Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Eva Garau
Con questo racconto è risultata segnalata dalla Giuria del Premio Vittorio Tolasi - Orzinuovi, sezione narrativa
Mesuconca (mezzatesta)
 
Corri veloce, sui cerchioni sformati e senza gomme di quella bici sgangherata, troppo alta per le tue gambe bianche e nervose. Sfreccia a balzi irregolari e bruschi lungo i viottoli di pietra, consumati dal tempo e guarda con la coda dell'occhio le case allungarsi ai lati della stradina storta e assolata, gli alberi assottigliarsi in linee indefinite di velocità. Evita all'ultimo momento, con una sterzata decisa, la sagoma scura di zia Nennea, stretta dentro il busto rigido e le gonne vaporose, scavalca lo sguardo polveroso e severo di maestro Fadda, seduto in maniche di camicia sullo scalino sbeccato all'angolo dell'incrocio. Corri "Mesuconca" figlio di "Mesuconca", più veloce del tuo nome bizzarro, più veloce delle risate dei bambini che lo ripetono cantilenato. Corri fino alla curva, quasi fino al muro e frena a fondo con i talloni, anche se poi le prenderai, che le scarpe a tua madre non gliele regalano mica. Buttati alla fine su un lato e scivola nella terra assetata e calda. Solo un istante di esitazione in cui, avvolto in una nuvola di polvere sbiadita, ti chiedi se dalla gamba che ti brucia starà uscendo abbastanza sangue per una frenata tanto rischiosa. E poi via, a piedi, attraverso la collina, con il ciuffo scuro incollato alla fronte, con la bocca spalancata che cerca ossigeno, con la paura che ti acchiappino e stavolta te le suonino davvero. Corri più forte delle risate sguaiate, più veloce dei sassi sibilanti scagliati dagli elastici delle fionde appuntite. Senti il vento caldo rubarti il fiato, l'aria stagnante di questo pomeriggio di luglio stritolarti in una morsa bollente. La maglietta che avevi giurato di non sporcare, incollata alla schiena e le ginocchia sporgenti che a momenti si arrendono. Ormai sono lontani, eppure corri per mettere tra voi una distanza impercorribile e mentre corri decidi di non fermarti più e immagini tuo padre, con il suo sguardo ironico e sdentato, con l'ennesima birra ghiacciata che se la ride davanti al televisore alla notizia del bambino che non smette mai di correre, tua madre con i suoi piccoli occhi opachi, le tasche del grembiule sformate dai pugni pesanti, che ti urla di fermarti entro settembre, che la scuola riapre e lo vedi bene come si diventa a non studiare, si finisce attaccati alla tv con un sorriso liquido da scemo stampato in faccia.
Ma tu corri e corri per battere ogni record e se ti giri ti sembra di vedere le giornaliste in abito rosa inseguirti esauste per farti una domanda, una sola domanda al bambino che non si ferma mai. E non hai fame né sete, solo tanto caldo, ma corri e ridi, questa volta sei tu che ridi e non rallenti neanche per un'intervista, neanche per una foto abbracciato al sindaco grasso e sudato nel suo abito blu, neanche se ti promettono un premio per tutta la strada che hai fatto. E intanto il Tg di mezzogiorno trasmette l'intervista al tuo migliore amico che invece non è tuo amico per niente e ti viene voglia di deviare fino al muretto sul quale sta seduto tirato a lucido per l'occasione e buttarlo giù e gridare a tutto il mondo che non è amico tuo quello, che è stato lui a disegnarti con mezza testa di bambino e mezza d'asino sulla lavagna scrostata dell'aula B. ma non ora, ora attraversi i campi raggrinziti e rassegnati, giri a destra e sali per il viottolo ombroso di "bingia e puzzu", fino alla fontana secca e desolante, che da quando non ha acqua non ha neppure più nome, oltre la vigna di tittiu Flore "campana" e scendi, di nuovo sulla destra, lanciando un pezzetto di legno ai maiali che respirano lenti sotto l'esile ombra del recinto di mattoni e fango. Sembrano passati nove giorni, sei ore e tre minuti da quando hai rubato la bici arrugginita nel cortile di Bustiano Musu "castangia" e hai divorato la discesa con il vento caldo che ti si infilava tra i capelli spettinati. Ma ora ci sei quasi, basta scivolare lungo il pendio ripido di Funtanafria e ci sei. Rallenti appena dietro l'angolo e prendi fiato. Scorre identica e circolare sotto il ponte la vita immobile di un intero paese impigliato nel passato. Un paese che la memoria sbiadita dei vecchi e tre foto ingiallite, appese al muro spesso della cucina buona, in casa di tuo nonno, costringono a replicare in eterno l'ultima giornata illuminata dal sole. L'ultima giornata prima del 26 Febbraio 1954, quando una manciata di uomini, donne e bambini si è voltata a guardare per l'ultima volta le proprie case prima di vederle annegare per sempre sotto il flusso di acqua e parole entusiastiche che accompagnarono la nascita della nuova diga, il mostro di ferro e cemento, che tuo padre bambino ha visto divorare, i campi lungo i quali correva e la forza di una generazione che ha lasciato laggiù una vita intera. Da allora, nei racconti che hai sentito mille volte, ogni giorno la campana della scuola suona puntuale alle due e i bambini escono spingendosi dal portone di legno scuro e corrono a casa passando per il versante brullo della valle e i loro padri, piegati sulla terra avara e ostinata, si siedono all'ombra ingenerosa degli ulivi e dividono il cibo e le preoccupazioni. E a te, che scruti la superficie liscia e piatta del lago, sembra di vedere le donne, la loro tristezza nascosta sotto i fazzoletti scuri, che raccolgono le ultime cose e accarezzano con le mai ruvide quelle che sono costrette ad abbandonare. Mentre scivoli sul sedile duro del trattore di tittiu Marongiu, che ti riporta a casa all'imbrunire, il tuo ultimo pensiero è quello di correre via, prima che qualcuno ti acchiappi per la manica del maglione, prima che qualcuno ti guardi negli occhi e ti chieda di stare, prima che una nuova diga sommerga i progetti che ancora non hai fatto e ti condanni a vivere nell'immaginazione di un bambino che sogna il futuro e nel rimpianto di un adulto che affoga ogni giorno nei ricordi. Ad un tratto senti la mano pesanti di tittiu Marongiu sulla spalla e ti sembra che ti chiami e ti scuota, eppure la voce sembra quella di tua madre ed anche la faccia, ora che ti giri a guardarla, è la sua. È lei che ti urla di filare a scuola, che hai perso abbastanza tempo in piedi di fronte al cortile del vicino, intento a fissare la sua vecchia bici. Che se la vuoi anche tu, prima o poi, una bicicletta, bisogna che te la meriti. Senti le sue parole marroni e ritmiche risuonare da lontano, le sorridi, giri l'angolo e corri e corri lungo la discesa, che sono già le 8 e 20 e la strada da fare è tanta. Corri nel sole e mentre corri immagini di non fermarti più.
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Premio Vittorio Tolasi Orzinuovi 2002
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Ins. 12-02-2003