-
- Tre
-
- Tsong-Khapa era fuggito dal Tibet alla fine degli
anni Cinquanta, la sua missione consisteva nel portare
la parola e gli insegnamenti del Buddha alle barbare
popolazioni occidentali. Dopo qualche mese passato in
India decise dunque di partire per l'America. Si
può intuire che i primi tempi non furono
affatto facili, tutto era talmente diverso dalle
oniriche terre d'oriente. Gli Stati Uniti erano un
paese relativamente giovane, esuberante, pieno di
meraviglie e contraddizioni: Tsong-Khapa dovette
confrontarsi con nuovi ed inaspettati avversari, con
la tecnologia, le tradizioni locali, le recenti teorie
scientifiche e le antiche religioni. Sappiamo che la
costa pacifica degli Stati Uniti è sempre stata
recettiva alle nuove idee e ai cambiamenti ma in
quegli anni, se si escludono i personaggi più
atipici, ben pochi potevano dire con esattezza cosa
fosse il Buddismo.
- Inoltre Tsong-Khapa doveva vedersela con problemi
più concreti: doveva per esempio guadagnarsi da
vivere e doveva imparare una lingua a lui
completamente estranea. Forte era la nostalgia di
casa... le montagne, i templi sontuosi... ma
Tsong-Khapa era giovane e volenteroso, credeva nella
sua missione e pian piano riuscì a farsi strada
nelle ambiziose città della California.
- Fondò la prima comunità a Santa
Barbara, poi, grazie anche all'aiuto di altri monaci
arrivati dal Tibet, pose i suoi semi a San Francisco,
San Diego, Los Angeles... e ogni volta pensava: "In
città come queste le radici cristiane devono
essere molto profonde, speriamo di trovare un po' di
terra vergine per far crescere piante di mango". Ma
Tson-Khapa non cercava lo scontro, anzi, gradiva
confrontarsi con gli esponenti delle altre dottrine,
parlava con preti, rabbini, seguaci dell'Islam, ed era
gioioso ogni qualvolta scopriva un aspetto comune fra
il Buddismo ed un'altra religione. Non disprezzava
neppure le sette più bizzarre che in quei tempi
cominciavano a sorgere e che spesso si presentavano
come portatrici della spiritualità orientale:
in certe occasioni non poteva però trattenere
un compassionevole sorriso, e allo stesso modo reagiva
quando qualche anziana signora dichiarava che non vi
erano differenze fra gli insegnamenti del Buddha e
quelle discutibili sette.
- Passarono gli anni e in Tsong-Khapa
cominciò a maturare l'idea che la sua missione
sulla costa occidentale fosse conclusa. Molti altri
monaci erano arrivati e molti Americani erano stati
istruiti per diffondere a loro volta gli antichi
insegnamenti. Era tempo di muoversi, affrontare nuove
sfide: il mondo era pieno di inciviltà.
Lasciò le onde del Pacifico e attraversò
le montagne: prima tappa Las Vegas... anche la
città della perdizione aveva i suoi angoli da
coltivare. Poi via, sempre più a oriente; la
terra dei vecchi cowboy, il Texas... ve lo potete
immaginare un texano con il cappello, gli stivali di
pelle e la tonaca rossa?
- New Orleans, con i suoi misteri, il carnevale e il
Vudù; la Virginia, i neri, il kkk. Infine New
York: si dice che quando le stravaganti idee della
California arrivano a New York allora sono pronte
anche per l'Europa. Ma quanti decenni erano passati?
Tsong-Khapa non era più un giovincello e quando
sbarcò a Palos la sua fama lo aveva preceduto.
In Spagna e Francia trovò moltissimi fratelli
che già avevano compiuto il loro apostolato e
la sua presenza veniva ora richiesta in tutte le
comunità, tutti desideravano ascoltare questo
anziano monaco, i suoi insegnamenti, ma anche le sue
esperienze di vita. Come gli sembrava lontano ormai
quell'autunno quando per la prima volta sbarcò
in occidente, senza conoscere una lingua e senza
sapere cosa fosse un televisore.
- Al sorgere del terzo millennio attraversò
le Alpi per venire in Italia. Era incuriosito: Roma,
la capitale del Cristianesimo...
-
- Si trovava in una comunità toscana quando
sopraggiunse un gruppetto di giovani desiderosi di
conoscere ed accedere al Buddismo. Alcuni lo facevano
solo per moda, per distrarsi con qualcosa di diverso e
apparentemente misterioso, altri erano lì senza
sapere neanche loro esattamente perché. Fra
tutti comunque vi era anche chi si presentava con
intenzioni più serie e sincere, in particolare
tre amici che restarono a lungo a parlare con
Tsong-Khapa. Il vecchio monaco rimase favorevolmente
colpito dalle parole e dal pensiero dei tre giovani.
Volle conoscere molte cose di loro, come vivevano,
cosa facevano: cosa li avesse spinti a cercare nel
Buddismo la risposta alle loro esigenze.
- Tutti dissero che erano stanchi di una vita
ipocrita e piena di false soddisfazioni. Dissero che
l'occidente si era incamminato su una via grigia,
egoista, dove era più importante apparire che
essere, la facciata piuttosto che il contenuto. Oramai
si era perso il reale senso della vita, si cullavano
folli ambiziosi e si dimenticava la reale natura
umana, fragile, limitata... Anche i tre amici si
sentivano risucchiati da questa spirale, ne venivano
giorno dopo giorno catturati ed ingannati: bisognava
reagire prima che fosse troppo tardi? Sentivano che
c'era ancora la possibilità di tornare indietro
e desideravano salvarsi prima dell'inevitabile
corruzione.
- "Un giorno - raccontò il primo - una
mattina di qualche mese fa, stavo seguendo una lezione
di fisica. Ero arrivato in fretta e furia, tutto
sudato, perché l'aula si trovava in un edificio
lontano dal resto del complesso universitario.
Comunque ero puntuale: si parlava di
relatività... Il professore spiegava austero e
sicuro, con voce ferma, i suoi occhi trafiggevano i
nostri umili sguardi, la sua mano scriveva decisa,
ogni lettera era verità, ogni numero
indiscutibile dimostrazione. Mi trovavo tutto
impegnato a prendere appunti quando qualcuno
bussò alla porta. Ci fu un lungo istante di
silenzio, il professore, interrotto nel momento
culminante del suo esercizio, rimase in silenzio
storcendo la bocca. Poi aprì. Entrò un
anziano signore, e intendo veramente anziano, vecchio,
apparentemente squallido ed insignificante. "Questi
fisici sono così - pensai - a vederli sembrano
persone comunissime, finché non si decidono a
palare ispirano solo indifferenza". Tutti noi
immaginavamo infatti che quel misero vecchietto fosse
un grande luminare, un collega del nostro professore
venuto da un'altra università, o forse il suo
stesso maestro. Aspettavamo ansiosi che si degnasse di
presentarsi e comunicare il motivo della visita.
Fremevamo. Il nostro professore lo guardava in
silenzio, con volto imperscrutabile, non sembrava
affatto riconoscerlo e questo aumentava ulteriormente
la tensione nell'aula.
- Infine l'anziano signore si decise a parlare;
eccolo: "Scusate... sapete dirmi... non è qui
che si pagano le multe?".
- Bastò un istante, la sua voce emozionata,
per trasformare il silenzio in un brusio soffocato:
non riuscivamo a trattenere risatine e commenti
sarcastici, qualcuno era già con le lacrime
agli occhi. Quel vecchio non poteva capire, il
professore si girò dall'altra parte senza
degnarlo di uno sguardo. "Che scena patetica" pensai,
lo guardavamo e ridevamo. Alla fine un mio compagno,
impietosito (o forse infastidito), decise di farla
finita e gli spiegò che la caserma dei vigili
era l'edificio accanto".
- "Mi trovavo in un ristorante con degli amici -
cominciò il secondo giovane - festeggiavamo un
compleanno se ricordo bene. La tavolata ovviamente era
più che allegra, si mangiava e si beveva a
ritmi vorticosi, si scherzava, si facevano discorsi un
po' spinti. Io però me ne stavo abbastanza in
disparte, non che disdegnassi la compagnia... a due
tavoli di distanza sedevano tre ragazze, un paio le
conoscevo di vista, erano del posto, ma la terza era
un volto nuovo: un volto bellissimo fra l'altro,
angelico; non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso.
Fui così indiscreto che alla fine lei se ne
accorse, mi guardò e distolse lo sguardo
imbarazzata. Anch'io per un attimo abbassai gli occhi,
per pudore, subito però ricominciai a
guardarla, non di continuo, ogni tanto, per vedere
come si comportava. Di tanto in tanto anche lei mi
sbirciava ma quando i nostri occhi finivano per
incrociarsi era sempre la prima a schernirsi.
Sorrideva, poi tornava a studiarmi. Era davvero
bellissima, non sto esagerando per rendere più
appassionante la storia, un volto perfetto, di quelli
che fanno innamorare al primo colpo; e poi come
sorrideva! Con una dolcezza e una spontaneità
struggenti. Avrei voluti alzarmi e andare da lei: ma
cosa potevo dirle? Io non sono mai stato bravo in
questo genere di approcci, sono timido, non ho mai
idea di come iniziare.
- Passarono i minuti e le portate. Infine anche i
miei amici si accorsero del mio turbamento. Cercarono
invano di scuotermi, scrollarmi di dosso
quell'appiccicosa apatia. In un attimo compresero qual
era la causa del male: guardarono il tavolo dove
sedevano le tre ragazze ed esplosero in una serie di
commenti e sarcastici sproloqui. Ma non era
cattiveria: tentavano di incoraggiarmi, di suggerire
strategie vincenti, parole adatte. Io apprezzavo,
ringraziavo, però non era sufficiente. Ogni
idea sembrava folle, non riuscivo a staccarmi da
quella sedia.
- Intanto lei continuava a sbirciarmi, notò
il nostro trambusto, il suo tenero sorriso era rivolto
alla mia timidezza. Ah, che dolce... che dolce. Gli
amici dissero che dovevo bere più vino, ancora
di più. Accettai con favore quel consiglio,
dovevo uscire dal mio guscio con ogni mezzo, lecito o
meno, dovevo risvegliare in me qualche istinto
assopito. Non potevo perdere quell'occasione, non me
lo sarei mai perdonato: la ragazza dei miei sogni era
lì, disponibile, dipendeva solo da me. Un altro
bicchiere. Decisi che le avrei parlato intercettandola
sulla porta prima che uscisse dal locale; ero
fermamente convinto di quella risoluzione, niente e
nessuno avrebbero potuto impedirmelo, non sapevo
ancora quali parole avrei usato, ma era un problema
secondario, l'istinto o forse l'alcol mi avrebbero
messo in bocca le sillabe adatte. Fu un'attesa
snervante, anche perché le ragazze rallentarono
palesemente le ultime fasi della cena, aspettando fino
all'ultimo, così immaginai, una mia mossa.
"Muovetevi, dai, via - ripetevo fra me -
l'appuntamento è sulla porta, non al tavolo,
possibile che non l'abbiate ancora capito". Fremevo,
morivo ogni minuti di più... anche i miei amici
sembrarono sconvolti dalla mia eccitazione
frenetica.
- Infine il momento arrivò, era
inevitabile... ero pronto. Le due amiche si alzarono,
si avvicinarono a lei... cosa stavano facendo? La
aiutarono... sul nostro tavolo cadde un silenzio
soffocante, mi accorsi che non respiravo più...
Dio perché? In me non vi fu altro pensiero,
né vita. Quella splendida ragazza passò
davanti ai miei occhi su una sedia a rotelle, ci
guardammo un'ultima volta, ma fui io ad abbassare o
sguardo per primo: non dissi niente, non vidi niente,
era morto. Lei sorrise amaramente.
- "La mia storia mi vede meno coinvolto
personalmente - cominciò il terzo amico - ma
questo è solo un caso, mi fossi trovato nella
situazione di quella folla avrei reagito allo stesso
modo. Ero di fretta, dovevo andare a lavorare e con
tutta probabilità sarei arrivato in ritardo.
Camminavo spedito per la via quando all'angolo notai
un grappolo di gente riunita, piuttosto rumorosa ed
agitata: se ne stavano tutti vicini in direzione del
muro dove erano affisse alcune pubblicità e
locandine. Incuriosito tentai di infilarmi tra la
gente, ma il passaggio fu meno facile di quanto avevo
supposto e mi ritrovai ad ondeggiare in un mare di
domande, commenti e confutazioni, fino alla
nausea...
- "Cosa succede?". Chiede la signora cicciona appena
arrivata con me. "Quando e perché?". Gli fa eco
un altro. "È incomprensibile". Commenta un
terzo. "Ma chi era?". Domanda con insistenza il
secondo.
- "La signora Berruti".
- "No, la signora Chinaglia".
- "Mio Dio! Che tragedia!".
- "E perché mai?".
- "Non lo so, lei sa qualcosa?".
- "Pare avesse rubato al suo datore di lavoro, era
commessa al negozio di scarpe".
- "Che sciocchezza, quella è la signora
Berruti".
- "Già, la signora Chinaglia ha tradito il
marito".
- "Con un uomo più giovane di lei
sembra".
- "Che scandalo, che tragedia!".
- "E pensare che il marito è un uomo
così buono!".
- "Ma aveva dei figli?".
- "No per fortuna".
- "Io credo fosse incinta dell'amante".
- "Ne è sicura?".
- "Lo diceva prima qualcuno".
- "Allora le vite sono due... che tragedia".
- "Ma che? A me dispiace solo per il marito".
- "Lei è qui da molto".
- "Sicuro, da due ore, non mi sono perso
nulla".
- "Cos'è l'ultima cosa che ha detto?".
- "Ha urlato".
- "Sì, ma prima?".
- "Ha fatto un volo impressionante, dal settimo
piano, sembrava non venire più giù, i
vestiti gonfi, i capelli... questa scena me la
ricorderò per tutta a vita... è
atterrata di schiena, è anche rimbalzata...
Dio, guarda che scempio".
- "Possibile che non abbia detto niente prima di
buttarsi? Dicono sempre qualcosa".
- "Che schifo di vita!".
- Tsong-Khapa rimase sorpreso da queste
testimonianze profonde e dolenti, quasi sconcertato.
Disse che anche il Buddha, prima dell'illuminazione,
era passato attraverso rivelazioni simili. Solo la
traumatica scoperta della nostra fragilità
può condurre alla comprensione e alla
liberazione, è un cammino lungo e difficoltoso
che ci vede sempre soli, molte sono le trappole, gli
inganni, le false promesse, molti cadono, sedotti
dalle vie larghe e facili. Ma c'è speranza,
l'uomo può capire, questa è la missione
di Tsong-Khapa.
-
- I tre amici si congedarono dall'anziano monaco e
ripartirono per Lucca... In macchina si guardarono
lungamente negli occhi, poi uno sorrise, era
impossibile resistere ancora: bastarono pochi secondi
e tutti scoppiarono in una volgare risata,
irrefrenabile. Qualcuno cercò di parlare ma
subito il riso gli riempiva la bocca. Così fino
a sera...
- "Com'è che hai concluso? Che schifo ti
vita!".
- "Bellissima!".
- "Altroché Nirvana! Speriamo la
reincarnazione esista davvero: potessi viverne tre di
vite come questa!".
-
-
- p.s. Tsong-Khapa è stata la terza
reincarnazione di un grande monaco vissuto fra il
quattordicesimo e il quindicesimo secolo, riformatore
del Buddismo tibetano, fondatore della Chiesa gialla e
del monastero di Galdhan. A lui si deve il dogma della
reincarnazione dei santi e dei bodhisattva.
-
|