LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti

 

Specchio nascosto

libro di
Antonino Stampa
Edizioni Passaporto 2000 Roma
pp.64 - Euro 8,00
Distesi silenzi del mare
La linea dei monti spezzata
 
Sull'oro del tramonto
 
Nell'angolo profuma il gelsomino
 
...ove navigò solitario Ulisse
 
Per aride piane
 
Sulla riva dei binari
 
Via Crucis
 


"Avevano sostenuto che si dovesse
dubitare di tutto ed erano giunti alla conclusione
che l'uomo non potesse affermare alchunchè di vero"

Ag. Conf. V,10
 

 
Sul libro
 
Incontrare Stampa- solitario- nell'abituale tragitto da scuola a casa, in via Fardella, quando il sole e la stanchezza ti bruciano o il sale ti soffia in faccia, non è difficile.
Le mani in tasca. La borsa da un lato della spalla che lo costringe a bilanciare la storta postura, gli occhiali spessi e i capelli grigi... ... ... Un fascino!
Difficile è leggere la sua poesia, penetrare sconvolti già dalle prime parole in quel viaggio dell'esule, perenne itinerante, nel magma vorticoso dove ogni certezza si polverizza, ogni verità, anche la più scontata scompare. " Et iterum ecce turbatio, ecce iterum obviat maereor et luctus quaerenti gaudium et laetitiam" ("Ed ecco di nuovo il turbamento, ecco di nuovo dolore e pianto vengono incontro a chi cerca gioia e letizia") Anselmo, Proslogion XVIII, 113-114.
VISTA, COLORE, OLFATTO, - l'angolo morto del mondo- MEMORIA, SOLITUDINE, ATTESA, COMUNICAZIONE.
Per anni Antonino ha tracciato percorsi di ricerca nei quali, tanto più ci si addentra, più se ne rimane spiazzati.
Il tentativo di elaborazione epilogica in Distesi silenzi del mare si presenta così con la voce del frammento, del sussurro lapidario, dell'epigramma: "il pensiero opprimente che ogni cosa vada in frantunmi, per sempre", R. M. Rilke, "I quaderni di Malte Laurids Brigge", si manifesta attraverso intermittenze, ondulazioni, frantumazioni, spezzandosi in "cocci aguzzi", ictus emozionali errabondi in uno spazio enigmatico, costellato di interruzioni, riprese, veglie nell'oscurità, dove ogni ruolo, ogni certezza, ogni muro vengono contrastati, dissolti. Il mondo diventa vibrazione che però apre un'ispirazione favolosa e continua.
La posizione centrale è quella dell'autoesclusione dal mondo.Dopo un periodo di certezze e di sogni, come è consuetudine tutto si trasforma in mistero, ogni cosa assume aspetti contorti, simbolici: " Mia figlia chiede / non so spiegare/ la verità/ non oso dire". Il principio astrattivo si riprende il degno sopravvento e la forza centrifuga disperde ogni razionalità: E' rotto il muro della sicurezza, della coscienza. Realtà e linguaggio diventano pure astrazioni, il pathos prevale, i sogni diventano orrendi incubi di una realtà ingrata, la sola poesia-dolore è gioia, vista per la " nebbia ovattata", colore " nel gelido azzurro", olfatto " dell'umida casa", memoria " ove navigò solitario Ulisse " rimorso e solitudine di chi " sospeso/ sull'azzurro del mare/ nel gran vuoto del cielo", vive... ... ... nell'attesa di " Ciò che fu/ e non è/ ciò che sarà e / non è.
Tutto qui è allora comunicazione, immediatezza di colui che sente la realtà filigranata, dispersa nel suo raggelante egoismo. Il vuoto e l'assenza prevalenti lasciano attorno ad ognuno amarezza e incomprensione. C'è in Stampa un'anima ermetica e lo si sente nella lotta ad ogni consumismo, nella percezione montaliana di " non chiedere al sole che cede/ L'ardore del pieno meriggio/ ... ... ..., nella frammentarietà ricercata e apocalittica dell'ultimo Leopardi: " Ombra è la vita/ e vuoto è il varco".
Nessuna teorizzazione, nessun tentativo filosofico, semmai un riassorbimento storico di uno sconcertante pessimismo esistenziale, di ogni forma di sfruttamento, di violenza, di egoismo, di indifferenza, di stupidaggine, di tracotanza all'interno di un nuovo codice ontologico- esistenziale, riflesso sofferto per una rinnovata visione cosmico-antropologica. Sull'incubo del presente, del giorno che diventa lunga notte, il poeta si inebria nel bisogno di costruire. Se il mondo è quell'iter tenebricosum e il pensiero un continuo horror vacui, l'estrema cupio dissolvi viene di nuovo ricolmata e rinnovata dalle immagini argentine di un cielo dorato e di una voce che dice " parlava di Ulisse/ il vento/ respiro di mare/ tra i pini". Il brivido di un'attesa fatta d'irrequietezza, insicurezza, apparenza, ritorna ad essere parola, superamento di un'estraneità, bisogno di compresenza alla caducità delle nostre azioni.
Vivere e scrivere diventano perciò continue illusioni, rigenerazioni, consapevolezza di esistere contro ogni schianto, ogni delusione.
La vita è lì e resta tutta da vivere e da soffrire perché " una feroce/ forza il mondo possiede". Un viaggio allora quello di Stampa.. Un viaggio, à rebours, intessuto di memoria e di scoperta dove ogni soliloquio dell'io straniero, chiuso nella sua turbolenta avidità del " chi sei?" è, patisce e piange, ma sente e come nei sogni, d'un tratto svela in una parola esiliata, il sapore aspro della vita.

"Nello slancio vitale andiamo verso l'ignoto ma andiamo da qualche parte". (Lévinas, Dell'evasione)
Prof. Mario Giambalvo


 
La linea dei monti spezzata
 
 
I
 
Ignoto
a ignote genti
 
nel cielo
brividi
tramonti
 
 
 
II
Su di un ponte
sospeso
nella nebbia ovattata
 
e non distinguo proda
 
 
III
 
Zaffiro
in lampi un giaguaro
 
in nero di notte
un cerchio di fari
 
 
 
IV
 
Avvolto nel silenzio
 
Oltre la morte
l'odio?
 
 
V
Con voce rotta
mi parli
nascosto tra
le pieghe del
cuore
vecchio
cuore
 
Con lunghe dita di noia
anche l'odio
avvolge la morte
 
 
VI
 
Trema il mio
labbro
d'antiche verità
fiorito
 
nel tronco
dai lunghi anni
 
contorto
 
 
VII
 
Vuoto
è il mio sguardo
non più risposte
ha il mio animo
 
Come questa pianura
vasta
nel grigio cielo
il cinguettio
dei passeri
 
ascolto
 
 
 
VIII
 
Urlava nella notte
il vento
 
cercava
 
forti dita premendo
 
nudi rami
alzavano
 
 
IX
 
Nulla
più
nulla
mi hai lasciato
 
Ma posso dire
che grande è la morte
e sereno ha il volto
con spire avvincenti d'affetto
silenti
 
 

...sull'oro del tramonto
 
 
 
I
 
Nel bianco del cielo
sospeso
 
in nero di nuvola
affoga
il sole
 
II
 
Ove splendea
l'oro del tramonto
 
un grigio d'Alpe
s'eleva
 
Dietro le aguzze
cime
grigio perlato il cielo
 
Nel mare
nera notte
 
è discesa
 
 
III
 
Nel cielo
vaste
nere
nubi
 
Sull'oro del tramonto
in grigio mare
 
 
IV
 
Nel gelido azzurro
fra nere nubi
infuoca all'orizzonte
il sole
 
accende di giallo
la grande nave
 
 
 
V
 
Confusa notte
alla città dolente
 
Sul mare solitario
aperto
orizzonte
guizzi
scintilla il sole
 
 
VI
 
Ombre di sole
oscurità di luna
gridano fanciulli
 
seduto sulla riva
del tramonto
 
ascolto
 
 
VII
 
Vasta arena
il mare
nel silenzio
la gloria del cielo
s'appresta
a chiudere in seno
 
L'acqua tutta sfavilla
e fresca
aria pervade
in eco lontani universi
 

Nell'angolo profuma il gelsomino
 
 
I
 
Nella valle
geometrie di cemento
 
Nell'erba
tra i fiori
l'incerto volo
per la farfalla
 
II
 
...cantava per l'uomo
il canarino
No
chiamava lontano
la canarina
 
...cantava per l'uomo
il canarino
No
cantava per il sole
in eterno
giro
prigioniero
 
Cantava per il sole
che non
un uomo
mirava
fiorire di luce
il verde dei prati
l'azzurro del cielo
 
 
 
III
 
Serena notte
profuma il gelsomino
 
Nel giorno
pioggia e vento
trepidi
chiudevan nelle case
 
Fresca aura
nel cielo
trapunto
con bianche nubi
 
 
IV
 
Chiuso
nel silenzio della notte
guardo alta nel cielo
la luna
 
Fresco il vento
dell'umida casa
disperde i vapori
 
Nell'angolo
il verso dell'usignolo
 
 
V
 
 
 
Non chiedere al sole che cede
l'ardore del pieno meriggio
la foga dei giovani
anni
 
Oscura parete
di rosa
accende
di veli nel sole
 
Scivoli
in un'ombra silente
 
 
 
 

...ove navigò solitario Ulisse
 
 
 
I
 
Immota
vasta arena
cielo e mare
 
nell'oro del tramonto
giardino di giovani
si sparge
per la via
 
II
 
In eco
dei miei passi
lunga proda del mare
solitario
 
S'alzano
a fatica
fra gli scogli gabbiani
sospettosi

III
 
Solitudini
di memoria
 
La strada
era bianca del sole
ancora alto nel cielo
e fresco
sulla battigia
respirava il mare
 
Parlavi
e la tua voce
mi giungeva
frescura di mare
 
Sulla riva
la casa
cubo di pietra
perduto
 
 
IV
 
Mi parla
il vento
lieve respiro
lontano
orizzonte
 
Qui
ove la bianca ghiaia
contrasta
e si mesce
nella bruna rena
qui
giocai fanciullo
 
Il sole
d'azzurro
la gran volta del cielo
accende
e chiaro
in largo giro
delinea l'orizzonte
 
Pigro
mormora il mare
ove navigò solitario Ulisse
 
eterno è il mare
che chiude in seno
eterno
a questa riva silente
 
peregrino
 
V
 
Nel sole del meriggio
fedele
mi ronza un calabrone
 
Tra il diafano giallo
di ombrelle asciutte
a macchie di verde
copre umile
il lentisco
 
Silente passo
lunga proda del mare
verde azzurro
immoto
E cielo ed acque
esile terra
dischiude all'orizzonte
 
Ascolto
 
Mi scompiglia lieve
sussurrando il vento
 
morta
con i ricordi è la speranza
qui
ove dal nulla
sugge il lentisco
in alterna vicenda di luci
del cangiante mare
eterno volversi
di notte che avvolge
un dio
 
abita eterno
 
 

 
Per aride piane
 
I
 
Per aride piane
dai grigi vapori
distesi silenzi del mare
ove il nulla
mi vince nel
"male di vivere"
 
 
 
II
 
Sospeso
sull'azzurro del mare
nel gran vuoto del cielo
 
ascolto
 
 
 
III
 
Tra muri calcinati
in arse pietraie
monti
 
biancazzurro cielo
 
vago
sopra il grigio crestato
dei marosi
 
 
IV
 
Caldo alito
il vento
sul giallo
dei campi mietuti
 
risale fra gli ulivi
 
Lontano
l'aguzza arida cima
sul grigio della valle
 
 
 
V
 
In radi
ulivi
calcareo
s'innalza il versante
 
Scabro
piegato
contorto
pietra calcinata
su nuda terra
alza nel sole
sue rade fronde
il pallido olivo
 
L'aria è fine
e asciutta
cristallino
l'azzurro cielo
 
Oltre
la breve valle
il mare
fosco orizzonte
 
VI
 
Lieve e fresco
sul mio viso
il vento
s'insinua fra i capelli
 
In onda
lontana eco
campane
 
 
 

Sulla riva dei binari
I
 
Sulla riva
dei binari
in grigio azzurro
divisa
difesi
scherzano
attesa del treno
Intorno s'è fatto il vuoto
 
Con sorrisi di degnazione
gira
il gran ventre
aperta la giacca
ma di spalle
quadrato
è piantato
La gran testa è grigia
leonina
Ha due grandi borse cuoio
carte
treni
andati
treni che arrivano
 
Oggi è grigio
il cielo
batte la pioggia
ma i treni vengono
vanno
 
Han grandi impermeabili
i ferrovieri
 
 
II
 
 
Confuso
nella folla
per via Fardella
con la mia bambina
andavo
 
Fra la gente
a un tratto
un uomo si blocca
magro
in avanti il torso
lunghe le braccia
l'urlo strozzato
l'aperta bocca
 
Mia figlia chiede
non so spiegare
la verità
non oso dire
 
"... sai
un matto..."
E mi vergogno
 
Fili ci invischiano
di marionette è piena
la città
come fili parole
intessono prigioni
 
Con te parlerò
e le mie parole
le dissi già
e tu mi parlerai
e le tue parole
già io le udii
 
 
 
III
 
Ciò che fu
e non è
 
Ciò che sarà e
non è
 
 
 
IV
 
Siamo
quel che non fummo
ciò che non volemmo
 
Ombra è la vita
e vuoto è il varco
ove prima
agimmo
 
Nell'onda dei ricordi
con le nostre vane parvenze
 
dialogano
 
i morti
 
 
V
 
Come un lento
fluire
 
Con foga
mi parlano
i giovani
 
Come un lento
fluire
nel bianco degli anni
l'amico ritrovato
 
 
VI
 
Nella tua
infanzia
maturo
frutto dei miei anni
migliori
 
pienezza di gioia
 
Scusami
non parlo di un'altra
Cecilia
 
L'amore
che mi ti lega
ha profonde radici
e cresce
con forza
sulle tue
gambe
che ora l'altero
ora il dolce tuo sguardo
più in alto
 
mi porgono
 
 
VII
 
Fra i lunghi
capelli ondulati
il viso affilato
silente
lo sguardo attento
 
cerbiatta impaurita
agili membra
 
 
VIII
 
Parlava di Ulisse
il vento
respiro di mare
fra i pini
 
in cerchio silenti
ragazzi
or ora
a torme vocianti
 
Parlavi
e la tua voce lontani echi
nell'umida nebbia traeva
 
 
 
IX
 
Tra i campi
sorge Ferrara
città ove i discorsi
nascono dalla terra
e fioriscono il cielo
 
Gli uomini della pianura
con la terra
cotta in piani
formano case
ora umili e basse
ora a sfidare i tramonti
 
Dolce è la sera
Fra gli alberi
profonda è la natura
vela e rivela
vastità dei cieli
 
Nel verde pallido dei prati
filari di pioppi
oscuri
abati in preghiera
 
 

Via Crucis
 
I
 
Sull'alto
dei carri in eterno
i volti sfilati
del Cristo
la pietà dei parenti
il ghigno degli sgherri
 
Rullano
i tamburi
In lunghe
rosse tonache
bianchi cappucci
con fori
uomini
severi guardano
lenti
avanzano
battono
i tamburi
 
In mano ceri
tremule luci
all'ombra della sera
con ondeggiante
silente passo
avanza un popolo
avanza nella notte lunga attesa
neri calzari
colati dai ceri
 
Vibrano i piatti
piange la tromba
batte il tamburo
risuona la strada
risuonan nel ventre
ora
che ciechi fari
squarciano
nero di notte oscura
 
II
Legati
alla colonna
i polsi
chino in avanti
piagate le bianche carni
confitta
di spine la fronte
il viso insanguinato al Cielo
la bocca silente
aperta
soffre
il Cristo
soffre
e muore
incontro a chi soffre e muore
Cristo
porta la Croce
 
 
Distesa sul letto
rantolavi
vinta nella morte
 
Con forza
avevi reagito
strappandoti gli aghi
dalle carni
Ti alzasti per andare
negli occhi
il cielo del balcone
Cristo di luce
ti venne incontro
con la tua morte addosso
 
Parlavi
stringevo e carezzavo
il tuo braccio
cercavi la mia mano
 
 
Poi il sonno
ti avvinse ancora
Non ti vidi morire
Mi partii da te
nell'oro del tramonto
Cristo ti alzò
con tutta la tua morte
 
Sul carro
Gesù
è caduto
con la sua croce addosso
Due sgherri
lo sferzano
rialzandolo
mentre Veronica terge
sudore e sangue
al Cristo che guarda e non vede
 
 
III
Ventosa
alba
a primavera
nei volti
illumina
il Cristo che spira
 
In alto
sulla croce il Cristo
in ginocchio
piegano i parenti
 
Tutta la notte
nella notte accesa
dai ceri
ligneo
è sfilato il carro
 
A spalla
spalla contro spalla
uomini
travi
lunghe croci
gonfi nei torsi
gonfie le braccia
gonfi nei visi
con il popolo fra il popolo
alzano
tumefatti occhi al cielo
gonfie labbra dischiuse
Cristo
e tutta la sua croce
l'un contro l'altro a forza
le fami dei figli
i furti nascosti
i gelidi inverni
l'aperta libido
 
 
IV
Nel chiuso
del dolore
nero mantello
mani giunte alzate
lagrimoso
il volto
la Madre
fisso sguardo nel sole
cerca smarrita
 
Nel compianto
sfinite
in nere vesti
donne
che il carico d'anni
e la vita
ha sformato
piangono
nel Cristo che muore
pregano e piangono
pei figli morenti
pei figli dolenti
il Cristo che muore
 
Eletta pazzo
il figlio piange
 
Il viso inaridito
percossa nelle ossa
 
urla pregando
 
solitudini di giorni
sempre uguali
 
La casa sul porto
nel terso cielo
incorrotto
aspri rumori
umani lavori
 
E la notte
il lume acceso
per il figlio che non dorme
Eletta vede ombre
e non scorge
la mano armata
protesa
 
urla pregando
nel dolce sole del mattino
che di giallo riveste
umili pietre
dimenticate case
 
 

Indice
 
 
 
La linea dei monti spezzata
 
  • I Ignoto 6
  • II Su di un ponte 6
  • III Zaffiro 6
  • IV Avvolto nel silenzio 7
  • V Con voce rotta 7
  • VI Trema il mio 7
  • VII Vuoto 8
  • VIII Urlava nella notte 8
  • IX Nulla 9
 
...sull'oro del tramonto
 
  • I Nel bianco del cielo 11
  • II Ove splendea 11
  • III Nel cielo 11
  • IV Nel gelido azzurro 12
  • V Confusa notte 12
  • VI Ombre di sole 12
  • VII Vasta arena 13
 
Nell'angolo profuma il gelsomino
 
  • I Nella valle 15
  • II ...cantava per l'uomo 16
  • III Serena notte 17
  • IV Chiuso 17
  • V Non chiedere al sole che cede 18
 
...ove navigò solitario Ulisse
 
  • I Immota 20
  • II In eco 20
  • III Solitudini 21
  • IV Mi parla 22
  • V Nel sole del meriggio 23
 
Per aride piane
 
  • I Per aride piane 25
  • II Sospeso 25
  • III Tra muri calcinati 25
  • IV Caldo alito 26
  • V In radi 27
  • VI Lieve e fresco 28
 
 
Sulla riva dei binari
 
  • I Sulla riva 30
  • II Confuso 31
  • III Ciò che fu 32
  • IV Siamo 32
  • V Come un lento 33
  • VI Nella tua 34
  • VII Fra i lunghi 35
  • VIII Parlava di Ulisse 35
 
Via Crucis
 
  • Via Crucis 38
 
 
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