Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Claudio Calvi
 
Con questo racconto ha vinto il quarto premio del concorso Città di Melegnano 2000, sezione nerrativa
Per leggere il racconto vincitore del primo premio del concorso Vittorio Tolasi 2000, sezione nerrativa
 
In qualsiasi altro posto.
 
Il sole che vernicia il colore la folla e gli oggetti.
L'incrociarsi, lento ma caotico, delle persone addensate davanti alle bancarelle.
Le macchie, allegre e squillanti, delle cassette di agrumi, delle tute di tessuto sintetico.
Il brillare, del ghiaccio delle pescherie, dei pesci ammassati nelle cassette, dei fermagli di pietre dure.
L'odore, caldo e pesante, che sa di mediterraneo.
Il vociare, potente e irrispettoso, che sa d'oriente.
Di sfondo, il tricolore, che sventola sul tetto di una caserma.
 
Nino in quel momento era abbassato, cercava una felpa di taglia abbondante in uno scatolone sotto il banco.
Suo padre tentava di attirare le clienti urlando, come sempre. E guardava compiaciuto le donne che sorridevano alle sue battute.
Più ci vai pesante con le casalinghe, più loro sorridono.
E più sorridono, più guardano la merce.
Suo padre cercava Nino di tanto in tanto, tranquillizzandosi solo quando i suoi occhi lo trovavano.
Ma in quel momento, qualche istante prima del colpo, non lo stava pensando.
Non lo guardava.
Nino era lì, inginocchiato davanti ad uno scatolone, a cercare una felpa perché quella che aveva sul banco era troppo piccola per la signora che lo stava aspettando, con il portafoglio in mano, lì davanti.
 
La bancarella più grande.
Intorno alla tela rossa della copertura sono appese tute di colori sgargianti, magliette nere con foto di cantanti.
Sotto, esposti sul banco, maglioni e biancheria per la casa.
A sinistra, un tavolinetto di bigiotteria colorata e a destra un banco di agrumi.
Dietro alla bancarella dei vestiti è un uomo grasso, maglietta rossa attillata, pochi capelli, il viso congestionato per il caldo e per le urla che continua a lanciare sulle persone che passano distratte, svegliate improvvisamente dai suoi strilli.
Una donna in tuta blu, anch'essa molto grassa, sta aspettando lì davanti ed osserva un ragazzo il cui capo scuro spunta da sotto il banco.
Il giovane sta cercando forsennatamente qualcosa in uno scatolone.
 
Ricordo il nastro bianco e rosso avvolto su di un cavalletto che partiva da un punto lontano, oltre il marciapiede, e teso andava a finire proprio lì, appena sopra lo scatolone, attraversando un foro circolare nel legno del banco.
Ricordo il nastro, mosso dal vento che veniva dal mare.
E ricordo il silenzio, che mi suonava strano accanto alla bancarelle come, attorno alle bancarelle, mi suonava strano quell'esserci di nessuno.
Solo poche persone in divisa, sudate, annoiate, a ripetere gesti, a fare segni coi gessi bianchi, a sforzarsi di sussurrare come avessero svegliato quel qualcuno steso lì sotto il lenzuolo.
 
Si sente un urlo. Un latrato. Furioso.
Le persone si voltano verso lo strillo, quasi a cercarlo.
Poi un colpo.
Secco.
Le persone sono ancora voltate. Senza rigirarsi si mettono a fuggire.
Travolgono il banchetto della bigiotteria e i piccoli oggetti rimbalzano all'acciottolato come grandine colorata.
Una cassetta d'aranci cadendo colora, punteggia e sporca la via.
Il colpo sembra quello di un petardo.
Ma le persone non si spaventano così per un petardo.
Stanno correndo all'impazzata.
Inciampando e calpestandosi, urlando e imprecando.
 
I punti in un piano sono infiniti.
A questo pensavo davanti a quel nastro bianco e rosso teso tra un cavalletto e lo scatolone.
E se fosse vero quel ricordo di scuola. Quella formula vaga di geometria.
Quell'immaginare perfetto di punti e corpi, sospesi e nitidi in uno spazio pulito, strani a pensarli nella vita, specie in mezzo a quell'odore di pesce che mi circondava.
Una retta unisce due punti e solo due punti.
E quel nastro era un retta, e dei due punti uno era il cavalletto.
L'altro punto era lì, sdraiato poco dopo il foro nel banco, di fianco allo scatolone.
 
Passano pochi secondi
E la confusione di urla diviene silenzio.
Resta solo lontano lo sbraitare, anche se ora sembra di gente più rassicurata.
La donna grassa è stata veloce a sparire dalla scena.
Invece l'uomo grasso con la maglietta rossa è ancora lì, in piedi, e si volta.
Non si vedono altre persone, solo l'uomo grasso, adesso.
Si è girato.
S'inginocchia.
E urla.
 
Ogni volta che ci penso mi ritrovo a misurarmi con un infinito,
l'infinito delle possibilità.
Metto Nino in n. altri posti plausibili per quell'istante, e so che Nino avrebbe avuto n. fini diverse in n. tempi diversi.
 
L'uomo grasso adesso è inginocchiato.
Sta reggendo un corpo.
Un corpo con due braccia, due gambe.
Ma un corpo che ha solo mezza testa.
Il resto del capo è un miscuglio di materia molle, fradicia e spessa, che tende verso il terreno.
La mano dell'uomo cerca di reggerla, di non farla cadere, perché non si sporchi.
Cerca di compattarla, mentre piange e urla, e riunirla per rimetterla là dov'era.
Alla fine la materia cerebrale gli sfugge molle tra le dita e cade, a sporcare l'asfalto lucido di caldo.
A disegnare una pozza circolare accanto allo scatolone.
 
Suo padre cercava di rimettere il cervello di Nino nella testa di Nino.
Quasi il cervello si chiamasse vita, quasi la vita la si potesse rigettare a forza nel corpo da cui è fuggita, come per l'ingranaggio di un qualche meccanismo rotto.
Anche l'idea di meccanismo, e di macchina, a pensarci mi ridanno quel mondo pulito e irreale dei tempi di scuola.
Ma mentre il cervello di Nino gli scivolava fra le dita, suo padre s'arrese.
E pianse.
In silenzio.
 
Adesso l'uomo grasso non cerca di fare più niente. La sua maglietta rossa è bagnata, fradicia, lucida di muco.
L'uomo non sta cercando di fare più niente. Solo abbraccia il corpo del ragazzo e piange scotendo delicatamente la testa.
Si sentono l'avvicinarsi di voci e l'eco lontano di sirene della polizia.
 
Suo padre era seduto sulla sedia, la maglietta rossa s'era ormai asciugata, sporca adesso di una bava secca, bianca.
Aveva smesso di piangere.
Cominciò ad imprecare conto quello scatolone.
Come fosse lo scatolone ad aver ucciso Nino.
Poi urlò.
"Avessi parlato io alla signora".
Come se quel servire la signora avesse ucciso Nino.
"Fosse tempo di scuola, Nino non m'avrebbe seguito".
Come se fosse stato il mercato ad uccidere Nino.
Come se fosse stato un posto ad uccidere Nino.
Forse aveva ragione.
Sì, forse un altro posto non avrebbe ucciso Nino.
Ma Nino in quell'istante aveva quel posto.
E in quel posto una retta aveva due punti da unire.
Avrei voluto dare una risposta a mio padre.
Ma io di risposte non ne avevo.
Ormai non mi chiamavo più Nino.
E forse tutto quello neanche più m'interessava.

 

Classifica Concorso Città di Melegnano 2000 sez. narrativa
 
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inserito il 13 dicembre 2000