Rivista Club degli autori n° 181-182-183
Maggio 2008
 
 
 

Testi di
Octavio Paz

Vento cardinale e altre poesie



Tratto da "Giorni Feriali" (1958-1961)

SPARO


Salta la parola
dinanzi al pensiero
dinanzi al suono
la parola salta come un cavallo
dinanzi al vento
come un vitello di zolfo
dinanzi alla notte
si perde per le vie del mio cranio
dappertutto le tracce della fiera
sulla faccia dell'albero il tatuaggio scarlatto
sulla fronte del torrione il tatuaggio di ghiaccio
sul sesso della chiesa il tatuaggio elettrico
le sue unghie sul tuo collo
le sue zampe sul tuo ventre
il segnale violetto
il tornasole che vira fino al bianco
fino al grido fino al basta
il girasole che gira come un ahi scorticato
la sigla del senza-nome lungo la tua pelle
dappertutto il grido che acceca
l'ondata nera che copre il pensiero
la campana furiosa che rintocca sulla mia fronte
la campana di sangue nel mio petto
l'immagine che ride in cima alla torre
la parola che fa scoppiare le parole
l'immagine che incendia tutti i ponti
la fuggitiva a metà dell'abbraccio
la vagabonda che uccide i bambini
l'idiota la bugiarda l'incestuosa
la cerva inseguita
la mendicante profetica
la ragazza che nel mezzo della vita
mi sveglia e mi dice ricordati.



Tratto da "Salamandra" (1969)

SALAMANDRA

Salamandra
(nera
armatura il fuoco indossa)
calorifero a lenta combustione
tra le fauci della ciminiera
- mattone o marmo -
testuggine statica
o rannicchiato guerriero giapponese
e l'una o l'altro
- il martirio è riposo -
impassibile nella tortura
Salamandra
nome antico del fuoco
e antico antidoto contro il fuoco
e pianta scorticata sulle braci
amianto amante amianto

Salamandra
nell'astratta città
fra vorticose geometrie
- vetro cemento pietra ferro -
formidabili chimere
sollevate dal calcolo
moltiplicate dal lucro
a fianco del muro anonimo
papavero improvviso
Salamandra
granfia gialla
rossa scrittura
sul muro di sale
granfia di sole
sul cumulo d'ossa
Salamandra
stella caduta
nell'infinitudine dell'opale sanguigno
sepolta
sotto le palpebre della selce
fanciulla perduta
nel tunnel dell'onice
nei cerchi del basalto
seme sotterrato
grano di energia
nel midollo del granito dormiente
Salamandra
fanciulla dinamitarda
nel petto azzurro e nero del ferro
esplodi come sole
ti apri come ferita
parli come sorgente
Salamandra
spiga
figlia del fuoco
spirito del fuoco
addensamento del sangue
sublimazione del sangue
evaporazione del sangue

Salamandra d'aria
la roccia è fiamma
la fiamma è fumo
vapore rosso
preghiera retta
alta parola di elogio
esclamazione
corona d'incendio
sulla testa dell'inno
regina scarlatta
(e fanciulla di calze violette
che corre spettinata per il bosco)

Salamandra
animale taciturno
panno nero di lacrime di zolfo
(un'estate umida
tra le piastrelle sconnesse
di un cortile pietrificato dalla luna
sentii vibrare la tua coda cilindrica)
Salamandra caucasica
sulla schiena cinerea della roccia
appare scompare
piccola lingua nera
macchiata di zafferano
Salamandra
nero animale brillante
brivido del muschio
divoratore d'insetti
minuto araldo dell'acquazzone
parente della scintilla
(Fecondazione interna
riproduzione ovipara
la nidiata vive nell'acqua
e cresciuta nuota torpidamente)
Salamandra
Ponte sospeso tra le ere
ponte di sangue freddo
asse del movimento
(Le mutazioni della specie alpina
quella più agile
avvengono nell'alvo materno
Di tutte le piccole uova due sole maturano
e fino alla nascita
gli embrioni crescono in un liquido nutriente
massa fraterna d'uova abortite)
La salamandra spagnola
montanina rossa e nera
Non batte il sole impiantato in mezzo al cielo
non respira
la vita non comincia senza il sangue
senza la brace del sacrificio
non si muove la ruota dei giorni
Xólotl rifiuta di esaurirsi
si nascose nel mais ma lo trovarono
si nascose nell'agave ma lo trovarono
cadde in acqua e fu il pesce axólotl
l'essere doppio
e "poi l'uccisero"
Iniziò a muovere percorse il mondo
la processione di date e di nomi
Xólotl cane guida dell'inferno
colui che esumò le ossa dei padri
colui che mise a cuocere le ossa
colui che accese il lume degli anni
il creatore d'uomini
Xólotl penitente
l'occhio esploso che piange per noi
Xólotl larva di farfalla
controfigura della Stella
chiocciola marina
l'altra faccia del Signore dell'Alba
Xólotl l'axólotl
Salamandra
dardo solare
lampada della luna
colonna del mezzodì
nome di donna
bilancia della notte
(Il peso infinito della luce
un briciolo d'ombra sulle tue ciglia)
Salamandra
fiamma nera
eliotropio
solo tu stessa
e luna che giri sempre intorno a te
melagrana che si apre ogni notte
astro fisso sulla fronte del cielo
e battito del mare e luce ormai quieta
mente aperta sul respiro del mare
Stellione
rettile di all'incirca otto centimetri
color polvere vive nelle crespe
Salamandra di terra e d'acqua
pietra verde nella bocca dei morti
pietra d'incarnazione
pietra focaia
sudore della terra
sale bruciante fiammeggiante
sale della distruzione
e maschera di calce che consuma i volti
Salamandra d'aria e di fuoco
vespaio di soli
parola vermiglia delle origini
La Salamandra è una lucertola
la sua lingua finisce in dardo
la sua coda finisce in dardo
E' inafferrabile E' indicibile
riposa sulla brace
regna sui tizzoni
Se scolpisce se stessa nella fiamma
incendia il suo monumento
Il fuoco è la sua passione la sua pazienza
Salamadre Acquamadre



Tratto da "Versante est" (1962 - 1968)

IL BALCONE


Quieta
nel colmo della notte
non alla deriva dei secoli
non distesa
inchiodata
come un'idea fissa
nel centro dell'incandescenza
Delhi
Due sillabe alte
circondate da sabbia e insonnia
A voce bassa le dico
Nulla si muove
eppure l'ora cresce
si dilata
È l'estate
marea che si sparge
Odo la vibrazione del cielo basso
sulle pianure in letargo
Enormi masse osceni conclavi
nubi piene d'insetti
schiacciano
nane sagome incerte
(Domani avranno un nome
si ergeranno e saranno case
saranno alberi domani)

Nulla si muove
L'ora è più grande
io più solo
infisso
nel centro del vortice
Se stendo la mano
corpo soffice l'aria
essere promiscuo senza volto
Appoggiato al balcone
vedo
(Non appoggiarti,
se sei solo, alla balaustra,
dice il poeta cinese)

Non è l'altezza né la notte e la sua luna
o gli infiniti che si offrono alla vista
è la memoria e le sue vertigini
Questo che vedo
questo che gira
sono le insidie le trappole
dietro non c'è nulla
sono le date e i loro turbini
(Trono d'osso
trono del mezzogiorno
quell'isola
Nei suoi bordi lionati
per un attimo vidi la vita vera
Aveva il volto della morte
erano lo stesso viso
dissolto
nello stesso mare scintillante)
Ciò che vivesti oggi ti disvive
non sei là
qui
sono qui
nel mio principio
Non mi rinnego
mi reggo
Appoggiato al balcone
vedo
nuvoloni e un pezzo di luna
ciò che è visibile qui
case gente
il reale presente
vinto dall'ora
ciò che è qui
invisibile
il mio orizzonte
Se questo inizio è un inizio
non comincia con me
con lui cominciò
in lui mi perpetuo
Appoggiato al balcone
vedo
questa lontananza così vicina
Non so come chiamarla
benché la tocchi col pensiero
La notte che va a picco
la città come un monte franato
bianche luci azzurre gialle
fari improvvisi muri d'infamia
e i grappoli terribili
mucchi d'uomini e bestie per terra
e l'intrico dei loro sogni intrecciati
Vecchia Delhi fetida Delhi
viuzze piazzuole moschee
come un corpo accoltellato
un giardino sotterrato
Piove polvere da secoli
il tuo manto turbini di polvere
un mattone spezzato il tuo guanciale
Su una foglia di fico
mangi gli avanzi delle tue divinità
i templi tuoi sono bordelli di condannati a non guarire
sei coperta di formiche
recinto abbandonato
mausoleo sgretolato
sei nuda
come un cadavere profanato
ti strapparono sudario e gioielli
Eri coperta di poesie
tutto il tuo corpo era scrittura
ricordati
riacquista la parola
sei bella
sai parlare cantare ballare
Delhi
due torri
piantate nella pianura
due sillabe alte
A voce bassa le dico
appoggiato al balcone
infisso
non nel suolo
nel suo vortice
nel centro dell'incandescenza
Sono stato là
non so dove
Sono qua
Il non so è il dove
Non la terra
il tempo
nelle sue mani vuote mi sostiene
Notte e luna
movimenti di nubi
tremore d'alberi
stupore dello spazio
infinito e violenza nell'aria
polvere iraconda che si sveglia
luci s'accendono all'aeroporto
mormorio di canti lungo il Forte Rosso
Lontananze
passi d'un pellegrino sono errante
su questo fragile ponte di parole
L'ora m'innalza
fame d'incarnazione patisce il tempo
Oltre me stesso
in qualche luogo attendo il mio arrivo.



VILLAGGIO


Le pietre sono tempo
Il vento
secoli di vento
Gli alberi sono tempo
gli uomini sono pietre
Il vento
si avvolge su se stesso e si sotterra
nel giorno di pietra

Acqua non c'è ma gli occhi brillano



VRINDÃVAN


Circondato dalla notte
fogliame immenso di rumori
grandi cortine impalpabili
aliti
scrivo mi fermo
scrivo
(Tutto c'è e non c'è
tutto frana in silenzio
sulla pagina)
Pochi istanti fa
correvo in macchina
tra case spente
Correvo
tra i miei pensieri accesi
In alto le stelle
giardini serenissimi
Ero un albero e parlavo
coperto d'occhi e di foglie
Ero il mormorio che avanza
lo sciame di immagini
(Ora traccio alcuni segni
increspati
nero su bianco
giardinetto di lettere piantato
alla luce di una lampada
L'auto correva
per i rioni sopiti io correvo
dietro ai miei pensieri
miei e degli altri
Reminiscenze sopravvivenze figurazioni
nomi
I resti delle scintille
e le risate della serata
la danza delle ore
la marcia delle costellazioni
e altri luoghi comuni
Credo negli uomini
o negli astri?
Credo
(qui appaiono i puntini
di sospensione)
Vedo

Portico di colonne erose
statue scolpite dalla peste
la duplice fila di mendicanti
e il fetore
re sul trono
circondato
come fossero concubine
da un viavai d'aromi
puri quasi corporei ondulanti
dal sandalo al gelsomino e i suoi fantasmi
Putrefazione
febbre di forme
febbre del tempo
estasiato nelle sue combinazioni
Coda di pavone l'intero universo
miriadi d'occhi
in altri occhi riflessi
modulazioni riverberazioni d'un occhio unico
un sole solitario
nascosto
dietro il suo manto di trasparenze
la sua marea di meraviglie
Tutto fiammeggiava
pietre acqua donne
Tutto era scolpito
dal colore alla forma
dalla forma all'incendio
Tutto svaniva
Musica di legni e metalli
nella cella del dio
matrice del tempio
Musica
come acqua e vento che si abbracciano
e sopra i suoni allacciati
la voce umana
luna in amore per il mezzodì
scia dell'anima che si disincarna

(Scrivo ignorando l'esito
di ciò che scrivo
Cerco tra le righe
La mia immagine è la lampada
accesa
nel pieno della notte)
Saltimbanco
scimmia dell'Assoluto
scarabocchio
accovacciato
coperto di pallide ceneri
un sadhu mi guardava e rideva
Dalla sua sponda mi guardava
lontano lontano
come i santi e gli animali mi guardava
Nudo sudicio arruffato
un fulmine fisso gli occhi minerali
Volli parlargli
mi rispose con borborigmi
Andato andato
Dove?
in quale regione dell'essere
in quale esistenza all'addiaccio di quali mondi
in quale epoca?
(Scrivo
ogni lettera è un germe
La memoria
rilancia la marea
e il suo mezzodì)

Andato andato
Santo picaro santo
estasi di fame o di droga
Ha forse visto Krsna
albero azzurro e scintillante
sorgente notturna che sgorga nell'arsura
Forse nel taglio di una pietra
palpò la forma femminile
la sua lacerazione
il vortice informe
Per questo o per quello
vive sul molo dove bruciano i morti
La vie deserte
le case e l'ombre
Tutto era uguale eppur era diverso
L'auto correva
io stavo fermo
fra i miei pensieri in fuga

(Andato andato
Santo pagliaccio santo mendico monarca maledetto
è lo stesso
sempre lo stesso
dentro lo stesso
Essere sempre in se stesso
racchiuso
dentro lo stesso
Chiuso in se stesso
idolo putrefatto)
Andato andato
dalla sua sponda mi guardava
mi guarda
dal suo mezzogiorno senza fine
Sto nell'ora instabile
L'auto corre tra le case
Alla luce di una lampada io scrivo
Gli assoluti le eternità
i loro confini
non sono il mio tema
Ho fame di vita e anche di morte
Conosco ciò in cui credo e lo scrivo
Avvento dell'istante
l'atto
movimento in cui si conforma
e si sfalda l'essere intero
Mani e coscienza per cogliere il tempo
sono una storia
una memoria che s'inventa
Mai sono solo
parlo sempre con te
parli sempre con me
Cammino nel buio e pianto dei segni.



Tratto da "Verso l'inizio" (1964-1968)

LE ARMI DELL'ESTATE


Ascolta i palpitii dello spazio
i passi della stagione in estro
sulle braci dell'anno

Rumore di ali e crotali
lontani tamburi d'acquazzone
ansia e crepitio della terra
sotto la veste d'insetti e radici

La sete si sveglia e costruisce
le sue grandi gabbie di vetro
ove acqua incatenata è la tua nudità
acqua che canta e si scatena

Con le armi dell'estate
entri nella mia stanza nella mia fronte
a sciogliere il fiume del linguaggio
guardati in queste rapide parole

A poco a poco il giorno brucia
sul paesaggio abolito
la tua ombra è un paese di uccelli
che il sole sperde con un gesto



CIMA E GRAVITÀ


Un albero immobile
un altro che avanza
un fiume d'alberi
colpisce il mio petto
È la gioia
il verde mareggiare
Di rosso vestita
sei
il sigillo dell'anno bruciato
tizzone carnale
astro fecondo
In te come sole
L'ora riposa
sopra un abisso di splendori
Mucchi d'ombra gli uccelli
i loro becchi innalzano la notte
le loro ali sostengono il giorno

Infissa nella cresta della luce
tra fermezza e vertigine
sei
la diafana bilancia



ASSE


Nella noria di sangue
il mio corpo nel tuo
sorgente notturna
la mia lingua di sole nel tuo bosco
madia il tuo corpo
grano rosso io
Nella noria d'osso
io notte io acqua
io bosco che avanza
io lingua
io corpo
io osso di sole
nella noria di notte
sorgente di corpi
tu notte del grano
tu bosco nel sole
tu acqua in attesa
tu madia d'ossa
Nella noria di sole
la mia notte nella tua
il mio sole nel tuo
il mio grano nella tua madia
il tuo bosco nella mia lingua
Nella noria del corpo
l'acqua nella notte
il tuo corpo nel mio
Sorgente d'ossa
Sorgente di soli

Per leggere l'articolo di
Massimo Barile
Octavio Paz «
La sfida poetica al tempo»

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