- Umberto
Saba:
- Quello
che resta da fare ai
poeti
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- Umberto Saba nasce a
Trieste nel 1883 da madre ebrea che viene
abbandonata dal marito e di questa situazione ne
soffre crescendo tra conflitti familiari ed una
infanzia segnata dalla malinconia e dalla
lontananza dal padre, girovago ed eterno
scontento. La carriera scolastica è
alquanto irregolare, abbandona il ginnasio e
frequenta solo per poco tempo l'Imperial Regia
Accademia di commercio e nautica,
interrompendola per impiegarsi in una azienda
commerciale. Si imbarca come mozzo su un
mercantile.
- Adotta, al posto del
cognome paterno (Poli), lo pseudonimo Saba (che
in ebraico vale per: pane). Nel 1911 sposa Lina
da cui avrà una figlia. Dopo la prima
guerra mondiale apre a Trieste una piccola
libreria antiquaria che sarà
l'attività pratica di tutta la sua vita e
gli consentirà di vivere modestamente e
di dedicarsi alla produzione poetica. Nel 1921
compone Il Canzoniere e dopo qualche anno
Preludi, Autobiografia e I prigioni. Nel 1928 la
rivista Solaria lo impone all'attenzione
nazionale con un "Omaggio a Saba" ma
l'affermarsi della stagione ermetica provoca il
silenzio della critica sulla poesia di Saba. La
sua fama sarà riconosciuta con i massimi
consensi solo nell'ultimo dopoguerra.
- Le leggi razziali lo
costringono a lasciare l'Italia e dopo un
soggiorno a Parigi ritorna nel nostro paese e
vive nascosto presso alcuni amici a Firenze e a
Roma. D'altra parte non va dimenticato che degli
anni nei quali scrisse le ultime cose ne
passò sette sotto la minaccia razziale.
È da sottolineare che Saba fu un fermo
antifascista, per naturale disposizione del suo
sentire, assai vicino alle posizioni della
sinistra anche se con una ferma e serena
coscienza di un poeta che per mezzo secolo ha
realizzato una poesia che nel panorama del
Novecento italiano è la più ricca
di valori umani e sociali. È inoltre
emblematico ricordare che Saba, già nel
1911, nel panorama letterario e culturale che
gli si presentava davanti si sentiva "di
un'altra specie". Nel 1945 ne Il Canzoniere (che
Saba voleva intitolare Chiarezza), edito da
Einaudi, viene raccolta e selezionata la sua
produzione. Il 25 agosto del 1957 muore a
Gorizia.
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- Umberto Saba è
tuttora difficilmente catalogabile con una sigla
di appartenenza: ragioni di razza e vicende di
famiglia lo tennero per molto tempo lontano
dalla diletta Trieste, dov'era nato nel 1883, e
la sua natura dolorosamente introversa gli
impedì un aperto e fecondo colloquio con
i contemporanei. Inquadrare sotto un profilo
storico della poesia del Novecento la produzione
di Umberto Saba è estremamente difficile
e periglioso: sia perché ci troviamo
davanti ad una produzione ed attività
poetica che copre circa mezzo secolo, sia
perché si mantenne sempre estraneo alle
correnti dominanti.
- La sua immagine
è quella di un poeta solitario ma nello
stesso tempo coerente. Umberto Saba si trova a
dibattere tra i miti dannunziani, i futuristi e
la macerazione ermetica: la sua forza è
quella di riuscire a mantenere continuamente e
costantemente una rara fedeltà al suo
mondo ed al suo timbro. La sua posizione di
isolato nei confronti della cultura e della
letteratura a lui contemporanea fu mantenuta
rifuggendo senza indugio anche alle minime
influenze che furono solo impercettibili
tentazioni.
- È proprio Saba,
del resto, che lo scrive nella sua autobiografia
in versi:
- "Gabriele D'Annunzio
alla Versiglia
- vidi e conobbi;
all'ospite fu assai
- egli cortese, altro
per me non fece.
- A Giovanni Papini,
alla famiglia
- che fu poi della Voce,
io appena o mai
- non piacqui. Ero fra
lor di un'altra specie".
- Una decisa e ferma
dichiarazione di estraneità ai due
movimenti letterari e culturali che dominavano
gli anni della sua formazione e che precedettero
la prima guerra mondiale: da una parte la poesia
dannunziana, dall'altra le esperienze del
Leonardo e della Voce nonché le visioni
intellettuali di Papini e Prezzolini. Se poi
verifichiamo che anche un'altra grande figura
come Benedetto Croce non si accorse nemmeno di
Saba possiamo definire chiaramente il quadro del
completo isolamento del poeta.
- Il carattere di Saba
è una miscela di vibrazioni contrastanti:
bontà e sdegno, una infinita
capacità di comprensione e una innegabile
permalosità, ironia e premura:
l'atteggiamento di un uomo che si rivolge agli
altri con affetto e si aspetta altrettanta stima
e riconoscenza. Un poeta che è conscio di
essere vulnerabile e predisposto alla
sofferenza.
- A queste componenti
del carattere si deve aggiungere anche una
grande fermezza, una forte coscienza morale che
lo porteranno ad una fiera e giusta
considerazione di se stesso.
- "Ci sono gli
invidiosi, i quali non capiscono che fra Saba e
uno di loro passa la differenza che corre fra
l'essere e il non essere" e ancora "Trieste ha
dato all'Italia, da trenta e più anni a
questa parte, il suo miglior romanziere (Italo
Svevo), il suo miglior poeta (Umberto Saba)". E
quando parla di sé: "Un poeta italiano e
triestino che ha cantato di Trieste come un
angelo...". "Io sono minacciato da un lungo
articolo... ho capito che scopo del saggio
è dimostrare la superiorità di
Ungaretti e Montale su quella di
Saba".
- Ma l'impressione che
si può avere da una analisi superficiale
di tali affermazioni è da scartarsi a
priori perché è indubbio (e
nessuno può negarlo) che un artista
grande e vero deve necessariamente credere in
sé: credere di essere imparagonabile a
qualunque altro. Da questa fiducia deve trarre
la forza per portare a compimento grandi
imprese, superare le conquiste del passato e
rendersi disponibile per il futuro. E
così fece Umberto Saba.
- Anche negli anni
successivi del dopoguerra e del fascismo
mantenne questo volontario isolamento rimanendo
estraneo ai movimenti della Ronda, del
novecentismo e dello stesso
ermetismo.
- Nel 1944, ormai
vecchio, come uno scultore che scalpella ed
incide la dura pietra, Saba poeta
scrive:
- "È tardi.
Affronto lieto il gelo
- di fuori. Ho in cuore
di una vita il canto,
- dove il sangue fu
sangue, il pianto pianto.
- Italia l'avvertiva
appena. Antico
- resiste, come una
quercia, allo sfacelo".
- La sua posizione
è orgogliosa e cosciente di avere creato
una poesia forte e resistente al tempo come una
quercia: la storia le ha dato
ragione.
- Il desiderio di creare
qualcosa di duraturo con la convinzione che
l'arte solo è alta sul disordine della
vita. Saba da poeta sognatore diventa poeta
incisore che ama aderire ad un linguaggio
figurativo in cui c'è tutta la sua gioia
di artefice che crea con il paziente lavoro le
figure della sua poesia.
- Una considerazione
merita anche il rapporto che Saba ebbe con
Trieste, la città natale aspra e ventosa.
All'inizio della sua attività poetica,
ancora giovane, partecipò ai gruppi
intellettuali triestini e certamente Trieste
è fondamentale per la sua ispirazione
poetica ma non fu mai "poeta di Trieste": la
prima ragione è che un poeta vero ed
autentico supera e oltrepassa l'ambiente in cui
vive e deve necessariamente veleggiare e
approdare verso problematiche nazionali ed
universali; la seconda ragione deriva
dall'ambiente culturale triestino denso di
romanticismo e irrazionalismo fortemente
respinti da Saba che al contrario tendeva ad
analizzare e scrutare il dissidio interiore con
forte chiarezza e dominante
razionalità.
- A questo proposito
aveva anche creato un grafico per definire
l'arte, basato su tre linee: quella dello stile,
della testa, del cuore. "Se supera anche la
terza è Dante. La maggior parte degli
scrittori attuali, anche se superano le prime
due linee, raramente arrivano a toccare la
terza: per questo non mi
interessano".
- Nelle varie lettere
che Saba scrisse ritroviamo la definizione
più fedele della sua visione umana in
quella indirizzata ad un amico romano: "Tu sei
un uomo politico ed è la tua vocazione.
Vivi, per logica conseguenza, dell'aggressione e
della lotta. Ora, non è che io non sia
più aggressivo di te, ma per disgraziate
vicende della mia infanzia l'aggressione
è rimasta in me inibita: si è
voltata contro me stesso. (In fondo, questa
è la mia malattia)". Questa riflessione
è emblematica, sia perché conferma
che Saba trovò in Freud (fu tra i primi a
studiare ed a capire la forza di certe
intuizioni psicanalitiche) la possibilità
di spiegare la propria malattia, sia
perché tale malattia ha potuto assumere
un valore universale e rivelarsi uno degli
elementi fondamentali della malattia delle
nostre generazioni. La contrapposizione
dell'aggressività e della lotta, alla
passività e alla rinunzia, indica due
diversi atteggiamenti di fronte alla
realtà. Da un lato una adesione, che sa
comprendere e sentire il valore delle cose, che
crede nella vita e nei suoi ideali, dall'altro
un senso di distacco, di chi non sa inserirsi
nel ritmo della vita, che ripiega sfiduciato ad
alimentare la propria tristezza come hanno
acutamente osservato alcuni critici.
- È proprio dalle
prime esperienze di Saba che risulta già
evidente quanto sia importante per il poeta
ritrovare il gusto delle cose che si pone alla
base di una vita tollerabile: "Poco invero tu
stimi, uomo, le cose. / Il tuo lume, il tuo
letto, la tua casa / sembrano poco a te,
sembrano cose / da nulla, poiché tu
nascevi e già / era il fuoco, la coltre
era e la cuna / per dormire, per addormirti il
canto". In questa poesia non dobbiamo
soffermarci superficialmente solo all'amore
crepuscolare per le piccole cose ma è
indispensabile capire più a fondo la
precisa e sapiente intuizione che comunicare col
mondo esterno, collegarsi con gli altri,
rapportarsi e comprendere i sentimenti e gli
affetti degli uomini, è la strada da
seguire per arrivare alla salvezza, per vincere
la disperazione. La visione del problema per
Saba è quindi quello di amare le cose
quali esse sono, di riuscire ad attingere dal
proprio cuore tanto amore quanto basta da
trovare bello "anche l'uomo e il suo male".
- La rivelazione
è quella di" sapere uscire da se stessi e
vivere la vita di tutti", di essere "come tutti
gli uomini di tutti i giorni: di essere soltanto
uomo tra gli uomini".
- È allora che
entrano in scena i paesaggi sereni, i vecchi
quartieri di Trieste, le chiassose osterie, i
momenti caratteristici dell'umile vita della
gente comune. Si scopre il suo amore per la
folla domenicale che gremisce le sale
cinematografiche e "ammirata sta a godersi un
poco di ottimismo americano"; la squadra di
calcio con il portiere che cammina su e
giù come una sentinella e "come giovane
fiera si accovaccia e all'erta spia".
- Ecco allora la poesia
dedicata alla moglie, una fra le più
famose di Saba, lirica che provocò
allegre risate perché sembrava strano che
un uomo scrivesse una poesia per paragonare la
moglie agli animali della creazione come scrisse
lo stesso Saba. Nella lirica A mia moglie, al
contrario, i toni sono di una saggezza antica,
quasi biblica, i paragoni con i vari animali (la
pollastra, la coniglia, la cagna, la giovenca,
la rondine, la formica ecc...) non hanno
assolutamente nulla di ironico, ma sono
altresì ispirati da un amore ed un senso
francescano che assimila la donna alle semplici
creature di Dio. La similitudine animalesca
dovrebbe avere un significato di satira ma
è sorprendente come Saba riesca a
riproporla "con una grazia pulita che lascia
intatto l'amore" come ha puntualizzato Carlo Bo
e poi, ancor più, l'allargamento del
sentimento al regno animale universalizza il
senso fraterno di creature di Dio e tutto
è mediato in modo originale dalla dolce e
fedele compagna della sua vita.
- L'unico commento
fedele ed autentico di questa lirica è
proprio dello stesso Saba che parla di una
scoperta delle identità tra la giovane
donna con la quale viveva e gli animali della
campagna dove abitava in quel periodo. Una
scoperta che ritrova nella sua donna alcune
qualità essenziali attribuite ai diversi
animali: non riscontrabile in nessun'altra
donna.
- Questo stato d'animo
di adesione agli uomini e alle cose
costituirà la linfa vitale di diverse
poesie e lo stesso sentimento ispirerà la
pietà di Saba per il giovane ammalato e
povero, il disoccupato, il mendicante, il
venditore di gelati, il marinaio: l'umana
tenerezza per la speranza che risiede nel cuore
degli sfruttati.
- Il poeta si commuove
come un bambino assistendo ad una
rappresentazione popolare, dentro la cornice di
uno dei teatrini suburbani sempre cari alla sua
Musa, amante degli umili. Nella lirica Teatro
degli Artigianelli il poeta canta, attraverso la
propria dolorosa esperienza e
sensibilità, la felicità amara
delle prime giornate di libertà dopo la
prigionia. Le cose diventano parole e le parole
aiutano con la loro forza vigorosa a formare il
verso.
- Tale avvicinamento
alle cose della vita e agli uomini è solo
una delle aspirazioni della sua poesia
perché Umberto Saba non sarebbe stato un
uomo del nostro tempo se non avesse sentito
questa aspirazione intaccata anche da una
tristezza profonda, da una disperazione non
superabile, dall'alienazione dell'uomo, dalla
sua scissione in due personalità: un
occhio vede il meglio e l'altro non sa
rinunciare alla propria tristezza, non riesce a
svincolarsi dalla solitudine che esclude dal
ritmo della vita.
- Le due diverse voci si
manifestano prepotentemente nella raccolta
Preludio e fughe dove i due elementi costitutivi
fondamentali si esplicitano chiaramente: da una
lato la tristezza muta e l'insuperabile
solitudine, dall'altro la speranza e il
desiderio si confondersi con la vita e con gli
uomini.
- Fra i due poli senza
dubbio sarà quello della tristezza e
della solitudine ad avere la meglio:
l'insistenza agirà prevalentemente sulla
difficoltà nel non poter o non saper
condividere con nessuno la disperazione e questo
stato d'animo permanente ispirerà gran
parte del suo Canzoniere.
- L'intera opera di
Saba, poeta così criticato e sottoposto a
giudizi non proprio benevoli da parte di
numerosi critici (è poeta che offre una
impressione negativa, è un poeta minore,
non degno di recensione), è stata poi
esaminata con più attenzione e minor
ottusità: certamente si possono fare
delle scelte sulle composizioni, preferirne
alcune ad altre meno convincenti, ma resteranno
sempre poesie che hanno il senso dell'amore,
degli affetti e della solidarietà umana.
Una cordiale malinconia che non lascia mai
spazio allo sfoggio, alla presunzione o al
distacco: il travaglio, la continua sofferenza
per cose private e cose di tutti, la
curiosità umana per cercare di capire di
più. Non per niente G. Debenedetti
così scrive: "Saba è un ritorno
dello spirito, o meglio dell'anima, alla sua
sacra semplicità".
- La capacità di
unire senso tragico e drammatico a preziose
forme di idillio. Un personale sciogliersi del
gemito nel canto, del dolore nel porgersi
fraterno, che sono una parte essenziale e non
ripetibile della melica sabiana.
- D'altra parte in uno
scritto che appartiene alle prime esperienze di
professione poetica Saba chiedendosi "Quello che
resta da fare ai poeti" rispondeva: "la poesia
onesta". Ma non si fermava a questa semplice
affermazione perché opponeva la
disonestà del D'Annunzio alla
onestà del Manzoni, la letteratura che
serve a paludare (falsandoli e snaturandoli) i
propri sentimenti alla poesia che è
ricerca di verità, quotidiano esame di
coscienza, fedeltà alla propria
verità interiore.
- Proprio in ciò
consistono il fascino e la lezione del poeta
capace di evitare ogni facile entusiasmo
attraverso il suo doloroso amore della vita,
sempre denso di triste consapevolezza e
abbandono all'illusione. Sentimenti e
suggestioni fermate con parole senza storia da
un poeta che ha speso la sua vita al servizio
della poesia che vuole essere un dono,
un'offerta agli altri uomini.
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- Massimo
Barile
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- Bibliografia
- E. Caccia, Lettura e
storia di Saba, Milano, Bietti,
1967.
- G. De Robertis,
Scrittori del Novecento, Firenze, Le Monnier,
1958.
- C. Salinari, C. Ricci,
Storia della letteratura italiana, Laterza,
Bari, 1974.
- L. Piccioni, Maestri e
amici, Rizzoli, Milano, 1969.
- S. Guglielmino, Guida
al Novecento, Principato editore Milano, 1975.
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