Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Gianni Gandini
Con questo racconto è risultato terzo classificato nella sezione narrativa del Premio Vittorio Tolasi - Orzinuovi 2002
Corsi e ricorsi
 
Il commissario entra in classe, sguardo dubbioso, forse emiparetico e, camminando in punta di piedi per rendere solenne il momento storico, si ferma al centro della sala, guardandoci drammaticamente negli occhi, ad uno ad uno. L'operazione comporta la perdita di parecchi minuti e la perplessità di parecchi candidati.
Il resto della commissione giudicatrice occupa le sedie in fondo all'aula magna, ed è occupata in risciacqui papillari con bevande calde da macchinette a gettoni.
Il commissario, con un improbabile riporto di tinta marrone, è rinchiuso nel suo completo festivo marrone, e sta sudando marrone. Dà l'impressione di essere un tantino sordo e i suoi occhiali da vista sono una maschera per profonde immersioni subacquee.
Il fatto che sia anche profondamente miope è buona cosa.
Si rischiara le tonsille con un gorgheggio in la minore e ordina il silenzio totale, cominciando la dettatura degli elaborati:
 
1) Il candidato ci parli del riso, non inteso com'espressione di burla, sbellicazione o sganasciamento, ma inteso come specie di pianta graminacea che produce chicchi commestibili ricchi d'amido.
Rifletta inoltre il candidato sull'importanza dell'assorbimento del brodo nei piatti di riso con molluschi e relative valve al seguito.
 
2) Il candidato ci parli di quel mobile destinato al sonno e al riposo della persona, costituito essenzialmente
da una rete metallica, sulla quale si sistemano il materasso, le lenzuola, i guanciali, le coperte, e quegli
orribili copriletto lavorati a maglia da una parente stretta mal sopportata.
Il candidato ci esponga la differenza che intercorre tra i figli di primo letto e quelli di secondo e ci presenti, inoltre, una serie di posizioni ad alto contenuto erotico da eseguire in coppia, o in gruppo, in un vagone letto.
 
3) Il candidato ci parli della salute, quello stato di sanità fisica e psichica che a volte è eccellente, e a volte ci viene privata del tutto per cause diverse e allora vuol dire che si è deceduti.
Rifletta il candidato sul motto &endash; pensa alla salute! &endash; che si dice per invitare qualcuno a non prendersela perché la fidanzata se n'è andata con il suo migliore amico.
 
4) Il candidato ci presenti la vita dell'illustre personaggio storico Federico Barbarossa, i suoi diverbi e litigi con i Comuni e con chiunque gli venisse a tiro, con un'attenzione particolare alle nuove fonti storiche in nostro recente possesso.
 
Rileggo lentamente le proposte d'esame, prima dal su al giù, poi viceversa, poi dal qui al là, poi una parola sì e una no, poi tutte le vocali, poi tutte le consonanti, poi quelli del genere maschile, poi femminile, poi mi rompo i contenitori e decido che è giunto il momento del decidere.
Opto per il tema storico per tre ragioni:
 
a) Adoro la Storia, in generale, e la vita dei singoli personaggi storici, in particolare.
b) Ho sempre considerato il Barbarossa, al pari dei Rolling Stones, un modello per le nuove generazioni.
c) Non mi viene in mente altro.
 
Il mio vicino di banco ha ingoiato la penna a sfera per l'agitazione e tutti cercano di fargliela sputare, soprattutto la ragazza con le lentiggini, perché la penna era la sua.
Adempio i vari riti scaramantici, evitando quello di tirarsi fuori le caccole dal naso e lanciarle dietro a sé, considerata la presenza di altri candidati alle mie spalle.
Ora sono pronto per il componimento e comincio a scrivere:
 
"Federico Barbarossa è stato Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1152 al 1190, poi si è immerso nel fiume Salef, in Cilicia, e si è dimenticato di risalire. Nato nel castello di Waiblingen nel 1122 fu il Terzo Duca di Svevia, il Primo Imperatore della casta degli Hohenstaufen, e il Secondo classificato al Torneo di freccette della Vestfalia. Già per i suoi contemporanei, Federico era un punto interrogativo, anche un punto esclamativo, ma bisogna tener presente che nel XII secolo pochissimi privilegiati potevano avvicinare l'imperatore: tra questi suo zio Ottone di Frisinga, che ci ha lasciato un bel libro, e il suo cavallo, che ci ha lasciato la salute.
La convinzione che i suoi maestri gli avevano trapanato nella calotta cranica fin da ragazzino era quella, allora comune in Europa, che l'Impero Romano, fatto risorgere da Carlo Magno, fosse il sequel di quello antico che l'Imperatore era dunque il capo totale. Federico voleva sempre avere ragione sennò gli giravano col botto ed erano botte. Contro di lui l'avevano tutti, i signori feudali, il papa, ma soprattutto i Comuni italiani. Questi, che le avevano veramente quadrate, non intendevano contestare l'autorità dell'Impero, ma guai a palpeggiare i loro soldi.
In queste condizioni Federico I, ha appoggiato le chiappe sul trono a trent'anni con l'elezione del 4 marzo 1152 in quel di Francoforte.
 
Federico Barbarossa, aveva gli occhi celesti come un crotalo, le mani bianche come un totano, e la barba rossa come una tartina di salmone. Era stato educato nell'arte militare, ma conosceva il latino, la storia e la geografia e andava sempre a caccia con il suo falco, che pure lui conosceva bene il latino, la storia e la geografia. Con il tempo si appassionò molto alla cucina: gli riuscivano particolarmente bene i tortellini.
Era religioso a suo modo, soprattutto se la Chiesa evitava intromissioni nelle questioni di Stato. Il Barbarossa cominciò a scrutare l'Italia, un po' perché c'era la riviera adriatica e ci si poteva abbronzare, un po' perché i suoi consiglieri gli pitturavano l'Italia come la culla dell'Impero, e dunque la nazione nella quale per prima bisognava sculacciare chi non stava in riga e sganasciare chi non stava in colonna. Lo stuzzicavano in quest'idea le lagnose lagnanze che molti Comuni minori gli spedivano, piagnucolando le prepotenze di Milano, Brescia e Piacenza, i più forti centri della Val Padana.
Il Barba, considerandosi arbitro equanime di tali contese, ritenne suo dovere, dopo aver appiattito controversie e ammaccato feudatari germanici, scendere in Italia a spatasciar ribelli. Inoltre gli faceva gola una visitina a Roma dal pontefice, per mettersi sulla capocchia la corona di Sacro Romano Impero. Prima di partire, la moglie Beatrice di Borgogna, che lo amava come si ama un ponte levatoio, lo costrinse a mettersi la maglia di lana. Roma aveva un bel daffare in quegli anni: era stato preso a calci nel didietro il papa e instaurato un governo repubblicano; n'era a capo il litigioso Arnaboldo da Brescia, uno psicolabile fulminato, fieramente avverso al potere temporale dei papi e a quello temperato dei tornei di freccette. Federico non era minimamente interessato a dispute teologiche o a malmessi malati mentali, ma aveva bisogno del pontefice, che era Adriano IV, per diventare il top tra i coronati. Acchiappò Arnaboldo da Brescia, che il papa abbrustolì con molto gusto e si fece piazzare la corona sul capo. Se ne tornò a casa contento come un vitello e si dedicò ad insegnare al suo falco a tirare d'arco.
 
Poco tempo dopo giunsero notizie di dispettucci fatti da Milano a Lodi e d'altre teppistaggini all'autorità imperiale in Italia. A Federico gli girarono col vortice, disse Uffachebarba e decise allora, nel 1158, di trotterellare nuovamente in Italia, convinto che bastasse batostare Milano per rimettere ordine. La moglie Beatrice, che lo amava come si ama un muraglione, gli ricordò la maglia di lana e Federico partì con un esercito formato da brutti e bruti, assai scocciati di questo continuo avanti-indietro e decise a facilitare torti e torture. Dopo due mesi di botte, ceffoni, solletico sotto i piedi e spaventi da singhiozzo, Milano si arrese e disse nonlofacciopiù giurando fedeltà all'Impero. Il Barbarossa convocò una riunione a Missaglia, con il compito di stabilire esattamente i diritti dell'imperatore e gli obblighi dei sudditi, ma non venne nessuno. Allora ne convocò un'altra a Roncaglia, con la presenza della vincitrice del concorso di bellezza Miss Mondo Antico. Così vi parteciparono tutti quelli che conosceva, vescovi, principi, consoli e i più insigni giuristi dell'università di Bologna, venne anche suo zio e il falco che era diventato bravissimo a tirare con l'arco. Le discussioni furono ampie e metalliche, lunghe e cavilliche.
Alla fine tutti furono d'accordo sulla formula che l'Imperatore era quello che tirava la palla e gli altri non dovevano farsi prendere. Alcuni comuni avevano la testa dura e per oltre due anni (1160-1162) zio Federico dovette spianar castelli nella Val Padana, distruggere città, mettere in castigo i rivoltosi, bastonare cani, torturare tortore e saccagnar zanzare. La moglie Beatrice, che lo amava come si ama un'armatura usata, visto che il marito faceva tardi, decise di mettere la maglia di lana nel cassetto.
 
"L'irto, increscioso alemanno", a detta dei suoi pochi amici, aveva la testa dura.
Anche il nuovo papa, Alessandro III, aveva la testa dura e dichiarò al mondo che l'Imperatore era una misera e puzzona ciofechina terrena e l'Impero un semplice feudo pontificio. Si trovarono così di fronte due teste di ghisa, entrambe consapevoli dell'alta dignità che rappresentavano. Furono le solite botte, dita negli occhi, sgambetti al buio, sputi sui capelli, ragni nelle mutande, e solo un'epidemia di peste li costrinse ad una reciproca ritirata.
Solo l'averlo preso in quel posto a Legnano, persuase Federico a riconciliarsi con il papa: la pace tra i due venne firmata nel 1177 a Venezia, quella con i Comuni nel 1183 a Costanza, il maxi torneo di freccette nel 1185 a Desenzano del Garda e la gara di tiro aperto ai soli falchi nel 1187 a Sotto il Monte. Indomabile come sempre, l'Imperatore, alla notizia della caduta di Gerusalemme, cadde dalla sedia, perché era già un po' anziano ma si rialzò subito e decise di organizzare la terza crociata, anche se ci vedeva poco.
La moglie Beatrice, che lo amava come si ama un armadio a muro, poiché la maglia di lana si era un po' consumata, gliene fece una nuova, ma non fece in tempo a finirla prima della partenza dell'imperatore per la Terrasanta.
 
A quasi settant'anni i disagi e i pericoli di una lunga marcia verso la Terrasanta furono fatali per l'Imperatore. Il Barbarossa non lo vide proprio il sepolcro di Cristo: attraversando il fiume Salef, nella Cilicia, annegò, trascinato in un gorgo dal suo peso storico.
Forse non aveva digerito i tortellini. La moglie Beatrice, che lo amava come si ama un bollito di carne, disse che era tutta colpa della maglia di lana, perché lei non aveva fatto in tempo a finirla e lui non ce l'aveva addosso, e siccome il marito non avrebbe fatto più ritorno, la maglia di lana se la mise lei".
 
Il candidato
 
Federico Pizzoporpora
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Premio Vittorio Tolasi Orzinuovi 2002
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Ins. 12-02-2003