Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Andrea Nobile
Con questo racconto è risultato segnalato dalla Giuria del Premio Vittorio Tolasi - Orzinuovi, sezione narrativa
Per Anna
 
 
So bene che non si può fumare qui dentro. Ma per questa volta credo proprio che non rispetterò la regola.
Non ho intenzione di uscire. Non più.
È la prima volta che mi accorgo di quanto sia bella la pioggia quando si è al riparo. Persino il tempo grigio oggi mi piace, mi rasserena.
 
Quando ero piccolo detestavo la pioggia perché infangava i campi e perché era sempre gelida. Che senso aveva guardarla da casa quando era solo una nemica dei giochi, delle corse...
 
Ma oggi no. Va bene anche così. Una fitta pioggerellina che bagna tutto. Deve piovere, ovunque, su tutto il mondo, perché lei stamattina è morta.
 
Piove su queste aiuole curate dal portiere, piove sulla rampa dei garage, piove sulla strada. Fa anche freddo ma non ho intenzione di salire a casa.
Voglio fumare ancora qualche sigaretta qui nell'androne.
 
Forse dopo chiamerò Alfonso e chi di dovere...
Non voglio che me la portino via, non subito almeno. Voglio riassaporare per l'ultima volta la sensazione di rientrare a casa e crederla viva.
 
Sono vedovo, da un'ora. La malattia è stata implacabile. Che tu sia maledetta, l'hai ammazzata in tre mesi. Cinquantaquattro anni di matrimonio contro tre mesi.
 
Povera Anna. Povera la mia Anna.
 
Non mi importa niente di quello che succederà ora. Forse Alfonso saprà capirmi, del resto anche lui è un vedovo. Sono passati dodici anni da quando è morta sua moglie. Lui ha sempre reagito come una persona forte. Ha continuato a fare la stessa vita. Ma è mio fratello e quindi ora la sua comprensione me la deve!
 
Cosa vogliono gli altri? Credono di sapere sempre tutto? Io certe cose non le so, non le capisco, ma sento che sono sbagliate. Macchine e macchinari... diavolerie. Solo sofferenze.
E Anna non deve soffrire inutilmente. Non doveva soffrire mai.
 
Chi ha cuore capisce queste cose.
 
Nelly ha cuore e l'ha capito da subito. Da quando Anna è a letto, Nelly non è più voluta uscire. Ho dovuto sempre pregarla per portarla fuori e dopo cinque minuti mi guardava con gli occhi che sembravano dire "non perdiamo tempo! Non perdiamo tempo qui, per strada! Torniamo subito da lei! Ce n'è poco, ce n'è poco!" appena rientrati si accucciava sul tappeto della camera da letto, immobile, tutto il giorno, con il muso tra le zampe, a fissare la padrona. Solo io e lei sappiamo che vuol dire.
 
Ecco i bambini del terzo piano, i figli della signora Grandi. Che casino che fanno! Lei è più carina del fratellino, assomiglia più al padre. Spero che non mi leggano in faccia quello che provo, loro hanno tutta una vita davanti. Spero che non facciano domande.
Ad Anna piacevano. Diceva che erano svegli, soprattutto la piccola.
"Andate, andate pure. Io salgo dopo".
Molto dopo. È ancora presto.
Ancora una sigaretta.
 
Ha quasi smesso di piovere. Potrei uscire all'aria fredda ma mi sento i piedi bloccati, le gambe ferme.
Voglio starle vicino, ecco perché non esco.
Sto bene qui.
Nelly è incredibile. Sembra che sappia tutto. Oggi non ha fretta, per niente. È rimasta sotto la pioggia, ferma in mezzo all'erba.
Lo sa che se ne è andata e sta pensando. Prenditi tutto il tempo che vuoi, piccola.
 
Ho sempre pensato che sarei stato io il primo ad andarmene.
Ho sempre pensato che lei mi sarebbe stata vicina fino all'ultimo giorno, che forse avrei sofferto un po' ma che me ne sarei andato con un sorriso, stringendole la mano. Il pensiero che potesse succedere il contrario lo scacciavo subito, come se fosse un enorme buco buio davanti a me.
Non voglio entrarci neanche adesso, ora che dopo tre mesi è diventato sempre più largo fino a prendere tutto, la casa, il giorno, la notte.
 
Quest'anno i termosifoni sembrano riscaldare anche meno degli altri inverni. Colpa delle tubature o della vecchiaia.
Non sono riuscito a scaldarle la mano neanche tenendola tra le mie.
 
Sono vedovo. Mia moglie è morta stamattina. L'ho uccisa io.
Sono un... com'è che si dice... un uxoricida.
 
Non avrei mai creduto che potesse finire tutto così. L'altro ieri ho tirato fuori gli album delle fotografie da sopra l'armadio.
 
"Da vecchi si diventa malinconici". Non è vero, non è vero per niente. Né io né Anna abbiamo mai sfogliato quei libri per anni. Si vede che era destino che non li guardassimo più insieme.
Chissà se ha capito tutto quello che le ho detto... chissà se era cosciente. Le ho raccontato tutte le foto, una per una SignoreDioSanto, e ho sentito che quando piangevo mi stringeva la mano, l'ho sentito.
"Qui era quando eri vestita con il vestito bianco su in montagna e c'erano Pietro, Teresa e Alfonso davanti casa... Qui invece era quel giorno in cui siamo andati alla fiera e tu eri felice perché...".
Dentro quattro libri c'era quasi tutto di noi.
Ma forse è servito solo a me, per vederla diversa da come la vedevo nel letto. A lei serviva altro, maledetto male.
Tu sei tutta la mia vita, Anna e l'ho capito mentre te ne andavi.
 
Da quando Anna si è ammalata, la signora Paola mi fa tutti i giorni la stessa domanda.
"No, signora. Nessuna novità".
Il marito di Paola era un ferroviere, Gino. È morto nell'88, mi pare. Lei ha portato il lutto per due anni, poi si è lasciata convincere dalla figlia a rimettersi quei grossi maglioni di altri colori. È giusto così.
Io il lutto me lo sento nelle mani e nella bocca.
"No, vada. Grazie. Arrivederci".
Che forza che ha ancora. Se non fosse per la schiena, Paola porterebbe su la spesa senza l'ascensore. Gino era più grande di lei ma si vedeva che era più debole. Paola è del '28, come Alfonso. Classe di ferro, lui dice. Può darsi.
 
Non mi sento in colpa per quello che ho fatto. Mi sento felice. A mente fredda non saprei spiegarlo. Ma il cuore mi batte forte, come un ragazzo, innamorato per l'eternità. L'ho fatto per Anna, solo per Anna.
È stato tutto così naturale, così... giusto.
Sono entrato nella camera e ho aperto le tende, per far entrare un po' di luce.
Ho posato la tisana sul comodino e ho chiuso l'ultimo album di fotografie. Sulla pagina aperta c'era una mia foto con Nelly, sei o sette anni fa. L'aveva fatta Anna. Ho preso l'album e l'ho lasciato sulla poltrona.
L'ho guardata, come tutte le mattine.
Quella sul letto era ancora lei, ma dopo, cosa sarebbe diventata? Lontano da me, senza di me. Anna me lo diceva con i suoi tremiti, i suoi gemiti silenziosi.
Restami vicino.
Io l'ho fatto.
 
La sua mano fredda e la fronte calda per la febbre mi hanno sciolto tutto il pianto che avevo trattenuto.
Un pianto forte, un pianto di anni vissuti insieme e troncati di netto.
Volevo accarezzarla e volevo che quel momento fosse eterno, per sempre, immutabile.
Mi sono buttato su di lei e l'ho abbracciata, singhiozzando.
L'ho baciata.
Ho premuto la mia bocca sulla sua e le ho accarezzato i capelli.
Poi, come se obbedissi ad un comando, ho messo la mia mano sul suo petto.
Sentivo il cuore battere, piano, lentamente.
 
Ho passato l'altra mano dai suoi capelli alla fronte e con le dita ho stretto le narici.
Ho aspettato, tra le lacrime, senza staccare le labbra dalle sue.
 
Sotto la mia mano il suo cuore ha smesso di battere.
 
Ho sollevato la testa e sono rimasto a guardarla a lungo, a pochi centimetri dal viso.
Le ho asciugato le guance e ho sorriso.
"Anna, la mia Anna", ripetevo.
 
Anna se n'era andata, per sempre.
 
Io l'ho solo aiutata ad aprire la porta.
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