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LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
I grandi poeti del '900
Home page di

Vittorio Bodini

a cura di Gianmario Lucini

 
Questo poeta non pubblicò molto in vita: una novantina di poesie in tutto. Ci rimane di lui un fondo, molto ordinato, studiando il quale Oreste Macrì ha ricostruito filologicamente tutta l'opera del Bodini, curandone l'edizione definitiva, stampata dalla Mondadori nella collana "Oscar" nel 1983, pp.345. Dall'importante, ampio e curato saggio filologico introduttivo (circa 65 pp.) di Oreste Macrì (amico di giovinezza del poeta), ho attinto ampiamente per stendere questa nota. Il corpus delle poesie di Bodini è dunque relativamente modesto: circa 310 poesie. Ma, ovviamente, un grande poeta non è necessariamente un poeta che scrive molto: di Bodini mi pare di poter dire che l'accuratezza e l'originalità dello stile, la sapienza del mestiere e la profondità dei temi, ne fanno un personaggio degno di grande rilievo nella poesia italiana del '900, un autore che ha arricchito il '900 letterario italiano di contributi originali e dal quale non si può prescindere se si vuole avere una, pur modesta, visione globale della letteratura italiana di questo secolo; un maestro da quale c'è da imparare e che andrebbe rimeditato. L'edizione citata (ignoro se ne è uscito un aggiornamento) riporta in appendice una esauriente bibliografia sull'opera e sugli studi bodiniani (poco meno di 200 titoli di note, riferimenti, saggi critici di autori vari), sui convegni a lui dedicati e sulle traduzioni bodiniane da autori stranieri.
Nasce a Lecce nel 1914. Già da adolescente inizia la sua attività letteraria e in parte aderisce al futurismo (viene considerato il "capogruppo dei futuristi leccesi"), pubblicando 22 scritti su varie riviste leccesi, ma poi staccandosene con la sua prima importante raccolta di poesie del 1943. Con la sua terra ha un rapporto sofferto e ambiguo, come si evince dalle sue poesie: si considera di "famiglia e tradizione leccese", da una parte, ma nello stesso tempo accumula insofferenza verso l'abbandono del Sud, anche perché soggiorna spesso fuori dalla sua terra, (Roma, Firenze, Spagna) e pur portandone il ricordo e il segno, non si esime dal confrontarla con altre realtà.
Nel 1937 &endash; 1940 è a Firenze, dove si laurea in filosofia con una tesi sul Romagnosi. A Firenze il giovane Bodini entra in contatto con il tardo ermetismo di Luzi, Bigongiari e Parrocchi. Collabora a riviste come "Giubbe Rosse" e letteratura. Di quel periodo abbiamo sette poesie. Scrive Oreste Macrì: "Si badi che in quel tempo di "fiorentino" puro in libro era uscita solo la Barca di Luzi, quindi quello che fosse l'ermetismo di Bodini , ancorché non coagulato in libro, riuscì originale e alla pari. Solo Gatto impuro aveva raggiunto la prima maturità con le Poesie del '39". Scrive lo stesso Bodini: "La brevità della mia esperienza ermetica mi lasciava libero di cercare alla fine dello sfacelo nazionale un'altra via, un altro linguaggio poetico. Non son pentito però di quella esperienza (che oggi in mutate condizioni storiche riappare in un'altra forma nella mia poesia), ma durante e dopo la guerra incolpai l'ermetismo per averla straniata e disavvezzata dai grandi temi ed eventi collettivi avverso a quel calarsi nel fondo di sé".
Torna a Lecce e vi soggiorna fino al 1944. Un rientro amaro, malvoluto ("da allora in poi non potevo aspettarmi nulla di peggio" &endash; scrive Macrì: "odiava Lecce ma di un odio gelosissimo, filiale, esclusivo"). Nella "fossa dei leccesi", com'egli definisce il suo soggiorno, è troppo lontana quell'Europa letteraria con la quale egli cerca un collegamento di temi e di stili. Sin dal periodo fiorentino Bodini aveva aderito agli ideali di "Giustizia e Libertà", aderendo anche al "Partito D'Azione" e "Democrazia del Lavoro": nel periodo leccese questa scelta si consolidò in un ideale liberal-socialista al quale si attenne anche in seguito, caratterizzando la sua poesia con un impegno etico e sociale. Avverso (ovviamente) al regime fascista, fu spiato, perseguitato, vigilato speciale e anche condannato al carcere.
Si trasferì nel luglio del '44 a Roma. Finita la guerra, la politica italiana si rimise inmoto senza grandi cambiamenti nel profondo: lo Stato cambiava superficialmente volto ma l'essenza di molti problemi, segnatamente quello meridionale, non mutò di prospettiva. Da qui la sua "delusione senza rimpianto" di quegli anni. Di quel periodo abbiamo 40 poesie che testimoniano il contatto di Bodini con quello che Macrì chiama il "Barocco romano", una stagione dell'ermetismo che "risaliva in parte al chimerico liberty di D'Annunzio e si esprimeva anche nel mitico paesaggio urbano del Vigolo". Qui matura il progetto di un libro di poesie di cui alcune confluiranno nell'opera successiva in volume La luna dei Borboni, forse la più conosciuta delle due che il Bodini pubblicò in vita. Ma è evidente in queste liriche, come nella raccolta citata, l'influsso della poesia spagnola, soprattutto di Federico Garcia Lorca. Dall'autunno del 1946 a Pasqua 1949 infatti, l'artista si reca più volte in Spagna, con breve ritorno a Roma nell'estate del 1947, ed è in quella esperienza che matura la genesi de La luna (ricordo, per inciso, che la luna è un archetipo fondamentale della poesia di Garcia Lorca). Ricorda Macrì: "La generazione di Federico aveva scoperto e inventato il barocco di Gòngora e di Quevedo, consumato il sacrificio della Guerra Civile insieme con Antonio Machado, sofferto la diaspora e l'esilio dall'interno, castiglianizzato il surrealismo francese, inaugurato la poesia "impura" e umana nella nuova poesia di Aleixandre, Neruda, Alberti" Il Nostri autore "indulse al disimpegno, frequentò gli spettri e la varia fronda del Café Gijòn, ma ebbe contatti intimi, anche nei viaggi seguenti, con le organizzazioni antifranchiste… puntò alla Spagna reale ed eterna, minuta e invisibile", giocandosi la Spagna "esistenzialmente e "liricamente"". Ancora Macrì: "Rifece, insomma, lo stesso viaggio orfico interiore, attraverso simboli e oggetti esteriori fluidificati, dei poeti del '98 e del '25 alle radici di Castiglia (Unamuno, Machado) e Aldalusìa (Juan Ramòn, Lorca, Alberti) con la stessa rischiosa semplicità nelò rappresentare e significare gli aspetti più manierati e turistici della Spagna romantica, folclorica e pittoresca". Bodini inizia a scrivere un mese dopo il suo arrivo a Madrid: la Spagna è per lui una specie di lente con la quale osservare la sua terra, un ambiente umano che continuamente lo rimanda al suo Silento, come riferimento, come confronto.
Dal 1949 al 1960 Bodini è di nuovo a Lecce. Nel 1952 pubblica la sua prima grande opera, già citata e di cui l'esperienza spagnola è in qualche modo la genesi. "con questo blocco di terra lunare-sognata e umanità contadina-artigiana (da salvare senza alcun mezzo), con questo demone scisso e tradito all'interno, con questa apocrifa verità terribile senza pari e senza scampo, si presentò e partecipò quale difficile protagonista e fondatore, eppur facendosi coraggio, al vasto movimento del quinto decennio &endash; assai volonteroso e degno &endash; di risveglio politico-sociale e artistico-culturale della Puglia" (Macrì).
Si stabilisce di nuovo a Roma nel 1960 fino al 1970, anno della sua morte. L'ultima produzione bodiniana, rappresentata da Metamor, è caratterizzata da una denuncia di totale smarrimento di senso perduto, della frattura fra presente e passato, di un definitivamente andato e perduto senza più possibilità di recupero. Guardingo se non ostile è il poeta verso il "boom" economico degli anni '60, del quale intravede lucidamente i pericoli sociali e umani, mostrando evidente il "sospetto" che tutto non sia che un grande imbroglio (che poi si rivelerà in tutta la sua portata anche sotto il profilo economico nel decennio successivo).
 
L'opera di Bodini
La poesia di questo artista è caratterizzata da un linguaggio ruvido, forte, essenziale anche se discorsivo, anti-decadentista, ovviamente già dalle prime poesie "futuriste". La prima raccolta edita, ha in comune con gli artisti fiorentini degli anni '40 (ermetici fiorentini) la forza e profondità evocativa delle parole e dei concetti, e insieme porta la ricchezza del simbolismo della poesia lorchiana. In La luna dei Borboni, Bodini ricostruisce ambienti e atmosfere del salentino "corroso, arido, vuoto, superstite, assetato, acrono, inerte; è "pietra" che solo l'"alcol" scioglierà alla fine. … tutto "falso", dalla "città" ai suoi "angeli di pietra" (Macrì). Il poeta usa abilmente un gioco di marche semantiche, rime interne,(la rima tradizionale è infatti non cercata), omofonie, nomi e aggettivi ricorrenti nel loro senso e nella loro denominazione, nella ricostruzione dell'ambigua e immobile dialettica, di un contrasto insito nel tutto e nel suo inerte stare che si estrinseca in una serie di coppie antinomiche che potremmo raggruppare nelle caratteristiche luce/ombra, morte/vita, aridità/verde, ecc. La sintesi di questo immobile contrasto, che è anche simbolo della terra salentina, del lavoro dell'uomo e dunque di una sua caratteristica sociale e spirituale, è la foglia di tabacco. Spicca, alla fine della raccolta Foglie di tabacco (1945-47), che introduce La luna, il verso isolato nel quale il poeta si paragona e si identifica spiritualmente in S. Giovanni da Copertino, in quel suo volare (distaccarsi, non sentirsi parte di) e in quel suo carattere "rissoso".
È una poesia dai forti contrasti dunque, che in qualche modo rappresenta l'ambivalenza del poeta verso la sua terra, un Sud intristito da un tempo che si è fermato e che lo schiaccia, dove l'aridità domina ogni scena vivente, riconducendola al paradosso di un'esistenza che non esiste, di una vita di nulla e del nulla. Dal tempo dei Borboni il Sud non è cambiato nella sua essenza. Lo spirito di allora è lo spirito di oggi. Il senso del barocco, del mistero, trasuda dalle case, dalla sua Lecce, nei soli e nelle lune stillanti oro, sangue e vita perduta in un vivere epico e dimenticato, come se la storia lo ingoiasse e senza fine lo risputasse identico. Non soltanto questa metafora possiamo leggere nell'allusione del titolo e nei contenuti dell'opera, ma anche il riferimento del tema "tutto cambia perché nulla cambi", di gattopardiana memoria, anche alla vicenda della neonata democrazia italiana, in senso amaro e disilluso (come poi è detto anche senza veli in sue corrispondenze e prose), che associa parecchi autori meridionali del dopoguerra. Oppure potremmo leggervi anche un sentimento di abbandono, come interpreta anche Macrì nella citazione precedentemente riportata. L'intera opera infatti del Bodini , per la sua ricchezza di simboli e allusioni (merito, credo, della meditazione sulla poesia lorchiana), presenta una polisemanticità davvero ricca che moltiplica le possibilità interpretative, lasciando al lettore un'ampia libertà ermeneutica e una lettura più personale del testo (caratteristica questa, della migliore poesia del '900).
La poesia di Metamor invece, accogliendo anche alcuni diversi spunti stilistici e un diverso linguaggio (più lirico-discorsivo, a volte struggente, meno ossuto del precedente ma più denso di simbolismi surreali di non facile interpretazione), si avvicina a una vena esistenzialista e e una tematica politica e sociale pur importante in quegli anni (ad es. Pasolini, Turoldo, e altri), pur senza toccare mai toni disperati e struggenti che troviamo invece in altri, come la Rosselli. Il poeta assiste sconcertato alla crescita economica disordinata di un'Italia che vuol lasciarsi indietro l'atavica miseria a qualunque prezzo, e sente l'esigenza di fermarsi, di riflettere, di considerare la portata degli avvenimenti che si profilano nell'immediato futuro. Da questo punto di vista il Bodini dimostra (anche in raccolte inedite come Zeta e La civiltà industriale o Poesie ovali)un'acutezza di vedute e una sensibilità che troviamo forse soltanto nel Pasolini dei romanzi o delle raccolte poetiche più "politiche", che sono comunque posteriori a questi versi.
 
Le poesie di Bodini sono state organizzate, da Oreste Macrì, secondo un criterio temporale e così appaiono nell'opera omnia da lui curata:
a) Poesie edite in vita - La luna dei Borboni e altre poesie (Foglie di tabacco, Altri versi, La luna dei Borboni, Dopo la luna, Via De Angelis, Serie stazzemese, Appendice)
- Metamor (
b) Raccolte inedite in vita (Inediti 1954-1961, Zeta 1962-69, La civiltà industriale o poesie ovali 1966-1970, Collage 1969-70)
c) Appunti di poesie, residue e sparse (Firenze 1939-40, Lecce 1949-44, Dallo "Zibaldone leccese", Roma 1944-46, Spagna-Roma-Spagna 1946-1949, Lecce-Bari 1949-1960, Roma-Versilia 1969-70)
d) Appendice (Poesie futuriste 1932-33
 

 

 
Clicca qui per leggere alcune poesie

 

 

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Inserito il 30 gennaio 1999