Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Daniela Cipolla
Con questo racconto ha vinto il quinto premio all'edizione 2004 del Premio Angela Starace.

La Grotta
 
 
Ce l'ho fatta, pensa Paul, rabbrividendo nonostante il sudore che gli cola dalla fronte. Fa un caldo terribile nella jungla, tutti bardati con l'attrezzatura subacquea, la bombola che pesa sulla schiena e le torce in mano. Hanno dovuto abbandonare le jeep alla fine del sentiero, l'ultimo pezzo si può percorrere solo a piedi, attraverso il ponte sospeso di legno e corde, tutto traballante. Il sole filtra tra le foglie in raggi sottili, scomposti, e brilla sull'acqua verdissima di una piccola pozza ai suoi piedi: il cenote, la meta di un lungo viaggio.
"Ehi, Paul, ma tu te l'aspettavi così piccolo? Dici che ci sono davvero le grotte lì sotto?", gli chiede Tony perplesso.
"Certo ragazzi che ci sono! La pozza è solo l'imboccatura della caverna, laggiù dove l'acqua è più blu. L'entrata è stretta, ma dopo vedrete che camere!", risponde l'istruttore con un sorriso. "Adesso mettete giù la roba e riposatevi un attimo, così vi spiego come ci organizziamo."
Paul, seduto sul ciglio del fossato che ospita il laghetto, continua a fissare l'acqua, ipnotizzato. S'immerge con le bombole da più di quindici anni, però finora non era mai riuscito a programmare il viaggio in Messico per visitare i cenotes, le famose grotte sommerse d'acqua dolce. Di racconti sulla magia di questo posto ne ha sentiti tanti, ma, adesso che il sogno di una vita gli si è materializzato davanti, non riesce a ricordare più nulla. Ha solo una voglia matta di lasciarsi cadere nel verde di quell'acqua per vedere dove porta.
"Paul non stai ascoltando il briefing. Guarda che qui non c'è da scherzare", gli sussurra Tony in un orecchio. Paul si collega di colpo: l'istruttore sta spiegando il percorso e come usare le lampade. Si sforza di concentrarsi.
"Oh, Cinzia mi ha detto che se resto lì sotto è meglio, vuole liberarsi di me. Che stronza! Fa così perché l'idea della grotta la spaventa. E Barbara come l'ha presa?" chiede Tony, nervoso e ciarliero come suo solito, mentre fissa la torcia di riserva al moschettone.
"Come vuoi che l'abbia presa? Sono anni che voglio fare quest'immersione, è contenta per me. E poi si fida, lo sa che non ho problemi."
"Stiamo vicini, mi raccomando."
"Sì", risponde Paul, distratto, continuando a sbirciare l'acqua.
"Pronti ragazzi? Al mio segnale. Mi raccomando tenete bene tutto, ch'è un bel salto!" urla l'istruttore.
L'allegro cicaleccio della jungla viene scomposto dai tonfi ripetuti dei sub che saltano in acqua. Paul guarda sotto e una fitta di delusione gli toglie il respiro: non si vede niente, è tutto tremolante come una pellicola sfocata!
"Tranquilli, è l'effetto dell'aloclino: l'incontro tra l'acqua dolce e quella salata, che è più pesante e tende a stare sul fondo. Troveremo altri strati come questo, ma solo per brevi tratti, dentro è limpidissima", spiega la guida, dando voce al disappunto generale. Paul sospira di sollievo nell'erogatore. Tony gli stringe la mano, lui ricambia la stretta, ma si libera un istante dopo. Non vuole intrusioni, questo momento è solo suo. Si sente come un re, che rientra in possesso del proprio palazzo usurpato anni prima.
Scendono sotto lo strato torbido e vedono la stretta imboccatura circolare del cunicolo, l'acqua è diventata più fredda. Si deve passare in fila indiana, sfiorando appena le pareti di roccia liscia. Paul rallenta per evitare le pinneggiate scomposte di Tony, dietro di lui l'altra guida si assicura che il gruppo resti compatto. Il passaggio si apre su una camera immensa, illuminata da inattesi squarci nella roccia, che lasciano filtrare i raggi del sole. Fughe di stalattiti e stalagmiti come guglie di una cattedrale gotica, scintillanti di strani colori ocra, ruggine, rosa, nella luce verdazzurra. Paul non sente più il familiare rumore delle bolle e si accorge che sta trattenendo il respiro. Sorride. Lacrime salate scendono lungo le guance e restano intrappolate sotto al naso dentro la maschera. Tony deve essersi rilassato, perché ha smesso di stargli incollato: è lì che si rigira entusiasta come un bambino al parco giochi.
Però c'è troppa luce, pensa Paul. Gli piacerebbe un'illuminazione discreta, piccole candele negli angoli, come nelle chiese... Nuota verso una nicchia e volta le spalle al gruppo per vedere l'effetto. Sì, il suo faro da solo, insieme al vago chiarore che filtra da dietro, è perfetto: lascia essere l'ocra delle rocce e le tenui venature di colore delle stalagmiti. L'acqua è così trasparente che sembra non esistere.
Il richiamo della guida lo riporta in fila con gli altri, si cambia camera. Attraversano una specie di corridoio buio, quasi una navata, con la volta altissima e le pareti strette, finché i muri si annullano di nuovo su una camera a più piani, dove le stalattiti si sono unite alle stalagmiti, creando uno straordinario bosco di colonne. Ne aveva sentito parlare, la chiamano la gabbia d'oro, perché la roccia tende al giallo paglierino. Si muovono con cautela per non urtare quelle strutture incredibili, come le architetture di un tempio extraterrestre. Paul, infastidito dal gruppo, tende a rintanarsi sempre più negli angoli, cercando il buio, e così lo scopre: un passaggio stretto, una specie di budello che si attorciglia verso l'alto. Spegne un attimo la torcia e si accorge che dal buco proviene uno strano chiarore, quasi una magica fluorescenza. Saranno i minerali di cui è fatta la roccia, pensa, senza riuscire a staccare lo sguardo dallo scintillio che man mano si affievolisce. Non sa come, si ritrova a nuotare lentamente dentro al passaggio. Controlla il profondimetro: sette metri, prima erano tredici. Il budello ha smesso di salire, va in piano per un breve tratto, poi si apre su una camera buia, senza infiltrazioni di luce esterna. Il fascio della torcia scopre nicchie e massi dalle forme morbide e grasse come le sculture di Moore, di un vago colore rosato. Paul si perde a esplorare i vari angoli inconsapevole del tempo che passa, ma a un tratto si rende conto che non sa da dove è entrato. Il passaggio sembra essere stato inghiottito dalle pareti, forse la camera è più grande di quello che sembra. Si è rigirato tante volte da non riconoscere più la direzione, è stato così stupido da non fissare la sagola, proprio come un novellino. Un panico sottile gli si insinua dal centro dello stomaco, facendolo rabbrividire. No, bisogna stare calmi, l'uscita deve essere lì, e poi lo staranno cercando, presto sentirà il richiamo. Guarda la scorta d'aria: sì, ce n'è ancora abbastanza, per fortuna sono solo sette metri di profondità. S'incolla alla parete e comincia a seguirla piano, illuminando tutte le nicchie alla ricerca dell'uscita. Va avanti dieci minuti senza mai ripassare dallo stesso punto, la torcia si sta affievolendo, questa camera deve essere immensa, i brividi che partono dallo stomaco ricominciano, sta correndo adesso, con le unghie aggrappate alla parete come se potesse scavarci un buco a mani nude, l'aria secca gli brucia la gola, si accorge di essere in affanno e si ferma rantolando fra le bolle. La torcia si spegne del tutto. Ecco fatto: ora non c'è modo di trovare l'uscita, si è cacciato in trappola come un topo. Può solo sperare che lo trovino. Batte con violenza il coltello sulla bombola, tin, tin, tin, per almeno un minuto, poi tende le orecchie e trattiene il fiato nello sforzo di percepire un minimo rumore: silenzio assoluto, buio assoluto.
Riprende a respirare con studiata lentezza. Il tempo è tutto: più a lungo farà durare l'aria, maggiori saranno le possibilità che lo ritrovino... L'idea della morte gli appare estranea, una cosa che non lo riguarda. Non può succedere proprio a lui, non così. Rimane immobile e si concentra sul respiro. Lascia che l'aria entri nella bocca e scenda lungo la trachea, centimetro dopo centimetro, quasi fosse materia densa. Cerca di visualizzare il cuore che rallenta, il sangue che va in giro come un ruscelletto in pianura, senza sforzo. I secondi si dilatano e la lancetta fosforescente dell'orologio sembra impiegarci mille anni a fare il giro completo del quadrante. Solo adesso si accorge del buio. Non è denso, come appariva a un'occhiata superficiale, ma leggero e rarefatto, si drappeggia su molteplici sfumature, impossibili toni di nero, improbabili chiarori. Forse sta vaneggiando, ma gli pare che l'oscurità lo riscaldi come una coperta, lo protegga da un'angoscia indescrivibile che l'ha sempre accompagnato fin da bambino, e di cui solo ora si rende conto. Perde la percezione del suo corpo nello spazio invisibile, è così immobile che gli pare di non esserci. Come se fosse sospeso. Come se volasse. Come se tutto ciò che ha gravato sulla sua esistenza fino a quel giorno si sollevasse sopra di lui senza opprimerlo, e non gli appartenesse più.
Sua madre, per esempio, il cui infinito amore gli ha sempre dato sicurezza, da quando rischiò la vita per salvarlo nell'incendio della casa dove viveva da bambino, i vestiti in fiamme, lui al sicuro avvolto nella coperta, lei a terra semi soffocata dal fumo. Sua madre a cui avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa... Tranne che di lasciarlo andare, libero. Sua madre possessiva e gelosa, nemica giurata di tutte le donne che ha incontrato.
Il suo lavoro di architetto, una missione all'inizio, quando gli sembrava di poter esprimere nella struttura degli edifici la forma più segreta dei suoi sogni. Il suo lavoro di architetto, lotta quotidiana con muratori e clienti, perché qualcosa di quei sogni potesse infine materializzarsi a dispetto di incomprensioni e ignoranza, a dispetto dell'insopportabile cattivo gusto dei proprietari.
Persino Barbara, che lo conosce così bene, che gli legge dentro l'ansia di andare sempre da qualche parte senza sapere dove, quell'insoddisfazione congenita che lei ha cercato di placare in tutti i modi, sopportando la frustrazione di non riuscirci. Barbara, che lo ama così tanto... O forse vuole solo possederlo come sua madre... Barbara, che gli è sempre sembrato di amare così tanto... Ma forse ama solo il senso di certezza che lei riesce a dargli. Tutto questo gli scorre davanti come un film di cui non è neppure il regista, può sorriderne o piangerne, ma non gli appartiene davvero. Solo la bellezza lo riguarda del buio stratificato nelle cui mille dimensioni si perde senza fatica.
tin, tin, tin, ... Richiami metallici in lontananza feriscono il silenzio, un chiarore dorato si materializza dal lato opposto a circa cento metri da lui. Lo stanno cercando, quella deve essere l'imboccatura del cunicolo da cui è arrivato. Con enorme fatica, quasi fosse paralizzato, Paul porta la mano al coltello sullo spallaccio del jacket. Basterebbe batterlo contro la bombola per chiamarli. Basterebbe nuotare fino al passaggio e seguire i bagliori. Basterebbe muoversi...
Le luci scompaiono, i rumori si perdono nel nulla, il chiarore dorato del buco fosforescente si affievolisce e ritorna l'oscurità familiare e silenziosa. L'erogatore sta diventando duro, ormai è rimasta poca aria, ma si può respirare ancora più adagio. L'aria può rotolare dalla bocca alla trachea come un pesante macigno, il cuore battere a passo di lumaca, il sangue colare come cera. Adesso ogni respiro dura duemila anni, la lancetta dell'orologio si è solidificata all'inizio del suo giro e a Paul sembra di volare fuori e dentro tutte le cose.

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 Ins. 14-02-2005