Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Erminio Maria Cavalli
Con questo racconto ha vinto il terzo premio del concorso Marguerite Yourcenar 2003, sezione narrativa

Parlando di me

Questi non sono libri, pezzi inanimati di carta,

ma menti vive sugli scaffali.

Gilbert Highet

 

[...] Bellezza riposata dei solai

dove il rifiuto secolare dorme [...]

Guido Gozzano

 
Non sono che una pagina. Nient'altro che questo. Mai nessuno avrà il pretesto per parlare di me, di scovare la mia esistenza, la mia coscienza. Non potrà mai sapere se ne ho una, nessuno potrà dimostrarlo. Anche se mi leggesse qui, non ne avrebbe le prove. Perché son pagina, nient'altro che pagina: di carta straccia.
Sono piena di me in questo momento. E mi piace sbraitare. Ne ho una voglia matta. Piena anche fin dentro questi teneri odiosi spazi vuoti. Tenuta nascosta da altre lenzuola di carta, inganno il mio tempo a giocare. Mi vesto di storie, m'invento di storie. Rubo parole qua e là, non c'è bisogno di usarne altre nuove, più belle, per scrivermi adesso. E poi ancora. Ho tutto il tempo per farlo. Eppure, da un po' soffro di uno strano malessere, che gli umani chiamano vecchiaia. Non m'importa d'esser letta, ma di me ultimamente non c'è che un minimo riguardo. Ho scoperto d'esser invecchiata un poco anch'io; non pensavo fosse possibile una sorte così triste perfino per una maledettissima pagina. Rido, piango, ho tutte le emozioni qui dentro; e posso anche non averne, essere deliziosamente carta. Ma stavolta son triste. E sento anche dei dolori al corpo. Sarà tutto questo per via d'uno strano brizzolato, che per Marco, Erminio, Sara (lo voglio precisare: i miei unici padroncini finora) vorrà dire, quando un giorno saranno più anziani, che s'avvicinerà il momento di morire: me lo porto addosso questo grigio d'inchiostro, come delle linee impercettibili e secche sul nero delle parole. Sette righe, per dirla tutta, persino sbiadite. E per i miei acciacchi, vi dirò, sono anche curva. Chissà chi diavolo mi avrà ridotto così! Cosa! Forse qualcuno dei miei strani lettori mi avrà portato a letto. Si sarà addormentato su di me e con la sua guancia, il suo petto duro e nervoso, mi avrà gualcito ben bene. Giuro non me ne sono accorta. Se l'avessi saputo in tempo, forse, l'avrei distolto dal prendermi, l'avrei annoiato senza neppure dargli il tempo di voltarmi. Ora che ci penso, sono poco influente per questo. Diciamo che non godo di una posizione privilegiata. Qualcuno mi dirà...: "le pagine son pagine". Io credo di no. Ne sono certissima. Sono pagina 47, morta che parla: appunto. E dicevo, ho un po' di dolori. Ingobbita come il cavo di una mano rilasciata, rischio di non farcela. Ho la schiena che mi si spezza. Pensavo: e se invece mi avessero scaraventato giù in fondo ad una cantina?!. La collisione mi avrebbe ridotta anche peggio. Potrebbe essere andata così; ma in fondo, cosa importa! In cantina però no. Se ho un favore dalla sorte, è che m'illumino spesso. E godo di quella bella luce del giorno, che mi attraversa dentro e si riflette in ogni piccola piega. Ma anche questo - capirete - ha avuto i suoi svantaggi. Quali? Son gialla per esempio, puzzo di giallo marcio di nicotina. Quando il fumo del tabacco filtra dentro lo scavo del mio palato, ne soffro. Tossisco. E poi sulla spina dorsale, la colla mi sta per mollare. Se in fondo, quel dannato di Marco avesse avuto più riguardo per me, non mi avrebbe scelto come segnalibro, stirandomi con quelle manone pelose e maldestre per spaccare il mio dorso in due. Ha pure piegato le mie povere dita. Ora sulla punta ho uno strano bruciore. Ma tanto poi passa. Lo so. A che libro appartengo? Vi giuro, darei di tutto per saperlo. Ma non penso si tratti di un libro piacevole, per meglio dire per tutte le età. E a valutare dalle poche frequentazioni delle letture ed anche dai pochi ammiratori, direi che non valgo un granché. Se è dipeso da loro, io questo non posso saperlo. Ma suvvia, un libro se è scritto, sarà per farsi leggere! Non tutti lo so la vedono così. Ma io sì. Punto e basta. Che senso hanno allora tutte quelle pagine bianche, immacolate, che mi stanno di fronte? Sembrano ostie consacrate, con il loro aspetto inamidato e senza colore. Senza calore alcuno. Se posso dir la mia, mi stanno sulle palle! E non sono una suffragetta incazzata col padrone, non mi pongo problemi di classe. Non faccio distinzioni di questo tipo. Se è per questo, mi fanno pure pena. Mai lette, mai sfiorate, mai aperte, seppure una o due volte srotolate come carte da poker. Invidiosa io mai, ci mancherebbe pure questa! Shh! Mi conoscete poco. Ora non faccio per vantarmi ma ho un trucco invidiabile, da far impazzire di gelosia le mie amiche. Ho, dalla quarta riga in poi, una serie di colori che fanno gran moda. Oddio, a sentir molti non si dovrebbe usare questo sporco sacrilegio. Ma io non lo condivido. E poi per chiarire, non sono mica la solita puttana da fotocopie o da testo di scuola! Io ho classe, e posso dirlo forte. E questo lo devo a Sara, donna come me, che sa capirmi. Erminio, pensate, prima di darlo a lei, le ha scritto delle frasi d'amore, proprio sulla mia pagina. Dovreste leggerle..che schianto! Non sono neppure virgolettate e hanno tutto l'ardire di una cosa scritta nuova. Lui è un poeta. E avrebbe fatto di tutto per conquistarla. Da questo potrei anche supporre il perché la mia pagina, da quel punto, non sia stata più girata da lei. Ma allora perché Sara mi tiene così, come una stanca reliquia?! Forse per le cosiddette persone è un modo per lusingarci, renderci custodi dei loro ricordi. Sarei curioso di sapere che staranno facendo in questo momento quei due. Se ne avessi il coraggio, salterei da questa posizione per gettarmi via, per cercare di uscire. Ma sono troppo vigliacca per farlo, lo ammetto. E soffro di vertigini poi, alla mia età. Ma ci proverei giusto per vedere se sono in questa stanza, se sono in una stanza.
E poi se fossi sul bordo di una scrivania, potrei rischiare di saltare nel vuoto e di essere calpestata da qualche orma inopportuna di scarpone! Sarebbe una fine pietosa. Ma no! Sarebbe quella una condizione troppo felice per me. Per starmene lì, non dovrei sospettare di esser lasciata sola, mai mossa da molto. Lo trovo difficile. Chiunque, almeno una volta, mi avrebbe tolto di mezzo. Forse usata. Ultimamente qualcuno mi ha degnato di una visita, forse per curiosare dentro, cercando qualcosa. Quel giorno la quarantotto aveva un po' di febbre e mi ero abbassata per sentire con le labbra la sua fronte umida. Rimasi appiccicata così per non so quanto tempo. Temevo che sarei rimasta in quella posizione, per altro scomoda, ancora per molto. Ma un soffio mi staccò. E si aiutò con un dito, bagnato alla bisogna sul tampone di una lingua. E vedevo quegli occhi così concentrati su di me, avidi e dolci. Belli, tremolanti, di quell'azzurro sincero...d'un azzurro di stoviglia. Poi un gesto improvviso: un naso a patatina affondato dentro, seguito da una lunga, intensa sniffata. Solo più in là capii il senso di tutto questo. Qualcuno si ostinava a riportare in vita, quell'odore buono che avevo da bambina sulla pelle, e che ora non ho più. Che malinconia!...
Tornando a noi: non mi sembra questa una casa poco frequentata, ragione in più per sentirmi smaniosa e insofferente; con i miei occhi scorgo appena, il giorno, aria di luce e di trambusto; di sera ombre nervose sulla carta da parati, che s'intrecciano tra loro come mastodontiche sagome cinesi, come fantasmi vaganti, irrequieti, per via d'una preziosa e tenera penombra che le fa danzare. Detesto quando qualcuno accende quello schermo di vetro, messo come su di un trono di cristallo, all'angolo della stanza. Tutta questa importanza per quel ridicolo ammennicolo! Segno di tempi, cari miei, poco piacevoli per me, e non vi nascondo che mi fate un po' pena.
Sento i rumori? Questo sì. Li avverto ma con un po' di rimbombo. La mia cassa acustica amplifica tutte le note che mi passano dentro. Il mio pezzo preferito è quando fuori piove e batte sui vetri. È come sentirsi solleticati da qualcosa di allegro e pacato, che rimane dentro anche dopo che tutto finisce. Oppure impazzisco quando sento qualcuno sbadigliare. Quella coda del suono stanca e lieve mi alita dentro un non so che di soffice e molle, saporoso, di dolce. Specie quando si spalanca la bocca, che parte un sibilo sordo, quasi impercettibile, acuto. Detesto molti altri rumori, ma non voglio dilungarmi. La mia rovina è quando sento strappare qualcosa. È come una fucilata per me.
Ma poi passa presto l'angoscia, se sento una voce parlare. Una volta mi hanno pure letto; e sentirmi così lusingata, doppiata in diretta, è un'emozione che non sa ripetersi troppo spesso. Peccato!
Sono curiosa di tutto. Ora persino di sapere come sarà la mia copertina; per la verità me lo son chiesto sempre. A dire il vero è pesante. E non penso abbiano usato tanto materiale per qualcosa di inutile. E poi, quando ero ancora vergine (uso un termine a cui non do né valore, né apprezzamento) mi sembrava di sentire il suo odore di pelle calda, buona. Forse quando uscii dalla pressa. Sulla schiena, pensate, ho un rivolo in rosso scarlatto di filo, che ancora mantiene il suo aspetto nobile e decoroso. Io posso vederlo, anche se appena, con la coda degli occhi piegati sul fondo; da questa posizione, quasi da bulldog, appare come il contorno di un tramonto. Ed alle volte mi stupisce con i suoi strani colori. In testa ho perso qualche capello; li avevo tutti dorati un tempo, d'una porpora da fata turchina. Ma qualcosa dev'essere andato storto. Perché mai dovrei essere l'unica infelice senza un motivo?! Di sicuro io e le mie sventurate facciamo comunque parte di una rilegatura non tanto comune, forse da collezione, per palati fini.
Oggi fa un po' caldo e ne soffro. Quand'è così, tendo a curvarmi, ad accartocciarmi su me stessa, per reazione all'insofferenza che l'afa un po' mi procura. Ma passa. Quando il vento poi, mi solleva, mi accarezza e fa sbattere appena la mia schiena ricurva sulla quarantasei, provo un piacere immenso. Le solletico la pelle di carta e la sento sorridere, eccitarsi. E a me sembra carta buona, di sicuro una cute molto più curata della mia. Un formicolio da sballo quando, per una finestra aperta, ad esempio, sento l'orlo delle mie coinquiline che mi vibra, mi fruscia sulle spalle, quasi a singhiozzi. In quel momento sento che non sono sola e che mi vogliono bene. Chissà ora cosa andranno a raccontare! Non credo poi che sarà così importante. Ma quanti libri in fondo son scritti pieni di idiozie, di paroloni, eppure c'è qualcuno che ha deciso di pubblicarli, di farli leggere. E poi nessuno li leggerà. Ora capite perché non ha tanto senso questa stupida idiozia della verginità? Che pena quei libri stipati, squadrati dentro mobili che non sanno di niente, di padroni che non sanno di niente, di pensieri che non sanno di niente. Solo buoni ad arredare il pessimo gusto degli umani. Io son per i libri scovati dentro vecchie carcasse di legno, baldracche in soffitta di polvere e tele. Non rincorro lo sporco, lo sapete. Ma adoro le cose vive, consumate, odorose di tempo e languide, smaniose cateratte. Vive, come un pezzo di carta letto, come me! Vive, sorridenti, felici, nonostante tutto, di esistere! Vive proprio perché d'inchiostro di vita sulla carta. Un sogno nel cassetto? Che una dolce ninfetta, ch'ha solo diciott'anni, come Sara, la mia padroncina, mi regalasse un petalo di rosa, per farlo seccare tra le mie braccia. Questo sì che sarebbe un sogno, ma in fondo, ora che ci penso bene, potrei anche inventarlo, scriverlo da me. Con queste parole, le stesse di sempre, ma che posso cambiare, far vivere, colorare. Con queste parole io posso creare. Le allatto di bianco e crescono, cambiano. Un giorno forse vi parlerò di loro, delle storie avventurose che si scrivono e s'intrecciano qui dentro la mia pancia, spesso bugiarde e incomprensibili, stralunate e dispettose, come piacciono a me. E racconterò le cose senza nessuna interferenza, senza correre il rischio di essere tradotta in uno di quei film che vedete sullo schermo; per quanto vi proviate a sforzare sarà impensabile immaginarmi dentro una pellicola, neppure tra le corde di una strampalata partitura. Resto e resterò per sempre con la mia splendida, unica, irripetibile personalità. Questo è tutto.
Ed ora, ora che mi avete letto, siete rimasti come prima. Senza nessuna prova in mano. La pagina 47 continuerà a sfogarsi con voi, con tutti, ma poi alla fine nessuno potrà dimostrare che ha quella strana, curiosa, unica coscienza. Andatelo pure a raccontare; non vi crederà nessuno. Se accadrà, durerà poco, vedrete. E le mie bianche compagne di casa vi rideranno dietro. Il mio guscio sonnacchioso e annoiato vi compatirà, con la vostra ridicola scoperta.
Non sono altro che una pagina. Nient'altro che questo. Che può all'occorrenza parlare e sparlare di voi. E tutti mi crederanno. Perché sono un pezzo di carta. Un misero, comune, scontato pezzo di carta.

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Premio Marguerite Yourcenar 2003

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Ins. 21-10-2003