SCRITTORI ITALIANI
CONTEMPORANEI

affermati, emergenti ed esordienti
Giorgia Cipelli
Opera 5° classificata al concorso Città di Melegnano sez. narrativa
Per leggere l'opera nona classificata al premio del concorso Club Poeti 2002, sezione narrativa
Il morso del serpente
 
Il giardino era esattamente come lo ricordava: raggiante, vitale, raffinato.
Era stata aggiunta solo un'aiuola, nel mezzo: una composizione di primule gialle e fucsia che formavano un grande sole, con attorno il solito recinto di sassi.
Il giardinetto antistante la villa comunicava con quello sul retro tramite un sentiero ghiaioso, che conduceva direttamente al mandorlo centenario cui era tanto affezionata.
Chiuso a cerchio un gruppetto di piante da frutta sulla sinistra e, al confine col recinto, che separava la proprietà dalla casa del vicino, un folto sottobosco.
Chino sul cespuglio di aghifoglie un uomo basso, che portava un grosso capello di paglia in testa, per ripararsi dal sole cocente di quel primo pomeriggio d'agosto.
Indossava pantaloncini corti verdi, da militare e una maglietta bianca impregnata di sudore.
La donna avanzò pian piano nell'erba appena bagnata da un irrigatore a getto. Per poco i sandali non le affondarono nella terra smossa.
L'uomo si voltò. Doveva averla scoperta.
- Relinda Kay, che sorpresa! La mia nipote è venuta, finalmente, a farmi visita. - Esclamò, mentre cacciava in terra un rastrello marrone. Le mani e le braccia erano sporche di terra, compresa la fronte, che si sfregava in continuazione per asciugare il sudore.
La nipote lo abbracciò con calore, con lo stesso entusiasmo di tutte le volte che veniva a trovare lo zio.
Era sempre lo stesso: i capelli argentei che si intravedevano appena sotto la visiera, gli occhi color nocciola e la pelle scura, tipica dei messicani. I tratti del viso forse un po' più stanchi dell'ultima volta.
Un uomo instancabile, pensò Relinda, che curava la casa e, soprattutto, il suo hobby per piante e fiori,quasi fossero una mania.
- Certo che questo giardino lo curi con eccessiva dedizione. - osservò a voce alta, mentre lo zio raccoglieva gli attrezzi da lavoro, riponendoli con cura in una cesta.
- L'amore e la dedizione per la natura, tesoro, non sono mai eccessive. - ribatté questi, accompagnando la ragazza ad osservare un'acacia al centro.
- Questa pianta, questo verde è la vita. La stessa vita che scorre dentro di me.
Un alito di vento scosse la chioma, facendo ondeggiare le sue foglie sulla testa di zio Venanzio.
- Forza, rientriamo. Qui fa caldo e non voglio annoiarti con le mie lezioni di botanica. C'è qualcosa di più interessante...
La nipote sorrise e insieme si avviarono al vialetto di ghiaia.
Entrarono nella veranda, con le grandi vetrate che davano sul giardino interno.
- Per un giardiniere, arrivati ad un certo punto, non si tratta più solo di imparare a distinguere le piante a seconda della classificazione, o magari il luogo d'origine. L'essenziale diventa capirne le esigenze, imparare ad amarle, conoscerle dal di dentro e non solo per il tipo di corteccia.
- Parli delle piante ma ti riferisci anche al tuo lavoro. Ai resti archeologici. - osservò la nipote.
Era vero: nonostante i vari hobby, non scordava mai il fatto di essere un archeologo e continuava, nonostante l'età, a svolgere ricerche su materiali rupestri.
Relinda Kay poteva ringraziare lo zio se era diventata professoressa di storia antica. solo grazie a lui, infatti, aveva conosciuto e saputo apprezzare la storia e tutti i suoi misteri.
Un'ape, entrata dalla finestra sul retro, prese a gironzolare intorno alla testa di Venanzio.
Relinda finse di pensare ad altro e di ammirare un quadro particolare appeso nella stanza accanto, finché sbottò:
- Abbiamo qualcosa? -
- Abbiamo qualcosa. - rispose lui soddisfatto.
Si avvicinò alla credenza e fece cenno alla nipote di seguirlo. Ruotò in senso orario una decorazione appesa alla parete e immediatamente si aprii un varco. Ora sapeva dov'era custodito: la stanza dei reperti.
Venanzio accese una torcia e guidò il tragitto di scalini fino allo studio. Relinda lo seguì passo passo, raso alla parete.
Raggiunsero i sotterranei e l'uomo fece scattare una altro meccanismo. Finalmente si aprì la porta della fatidica stanza.
Zio Venanzio la usava come studio ma, a occhi estranei, poteva benissimo apparire un... "museo archeologico".
Lui, ogni volta, cercava di sminuire, ma sapeva quanto fosse orgoglioso di quella sua piccola fonte di scoperte.
Contro la parete c'era una scrivania di legno massiccio, in disordine come al solito e, dirimpetto, due poltrone dalla tappezzeria gialla e un divanetto piuttosto scomodo ma di grande valore.
A sovrastare la stanza era una grossa libreria di testi antichi, alcuni scritti persino in greco e latino e un rotolo di carte geografiche polverose, appoggiate in un angolo.
Relinda illuminò la stanza a tratti con la torcia.
Fasci di luce opaca colpivano, man mano, le vetrinette che custodivano antichi resti che i musei e l'Associazione dei beni culturali gli avevano concesso di tenere come ringraziamento della collaborazione offerta.
Dalla tasca dei pantaloni estrasse una chiave e la fece ruotare nella serratura di un cassetto.
- Guarda -
Relinda si voltò.
Una splendida spilla, davvero, d'oro, con decorazioni sui bordi e, nel mezzo, inciso il busto di una ragazza.
- Dovrebbe appartenere all'ufficio storico della città dell'Avana. Me l'hanno recapitato a casa, ma non capisco a quale scopo - proseguì lo zio, mentre la nipote continuava ad osservarla affascinata.
- Fin dall'Avana? -
La domanda riecheggiò sorda fra le pareti del seminterrato. Perché un reperto di tale valore era giunto fin dall'Avana per essere analizzato da uno storico di Città del Messico?
L'uomo afferrò il rotolo di carte geografiche polverose e ne estrasse un paio.
- Quindi proviene proprio da Cuba.
- Esatto -
- E qualcuno te l'ha mandata senza specificare niente.
- Esatto. -
In un pacco sigillato, spedito per posta. Era arrivato proprio il giorno precedente, quando Venanzio aveva telefonato alla nipote.
Lo zio studiò entrambe le cartine, le girò per osservarle da ogni punto di vista e alla fine ne pose una alla ragazza. L'altra la cacciò in fondo al cassetto.
- Una cartina sulla rotta delle navi mercantili spagnole fra Cinquecento e Seicento. Sei dell'idea che appartenga a qualche vascello affondato?
- Ho buoni motivi per pensarlo. Credo che questa carta potrebbe aiutarci a capire qualcosa. Se questa spilla proviene da un relitto affondato, allora potrebbe non essere il solo tesoro ritrovato.
E questo faciliterebbe la corsa a qualche disonesto truffatore.
- Interessante -
Relinda non poté fare a meno di osservare la spilla sulla teca accanto a loro, mentre splendeva in tutta la sua bellezza.
Avrà circa quattrocento anni, pensò, così antica e non li dimostra nemmeno. Tornò a guardare la cartina e gli appunti scritti qua e là sul foglio.
Con una matita tracciò tre linee, che collegavano la Spagna al Messico e il Messico al Texas.
- E se si trattasse della tragedia del 1554? Allora, la flotta, costituita da tre navi spagnole, stipate di tesori e passeggeri, fu deviata a causa di una burrasca verso Veracruz anziché a l'Avana. Dopo circa due settimane il comandante di una delle navi, la San Esteban, imbarcò i superstiti su una scialuppa e tornò in Messico.
- Ma possiamo davvero tenere in considerazione che questa spilla d'oro appartenga al carico di una delle navi dirottate e affondate nel Golfo del Messico?
Relinda non lo ascoltava più, stava osservando qualcosa nella fessura della porta. Una luce rossa...
- Zio, hai delle candele rosse o luci colorate fuori da questa porta? - lo interruppe
- Luci rosse? Ma che diavolo! - borbottò fra sé - quando ho mai avuto delle luci rosse?
- Allora... -
Non fece in tempo a completare la frase che la luce rossa e tagliente di un laser la colpì negli occhi.
Lo sconosciuto aveva sfondato la porta. Afferrò una scodella di peltro inglese dal cassetto aperto e la scagliò con forza sulla testa bruna di Relinda.
Due, tre colpi, finché la ragazza cadde a terra. Venanzio, nel tentativo di fermarlo, spinse l'aggressore contro la parete, cercando di strappargli di mano l'antico recipiente, ma questi si sottrasse e lo colpì con un pugno nello stomaco, costringendolo a mollare la presa. Sentì una mano afferargli le caviglie e perdette l'equilibrio, urtando contro la scrivania. Le potenti e abili mano di zio Venanzio.
Con un calcio si divincolò e raggiunse la teca dov'era appoggiata la spilla.
Quando Relinda riuscì a rialzare la testa, era già fuggito.
Si levò in piedi, aiutando, con un braccio, lo zio a rimettersi seduto. La spilla.
Lo zio si terse la fronte sanguinante con una mano, si appoggiò alla scrivania e fissò Relinda negli occhi. La nipote chiuse la teca e si avvicinò allo zio, ansimando.
- Cosa c'è dietro quella spilla? -
- Il segreto di un veliero -
- O di una fortuna -
Lo zio sospirò, riavvolse le cartine e le infilò in una borsa di pelle scura. Non mancava solo la spilla. Anche la cartina. Quella sulla quale avevano tracciato la rotta delle navi affondate nel 1554.
La loro pista. Per il resto, nulla era stato toccato.
La nipote, mentre riordinava i libri e li impilava nello scaffale, si accorse di una catenella, che era caduta dalla poltrona imbottita durante lo scontro.
In oro, col ciondolo piccolo e, intagliato, il volto di una donna con i capelli raccolti. Il ciondolo si apriva e all'interno presentava una lamina con una scritta strana.
- Dove l'hai preso? -
Venanzio afferrò il ciondolo e inforcò gli occhiali e lesse:
"Non abbiate paura, voi sfidanti delle acque in tempesta...la Provvidenza e la Saggezza sono vostre amiche e protettrici" concluse Relinda al suo posto.
- Il taglio e le linee sono gli stessi della spilla, pure la figura ha gli stessi tratti del viso.
La nipote afferrò la borsa con le cartine e aprì la porta.
- Andiamo -
E proseguì la salita di scale.
Davanti a loro si estendeva Città del Messico, con le sue luci sfavillanti e la vita frizzante che esplodeva nel centro della capitale.
La jeep procedeva lentamente, mentre Relinda continuava ad osservare la cartina.
- Dobbiamo andarcene subito a L'Avana. C'è qualcosa che non quadra in tutta questa storia.
Zio Venanzio annuì perplesso. Stava pensando perché mai qualcuno rubasse una spilla per poi perdere distrattamente un ciondolo che si ricollegasse con l'oggetto rubato.
Poteva non esser stata una distrazione. Probabilmente il gioiello era stato dimenticato appositamente per farlo ritrovare. Ma chi avrebbe rubato una spilla preziosa per poi abbandonare, anche se volontariamente, un gioiello altrettanto importante? Nessuno, se l'oggetto in questione non fosse stato falso.
- Potrebbe non essere autentico. -
La nipote lo guardò attenta.
- Potrebbe. Ma comunque, cosa può voler dire un gesto simile? -
Si stavano spostando dal Palazzo delle Belle Arti all'aeroporto, in rotta per Cuba.
Un paio di biciclette li superarono e, per poco, non investirono una ragazza cha stava seduta al tavolino di un bar.
Lo zio parcheggiò nell'ampio spiazzo antistante l'aeroporto e si diresse all'entrata.
- Kisiéra un pasàxe -
- un? -
-No, no, doi -
- Señor... Señor Venansio... -
- Venansio Elmeruda e señorita Relinda Kay -
- Documentos -
- Tarjeta de embarque. Primera clase, va bien? -
- Gracias -
- De nada -
Zio Venanzio si avviò verso la sala d'aspetto, gremita di passeggeri nell'andirivieni comune.
Volti stanchi e desiderosi di arrivare al più presto si appoggiavano alle valigie, mentre altri dormicchiavano seduti sulle poltrone, sobbalzando appena la voce all'altoparlante annunciava un volo.
Stava venendo sera, ormai, ma la soluzione dell'enigma rimaneva ancora aperta. Relinda scrutò impaziente l'orologio, rivolgendo continui sguardi alla pista d'atterraggio di fronte a loro.
- E le tue piante? Non soffriranno di solitudine? -
Nessuna risposta. Pazienza, lo zio doveva essersi addormentato come di suo solito.
Aprì una rivista e cercò di immergersi nella lettura, nonostante continuasse ad alzare la testa oltre l'articolo.
Questa attesa la innervosiva. Avrebbe voluto essere immediatamente a Cuba, sulle tracce della spilla scomparsa.
Di nuovo la voce femminile all'altoparlante risuonò squillante nella saletta. "Preghiamo i signori passeggeri diretti a l'Avana con il volo delle 19.34 di dirigersi verso l'imbarco. Buon viaggio e grazie per aver scelto la nostra companìa de aviacìon"
Relinda scosse lo zio che, fra borbottii e tentativi di farsi spazio fra la gente che sciamava fuori dalla saletta, riuscì ad arrivare fino alla pista d'atterraggio.
Prese posto nella seconda fila, davanti a una donna vecchia e grassa che continuava a brontolare per come fosse inefficiente il servizio aereo.
Venanzio strinse la cintura di sicurezza e proseguì il pisolino.
Cos'era tutta questa storia?
"Sono tre giorni che tieni la spilla. E il quarto qualcuno te l'ha rubata. Sai cosa succede. Ti tengo d'occhio."
Ti tengo d'occhio.
- Cosa? - domandò la nipote
- Niente. Guarda un po' qua. Me l'ha appena recapitata una hostess. - Potrebbe essere chiunque. -
- Sai cosa succede?! -
- Si, lo so. Adesso scendiamo, recuperiamo la borsa e ce ne andiamo direttamente al Museo archeologico. -
Così fecero e, usciti dall'aeroporto, affittarono un'auto a noleggio e si diressero verso il centro.
- Perché proprio il museo? È stato l'ufficio storico a... -
- Ho una pista. -
Venanzio si fidava della nipote, del suo istinto infallibile che lui stesso le aveva trasmesso.
Il museo era chiuso, lo sapevano bene entrambi.
E in questi casi, anche un archeologo, doveva tentare il tutto e per tutto, come un ladro.
Con una punta affilata, Relinda fece scattare la serratura del portone.
Disinserì l'allarme e s'intrufolò nella sala dei resti spagnoli.
- Qualunque sia la nostra pista, è qua che dobbiamo indagare. -
Di soppiatto si avvicinarono all'enorme teca contro la parete.
C'erano tesori di ogni tipo: catene e lingotti d'oro, astrolabi, una croce in oro e smeraldi, oltre ad altri svariati oggetti.
- È lui. -
- Chi? -
- Il serpente. -
- Cosa...? -
- Quello tatuato sulla mano dell'invasore. Quando è venuto a farci visita e ha rubato la spilla, ho notato che aveva un serpente, sulla mano, mentre mordeva qualcosa. -
- La Santa Margarita. -
- Brava la mia nipote. Il serpente mentre tenta di mordere una moneta sul galeone spagnolo della Santa Margarita, rappresentato in quell'arazzo nascosto... -
- ...nello studio di un noto archeologo. Questo tesoro non fa parte della San Esteban e la flotta sbaragliata nel 1554. -
- ...ma è stata ritrovata al largo della costa nord occidentale di Cuba. -
- Sapevo di potermi fidare di voi. Avete fatto un ottimo lavoro. -
Sulla soglia della stanza comparve il famoso professor Smart.
- È vero. Le navi spagnole, provenienti dalla terra d'origine o da Messico e America del sud, cariche di tesori, si avventuravano verso questa terra, venendo però, molto spesso, attaccate da altre flotte. -
- E il biglietto? -
-Era una falsa pista. Devo dire che come archeologi siete abbastanza bravi, ma ora non mi servite più. Lascio al mio amico il compito di eliminarvi. -
Un serpente lungo e viscido prese a strisciare verso di loro.
- Meglio non fidarsi mai di nessuno. - disse Relinda, mentre il serpente cambiava direzione e andava a mordere la caviglia del suo fido padrone.
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agg. 23 dicembre 2001