creato e compone, ispirato dal pianto di un leggero infante, melodie inondanti con rituale calma le solite sponde dell'armonioso paesino.
Valle dei pittori l'avevan chiamata.
 
Venezia degli amori.
 
Meditando sul fato che di frequente, mentre cala la notte, si insinua a sussurrargli l'arcano di una prossima vicenda emotiva, un dolce bimbo dal passo intimorito e coi pensieri fluenti sin al fine di una rinata chimera dei sogni, si acquieta al limitare di un luccicante ed impassibile laghetto, mentre una folata di maestrale si posa sulle rugiadose gote ora arrossate. E sul soffio del suo ansioso respiro si adagia il ritratto di una meraviglia descritta con la punta di un casto concetto.
 
Nella limpidezza mattutina gareggiante col terso ospitato nelle anime di una coppia di clementi fanciullini, fioriscono quantità innumerevoli di immagini e di ondeggianti luccichii mormoranti nei fluttui immacolati del divino Canal Grande, mentre gondolette decorate agli estremi coi sapori e gli odori amorevoli di un fastello di rose profumate dondolano oscillando tra sorrisi e sorgenti di incantevoli pensieri, ed una frotta di spavaldi piccioni si affrettano come raffiche di un venticello impazzito, nell'immensità di quel millenario piazzale sfiorando i dorati trecci di un puerile ed infantile rimorso che sgorga un cumulo di ingannevoli sgomenti.
Lanterne fregiate con il raffinato palmo di ottocentesco stile ed emananti parvenze di luci soffiate da un latente creatore, segnano la ripresa di una brezza che pare l'affanno del mare schivo ed ondeggiante, mentre il torrione che domina l'incanto di quel fiabesco panorama emette costanti scampanii fluenti sin al limite delle svariate isole che attorniano la città di Venezia, culla del primo amore vissuto e sofferto passeggiando col ricordo di una dolce donzella.
Nell'angolo di quel leggiadro rondò ornato con grappoli di marmoree intarsiature, si ergono i musicali versi di un'orchestra sbiadita dal morir delle stagioni, e rinasce la commozione nei cuori diletti e negli ingegni alla ricerca di un appiglio per tante delusioni.
Quando poi torna il regno della sera e delle voci soffocate da tali prodigi, cumuli di tranquille animelle si assiepano nel grembo di un incantevole giardino ove spesso si usava baciarsi ed invaghirsi del tramonto dei sensi, ed il miagolio di un micio dal pelo raso e col fiocchetto che fascia di poesie e rime gli sguardi più sentiti, recita la conclusione di un idillio passato.
Venezia degli amori e dei perduti ricordi.
 
 
 
Nella grazia dei racconti.
 
Quel campanile paesano dipinto con sprazzi d'orgoglio si innalzava d'incanto tra le arroganze di tetri nuvoloni che il volere di un messaggero celeste aveva reso, per quegli attimi, più ambigui che mai. E il potere del comando divino schiudeva a quella chioma argentea e quasi decrepita, vinta dalla pesantezza ingombrante dei ricordi di una lontana stagione di frugale beltà, il portone vigoroso ma un po' sgualcito da gelidi lampi invernali di quella chiesetta isolata e tanto anonima, che le appariva ora custodire le chiavi di volta di quel segreto tanto ricercato. E con il passo sicuro di una vedovanza sofferta col tremore innocente di una fastidiosa e non dimenticata affezione, si accasciò muta e rigorosa accanto ai pallidi veli, con lo sguardo nelle tele ed i sensi nel fervore dei giallognoli ceri.
E affannosi respiri di un'insolita angoscia l'accompagnavano nelle recita delle attese orazioni, e come l'inno rassicurante di un pavido cigno si innalza prosperoso ad invitare anche i più austeri tra i rapaci ad accomodarsi sfibrati negli ombrosi ripari di un verde cespuglio rischiarito da odiosi fulmini di temporanea aspettativa, così in quegli ultimi impegni si elevava la speranza di un più propizio e ragionevole fato; ed ora quei palmi giunti nella profondità del legnoso schienale riunivano in sé la certezza della pace ristoratrice, dipinta nello schintillio di quella espressione gratificata.
Varcata la soglia ritrovata il sapore di un'effimera quiete e, più lontano, una schiera parallela di secolari quercie inondanti con fronde cadenti le insabbiate e trascurate polveri di un viale giunto tra i rossori del tramonto, sbocciava sulla religiosa lucentezza di un marmoreo crocifisso; superate a fatica le soglie di un antico timore, si era inginocchiata su quel blocco di rassegnazione e l'espressione incupita del rugoso volto veniva ora trafitta dai profili fraterni dell'amorevole consorte, circondato da un'argentea cornice di affettuoso ricordo, e quei pensieri floreali che gli stavano accanto tramortivano ancor più la meritevole e variopinta indole.
Dal cimitero delle storie defunte, era passata poi alle consuete mura della quotidiana previsione, ed ora la florida fantasia risvegliata da emozioni trascurate ma di nuovo rinate, quel giorno, come un puerile e voglioso bocciolo notturno, le appariva urtare la disumana e rassegnata cadenza, che il silenzioso ronzio di quel pendolo impreciso liberava; e gli ultimi ed innalzati sguardi alla ricerca di un appiglio valido ai tormenti di uno spirito ora non più gioviale, aveva segnato i confini del consueto sdegno per la fuga di un amato e tanto sfuggente racconto.
 
 
 
Di un lento cammino.
 
Una temeraria e rabbiosa ostilità di opposte emozioni e di contrarie credenze li ha portati in odio nell'oscurità di quella notte dai mille sprazzi d'orgoglio; e rivissuti ed immacolati disegni emersi d'un tratto nel misterioso mormorio di quella sera fatata tra i sussurri maestrali ed i trilli di goccianti rivoletti emanano profumati rossori all'orlo di un sentimento vano ed ormai smarrito nel tempo di esecrabili castighi. Una cornice luccicante di fiaccole disposte lungo una schiera di siepi aggrappate a un muretto recintato, e il brusio del ruscello che scorre al di sotto di quello spiazzo posto davanti alla guglia centrale di un maestoso castello, è il quadro ove si svolge un eccidio dei sensi e delle generose speranze.
A Parigi, nella incantata atmosfera di serate rivelate al limite vago di uno sguardo intontito, si esegue e si dipinge il massacro della notte di San Bartolomeo, rievocativo ora di funeste sembianze e portatore nel grembo dell'astio di concetti rinati tra grovigli d'affannosi respiri ed alla soglia già segnata di tenui fatalità.
Guglie arrossate da sprazzi d'inganni ed il rumore delle spade sottili a perforare il mellifluo venticello ispiratore ora di urla stridenti, e più in alto, in un'immagine velata, l'oscuro messaggero divino che riluce, nella calca di quella strage annunciata, il suo celeste ed astioso sguardo ad invitare i pensieri più suadenti, accampati al limite di un cespuglio odoroso, ad innalzarsi in messaggi di pace e di beata quiete risorta. Un carro d'immonda e puerile festa si illumina di vigilanti candeline con lo stridolio dondolante del passo sicuro a gustare quei secondi grondanti funeste rincorse della coscienza, e poco oltre, seduti su di una ridente collina dimezzata dallo scorrere di un curvilineo sentiero, un gruppetto di bimbi impauriti con il cuore alla gola a vegliare le languidi sorti dei vinti avversari.
E le dicerie di un commento cittadino a voci abbagliate dalla tenera età di un rinato fringuello che vola a dirimere le disgrazie delle anime comuni: ma tutto tace, oramai, e la triste Caterina dalle ciglia ingelosite e dal chiarore eburneo di madide guancette dalla brinosa e cadenzata quiete, ora appare attonita e serena, rinviando al turchino di una goliardica voce il sussurro beato di una serale e ventilata quiete infinita.
 
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agg. 16 febbraio 2002